giovedì 31 marzo 2016

L'amore (e il sesso) al tempo....dei manichini - Love (and sex) at the time of....mannequins


L'amore (e il sesso) al tempo....dei manichini.

Vorrei ripartire da questo splendido quadro di Giorgio De Chirico, Ettore e Andromaca, dipinto nel 1915 qui a Ferrara. Lo amo molto, così come amo molto il passo omerico (Iliade, VI, 390-502) cui si ispira. Vi riassumo la vicenda iliadica, poi passo di nuovo al quadro.
Siamo sul più vivo dell'assedio greco a Troia. Il principe Ettore, figlio del re Priamo e comandante in capo delle forze troiane, lotta disperatamente per salvare la sua città da quello che però sa essere un destino ineluttabile. Decide allora di rientrare sulla rocca per chiedere alle donne di palazzo reale di supplicare gli dei per il bene di Troia; così, si ferma anche, alle Porte Scee, a incontrare sua moglie Andromaca e ad abbracciare il loro figlioletto Astianatte. In uno dei passi più belli e commoventi del poema, i due sposi, prototipo di tante coppie giovani che hanno attraversato nei secoli difficoltà simili, si scambiano i loro sentimenti; Andromaca, cui Achille ha sterminato la famiglia (ella è una principessa, figlia del re Eezione di Tebe Ipoplacia), vede in Ettore il suo unico baluardo, la sua difesa, tutto quello che di saldo e bello le rimane al mondo; lui, conscio dei suoi doveri e della sua responsabilità, vorrebbe con estremo struggimento salvarla dal suo futuro destino di schiava, ma sa che il fato è  ineluttabile e il suo cuore trema al pensiero di quello che le toccherà. Unico momento lieto per i due sposi: Ettore prende in braccio il figlio Astianatte, che si spaventa alla vista del cimiero, e il suo viso si rasserena teneramente. La delicatezza e sensibilità con cui sono descritti i sentimenti di questi protagonisti, solo apparentemente lontanissimi, del mito rendono queste pagine immortali.


                                   Ferdinando Castelli, L'incontro tra  Ettore e Andromaca, XIX sec.

Io lo so bene questo dentro l’anima e il cuore:
giorno verrà che Ilio sacra perisca,
e Priamo, e la gente di Priamo-buona lancia:
ma non tanto dolore io ne avrò per i Teucri,
non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo,
e non per i fratelli, che molti e gagliardi
cadranno nella polvere per mano dei nemici,
 

quanto per te, che qualche Acheo dal chitone di bronzo
trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti:
allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tessere tela,
e portar acqua di Messeide o Iperea,
costretta a tutto: grave destino sarà su di te...
 






Quasi tremila anni dopo, nel pieno della Prima Guerra Mondiale, Ferrara. De Chirico dipinge questo quadro, che poi replicherà in più versioni, anche scultoree, negli anni avvenire. I due protagonisti, ritratti fra mura rosse come quelle ferraresi, ma che potrebbero richiamare le Porte Scee, su di uno sfondo blu cobalto, cupo, ritti su quello che sembra un palcoscenico pericolosamente sghembo (come spesso dico ai miei allievi: potrebbero scivolare giù da un momento all'altro), sono due manichini, un'accozzaglia di pezzi di legno di vari colori; non hanno capelli, non hanno volto, occhi, labbra; sono sorretti da una specie di impalcatura, come due burattini; non hanno braccia (per cui, come fanno ad abbracciarsi?); il torace sembra eccessivamente sviluppato, ma, in confronto, le gambe si assottigliano sempre più, fino a divenire due piedini minuscoli, da donna Cinese (ma come fanno a stare in piedi in quelle condizioni?). Eppure, anche se vari critici affermano che dai manichini di De Chirico non trapelano sentimenti, da questi Ettore e Andromaca pare trapelare una tenerezza struggente, tanto più struggente quanto più impossibilitata a esprimersi: è una tenerezza quasi disperata, per cui i due manichini paiono sul punto di abbracciarsi, ma non ce la fanno, perché non hanno braccia; lui pare appoggiare il capo contro il volto di lei, in un gesto di ricerca di tenerezza molto espressivo, mentre lei guarda verso l'alto, quasi ad attingere forza da un cielo chiuso.


