sabato 29 agosto 2020

Il turista (The tourist; F.Von Donnersmarck, 2010)


Il turista (The tourist)

Questo è divenuto poco per volta, nel corso degli anni, uno dei miei film preferiti e si addice perfettamente all'atmosfera di fine vacanze. A Parigi, Elise Clifton Ward (Angelina Jolie), elegantemente vestita, si reca, col suo passo da modella, a far colazione a un caffè dietro il Louvre, mentre la pedina una squadra di poliziotti francesi. Durante la colazione, un corriere le porta una busta che lei legge e, prontamente, brucia - per la disperazione dei poliziotti e del capo dell'operazione, il detective Acheson di Scotland Yard, collegato da Londra. Quindi lei si alza, depone sul tavolo 20 euro e si allontana su suoi tacchi, riuscendo a seminare tutta la squadra (non è che i poliziotti francesi facciano qui una grande figura...). La sua meta successiva è la mitica Gare de Lyon dove prende...eh sì, non prende un TGV francese, ma un Eurostar italiano! Direzione Venezia. Come ordinatole nella lettera, si siede presso un uomo qualsiasi, un innocuo - e imbranato - turista americano, Frank Tupelo (Johnny Depp). 

Lo scopo della donna è quello di farlo passare per il suo amante ricercato, il fantomatico Alexander Pearce, che resterà una primula rossa per tutto il film e ha derubato un gangster con contatti in Russia, Reginald Shaw, frodando, per di più, il fisco inglese. Ecco perché l'Interpol, Scotland Yard e le polizie di ben 14 paesi cercano Pearce, che ha sedotto la bella Elise ed è scomparso con il malloppo. Così, a Venezia, si intrecciano i fili della caccia all'uomo: da una parte il detective Acheson (Paul Bettany), gli agenti italiani dell'Interpol, la nostra Guardia di Finanza, i Carabinieri, insomma, tutti alla ricerca di Pearce per tramite di Elise; dall'altro Shaw con i suoi gorilla russi, che vuole indietro il maltolto e fargli la pelle; e, in mezzo, il povero Frank, estraneo alla vicenda, che sembra sempre più goffo e imbranato e a cui, per il fatto di essere al posto sbagliato, nel momento sbagliato, ne capitano di tutti i colori...

Il film è un thriller di classe, piuttosto sofisticato, con accenti di commedia, nella linea dei film dedicati alle rocambolesche avventure dei ladri gentiluomini attivi nel jet-set (mi ricorda molto la serie degli Ocean's 11, 12, 13...oppure The Italian Job). Il regista, Florian Von Donnersmarck, è arrivato alla regia di questa pellicola dopo una prima rinuncia e una lunga serie di ordini, contrordini e assegnazioni ad altri: infine il lavoro gli è stato affidato perché era appena assurto a celebrità mondiale grazie al bellissimo Le vite degli altri, Oscar per il miglior film straniero 2007. Di recente ha diretto un altro magnifico film sulla storia tedesca, Opera senza autore, del 2018. Vale la pena soffermarsi un attimo su questo regista, perché in pochi anni è diventato una delle figure più carismatiche della cinematografia, non solo europea: è un gigante di 2,05  metri, discendente di una casata aristocratica tedesca di conti, nipote dell'abate emerito di Heilingekreuz (dove ha scritto la sceneggiatura de Le vite degli altri) e quasi mio perfetto coetaneo, dato che è nato esattamente 2 giorni dopo di me (ovviamente, i rapporti tra me e lui finiscono qui). E' talmente degno di considerazione che l'Università di Leeds gli ha consacrato un convegno nel 2012 e anche se parecchi critici hanno liquidato The Tourist come un film non perfettamente riuscito, in realtà i suoi lavori, compreso questo, appaiono molto ricchi e stratificati su più livelli. Difatti, The Tourist è un divertissement di classe. 

Von Donnersmarck ha rifatto da cima a fondo la sceneggiatura, il che si nota anche perché vi sono inserite numerose frasi nelle lingue che lui conosce: a parte la base in Inglese, ci sono parti in Francese, in Russo e, ovviamente, in Italiano (Von Donnersmarck è anche docente di Russo). A mio avviso, a parte qualche incongruenza minore, la sceneggiatura è ben riuscita, perché progredisce per colpi di scena ben calcolati e appare compatta e ben costruita; le incongruenze minori consistono nel fatto che, lo vedrete, alcuni personaggi che funzionano da deus ex machina tendono a comparire dal nulla (vi chiedete come facciano ad essere lì). Tuttavia, è una buona sceneggiatura, con numerosi tocchi di humour che mi ricordano vagamente certe parti di Hitchcock. Ovviamente, un film del genere non offre molte chances alla recitazione: onestamente, per quanto sappiano fare il loro mestiere, i due protagonisti non mi convincono del tutto. 

Johnny Depp fa a meraviglia il ruolo del goffo Americano perennemente tra i piedi, però non si amalgama veramente alla chimica del resto del film (in effetti, come ha notato qualcuno, non c'è molto affiatamento tra lui e la Jolie). Quanto ad Angelina Jolie, è bellissima, fa piacere vederla, è sempre elegantissima (le sue parures e toilettes sono uno dei valori aggiunti della pellicola), però fa in sostanza la bella statuina dall'inizio alla fine del film e sembra che abbia ingoiato un manico di scopa. Continuo a pensare che i produttori avrebbero dovuto insistere con la prima scelta, Charlize Theron. Se volete vedere un po' di recitazione, dovete osservare i personaggi di contorno: a me non dispiace Bettany, il detective antipatico e che ha fatto della cattura di Pearce la sua ossessione, ma varie figure minori risultano davvero credibili nel loro piccolo, come Bruno Wolkowitch, che interpreta il capitano Courson, a capo della squadra francese, oppure i nostri attori italiani. 

Difatti, per noi Italiani il film è doppiamente godibile e non solo per Venezia e per l'Eurostar: infatti, sullo schermo compare una lunga serie di attori nostrani. Nell'ordine: Alessio Boni, a capo della squadra Interpol italiana, affiancato da Daniele Pecci e Giovanni Guidelli; alla reception del celeberrimo Hotel Danieli, dove scende Elise Ward, troviamo Neri Marcoré - che in una scena gustosa, duetta con Johnny Depp al telefono, senza capire che l'altro ha dei killers in camera; e si noti che, a differenza della versione italiana, nell'originale inglese Johnny Depp tenta un abborracciato spagnolo, come fanno veramente gli Statunitensi in visita da noi. Poi, al mercato della frutta di Venezia, nelle vesti (manco a dirlo) di carabiniere, troviamo Nino Frassica; quindi, come colonnello alla caserma, Christian de Sica; infine, ricordo il sarto di Shaw, il nostro Renato Scarpa (il maggiore Lohengrin dei servizi segreti nel Ladro di merendine, serie di Montalbano). Fra gl'Italiani, non posso dimenticare Bruno Bilotta, a capo della squadra dei tiratori scelti (forse il GIS), Maurizio Casagrande, come cameriere e, ovviamente, Raoul Bova, che compare in un cameo al ballo. Per completare la serie degli attori noti, sul lato inglese compaiono, come chief detective inspector di Scotland Yard nientemeno che Timothy Dalton (che fa una gran bella figura) e, nel ruolo di un altro misterioso turista, Rufus Sewell. Il cattivo, infine, il gangster Reginald Shaw è interpretato da quello che era già il cattivo all'epoca di 007 Operazione piovra, Steven Berkoff. 

