La zanzara ferrarese che ammazzò Dante
Era una grigia mattina di dicembre di qualche anno fa, un giovedì alla prima ora, per essere precisi, e stavo interrogando in una terza. Soggetto dell'interrogazione: Dante, vita e opere, più una buona dose di Inferno della Divina Commedia. Le due "vittime" prescelte erano un ragazzo e una ragazza (L. e C., si dice il peccato, ma non il peccatore, lasciamo che i nomi integrali cadano nell'oblio), che si apprestavano ad affrontare il secondo giro di interrogazioni del quadrimestre.
A questo punto, però, come in tutti i feuilleton che si rispettino, ci vuole l'antefatto, quindi il flash-back. Dato che noi insegnanti lottiamo quotidianamente con l'esigenza di non fare addormentare i nostri allievi sui banchi, una maniera per raggiungere lo scopo è quella di "movimentare" le lezioni con qualche trovata originale (a nostro rischio e pericolo). Da quando insegno Letteratura Italiana, e Dante in particolare, a Ferrara, ricorro regolarmente ad alcuni aneddoti per rendere più divertente la sua biografia. Di solito dico che noi di Ferrara, Dante, lo abbiamo fatto e lo abbiamo distrutto: difatti la trisnonna di Dante era ferrarese (si trattava di Aldighiera, che ha dato anche il cognome alla casata ed era quella sposata col trisavolo Cacciaguida, il crociato che compare in Paradiso 15-17), tanto che Dante, come dimostra in Inferno XIX, conosceva bene le vicissitudini delle famiglie ferraresi (le amanti del signore Obizzo II d'Este, per intenderci, e le famiglie coinvolte nelle sue tresche).
Del resto, quando, alla fine dell'estate del 1321, il sommo poeta ritornò in barca da un'ambasceria a Venezia, per conto di Guido Novello da Polenta, il signore di Ravenna, si fermò all'abbazia di Pomposa (che si trova proprio in fondo in fondo alla via dove abito io, ma varie decine di chilometri più in là) e qui si beccò la malaria; tornato a Ravenna con la febbre, vi morì nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321. Sarà stato punto da una zanzara anofele in questa zona che, allora, era paludosa (ma le zanzare ci sono ancora): quindi, quando concludo la mia dissertazione sulla biografia dantesca, di solito dico, scherzando (scherzando!), che Dante è stato ammazzato da una zanzara ferrarese. E, si dice anche, da queste parti, che il suo fantasma si manifesti ogni tanto all'abbazia di Pomposa, indicando il muro da abbattere per accedere a un deposito segreto, dove si troverebbe il perduto manoscritto originale della Divina Commedia: ma dato che la Soprintendenza ai Beni Artistici non crede ai fantasmi, il muro rimane dov'è. E, forse, anche il manoscritto (!).
Tengo a precisare che l'effetto "macchinetta" di queste interrogazioni, tipo registratore in marcia, è da me del tutto non voluto. Così come non è assolutamente voluto il tono nozionistico. Finché mi dicono cose esatte, però, preferisco non intervenire (se infierissi, dovrei fare tutti i giorni una strage, peggio dei cannibali nella giungla). Dovreste sentire cosa sono capaci di impararsi in certe classi. L'anno scorso, la quinta ora diplomata, si era specializzata nel ricordarmi tutte le volte che la Pharsalia di Lucano, poema epico sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo, è composto esattamente da 8.060 esametri latini (sono dovuta andare a cercarmelo ora per scriverlo, io non lo sapevo): non mancavano mai di ricordarmelo, a ogni interrogazione (dimenticandosi cose ben più serie). Oppure, qualche anno fa, in una classe dove insegnavo geografia, non mancavano di ripetermi ogni volta che la Russia ha una superficie di 17.098.242 kmq (badate ai 2 kilometri finali). Beata gioventù! Perché spremersi le meningi a ricordarsi queste cose? (Geni? Lasciamo andare...).
Bene, la mia giovanotta stava ripetendo la biografia di Dante con un entusiasmo degno della voce del GPS e io, intanto, sonnecchiavo. Era presto (prima ora), era inverno, faceva freddo e io mi ero creata col mio cappotto una nicchia al calduccio sulla la sedia della cattedra. Ero in pace con il mondo e tutto si annunciava quieto e tranquillo. Lei intanto continuava, con una voce piatta come un asse da stiro: "...Studiò con Brunetto Latini retorica, entrò nello Stilnovo, dedicò le sue poesie a Beatrice, entrò in politica, fu esiliato nel 1302 e, nel 1321, fu ammazzato da una zanzara ferrarese".
Feci un balzo sulla sedia e mi svegliai di colpo. Quindi, non credendo alle mie orecchie, mi volsi verso di lei con aria esterrefatta, la fissai a occhi spalancati e chiesi incredula: "Cos'hai dettooooo?". Lei non osò ripetere, però avevo sentito fin troppo bene.