                                            Pianto d'amore: Ettore e Andromaca (1947)
Questi due amanti sembrano soli in un mondo ostile, impossibilitati persino a comunicare il  loro amore tra loro...Vi ricordate la fiaba della Regna delle nevi? (Non la versione di Frozen: quella originale, senza Anna, Edna, la renna, Olaf e via dicendo!). Gerda ha perso il suo amico d'infanzia Kay, rapito dalla Regina delle Nevi e prigioniero nel palazzo di ghiaccio di lei. Quando, dopo tanta fatica, Gerda lo trova, lui è gelido, impassibile, quasi paralizzato: due frammenti dello specchio della Regina, andato in mille frantumi, si sono conficcati nel suo cuore e nei suoi occhi, chiudendolo a ogni comunicazione d'amore con l'esterno. Solo quando Gerda si mette a piangere, le lacrime di lei sciolgono i frantumi e l'incantesimo e lui la riconosce....  
 
A che cosa mi fa pensare un quadro così bello e geniale? A tante cose. Qualche giorno fa, leggevo in un post su di un romanzo, un commento di una tizia che diceva, in sostanza, che oggi le storie d'amore impossibili non esistono più, tanto tutti possono fare tutto quello che vogliono e non ci sono più le barriere sociali, morali o altro del passato. Solo l'intelligenza di uno stoccafisso (mi perdonino gli stoccafissi, per cui ho grande stima, specie quando mi finiscono nel piatto), solo l'intelligenza di uno stoccafisso, dicevo, può fare esternazioni del genere: l'amore è il fiore più delicato che esista, molto più delicato dei petali delle rose, e l'apparente omogeneizzazione sociale o la tanto decantata libertà sessuale non bastano a impedire che esso incontri difficoltà enormi, anzi. Questa è una visione ottusamente materialistica, frutto del sistema sociale in cui viviamo: mai come ora gli ostacoli all'amore sono interiori e sempre più imponenti, proprio perché è in terrificante declino la percezione dell'interiorità, della PERSONA. E, allora, mi viene in mente, guardando questo quadro (grande De Chirico!), che nel mondo di oggi, dove rischiamo sempre più di diventare "non-persone", senza anima, senza cuore, solo materia bruta come i pezzi di legno che formano questi due manichini, mai come ora l'amore è diventato difficile. Stiamo diventando come questi manichini: senza più braccia per abbracciarci, senza più fondamenti certi (i piedi, le gambe) per sorreggerci, ma, soprattutto, senza più carne viva che circondi il nostro cuore, senza occhi, senza volto per guardarci in viso e senza bocca per parlarci davvero. La società materialistica, in cui conta soltanto ciò che ha un prezzo, ci sta trasformando in manichini. Come si fa ad amare così?

Love (and sex) at the time of... mannequins

I would like to start from this beautiful painting by Giorgio De Chirico, Hector and Andromache, painted in 1915 here in Ferrara. I love it very much, as I love the passage by Homer (Iliad, vi, 390-502) that inspired it. I'll summarize the story, then go back to the work of art.


We are at the peak of the Greek siege to Troy. Prince Hector, son of King Priam and chief commander of the Trojan forces, fights desperately to save his town from an inescapable fate. He decides to go back to the town and ask the women from the royal palace to beg the gods for the sake of Troy; so, he also stops at the Scaean gates, to meet his wife Andromache, and embrace their son Astyanax. In one of the most beautiful and moving scenes of the poem, the couple, like so many young couples who have gone through similar difficulties over the centuries, express their feelings; Andromache, whose family Achilles killed (she is a princess, daughter of King Eetion of Cilician Thebe), and who sees Hector as her only defense, the defense of whatever beauty is left to her in life; Hector is conscious of his duties and responsibilities, and would wish to save her from her future fate as a slave, but he knows that fate is inescapable; so, his heart trembles at the thought of what will happen to her. Only happy moment for the couple: Ettore picks up his son Astyanax, who is frightened at the sight of the crest, and his face brightens tenderly. The delicacy and sensitivity by which the feelings of these characters are described, make these pages immortal.




I know well this in my soul and heart:
a day will come when sacred Ilium perishes
and Priam, and the good people of Priam:
but I will not feel so much pain for the Trojans,
not for the same Hecuba, not for sire Priam,
and not for my brothers, as many strong of them
fall in the dust at the hands of the enemies, 
as for you, that some Greeks with a bronze chiton
will carry away weeping, removing from you the day of freedom:
then, living in Argo, you will have to canvas fabrics for the others,
and carry the Messeide or Iperea water,
being forced to everything: a serious fate will be on you ...