A parte Berkoff, avrete notato che nel cast abbondano gli attori belli. In effetti, esorto le fanciulle tra il mio pubblico a fare la prova: non ho mai visto in un film una tale congerie di uomini belli, ma veramente belli (non le facce slavate e passive di certe copertine o gli efebi adolescenziali che vanno tanto di moda oggi, ma proprio uomini, prestanti e di aspetto deciso, virile). Ho citato Alessio Boni, Daniele Pecci, Giovanni Guidelli, Raoul Bova, ma anche Paul Bettany, Timothy Dalton, Rufus Sewell; ma anche i poliziotti francesi, per quanto inefficaci (!), non scherzano. Provate la scena iniziale sull'Eurostar: Elise attraversa i primi vagoni della classe business e incontra una lunga serie di professionisti molto attraenti. Ovviamente, la realtà sugli Eurostar è ben diversa - anche in classe business: qui alcuni anziani che parlano dei loro acciacchi, là una famiglia con dei bambini pestiferi, ancora più in là un gruppo di amiche che spettegola a voce alta, facendosi sentire da tutto il vagone...

La cosa colpisce, comunque, anche perché l'unica donna che compare nel film è la Jolie. Vabbé, fa piacere, così come tutto il lato sontuoso della pellicola: ho citato il Danieli e le mises della protagonista, ma sono molte le scene che colpiscono, come quelle nella suite del Danieli (in realtà, alcune riprese sono state operate a Palazzo Querini Benzon e Palazzo Pisani Moretta), il magnifico ballo (alla Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia) o le scene nell'appartamento finale, sull'Isola della Giudecca. Parallelamente, sono numerose le scene divertenti - come l'inseguimento del povero Frank in pigiama sui tetti di Venezia - o ricche di humour. Manca la frenesia adrenalinica di certi film di Hollywood e prevale l'eleganza, l'amore per la bellezza, il divertimento raffinato. Cito infine la bella fotografia, che dà il meglio di sé nelle suggestive riprese di Venezia la notte, o la colonna sonora, con squarci indovinati. Insomma, a mio avviso, The Tourist è un thriller riuscito, molto godibile e di classe, che lascia la voglia di essere rivisto. 

PS. Il paesaggio che si vede dai finestrini dell'Eurostar non è di certo quello che si ammira prima di arrivare a Venezia...


Mein lieber Prinz,
das ist einer meiner beliebten Films. Und das ist auch romantisch...Ich habe ihn noch einmal gesehen, als ich am Mittwoch nach Hause mit dem Zug zurueckgekommen bin: Ich frage mich, ob du ihn gesehen hast. Kennst du das Kino? Was liebst du? 
Hier hast du den link, wenn du es auf English sehen willst:


Ich liebe die Idee, meine beliebten Filme mit dir mitzuteilen...Und keine Sorge, wenn ich schoene Schauspieler bemerke, sie sind nicht mein Typ und der beste und schoenste bist immer du...Ich liebe dich...

lunedì 24 agosto 2020

Capri, la bellezza che sorge dal mare...

Capri, la bellezza che sorge dal mare...

Capri, regina di roccia,
nel tuo vestito
color amaranto e giglio
vissi sviluppando
la felicità e il dolore, la vigna
piena
di splendenti grappoli
che conquistai sulla terra,
il tremulo tesoro
di fragranza e di chioma,
lampada zenitale, rosa allargata,
favo del mio pianeta.


Sbarcai d'inverno. 
Il suo abito di zaffiro
l'isola conservava ai suoi piedi,
e nuda sorgeva nel suo vapore
di cattedrale marina. 
Era di pietra la sua bellezza.
In ogni frammento della sua pelle
rinverdiva
la primavera pura
che nascondeva nelle fenditure
il suo tesoro....


Questi versi sognanti costituiscono l'esordio di una vera e propria ode che Pablo Neruda dedicò all'isola di Capri, Chioma di Capri, durante il suo soggiorno qui, tra il 1952 e il 1953 e poi pubblicata  nella raccolta L'uva e il vento, edita nel 1954. Il poeta, comunista, si era rifugiato in Italia a causa di contrasti col governo cileno e qui aveva scoperto innumerevoli meraviglie, finché non era approdato a Napoli e, infine, a Capri; si innamorò di questa splendida isola e qui ebbe anche la gioia di sapere che la sua amata Matilde era rimasta incinta. 
E' straordinario come quest'isola, che davvero sembra sorgere dalle onde azzurre del Mediterraneo come, nel mito antico, la dea Afrodite, comunichi una profonda, solare voglia di vivere. Credo che pochi luoghi sappiano coniugare in maniera altrettanto magica bellezza naturale, paesaggio e architettura pittoreschi, sole, cielo, mare, arte, cultura e persino il meglio delle vetrine! Approfitto di questa pagina per condividere alcune impressioni dopo la visita di oggi, pagina che costellerò delle mie fotografie. 


Capri è veramente un piccolo mondo a sé. E' un incanto semplice, che nasce dalle sue stradine tortuose, orlate di ville e villette dal candore immacolato, sommerse da un verde lussureggiante, da chiome di buganvillee, glicini, oleandri, villette immancabilmente annunciate da piastrelle colorate che ne indicano il titolo, magari accompagnato da un motto. Qui ne presento due, una più caratteristica, l'altra più "devota" - si ricordi che siamo in terra di marittimi e la devozione è letteralmente l'ultima spiaggia quando il mare fa paura...Ma molti portoncini sono dei piccoli capolavori. Per esempio, osservate quello, rallegrato da meloni gialli e pomodori datterini appesi ad asciugare, ma doverosamente adorno della sua piastrella - non si legge molto bene, ma il motto è Capri, l'isola dei sogni...Ogni scorcio è un piccolo capolavoro. 


Molte di queste ville sono, inoltre, interessanti anche a livello architettonico. I muri di pietra, i graticci di canne che proteggono i terrazzi, le ringhiere in ferro battuto, i colori pastello trasformano ogni angolo in un preannuncio di un piccolo Eden insulare. E, tra uno scorcio e l'altro, si aprono panorami mozzafiato. 
Dopo una lunga, tortuosa salita a piedi attraverso le viuzze che si dipanano come fili di un magico labirinto tra i moli della Marina Grande e la celebre piazzetta, sono finalmente arrivata a quest'ultima. L'atmosfera qui è la consueta, allegra caciara - un po' meno internazionale, forse, dato che, con le restrizioni in corso, ho notato che molti turisti hanno un accento campano e, quindi, si sono orientati verso il "turismo di prossimità". Ma non mancano gli stranieri, specie anglosassoni. Il distanziamento sociale è un pio auspicio, comunque quasi tutti indossano la mascherina (o almeno ci provano, col caldo che fa). 