" Ma dico, C.: era uno scherzoooo!!!", esclamai, cercando di richiamarla alla realtà, come un medico della Croce Rossa con un ferito grave. E lei rimase imperturbabile, come un soldato, impalato sotto gli occhi del suo capitano sulla Piazza Rossa. Certuni proprio non capiscono le differenze di registro tra ironia, scherzo, sarcasmo (quello lo uso di rado, ma alle volte serve) e stile serio, se non tragico. Erano così gli Svizzeri: se affermavo che volevo eliminare fisicamente qualcuno, si affrettavano a chiamare la polizia.
Nel frattempo, la prima linea, dove stazionavano i più bravi (Marco, Tommaso), si stava sganasciando dalle risate. Io ancora faticavo a riavermi e ribadivo il concetto che le differenze di registro e stile ESISTONO; a quel punto, sempre i più bravi, ancora ridendo a crepapelle, mi ricordano (un po' perfidamente) che anche L. l'altra vittima del giorno, era incorso in un incidente del genere alcune settimane prima (interrogazione del primo giro). E' la storia di "S.Francesco e dei 20 minuti". Ma anche qui serve un flash-back.
Come tutti sanno, S.Francesco non è solo il patrono d'Italia, ma anche l'iniziatore della nostra poesia italiana con il Cantico delle creature. Bene, quando si convertì, nel 1207, si spogliò (si vedano gli affreschi di Giotto alla Basilica Superiore di Assisi) davanti al vescovo e alla città intera, per restituire al padre tutto, anche l'ultimo indumento. E io, tutti gli anni, in terza, a insistere che la nudità non aveva all'epoca tanto valore di offesa al pudore (noi veniamo dopo l'era vittoriana), ma che era un segno di vulnerabilità, di mancanza di difesa. Gli abiti ci difendono innanzitutto dagli altri: e qui ricorre abitualmente anche il parallelo con l'asag (l'argomento di poesia provenzale preferito dai miei studenti...).
Ecco l'episodio negli affreschi di Giotto della Basilica Superiore, di Assisi
Nella poesia cortese, infatti, il cavaliere doveva compiere, prima di conquistare la dama, un percorso di corteggiamento rigidamente organizzato, con tappe ben precise: e la penultima, prima della notte d'amore era l'asag (termine provenzale). Questo è il punto atteso con maggiore entusiasmo dai miei allievi e quello che, tutti gli anni, mi fa temere una querela da parte dei genitori per corruzione di minore: infatti, come riferisco impassibilmente, l'asag non era altro che il momento in cui il cavaliere doveva dimostrare la propria affidabilità...venendo introdotto completamente nudo al cospetto della dama, pronto a compiacerla con baci e carezze, ma SENZA ANDARE OLTRE. Ovvero, per la notte d'amore vera e propria, arrivederci alla prossima puntata.
Ovviamente, proprio quell'anno non mancò chi (uno dei ragazzi, ovvio) si premurò di chiedermi che cosa sarebbe successo se al cavaliere in questione fossero "saltati" gli ormoni: ma io non posso rispondere per gli ormoni maschili, quindi, augurandomi che il suddetto cavaliere avesse trovato una soluzione all'annoso problema, almeno fino alla tappa successiva, dribblai abilmente ricordando che questa era una grande manifestazione di autocontrollo, e di abbandono dell'uomo alla donna, una dimostrazione di come egli sapesse rispettarla al punto di essere completamente alla sua mercé. In tempi in cui le donne erano del tutto subordinate, non era poco (e poi, diciamocelo, i preliminari sono importanti! Onore al merito dei cavalieri provenzali).
In sostanza, anche S.Francesco, per così dire, che conosceva bene la poesia provenzale e che diceva di essere sposo di madonna Povertà, fece una specie di asag; per cui quell'anno, spiegando la scena ai miei ragazzi, affermai, ricordando la scena celeberrima del film S.Francesco di F.Zeffirelli: "Vedete, quando S.Francesco si spoglia dei suoi abiti, il vescovo all'inizio non ci bada neanche al fatto che è nudo; solo dopo 20 minuti, dopo aver discusso con lui, si fa venire in mente che è nudo e grida: "Copritelo!". Ma il punto non è che offende il pudore altrui: il punto è che S.Francesco decise di rimanere del tutto vulnerabile e povero e di affidarsi esclusivamente alla Provvidenza. Il vescovo poi gli procurò un saio".
Bene, L. all'interrogazione del primo giro, si premurò di spiegarmi: "S.Francesco, nato nel 1181, figlio di un ricco mercante, Pietro di Bernardone, dopo essere stato prigioniero a Perugia, decise di convertirsi; allora si spogliò davanti al vescovo che, dopo 20 minuti, se ne accorse...."
Ricordando quell'episodio, che aveva coinvolto l'altro interrogato della mattina, la prima linea continuava a sganasciarsi dalle risate: e io intanto riflettevo che S.Francesco, Dante e così via si stavano probabilmente rivoltando nella tomba. Non ricordo come finì l'interrogazione e che voto diedi (forse fui clemente, clemente e rassegnata): ma, da allora, cerco di stare attenta a quello che dico. In sostanza, dovrei sempre segnalare che sto scherzando con uno smile...
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