Nearly three thousand years later, at the height of World War I, in Ferrara. De Chirico painted this picture, which he was to replicate in multiple versions, even statues, in the years ahead. The two protagonists are portrayed between red walls like those of Ferrara (but that could recall the Scaean gates), on a blue cobalt background, somber, standing on what looks like a stage dangerously askew (as I often say to my students: they might slide down at any moment). They are two dummies, a jumble of pieces of wood of various colors; they have no hair, nor face, eyes, lips; they are supported by a sort of scaffolding, like two puppets; they do not have arms (so, how do they embrace?); their thorax seems overly developed, but in comparison, the legs look thinner and thinner, until they become two tiny pins, like those of a Chinese woman (but how do they stand up in those conditions?). Yet, even if many critics claim that De Chirico's mannequins don't express any feeling, from these Hector and Andromache we perceive a melting tenderness, all the more poignant as they are unable to express themselves: it is an almost desperate tenderness; so they look like hugging, but do not make it, because they have no arms; he seems to rest his head against her face, in a very expressive gesture of tenderness, while she looks up, as to draw strength from a closed sky.

                                           


These two lovers seem alone in a hostile world, even unable to communicate their love to each other ... Do you remember the tale of the Snow Queen? (Not the Frozen version: the original one, without Anna, Edna, Olaf and so on!). Gerda has lost his childhood friend Kay, kidnapped by the Snow Queen and a prisoner in the ice palace with her. When, after so much effort, Gerda finds him, he is cold, impassive, almost paralyzed: two fragments of the Queen's mirror, reduced into a thousand pieces, are stuck in his heart and in his eyes, closing them to every love communication with the outside. Only when Gerda starts crying, her tears dissolve the fragments and the spell and he recognizes her....


What does such a beautiful and brilliant picture make me think of? Of a lot of things. A few days ago, I read a post on a novel, saying, in essence, that today an impossible romance no longer exists, as everyone can do whatever he wants and there are no social, moral or other barriers anymore like in the past. Only the intelligence of a stockfish (I apologize with stockfishes, which I have great esteem for, especially when they end up in my dish), only the intelligence of a stockfish, I said, can express utterances like this: love is the most delicate flower in the world, much more delicate than petals of roses; and the apparent social homogenization or the much-vaunted sexual freedom are not enough to prevent it from facing huge difficulties, indeed. This is a dully materialistic view, result of the social system where we live: never like now obstacles to love are internal and even more impressive, because the perception of the interior, of the PERSON, is in decline. And then it occurs to me, looking at this picture (great De Chirico!), that nowadays, we are more and more in danger of becoming "non-persons", soulless, heartless, only brute matter, like the pieces of wood that form these two dummies; now more than ever, love has become difficult. We are becoming like these mannequins: no more arms to embrace each other, no more certain foundations (feet, legs) to support us, but, above all, no more living flesh that surrounds our heart, no eyes, no face to look at others' faces and no mouth to really talk. Materialistic society, where only matters what has a price, is turning us into dummies. How could we love like this?

mercoledì 30 marzo 2016

Una voce misteriosa dentro al cuore. Parte 2


Una voce misteriosa nel cuore. Parte 2

Pensavo di avere concluso la serie, ma ho trovato altro materiale, molto interessante.

                                                                                                                       Va, va fille de Dieu, va!
1425, Domrémy, zona dei Vosgi, Francia. Un'adolescente di appena 13 anni, Giovanna, inizia a udire delle voci che si identificano rispettivamente come S.Michele, S.Margherita e S.Caterina (le ultime due sono martiri cristiane e vergini dei primi secoli). Per alcuni anni, le "voci", accompagnate però anche da una luce e da visioni degli stessi santi, guidano Giovanna nel compimento di una missione eccezionale: liberare la Francia dagl'Inglesi e, sostanzialmente, condurre a termine la famigerata Guerra dei Cent'anni. Il 30 maggio del 1431, ora diciannovenne, dopo una lunga e straziante prigionia, comprensiva anche di tortura, Giovanna d'Arco muore bruciata come strega, dopo un processo farsa, voluto dalla regia occulta degl'Inglesi, ma organizzato concretamente dall'Università di Parigi (allora il faro della teologia occidentale!) e dal capitolo di Rouen.