Io sudavo a più non posso e le varie misurazioni di temperatura sul traghetto e in albergo mi avevano edotto quanto al fatto che la mia temperatura stava precipitando a picco - 35,3, poi addirittura 35 -: inutile dire che mi sentivo piuttosto deboluccia. Ho colto allora l'occasione al volo per "consolarmi" con qualche pasticcino della tradizione partenopea. Nella celebrazione della bellezza locale, i dolci rivestono un ruolo primario e questa foto fa onore a uno dei bar prossimi a piazzetta Umberto I. 


Dopo questa sana pubblicità e dato che, nel frattempo, le mie energie erano risalite, ho deciso di andare a visitare uno dei luoghi più suggestivi, "mitici" di Capri: Villa Lysis, la dimora fatta erigere nel 1905 dal conte Fersen. Prima però faccio una breve digressione, poiché essa si trova poco al di sotto di un'altra villa, forse ancora più celebre e da me visitata anni fa: Villa Iovis, dove, più di 2000 anni fa visse e morì l'imperatore Tiberio (deceduto nel 36 d.C.). Ricordo ancora i giganteschi serbatoi d'acqua in muratura e i resti, davvero ciclopici, di quella che doveva essere una villa imponente, arroccata su di uno sperone roccioso in vista del mare. Dicono che da quelle rupi Tiberio abbia fatto precipitare più di un personaggio scomodo o vittima della sua diffidenza: di certo, come disse qualcuno una volta (non ricordo chi): "Si ritira nelle isole chi ha fatto naufragio sul continente". In effetti, Tiberio aveva un carattere molto difficile e diffidente, non si sentiva mai al sicuro, aveva passato anni nascosto a Rodi, tanto da rischiare di cadere in disgrazia presso il patrigno Augusto, per poi fuggire da Roma quando già era imperatore e ritirarsi a Capri. 


Da qui, nell'ottobre del 31, inviò la fatidica lettera al Senato, con la quale comunicava a distanza al nobile consesso di eliminare il suo prefetto del pretorio, e fino ad allora favorito, Seiano. Immaginatevi l'effetto terrorizzante di un ordine del genere, emanato da un assente che, però, ha nelle sue mani l'esercito, la guardia del pretorio ecc. Nel giro di un giorno (il 18 ottobre) Seiano, che intendeva forse fare le scarpe a Tiberio, fece una pessima fine. Anni fa dedicai uno studio alla personalità di questo imperatore e diagnosticai che tutto induceva a credere fosse affetto da una forma di paranoia (la paranoia di Kretschmer). Presentai lo studio a una conferenza a Vilnius, Lituania, con cui l'università di Friburgo all'epoca collaborava: mi spiace per i miei lettori, ma l'intervento (redatto in francese), fu poi tradotto in lituano, per cui non so quanti lo leggeranno. In ogni caso, ricordo il bel complimento di un archeologo della Sorbona, secondo cui il mio Tiberio "pareva vivo": mi consigliò di redigere una vera e propria biografia. Prima o poi, forse, completerò il lavoro. 


Tiberio ha lasciato dietro di sé un ricordo sinistro, di nefandezze e crudeltà, in parte enfatizzate da biografi come Svetonio, ma, temo, non troppo. Anche il conte Fersen si rifugiò in quel luogo lontano da tutto per sfuggire a una terribile condanna emanata dalla giustizia francese - corruzione di minore - e lasciò intorno alla sua villa un'aura di scandalo con una vita piuttosto dissoluta: basti pensare che la villa possiede anche una "camera dell'oppio", di cui Fersen era assiduo consumatore. Fu proprio l'uso di stupefacenti misti ad alcool che lo portò alla morte, probabilmente voluta, nel 1923. Lo sguardo dei suoi ritratti fotografici rivela la pesantezza interiore del dandy raffinatissimo, ma che non ha mai trovato un senso definitivo alla propria esistenza, la tristezza profonda di chi si trascina dietro qualcosa di irrisolto. Tuttavia, la villa pare scrollarsi di dosso tutto questo. Si tratta di una piccola, elegante costruzione che unisce lo stile neoclassico ai mosaici dorati cari alla Secessione Viennese, le ceramiche a greche alle ringhiere in stile liberty. Un connubio davvero felice. Il Comune di Capri ne è venuto in possesso nel 2015 e, per il momento, ha fatto restaurare la struttura: le sale sono in gran parte vuote o ospitano un mobilio ridotto all'essenziale. 


Chissà dove sono finiti i magnifici pezzi che adornavano la villa all'epoca del suo padrone? Come dicevo alla volontaria che accoglie i turisti, ci vorrebbe un mecenate che li ritrovasse. Dandy e poeta, il conte Fersen discendeva da un ramo della stessa famiglia che aveva dato nel Settecento i natali al famoso amante di Maria Antonietta. La sete di bellezza e di solitudine lo hanno spinto fin qui, gli hanno fatto amare l'arte e la cultura; ma quando si arriva a Villa Lysis (così chiamata dal nome di uno dei personaggi del Simposio di Platone), si arriva in una Capri molto diversa da quella di Piazzetta Umberto I. E' un po' come la meta di un pellegrinaggio. Le stradine che vi conducono sono insolitamente vuote e silenziose, rispetto ad altre  parti dell'isola; la natura è al  massimo del suo splendore, ogni scorcio suggerisce quiete, luce, armonia. Camminare verso Villa Lysis è stata un'esperienza meravigliosa di per sé, grazie a cui mi sono imbevuta della luce del sole, della freschezza dell'ombra dei tanti cespugli fioriti, dell'azzurro del cielo. Infine, quando sono arrivata alla villa vera e propria, circondata dal magnifico giardino della Gloriette (si veda la prima foto), mi si sono aperti dinnanzi paesaggi indimenticabili. 