La storia di Giovanna d'Arco ha fatto scorrere fiumi d'inchiostro e ci si è chiesti anche quale fosse la provenienza di queste voci. Anatole France, nella sua Vita di Giovanna d'Arco del 1908, demolì la Pulzella d'Orléans, descrivendola come una vittima di allucinazioni isteriche, una "beghina allucinata". La sua posizione nasce però da un forte pregiudizio e da motivazioni politiche: S.Giovanna d'Arco era un mito per il nazionalismo francese, almeno per quello conservatore cattolico, e France, erede della tradizione rivoluzionaria e schierato su posizioni opposte, intendeva screditare un personaggio scomodo. Ma la vicenda di Giovanna è stata accuratamente studiata e tutto ella sembra secondo vari clinici (tra cui George Dumas e Salomon Reinach), tranne che un'allucinata isterica: nella sua breve vita, la giovane dà prova di fedeltà ai suoi principi, eroismo, amore per tutti, nemici compresi, equilibrio, umiltà, lucida consapevolezza, competenza strategica impensabile per una giovinetta della sua età (e che la porta alla vittoria nell'assedio di Orléans o nella battaglia di Patay) e, soprattutto, dell'intelligenza fuori dal comune con cui mette in crisi i suoi accusatori. I capi d'accusa, al confronto, sono vaniloqui colmi di insulti gratuiti.

Qualche studioso (l'Inglese J.Butterfield) ha persino ipotizzato che le allucinazioni fossero dovute a un'affezione da tubercolosi (specie cerebrale), poiché, in prigione, Giovanna soffriva di reni, un sintomo compatibile con la tisi; ma Giovanna fu torturata, spiegazione più che sufficiente ai suoi problemi di salute. Quella della tubercolosi è quindi un'ipotesi che nulla suffraga. Del resto, già i suoi giudici del 1431 si erano appellati alle allucinazioni: all'epoca l'isteria era collegata ad allucinazioni unilaterali, che però venivano pure associate a una emianestesia sul lato da cui si percepiva l'allucinazione. Inutile dire che, in tutto l'incartamento su Giovanna non v'è alcuna traccia di questi sintomi. R.Mangani, di cui sto seguendo lo studio, collega le allucinazioni a stati depressivi paranoidei, di cui, pure, non v'è traccia nel comportamento della Pulzella, calmo, coerente, razionale (anche perché, voglio vedere come avrebbe fatto a guadagnarsi la fiducia delle truppe, se lei non fosse stata così!). E' serena, dignitosa persino poco prima di morire sul rogo e rimane sempre fedele alla sua coscienza, alla consapevolezza che le "voci" venivano da Dio: perché su quello fu giudicata e per quello i giudici la condannarono come strega: per le "voci". E lei rispose loro: Prenez garde!, cioè: fate attenzione a come giudicate; potreste sbagliare, negando il soprannaturale e, così, rovinarvi. Quando penso che aveva l'età di alcuni miei allievi...



Giovanna compie una missione eccezionale in un momento devastante per la Francia, divisa da una vera e propria guerra civile e saccheggiata dal nemico, praticamente al collasso. In Giovanna d'Arco, poi santificata da Benedetto XV nel 1920, il fenomeno delle "voci" (associate però anche a visioni) raggiunge livelli ben lontani dal nostro quotidiano: è però un esempio eccezionale di voci che guidano in una missione o a livello di vocazione, caratteristica del resto molto frequente di queste locuzioni interiori. Si tratta comunque di missioni che richiedono un'ottima testa sulle spalle. E Giovanna d'Arco ne aveva una fuori dal comune.

Mangani, nel suo studio, offre una definizione eccellente delle "voci" di cui ho parlato in queste pagine: Il soggetto percepisce la "voce" come una energia che lo compenetra, lo pervade al punto da conferirgli l'esatta sensazione di ciò che la "voce" vuole e intende dire. Sono dialoghi completi e frasi di senso compiuto (op.cit., cit. p.9). L'autore aggiunge che chi ode queste voci dà prova di cognizioni al di là della sua portata; l'allucinato, invece, crede di avere udito qualcosa con le orecchie, ma le sue false premonizioni non hanno riscontri reali (e sono, di norma, angosciose). Tuttavia esistono anche casi in cui entra in gioco l'udito; e vorrei chiudere questo studio con una storia molto bella, che ha fatto il giro degli Stati Uniti l'anno scorso, il 6 marzo 2015.


                                            Lily con sua mamma

Siamo in Utah, a Spanish Fork, lungo una highway lontana dal centro abitato. Verso le 10.30 di sera, un'auto con, a bordo, una giovane mamma venticinquenne e la sua bambina neonata, esce fuori strada e si ribalta in un torrente dalle acque gelate. La Dodge rossa viene avvistata e soccorsa dallo sceriffo e dai suoi uomini, 4 in tutto, più 3 pompieri, solo 14 ore dopo, quindi nella tarda mattinata del giorno seguente, verso le 12.30. Quando gli uomini, vedendo qualcuno dentro l'abitacolo, si gettano nell'acqua senza riflettere, odono tutti una voce di donna, ben distinta, che grida: Help me, we're in here!. Quando però, con grande fatica, riescono a girare la macchina nell'acqua gelata e a soccorrere le vittime, trovano dentro, la madre, Jennifer Groesbeck, morta ormai da ore, mentre la piccola Lily, 18 mesi, è ancora viva. I soccorritori (che sono rimasti nell'acqua gelata per una ventina di minuti, con l'acqua fino al collo, e hanno dovuto essere curati poi per ipotermia) non se lo spiegano: ma hanno sentito tutti, distintamente. La voce li ha spinti ad agire in fretta, all'idea che ci fossero dei sopravvissuti nell'abitacolo. Difatti: c'era la piccola Lily. Chi parlava, secondo voi?


Bibliografia
Per la storia di Giovanna d'Arco, si leggano i libri di Régine Pernoud; cfr. anche il sito:
http://www.stejeannedarc.net/
R.Mangani, Giovanna d'Arco e il mistero delle "Voci", Roma, Studium Christi.

Inserisco qui i links agli articoli sui fatti di Spanish Fork (con video):
http://www.nydailynews.com/news/national/mysterious-voice-leads-police-baby-car-crash-article-1.2142732
http://www.ksl.com/index.php?sid=33747089&nid=148&title=rescuers-recall-distinct-voice-that-spurred-them-to-rescue-trapped-toddler&fm=home_page&s_cid=topstory

John's confession (from my novel "The children of yesterday")


          John's confession

         John has just lost a federal appeal, so that he quickly approaches his execution. He is
         in despair, but, above all, worried for Ada. Here he meets Father Brendan, the Catholic
         chaplain of Raiford death-row.

Father Brendan, after talking with Ada, felt the concern to speak with John too. On Tuesday he had to make his usual visit to Raiford for confessions and, in passing through the building 5, where the young man had been moved to, he was happy when, at the end of the corridor, he saw his tall figure in the shadows behind the bars. The heat was stifling, and John, not foreseeing the confessor coming, just wore his boxers. When he saw the priest's robe and his purple stole fluttering in the hallway, he seemed genuinely surprised and hurried to assure:
 
 
- Wait, father! I dress up quickly! - He put on his shorts and the first white jersey he happened to find, then he came up to the bars.

- Excuse me, father, but it's so hot in here ... I choke. I can't do otherwise.

Brendan nodded in understanding: - If you knew how I feel myself with the black robe!

- You might wear the clergyman, however - the young man observed.

- Actually, the robe seems lighter ... I'd almost imitate you, but afterwards, who knows what the bishop would say! - And he snorted. John suppressed a half-smile.

- Do you want to confess? - In response, John took a more focused attitude and knelt on the hard concrete flagstone, while the father sat down on the stool he carried with himself. The priest, for a moment, considered he had only rarely seen, outside the prison, someone ready to kneel like that, immediately and without a word, on the bare cement for confession. Maybe this happened only in places of pilgrimage, he thought.

- In the name of the Father, of the Son and of the Holy Spirit ...

- Amen.
 
 
John loved confession. As a boy, when his mother Grace carried him with her to the first Sunday Mass and entrusted him to the indulgent confessional of the parish priest, he had been struggling to understand the meaning of this ritual, in his view, he had always to repeat the same things for; then, as a teenager, he had turned away from it, fearing to get even much more bitter reproaches than those he already suffered from at home. But since he was on the death row, even before he got acquainted with Ada, confession had surprisingly turned to him into a relief. At first, when the priest had appeared the first times before his cell, he had felt almost compelled to confess: years of maternal imprinting had not passed in vain. With the first absolutions, however, he had discovered with wonder that he was not reprimanded, indeed. Of course, the chaplain was generally sympathetic and benevolent; but it was not just that. Confession constituted, to John, a unique opportunity to lay down his unsustainable loads, to experience they could actually be named, managed without negative emotions and eventually removed from his shoulders thanks to love and forgiveness. Apart from Ada, confession represented to him the only chance of knowing to be forgiven.

- Tell me - the priest began.

John took a deep breath. - I lost another appeal and I felt moments of anger ... of strong anger ... Perhaps, indeed, without perhaps, even hatred ... Father, I don't want to apologize in advance, but hatred is palpable here any time and sticks to our skin ...
- Hatred against who?

- Against other prisoners, against those who put me in here, against the system, against everything ... Even and especially against myself ...
 
 
- It might not be hate - the father observed magnanimously - and even if it were anger, it's, to some extent, a normal emotion. Hate is quite different from an emotion: it's a will of evil against others. Negative emotions, however, are natural, spontaneous, often irrepressible, especially if we're victims of others: the important thing is trying to manage them.