Qualsiasi sia stato il destino del suo proprietario, nella purezza delle sue linee e nell'incanto della natura che la circonda, pare che questa villa aiuti a riconciliarsi con se stessi. 
Si dice che chi contempla il tramonto del sole nel cielo di Capri dall'alto dello splendido belvedere di Villa Lysis, potrebbe avere la fortuna di scorgere un particolare riflesso verde nei raggi del sole che declina: e questo privilegio confermerebbe al fortunato che potrà cambiare in meglio la sua esistenza. Questa la leggenda: però è straordinario che Capri riesca a inculcare la voglia e la gioia di vivere. Persino i lussuosi negozi di via Roma e via Camarelle, si armonizzano magicamente con l'insieme: laddove le sontuose vetrine di Bulgari, Cavalli e Prada appaiono non di rado un'imposizione nei centri storici di alcune nostre città d'arte (penso ad esempio a Firenze e all'effetto patinato, non genuino, che le conferiscono), a Capri, invece, s'intonano al resto. Forse perché l'isola è divenuta una meta delle élites europee durante la Belle Epoque e lo stile liberty si è sposato felicemente con l'atmosfera solare e mediterranea delle viuzze capresi; però, è anche vero che qui abbondano molti negozi di pregiate produzioni locali, dalle ceramiche adorne dei caratteristici limoni, ai tipici abiti bianchi di pizzo, dai coralli, ai miei profumi preferiti, i Carthusia, la cui tradizione risale all'arte antica dei certosini e al loro giardino dei semplici. Qui tutto è talmente bello...Anche senza acquistare, già ammirare le vetrine è un regalo per l'anima. 


Concludo, citando una poesia che il nipote di Pablo Neruda, Rodolfo Reyes, ha voluto dedicare qualche anno fa (aprile 2017) all'isola amata da suo nonno. Cito soltanto alcuni versi: s'intitola Capri, isola bella. 

La fragranza dei fiori
profuma ogni angolo delle tue stradine,
che sono sospese come rondini rocciose,
e ogni colore, cambia con la pioggia,
permettendo al sole di impreziosire di rubino
le tue acque verde smeraldo, formando
un amalgama di pietre preziose (...)


Oh!...Isola capricciosa dell'Eden, staccata dal Paradiso,
che la Madre Roccia ha consentito di lasciare
Alle cure dei suoi tre faraglioni guerrieri, 
e a cantare dell'incanto delle sue sirene. 

Ti ricorderò per sempre,
in ogni goccia di pioggia,
in ogni profumo di fiori
all'alba della mia primavera,
Capri, isola dell'amore. 


Le poesie di Neruda e di suo nipote Reyes in links locali:

mercoledì 19 agosto 2020

Bigné di crema e mela

Bigné di crema e mela

Un nuovo dolce, fresco e delizioso per l'estate, una vera leccornia....

Bigné
Ritroviamo qui la nostra ricetta per i bigné
Ingredienti
150 gr. farina
100 gr. burro
250 ml di acqua
1 cucchiaino di zucchero
2 uova
un poco di sale

Lasciate sciogliere il burro in acqua sul fuoco, quindi aggiungete la farina, il sale e lo zucchero fuori dal fuoco. Rimettete sul fuoco per qualche minuti affinché la pasta si asciughi; infine, dopo aver tolto nuovamente il composto dal fuoco, aggiungere i due tuorli d'uovo e, infine, i due chiari montati a neve. 
Formare delle palline con la siringa per dolci e infine mettere in forno a 180 gradi per 15-20 minuti (il tempo di cottura può variare).


Crema pasticcera
Come sempre, seguite la ricetta:


Mele
Pulite e tagliate a fettine mezza mela (può bastare) da unire a un cucchiaio di zucchero e uno di liquore Amaretto. 

Infine: tagliate a metà i bigné, inseritevi la crema e, al di sopra della crema, qualche fettina di mela. Potete poi coprire il bigné con una glassa, oppure, come qui, con zucchero a velo (altrimenti c'è la panna). 


Lieber Prinz, ich habe einen kleinen Vorschlag für dich: du kannst jedes Tages einen kleinen Schritt (den du allein kennst) zu mir tun, um unsere Situation zu verbessern. Schritt nach Schritt willst du gewinnen...So wirst du ruhiger, und arbeiten ohne zu verstehen, dass du vorkommst. 
Ich sollte am Sonntag nach Sorrento mit dem Zug und einer Freundin abfahren. Aber die Freundin kann jetzt nicht mehr und es ist ganz wahrscheinlich, dass ich allein bleibe. Ich weiss, was unsere Situation ist, aber willst du mich?....Es wäre so schön ....Aber ich weiss, es ist fast unmöglich und ohnehin träume ich davon, denn es wäre so schön...Aber ich bin sicher, dass du bald mich erreichen wirst, wenn nicht in dieser Reise. 
Weisst du? Ich will noch den Traum über unser Zuhause verwirchliken: Ich habe noch meinen Plan die Wohnung für uns zu kaufen, mit zwei Parkplatze, für Brigida und Polpetta! Es gibt viel Platz drin und mehrere Zimmer. Ich dachte an dich, genau, als ich diese Wohnung wahlte...Ich liebe dich immer. Gute Nacht, deine Prinzessin.


domenica 16 agosto 2020

L'arte di ricevere...2 puntata

 L'arte di ricevere....2 puntata

Riprendiamo qui la nostra riflessione sull’arte di ricevere e, in particolare, su come intrattenere gli ospiti con una conversazione accattivante (la foto sotto si adegua al soggetto...). 


Ho trovato varie liste di argomenti da evitare durante le conversazione; ma non ho ancora trovato delle liste opposte, di argomenti consigliati per conversare piacevolmente. In generale, oserei dire che bisognerebbe concentrarsi su ciò che è bello e che attira, che mette a proprio agio gli ospiti, che è piacevole; tra breve proverò a stilare una breve lista di soggetti che io consiglierei. Non mi fido molto di quei siti (ne ho trovato qualcuno), che suggeriscono, ad esempio, di porre ai propri ospiti delle domande mirate, come in una specie di gioco di società; del genere: “Qual è la cosa più importante che vorresti fare?”, oppure, “Qual è il tuo sogno nel cassetto?”. Domande del genere rischiano di essere tropo personali, indiscrete, se non invasive. Una tavola apparecchiata non è il divanetto dello psicanalista, né, tantomeno, il confessionale: gli argomenti troppo personali rischiano continuamente la gaffe, sia che mettano in imbarazzo il prossimo, sia che lo inducano a un inopportuno esibizionismo. Credo che un livello minimo di signorile distacco, durante un’occasione sociale come un pranzo con ospiti, sia inderogabile: per le confidenze sono più adeguati altri momenti. Argomenti più generali, invece, sono di buon gusto e più adatti alle circostanze.

Ho provato a creare un acronimo che riassume quelli che, secondo me, sarebbero i soggetti da preferire per una conversazione davvero piacevole; eccoli qui:

·         L   A   C   C   A   V   

·   LACCA VH: non è l’ultimo grido in fatto di prodotti per capelli del vostro parrucchiere, anzi; è l’acronimo di Libri, Arte, Cinema, Cultura, Aneddoti, Viaggi, Hobbies. Questi a mio avviso gli argomenti da preferire con ospiti (e messi in acronimo perché siano facili da ricordare): sono attraenti, di gusto, piacevoli e lasciano una buona impressione dopo lo scambio, la sensazione di uscire arricchiti dalla conversazione. Proverò ora ad affrontarne alcuni, rimandando il resto alla prossima puntata.