- I don't know, father. I'm often surprised by terrible thoughts on others ... And also criticism ... I'm tough, uncompromising ... Lately, I prayed very little. Maybe, it's also why I wasn't able to cope with my negative emotions, as you say.

- Why?

- I don't know ... I didn't feel like ... Lately, I haven't even read my usual page of the Bible. It was as if I were talking by myself. Sometimes, in here, I even find it hard to believe that God exists.

Those words had the power to distract Brendan for a moment and carry him far away from there, back in time: more than twenty years before, in Savannah, in the cathedral, where a little blond boy with lively blue eyes reached the officiant swinging a censer and letting grow large coils of smoke; he visibly enjoyed enormously swinging the censer, to the point that the priest, from his motionless station behind the altar, glanced at him sideways, letting him know to stop it at last. And now, here he was, that little, blond boy: become a man, he was kneeling in front of him beyond the bars of a cell. The father's heart sank, as it happens to every educator who sees his children suffering or drifting. And before this pain, he felt lonely too. Abandoned. Even by God.

- Even Christ felt lonely on the night in Gethsemane - he repeated, perhaps more to himself than to John. The young man did not react, as if he were not convinced by the analogy. Then he continued:

- And then I'm wrong with Ada. Now I feel it's not right that I retain her in an emotional bond: in these conditions ...

- She loves you, though - the priest objected. John shook his head in discouragement.
 
 

- I no longer know whether it's good or bad to continue our love story. When we first met, I was at the beginning of my appeals and still counting on a breakthrough: her love for me was life, and it seemed so natural to follow it... Keeping myself from loving her would have been like to stop breathing or closing my eyes to the light; and I dreamed of making her happy. But now ... now it's different. Ada'd like some children and, in this condition, I can't give them to her. I'm a dry tree.

Brendan shook vigorously his head, in denial, but John continued. - She lives alone and she'd need a man next to protect her: and I'm in here. I'm good for nothing. I'm sure she diminishes the dangers of her profession so that I don't worry excessively. But I'm worried. Jacksonville is a bad city, it's dangerous, and on night, when I lie on my cot, I wonder: what is she doing? Is she safe? Who'll watch over her?

A silence. John could hear the faint rustle of the music coming from Tobias' earphones and had a thought of gratitude to his fellow-prisoner: in the past, he often harbored the impression, if not the certainty, that his confessions were heard with curiosity from the neighboring cells and he felt uncomfortable. His new location was better and Tobias was endowed with the discretion of sensitive and respectful souls. The voice of Father Brendan aroused him.

- John, do you believe that your love is your work or that Someone else made you meet?

The reaction of John was one of passive melancholy. - I don't know it anymore.

- Remember that you're not the only one to decide. God has his part and Ada has her place in this way. I don't think you forced her to love you.

- I tried to hide my feelings for months, but I couldn't .... Maybe, if I kept quiet ...

- John, have you ever tried to forgive yourself?

The young man raised his face towards the confessor and stared at him with his blue irises. He seemed perplexed, astonished.

- God forgives the world every morning, John: He forgives the all of us when He makes His sun rise on good and evil people; He forgives us, when the dawn sprinkles the earth with dew; but He forgives us all in the evening, when another day has passed and, instead of the very pure dew, the moon finds, by its shining, the dross of evil committed in the previous hours ... We just have to ask for that forgiveness.

- And if we didn't deserve it? ...

- No one deserves forgiveness, John: it's priceless, because God would never trade it.

The young man was silent, not knowing what to answer.
 
 
- Ask him for forgiveness, John: every morning. Every night. Maybe you haven't much to be forgiven for, but you need His forgiveness to live: as the land needs dew and the sun. And receive from Him Ada's love: it's a gift from Him. Perhaps, one day, when you've really forgiven yourself, you'll be completely convinced about it; but, for now, accept it. Let yourself be loved, John: Let yourself be loved. You'll progress as much as you let yourself be loved...

martedì 29 marzo 2016

La confessione di John (dal mio romanzo "I bimbi di ieri")


          La confessione di John

          John ha appena perso l'ennesimo appello e l'esecuzione si avvicina per lui pericolosamente.
          E' affranto e preoccupato per Ada. Qui incontra il cappellano del carcere, padre Brendan, che
          gli parla di Misericordia e Amore: qualcosa che, per i detenuti come lui, non esiste più.