Prima però un cenno sugli argomenti da evitare. Tra di essi, a parte le malattie (e non oso pensare quanto, di questi tempi, l’attuale epidemia sia assurta al primo posto tra i soggetti delle chiacchierate tra amici!), l’Accademia Italiana del Galateo ne cita vari, tra cui politica e religione. Per la religione si può fare però un discorso più generale, dato che essa può essere interpretata anche come storia della cultura (la stessa Accademia lo ammette); certo, non è bene fare proselitismo a tavola. Per quanto riguarda la politica, ad essere sinceri, con il livello di faziosità congenito alla prassi istituzionale italiana, il rischio di dissapori è decisamente più alto: quindi, astenersi il più possibile, a meno che proprio non siate sicure al 100% che tutti i vostri invitati giurano e spergiurano per lo stesso colore, o non vi troviate nella condizione di fare public relations come la famosa Maria Angiolillo, la regina dei salotti della Prima e Seconda Repubblica (cosicché tutti i vostri invitati hanno interesse a mantenere il bon ton e un certo equilibrio). Sennò, è elevato il rischio che succeda quel che accadde a casa della nonna Carolina (giuro, si chiamava proprio così).

La nonna Carolina, che mia mamma ha conosciuto da piccola ed era stimatissima da quella gran donna che era mia nonna materna Maria Cristina, era la mamma della cognata di mia nonna; cioè, chiedo scusa per la complicazione, la mamma della mia prozia Albina. Quando mia mamma la conobbe, era una vecchietta minuta e composta, molto fine, che aveva avuto, credo, più di una decina di figli e che ancora verso i 90 anni o poco meno mandava avanti la casa egregiamente, con grande saggezza e indiscutibile polso. All’epoca i figli avevano, almeno alcuni, più di 60 anni (credo che uno si chiamasse Medardo): una volta, a tavola, alcuni dei maschi, a margine di una tavolata piuttosto numerosa, cominciarono una discussione di politica che, in breve, degenerò in una lite. La nonna Carolina, provò, pazientemente, a redarguirli, ma inutilmente: allora passò ai fatti. Axica, l’andò a tor al granadel (traduzione per i non parlanti ferrarese: “Così andò a prendere la scopa”) e, tornata in cucina, cominciò a far cadere sulle teste troppo cocciute dei figli una salutare gragnuola di colpi col manico, appunto, della scopa. Chissà perché, in men che non si dica, si rifece il silenzio. Ribadisco che i figli erano ormai in età della pensione! Non dico che questo potrebbe essere un sistema per sedare certi momenti turbolenti a Montecitorio, o anche altrove: tuttavia, credo che abbiate capito il concetto. Non si può dare un pranzo, con l’idea di tenere da parte al granadel per tutte le evenienze. Non sarebbe molto diplomatico.

Torniamo agli argomenti consigliati per la conversazione. Ho indicato come primo i libri, di qualsiasi genere (salvo quelli sulle epidemie, per favore, che vanno adesso così di moda). In uno dei ricettari di mia mamma è riportato il seguente consiglio per i conversatori affetti da timidezza: presentarsi a ogni discussione con una pila (mentale) di libri sottobraccio, per disporre sempre di un ampio ventaglio di argomenti su cui discutere. E’ vero che i libri sono un’ottima risorsa: inoltre, permettono di concatenare altri spunti al primo. Tuttavia, non bisogna esagerare in tal senso, per tema di intimidire l’interlocutore; e bisogna anche fare attenzione al soggetto. Mi ricordo una mia conoscente, con la quale un giovanotto voleva far colpo: e cominciò una lunga disquisizione sulla storia del nazismo…(o dello stalinismo? Vabbé, non cambia molto). Un’altra cautela, che vale anche per i film (per cui vedasi sotto): evitate di fare spoilers, cioè di anticipare il finale. Certo, con moderazione: quando alcuni dei miei studenti rimangono delusi perché ho loro raccontato il finale dei Promessi sposi e di Anna Karenina, fanno ridere i polli (I Promessi sposi! Lo sanno anche le pietre come va a finire! Appunto…). Tuttavia, la maggior parte dei libri è sicuramente un ottimo approccio, così come la cultura in generale (argomento 3).

Quando parlo di arte e cultura, si può trattare di musica, di cucina (anzi!), dell’ultima mostra che avete visitato (oggigiorno le esposizioni sono popolari), o anche di moda e vestiti. A proposito di moda, un episodio che capitò a me: una volta decisi di mettere alla prova mio fratello, che insegna Storia della Moda, per chiedergli di cimentarsi in un disegno di quello che avrebbe potuto essere il mio abito da sposa ideale (anche se non ne avevo immediata necessità). E lui, dopo tutta una tirata sul fatto che dovevo evitare gli abiti “effetto meringa” (tipo matrimonio di Lady Diana), che cosa credete che mi abbia disegnato, con grande solerzia e cura dei dettagli? Un abito “effetto meringa”. Da quel lontano giorno, ho spostato le mie attenzioni sulle riviste specializzate del settore.

Nella cultura rientrano anche i film, quindi il cinema. Quello, anzi, dovrebbe essere un argomento ecumenico, di facile approccio per la maggior parte delle persone. Le ultime uscite possono essere un ottimo spunto per conversazioni divertenti: credo che io e la mia collega Beatrice non potremo facilmente dimenticare le “scene col lanciafiamme” dell’ultimo film che abbiamo visto insieme, C’era una volta Hollywood, di Q.Tarantino. Aggiungo che non ne farò la recensione qui sopra, perché, come sempre Tarantino, non è esattamente un film adeguato ai miei pargoli, dato che questo è un blog per minorenni (cerco di mantenere un certo livello, anche se non oso pensare a quel che vedono in certi casi altrove); comunque, è vero che vi si mette in scena una violenza così assurda da essere grottesca. Non posso fare spoilers, ma vi assicuro che la scena del lanciafiamme vi rimarrà impressa (non solo la prima, anche la seconda). Ho ancora varie cose da condividere, ma meglio lasciarle per la prossima puntata, in cui affronterò pure gli argomenti da evitare a tavola. Vorrei lasciarvi con un’ultima esortazione che sintetizza tutto quanto ho detto finora: quando invitate degli ospiti a casa vostra, non importa la ricercatezza dei cibi o il lusso, quanto la vostra buona volontà di invitarli in un piccolo mondo di bellezza. Create per i vostri ospiti un piccolo locus amoenus, illuminato, innanzitutto, dal vostro sorriso.

Woher sind wir geboren?
Aus Lieb.
Wie wären wir verloren?
Ohn Lieb.
Was hilft uns überwinden?
Die Lieb.
Kann man auch Liebe finden?
Durch Lieb.
Was läßt nicht lange weinen?
Die Lieb.
Was soll uns stets vereinen?
Die Lieb.