Padre Brendan, dopo il colloquio con Ada, provava la sollecitudine di parlare anche con John. Il martedì doveva compiere la sua visita abituale a Raiford per le confessioni e, nel passare dall'edificio 5, dove il giovane era stato ora spostato, fu ben contento quando, all'estremità del corridoio, ne intravide l'alta figura nella penombra dietro le sbarre. Faceva un caldo asfissiante e John, non prevedendo la venuta del confessore, era in boxers. Quando scorse in corridoio la tonaca svolazzante del sacerdote e la stola viola, parve genuinamente sorpreso e si affrettò ad assicurare:


- Aspetti, padre! Mi rivesto subito! - Si infilò degli shorts e la prima maglia bianca che gli capitò a tiro, quindi si avvicinò alle sbarre.

- Scusi, padre, ma fa un caldo tale qua dentro...Si soffoca. Non posso farne a meno.

Brendan annuì comprensivo: - Sapessi me con la tonaca nera!

- Potrebbe mettersi il clergyman, però - osservò il giovane.

- A dire il vero, la tonaca mi pare più leggera...Quasi quasi ti imiterei, ma dopo, chissà cosa direbbe il vescovo! - e sbuffò. John represse un mezzo sorriso.

- Vuoi confessarti? - Per tutta risposta, John assunse un atteggiamento più concentrato e si inginocchiò sul duro impiantito di cemento, mentre il padre si sedeva sullo sgabello che si portava dietro. Il sacerdote, per un attimo, ebbe l'impressione di aver visto ben poche volte, all'esterno del carcere, qualcuno pronto a inginocchiarsi così, immediatamente e senza fiatare, sul nudo cemento per confessarsi. Forse ciò accadeva solo nei luoghi di pellegrinaggio, pensò.

- In the name of the Father, of the Son and of the Holy Spirit...-

- Amen.

John amava molto la confessione. Da ragazzo, quando sua madre Grace se lo portava dietro per la prima Messa domenicale e lo affidava al bonario confessionale del parroco, aveva faticato a capire il senso di quel rituale, per cui, a suo avviso, doveva ripetere sempre le stesse cose; poi, durante l'adolescenza, se ne era allontanato, temendo di ricevere rimproveri ancora più aspri di quelli che già subiva a casa. Ma da quando era nel braccio della morte, anche da prima che conoscesse Ada, la confessione si era trasformata per lui con sorpresa in un sollievo. All'inizio, quando il sacerdote era comparso le prime volte davanti alla sua cella, lui si era sentito quasi in dovere di confessarsi: anni di imprinting materno non erano passati invano. Con le prime assoluzioni, aveva però scoperto con meraviglia che non veniva rimproverato, anzi. Certo, il cappellano era normalmente comprensivo e benevolo; ma non si trattava solo di quello. La confessione costituiva, per John, un'occasione unica per deporre i propri pesi insostenibili, per sperimentare che essi potevano essere effettivamente nominati, gestiti senza emozioni negative e, infine, tolti dalle sue spalle grazie all'amore e al perdono. A parte Ada, la confessione rappresentava per lui l'unica occasione di sapersi perdonato.
 
 
- Dimmi - esordì il sacerdote.

John trasse un profondo sospiro. - Ho perso un altro appello e ho provato dei momenti di collera...di forte collera...Forse, anzi, senza forse, anche di odio...Padre, non voglio scusarmi in anticipo, ma qui l'odio è palpabile ad ogni momento e ci si attacca alla pelle...

- Odio contro chi?

- Contro gli altri detenuti, contro chi mi ha messo qua dentro, contro il sistema, contro tutto...Anche e soprattutto contro me stesso...

- Non è detto che sia odio - osservò magnanimo il padre - e anche se fosse ira, essa è, entro certi limiti, un'emozione normale. L'odio è ben diverso da un'emozione: è una volontà di male contro gli altri. Le emozioni negative, invece, sono naturali, spontanee, spesso insopprimibili, specie se siamo vittime di altri: l'importante è cercare di gestirle.

- Non lo so, Padre. Mi sorprendono spesso dei pensieri tremendi sugli altri...E anche delle critiche...Sono duro, intransigente...Ultimamente ho pregato poco. Forse è anche per questo che non sono riuscito a far fronte alle mie emozioni negative, come dice lei.

- Come mai?

- Non so...Non ne avevo voglia...Ultimamente, non ho neanche più letto la mia solita pagina di Bibbia. Era come se parlassi da solo. Alle volte, qua dentro, faccio persino fatica a credere che Dio esista.