Das ist ein Goethe's Gedicht. Das sagt sehr wohl meine Liebe und Glauben fur dich... 

mercoledì 12 agosto 2020

Peperoni saporiti

 

Peperoni saporiti

Una ricetta decisamente estiva, anche se bisogna usare il forno...Tuttavia, come piatto di mezzo o come cena è ideale. La carne e il prosciutto, salati, si sposano molto bene con il sapore più dolciastro dei peperoni. Se oi scegliete dei peperoni di colori diversi, la cena avrà anche un aspetto allegro!

Ingredienti (per 2 persone)
3 peperoni 
250 gr. di carne macinata (meglio se misto di suino e bovino)
100 gr di pane grattugiato
100 gr. di parmigiano grattugiato
un uovo
alcune fette di prosciutto
sale qb
olio qb

Lavare i peperoni, tagliarli a metà e pulirli dai semi, quindi disporli su di una pirofila unta con un poco di olio; rivestite ogni mezzo peperone con una fettina di prosciutto. Infine, preparate il ripieno: unite la carne macinata, il pane e il parmigiano grattugiato e l'uovo, aggiustando con poco sale. Infine, inserite un po' di ripieno in ogni mezzo peperone e lasciate gratinare in forno a 180 gradi per 25-30 minuti. Il risultato è decisamente gustoso e persino gradevole alla vista!



martedì 11 agosto 2020

S.Marta e l'amore trasformante

 

S.Marta e l'amore trasformante

Alcuni giorni fa (29 luglio) era S.Marta, molto nota perché, quando aveva Gesù come ospite, protestò che sua sorella Maria, invece di aiutarla, stava ad ascoltare Gesù (cfr. Luca 10,38-42). E’ un episodio che suscita regolarmente una mini-rivolta delle casalinghe, ragion per cui, come ricordavo di recente in un altro post, una studiosa di Nuovo Testamento ha osservato una volta: “Gesù fa parte di quegli uomini che pensano che il pranzo si prepara da solo” (!!!). Mi permetto di dissentire, anche perché Lui aveva un gran rispetto per il lavoro domestico; però temo che chi scriveva così, abbia incontrato parecchi uomini che agivano così. Come ho altresì spiegato, il bonario ammonimento di Gesù si può anche interpretare innanzitutto come cura per gli ospiti (oltre che, ovviamente, come focalizzazione preferenziale su di Lui). Però il giorno di S.Marta non abbiamo ascoltato in chiesa questo brano, bensì quello in cui Marta parla a Gesù prima della resurrezione del fratello Lazzaro. E, come osservava un sacerdote che ho udito ultimamente, in questo episodio sembra lei quella che ha più fede, persino rispetto alla sorella Maria, che, dapprincipio, rimane in casa.

La resurrezione di Lazzaro è il più grande miracolo raccontato dal Nuovo Testamento (Giovanni, 11,1-44): talmente grande che, dopo di esso, il sinedrio decise, secondo Giovanni 12,11, di uccidere Gesù, per timore che i Romani accusassero gl’Israeliti di ribellione. In realtà, c’era dietro l’invidia e la sete di potere: per i storici e dalle fonti è ben chiaro che la morte di Gesù fu voluta dall’élite di governo ebraica dell’epoca, che, come molte altre élites di ogni tempo e luogo, aveva interessi inconfessabili ed era collusa con gl'invasori. Giovanni è considerato l’evangelista storicamente più coscienzioso: difficile del resto “inventare” una cosa del genere a pochi decenni dai fatti, specie tra persone di origine ebraica che provenivano da un ambiente abbastanza ristretto, dove un po’ tutti si conoscevano. Di certo, persino le fonti ebraiche ostili a Gesù (si ricordi che ci sono anche quelle non ostili, come Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche 18,5,2,63-64, considerato dagli studiosi fondamentalmente affidabile nonostante qualche rimaneggiamento) lo accusano di magia, proprio perché i suoi prodigi erano fin troppo noti. L’accusa di magia e la sua condanna a morte sono anzi le uniche notizie valide che si possono ricavare dalle fonti rabbiniche, come Sanhedrin 43a.

La resurrezione di Lazzaro è raccontata da una mistica ben nota, Maria Valtorta, che descrisse in numerosi volumi le visioni che aveva avuto della vita di Gesù soprattutto tra 1944 e 1946, in gran parte in piena guerra. Secondo uno dei principali specialisti sul soggetto, don Emilio Zucchini, che viene talvolta a tenere alcune conferenze qui a Ferrara, l’opera della Valtorta è l’unico caso di opera mistica che possiede invariabilmente riscontri oggettivi: per esempio, se lei dice di avere visto una certa cittadina ebraica in un determinato luogo, succede che, magari dopo alcuni decenni, gli scavi archeologici la individuano proprio lì. Da studiosa del soggetto, posso confermare che, leggendola, nel corso degli anni ho fatto parecchi “balzi sulla sedia”, perché lei descrive realtà dell’epoca di cui non poteva assolutamente essere a conoscenza (specie da malata, in quanto era permanentemente allettata, durante la guerra, lo sfollamento ecc. ecc.). E scriveva decine e decine di pagine, riempiendo volumi interi, senza mai fermarsi e correggersi, come Mozart, con una precisione storiografica impressionante. Porto di solito un esempio. Nella scena sul processo di Gesù descritta dalla mistica, il noto dottore della Legge Gamaliele, famoso come il maestro di S.Paolo (Atti 22,3), a un certo punto se ne va, trascinandosi dietro un giovanotto che gli assomiglia e che lui chiama “Simone”. Solo durante il dottorato in Svizzera, mentre cercavo di approcciare le (difficili) fonti rabbiniche, fui indirizzata da un celebre studioso di Vienna a un volume tedesco introduttivo sulle stesse: e qui scoprii che il figlio di Gamaliele si chiamava appunto Simone e che diede vita a una vera e propria dinastia rabbinica (quanti di voi lo sanno?).