Quelle parole ebbero il potere di distrarre Brendan per un attimo e di trasportarlo molto lontano da lì, indietro nel tempo: più di vent'anni prima, a Savannah, nella cattedrale, in cui un ragazzino biondo e dagli svegli occhi azzurri raggiungeva l'officiante dondolando l'incensiere e lasciandone sviluppare ampie volute di fumo; si divertiva visibilmente un mondo a dondolare il turibolo, a tal punto che il prete, dalla sua stazione immobile dietro l'altare, lo sogguardava in tralice, facendogli capire di piantarla una buona volta. E ora, eccolo qui, quel ragazzino biondo: fattosi uomo, era inginocchiato davanti a lui, oltre le sbarre di una cella. Al padre si strinse il cuore, come avviene a ogni educatore che veda soffrire o andare alla deriva i propri ragazzi. E davanti a questo dolore, si sentì, pure lui, solo. Abbandonato. Anche da Dio.

- Anche il Cristo si sentì solo la notte nel Gethsemani - ripeté, forse più a se stesso, che a John. Il giovane non reagì, come se non fosse convinto dall'analogia. Poi proseguì:

- E poi sono in torto con Ada. Ormai sento che non è giusto che io la trattenga con un legame affettivo: in queste condizioni...

- Lei ti ama, però - obiettò il prete. John scosse la testa con sconforto.

- Ormai non so più se sia bene o male continuare la nostra storia d'amore. Quando ci siamo conosciuti, ero all'inizio dei miei appelli e contavo ancora su di una svolta: il suo amore per me era la vita e mi sembrava così naturale seguirlo...Impedirsi di amarla sarebbe stato come smettere di respirare o chiudersi gli occhi alla luce; e io sognavo di farla felice. Ma ora...ora è diverso. Ada vorrebbe dei bambini e io, in questa condizione, non posso darglieli. Sono un albero secco.
 
                                     

Brendan scosse la testa con energia, in segno di diniego, ma John continuò. - Vive da sola e avrebbe bisogno di un uomo accanto che la protegga: e io sono qua dentro. Non sono buono a niente. Sono sicuro che lei sminuisca i pericoli del suo mestiere per non farmi preoccupare oltre misura. Ma io mi preoccupo. Jacksonville è una brutta città, è pericolosa, e io la sera, quando mi sdraio sulla branda, mi chiedo: che cosa farà? Sarà al sicuro? Chi veglierà su di lei?

Un silenzio. John poteva udire il debole fruscio della musica proveniente dagli auricolari di Tobias ed ebbe un pensiero di gratitudine per il compagno: in passato, nutriva spesso l'impressione, se non la certezza, che le sue confessioni venissero ascoltate con curiosità dalle celle vicine e si sentiva a disagio. La sua nuova postazione era migliore e Tobias dotato della discrezione delle anime sensibili e rispettose. La voce di padre Brendan lo riscosse.

- John, tu credi che il vostro amore sia opera vostra o che Qualcun altro vi abbia fatti incontrare?

La reazione di John fu di passiva mestizia. - Non lo so più.

- Ricordati che tu non sei l'unico a decidere. Dio ha la sua parte e Ada il suo posto in questo cammino. Non mi risulta che tu l'abbia costretta ad amarti.

- Ho provato a celare i miei sentimenti per mesi, ma non ci riuscivo....Magari, se avessi taciuto...

- John, hai mai provato a perdonarti?

Il giovane sollevò il volto in direzione del confessore e lo fissò con le sue iridi azzurre. Pareva perplesso, attonito.

- Dio perdona al mondo tutte le mattine, John: ci perdona tutti, quando fa sorgere il suo sole sui buoni e sui malvagi; ci perdona, quando l'aurora cosparge la terra di rugiada; ma ci perdona tutti anche la sera, quando è passata un'altra giornata e, al posto di quella purissima rugiada, la luna trova, col suo chiarore, le scorie del male commesso nelle ore precedenti...Noi dobbiamo solo chiedere quel perdono.

- E se non lo meritassimo?...

- Nessuno merita il perdono, John: non ha prezzo, perché Dio non lo mercanteggerebbe mai.

Il giovane tacque, senza sapere che rispondere.

- Chiedigli perdono, John: tutte le mattine. Tutte le sere. Forse non hai molto da farti perdonare, ma hai bisogno del Suo perdono per vivere: come la terra ha bisogno della rugiada e del sole. E ricevi da Lui l'amore di Ada: è un dono Suo. Forse, un giorno, quando ti sarai davvero perdonato, ne sarai convinto fino in fondo; ma, per adesso, accettalo. Lasciati amare, John: lasciati amare. Tu progredirai a misura di quanto ti lascerai amare...