Bene, la Valtorta descrive la resurrezione di Lazzaro in una maniera impressionante. Noi, quando la ascoltiamo dall’ambone durante la Quaresima, ci prestiamo scarsa attenzione e, interiormente, inevitabilmente la “annacquiamo”. Il testo della mistica ci riporta invece alla crudezza di quello che deve essere successo sul serio, in modo impressionante. La resurrezione di Lazzaro avvenne agl’inizi della primavera, poco prima della condanna a morte di Gesù e faceva già caldo. Lazzaro era, come noto, nel sepolcro da quattro giorni, ricoperto di bende e aromi che avrebbero ammazzato anche un gigante: figuriamoci lui che era stato per parecchio tempo in pessima salute (altro dettaglio: quando, nel racconto di Giovanni 19,39 si ricorda che per la sepoltura di Gesù fu portata una mistura di aromi di 100 libbre di mirra e aloe, io amo sottolineare che si tratta di 30 chili di massa appiccicosa: per dare un’idea concreta, 6 fustini di roba collosa…Per l’imbalsamazione non si andava tanto per il sottile). Quando Gesù diede l'ordine di aprire il sepolcro, non gli volevano obbedire: la frase di Marta ("Signore, già da quattro giorni è nel sepolcro...") è un'obiezione. Al momento in cui il sepolcro fu scoperchiato, la Valtorta riferisce che si avvertì un tanfo pestilenziale e nauseabondo – lei percepiva anche gli odori. Del resto, la malattia di Lazzaro, descritta come una specie di cancrena, faceva emanare cattivo odore dalle sue membra già prima. Quando Gesù intimò al morto il suo famoso “Lazzaro, vieni fuori!”, gli astanti videro emergere dal sepolcro un’autentica mummia completamente legata e imbavagliata, dalle cui bende colava putredine. I servi e le sorelle, accorsi per ripulirlo e rivestirlo, dovettero lavare via per decine di minuti grandi quantità di marciume che gli era rimasto addosso ed eseguirono quest’incombenza rimboccandosi tuniche e maniche fino ai gomiti e alle ginocchia per non contaminarsi. La notizia, riferisce poi lei, fece il giro di Gerusalemme e non solo. Il miracolo fu considerato, giustamente, un atto creativo, e non una semplice rianimazione.

Noi dimentichiamo qual è il potere trasformante di Dio e del suo Amore. Il fatto che tanti non credano ai miracoli dei Vangeli, al di là delle discussioni accademiche e dei problemi di fede dei singoli, significa soprattutto che noi non riusciamo a credere che Dio veramente, col Suo Amore, può trasformare la nostra vita, il nostro cuore (rendendolo “di carne”, come dice Ezechiele, 36,26-27), il nostro spirito ed anche la nostra psiche e il nostro corpo. San Giovanni Eudes, grande missionario vissuto tra il 1598 e il 1680 e che predicò per decenni in Normandia, diceva giustamente che la confessione risuscita i morti. E una grande mistica che lui conobbe bene e di cui scrisse la biografia, Maria des Vallées, ingiustamente dimenticata fuori dalla Normandia, vide in una meravigliosa visione il Cristo che trasformava sette fiumi (che rappresentavano i peccati capitali), pieni di sangue e putredine, in acqua luminosa e cristallina. Non solo: è sintomatico che il miracolo della resurrezione di Lazzaro avvenga proprio quando si è ormai persa ogni speranza, quando ormai ogni intervento divino appare impossibile. A quel punto, l'Amore di Dio va al di là delle (misere) attese umane. Un po' come quel che succede nel passo evangelico che abbiamo udito questa domenica, Matteo 14,22-36: i discepoli sono spaventati e si sentono in pericolo di vita, ma non riflettono che Gesù è sempre, anche a distanza, vicino a loro. In pratica, avrebbero dovuto dirsi: "Adesso andiamo a fondo, cominciamo a fare glu glu, ma tanto Lui arriva e ci tira su". Perché, se viene chiamato, arriva sempre. Noi siamo quello che crediamo. La disgrazia più grande della nostra società (e quindi anche la nostra) è che non crede al potere trasformante dell’Amore di Dio.


Per le fonti su Gesù, cfr. Rinaldo Fabris, Gesù il "Nazareno", Brescia, Cittadella ed., 2011.

L'opera della Valtorta è consultabile qui: https://www.scrittivaltorta.altervista.org/per_volume.htm 

mercoledì 5 agosto 2020

L'arte di ricevere...I puntata



L'arte di ricevere...I puntata

Comincia oggi, con la prima, spero, di numerose puntate, la mia "rubrichetta" su come ricevere ospiti a casa nostra. Perché ho deciso di dedicarmi a questo argomento? Perché, prima di tutto, questo blog si intitola Il focolare di Annarita, per cui il soggetto è d'obbligo: tanto più che sul mio blog "infuriano" le ricette (le cui foto, difatti, costelleranno queste pagine). Quindi, non potevo fare a meno di dedicare qualche riflessione anche all'antica, nobile arte del ricevere. 
In secondo luogo (però, si potrebbe aggiungere, last, but not least, l'ultimo argomento è comunque molto rilevante), in un'epoca in cui spadroneggiano i social media e le persone vivono sempre di più i rapporti umani in maniera virtuale, cioè, in sostanza, non li vivono, dedicare una rubrica delle mie pagine di cucina e del mio blog all'arte di ricevere è un prezioso aiuto per ritrovare il gusto della vicinanza e dell'amicizia, dello stare insieme. Del resto, dato che io amo molto ricevere, anche se pochissime persone per volta, l'argomento qui non poteva mancare. 
Di che cosa mi avvarrò? A parte il mio gusto personale, farò ricorso sia alla mia esperienza, diretta e indiretta, sia alle mie letture. Quindi, lanciamoci nel soggetto, che promette di essere affascinante, specie se trattato con humour e simpatia. Oggi partiamo dal cuore di ogni soirée: la conversazione.


L'arte di conversare - Al centro l'invitato

Tutti ricorderanno il tono sconsolato con cui la famosa S.Marta chiedeva l'intervento di Gesù perché la sorella Maria "l'ha lasciata sola nei molti servizi"; e Gesù, come noto, rispose: "Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose...", ribadendo infine che Maria si era scelta "la parte migliore", che non le sarebbe stata tolta (Luca 10,38-42). Alcuni anni fa, mi capitò di leggere in un libro di una ricercatrice (donna dunque) di Nuovo Testamento, la seguente battuta: "Gesù fa parte di quegli uomini che pensano che il pranzo si prepari da solo" (!!!). Non credo che intendesse essere irriverente: una battuta del genere fa venire in mente solo una libera moltiplicazione di cose da fare in cucina, in condizioni proibitive e senza nessuno che ci aiuti. E' vero che il suddetto brano evangelico suscita contestazioni perenni tra le casalinghe, del tipo: "Vorrei vedere io chi va a preparare il pranzo...", ai danni, in specie, della povera Maria. In epoca di inviti, poi, le accuse alle "Marie" di turno, da parte delle "Marte" ai fornelli, fioccano. 


In realtà, però, rovesciamo il nostro punto di vista e osserviamo meglio: in fin dei conti, non invitiamo delle persone a casa, specie degli amici, per stare con loro? Quindi: le frasi di cui sopra sono un memento per chi invece trascura questa parte importantissima del ricevere, la conversazione con i nostri ospiti. Ci sentiamo tutti a disagio se, quando siamo invitati in casa d'altri, veniamo "abbandonati" in salotto, perché tutti, specie la padrona di casa, hanno troppo da fare per passare un po' di tempo con noi. Ho notato talvolta che il desiderio esagerato di fare bella figura e di sfoggiare chissà quali portate o preparativi, induceva certe padrone di casa a dimenticare proprio gl'invitati...Ecco perché ho inserito la conversazione al primo posto tra le puntate della mia piccola rubrica. Far sentire il proprio invitato come una persona molto importante, circondarlo di attenzioni è il primo obiettivo di una buona padrona di casa (formulo tutto al femminile per brevità e perché il ricevere è un'arte tipicamente femminile, ma in realtà la questione riguarda anche gli uomini). In fin dei conti, invitiamo qualcuno perché vogliamo donargli qualcosa, o, meglio, vogliamo donargli noi stessi: se ci lasciamo prendere eccessivamente dal nostro successo personale, dimentichiamo lo scopo stesso del nostro invito, o meglio, il nostro ospite. Questo il senso del garbato rimprovero a S.Marta. 


L'arte di conversare e di intrattenere gli ospiti è antica: nella nostra Europa ha sicuramente raggiunto il suo acme nel Seicento francese, quando, come ricorda Benedetta Craveri nel suo bel libro La civiltà della conversazione, si coltivava in modo appassionato il gusto per la discussione brillante e intelligente, condita di spirito e di eleganza. Però, quell'arte della conversazione era più antica e risaliva sicuramente almeno alle corti rinascimentali italiane: lo può ben ricordare chi ha amato gli straordinari libri di Maria Bellonci su Isabella Gonzaga e Lucrezia Borgia. L'età moderna e contemporanea ha moltiplicato i salotti, specie intorno a dame colte ed eleganti: nel nostro piccolo possiamo prenderne spunto per abbellire, almeno un poco, la nostra esistenza e quella degli altri. Anzi: credo che recuperare o migliorare quest'arte, così italiana del resto, potrebbe reintrodurre nella nostra vita civile e sociale, anche tra noi di ceto non eccelso, una gentilezza e una dolcezza che rischiano, sempre di più, di appassire. 


Le presentazioni

Bene, dopo queste riflessioni introduttive, concretamente, come fare conversazione? Quali regole seguire o quali spunti coltivare? Il primo passo indispensabile per instaurare un clima piacevole tra i vostri ospiti, è proprio l'ABC dell'ospitalità: le presentazioni. Vanno fatte con attenzione e sensibilità, allo scopo di indicare discretamente le potenzialità di contatto da sviluppare. Infatti, non dobbiamo limitarci a un asciutto: "Mario Rossi, prego - Giuseppe Verdi", bensì reperire tra gl'interlocutori quelle affinità (o sfumature di affinità) che potrebbero creare dei ponti tra loro e alludervi con brevi, abili tocchi, tali da rappresentare un invito all'approfondimento. Per esempio: "Mario Rossi: ci siamo conosciuti a teatro durante la Traviata...e Lei, sig.Verdi, che si appassiona di opera lirica!...". Per un momento, sulla scia dei cognomi, mi sono lasciata trascinare a un quadretto surreale, però veramente delle buone presentazioni possono fornire l'assist giusto per avviare tra i vostri invitati una conversazione molto piacevole e prolungata. 


Altra abilità di una buona padrona di casa: allestire il tavolo avvicinando persone che possono trovarsi bene insieme. E' anche una squisita forma di attenzione per i nostri amici. Ad esempio, ricordo con molto piacere e genuina gratitudine il fatto che la mia amica Jennifer, in occasione del suo matrimonio due anni fa, al  pranzo di nozze mi avesse appositamente fatta sedere a tavola accanto a un'altra ragazza, Gessica, con cui poi ho stretto effettivamente amicizia. Può sembrare qualcosa di scontato, ma sono queste piccole attenzioni che determinano il successo di una cena o di una serata. Proprio esse fanno la differenza e parlano (come nel caso di Jennifer per me) di considerazione e affetto per i nostri cari.

A proposito: le sedie

Dato che ci sono, un'altra idea, apparentemente banale e scontata, ma che viene ricordata, non a caso, nei testi sull'argomento: in casa ci devono essere tante sedie quanti sono gl'invitati. Che nessuno sia costretto a sprofondare nel puff davanti al sofà o a improvvisare un sedile sul balcone tra i vasi di geranio. In caso di necessità, le sedie si possono anche prendere in prestito - per esempio, in parrocchia o nella vostra associazione preferita -, specie quelle pieghevoli, ideali per i ricevimenti in giardino. Non solo non dobbiamo obbligare nessuno a rimanere in piedi, o a sedersi in maniera scomoda, ma non è neanche piacevole che i padroni di casa si diano all'ultimo momento alle ben note acrobazie e ricerche improbabili, volte a radunare le sedie necessarie dalle varie parti della casa. Si preparano prima e si dispone lo spazio in maniera che le persone si possano muovere in maniera agevole, senza inciampare o fare salti rocamboleschi. Oppure, preferite terminare la serata al Pronto Soccorso di Cona, perché qualcuno è inciampato rovinosamente nel tappeto? (Sono ore di fila, vi avverto...).


Lo scopo principale della padrona di casa

Vedremo poi nel dettaglio gli argomenti migliori per una serata insieme; però prima, in conclusione della puntata di oggi, vorrei riportare quello che era, per una delle maggiori dame della Roma del Dopoguerra, lo scopo principale di una vera padrona di casa. "Devi fare in modo che i tuoi ospiti non solo stiano bene, ma si chiedano se e quando potranno ritornare": questo, più o meno, avrebbe insegnato alla famosa Maria Angiolillo, la regina dei salotti romani, l'"Arcipapessa" Isabelle Colonna, nata Sursock, colei che nella Roma papalina, tra Seconda Guerra Mondiale e Secondo Dopoguerra, invitava a Palazzo Colonna alla sua tavola, adorna di tovaglie in pizzo valencienne, principi, diplomatici e cardinali. 
Una piccola nota storica: Isabelle Colonna, discendente di una potentissima famiglia di banchieri libanesi e di cultura francese, sposò il principe Marcantonio Colonna, della più tradizionale "nobiltà nera", per divenire poi, col suo salotto, uno dei fari, se non il faro per eccellenza, del bel mondo romano. Fece anche di tutto per creare dei problemi ai nazisti durante l'occupazione, tanto che Himmler la chiamava (pare), "quinta colonna" (...). Mi sono letta e riletta con piacere la biografia di Maria Angiolillo (B.Vespa - C. Morvillo, La signora dei segreti, 2017) che la cita e non sono sempre d'accordo con il loro modo di procedere: troppo formale, anche per quei livelli. Mi direte: ma chi sei tu per criticare persone di quel rango? Uso il mio senso critico. L'atteggiamento di base di entrambe era ispirato a un signorile distacco, cui io, fondamentalmente, non credo, come spiegherò meglio nelle prossime puntate. Tuttavia, sullo scopo principale di un ricevimento avevano ragione da vendere. E' vero: una padrona di casa deve prefiggersi come scopo di far stare i suoi ospiti così bene, che essi saranno ansiosi di ritornare. Perciò, ritengo che la conversazione con loro debba orientarsi soprattutto verso il bello, in tutte le sue forme; ed essere condita, anche e soprattutto, da una buona dose di humour. 
(continua)