domenica 25 febbraio 2018

La gloriosa 4O in gita


                                                    Il famoso salone da ballo del palazzo

La gloriosa 4O...in gita (4 puntata)

Inserisco di nuovo i protagonisti: Bellu (Alessandro), Ari Bru (Arianna), Giuls (Giulia), Chiara (senza soprannome, apparentemente), Ferra (Andrea), Asia (anche lei senza soprannome), Francio (Mirko), Gruppio (Tommaso), Vero (Veronica), Guare (detto anche Guado o '99: anche lui si chiama Tommaso), Mia (Eufimia, la nostra Greca), Lafo (Nicola), Orla (Orlando, che io chiamo anche "Astro-Snoopy"), Michi (Michele), Mastro (Nicola), Erri (Enrico), Rivets (Niccolò), Zek (Tommaso).
Assenti (ci mancavano): Ballard (Mario), Bario (Massimo), Nas (Nassim), senza contare Edo (Edoardo) e Gila (Giacomo) allora negli States.

Partecipazione speciale: prof.sa Silvia Sansonetti; prof.Andrea Celeghini (Celego).
Comparse audio: Barbara (la mia amica); il tecnico del forno (che non posso citare per evitare pubblicità impropria). 


Ca'Rezzonico e i suoi tesori

Il Museo del Settecento veneziano (Ca' Rezzonico per gli amici) è un museo "incompreso": letteralmente il più bello e affascinante di Venezia, ricostruisce gl'interni di un palazzo signorile settecentesco dell'epoca di Casanova, con stucchi, mobili intarsiati, quadri sontuosi, soffitti a trompe l'oeil, porcellane, cristalli e quant'altro; ma non lo visita quasi nessuno. Io ci porto regolarmente i ragazzi di quarta, per aprire loro uno spaccato sulla vita e la cultura dell'età dell'Illuminismo a Venezia. All'epoca, la città era diventata un po' il parco di divertimenti degli aristocratici europei: tra il carnevale (sei mesi l'anno, tra novembre e marzo), i teatri (8, finanziati dalle varie famiglie patrizie della città), il casinò, le case di tolleranza (da sempre abbondanti a Venezia, che era, non dimentichiamolo, un porto), la città era divenuta una tappa imprescindibile del grand tour che i nobili dell'epoca intraprendevano immancabilmente verso l'Italia. Preferisco calare una trapunta pietosa sui trascorsi amorosi di Byron in laguna, per non parlare di Giacomino Casanova. Ricordiamo però che, in zona, era attivissimo come commediografo anche Goldoni, almeno fino al 1763. Comunque, tirem innanz'.

                                             Il ridotto di Francesco Guardi

Si dice, Ca'Rezzonico, Ca'Rezzonico: però, il punto è arrivarci. Io, a Venezia, mi oriento abbastanza bene; o, almeno so (quasi) sempre, dove sono posizionata rispetto al Canal Grande. Il problema è quando sono in fase di avvicinamento alla meta: e qui mi riesplode la mia dislessia latente. In parole povere, con una carta davanti al naso vedo esattamente qual è il palazzo dove devo entrare, ma non riesco a capire se l'entrata è alla mia destra o alla mia sinistra: cioè, non riesco a rigirare la carta secondo il verso giusto. E così, quando siamo arrivati, la mattina poco dopo le 11.00, nei pressi del museo, puntualmente ho sbagliato il lato di avvicinamento ("Ragazzi, il museo è oltre quelle case!" "E come ci si arriva, prof?". Guardo la cartina: "Per di là!" "Ma, veramente, per di qua c'è un vicolo cieco e poi si cade in acqua...".). Mi viene in mente quello che è successo pochi giorni dopo a Torino (si noti, costruita a scacchiera). Ci passo alcuni giorni di vacanza per Capodanno con un'amica, che, un pomeriggio, rientra in albergo prima di me e si porta dietro la cartina: e io in Piazza Castello a rimirare dubbiosa la mappa esposta davanti al Comune (mappa che dice, magnanima: "voi siete qui") e a cercare disperatamente di capire come dovevo rigirare la cartina nella mia mente e per dove devo tornare in albergo (a due isolati di distanza): da destra o da sinistra? Da sotto o da sopra?

                               Il salottino delle lacche verdi, in mobili di stile orientaleggiante

Mentre facciamo il periplo dell'isolato, alla ricerca della calle giusta per entrare, ecco che si fa viva la mia amica Barbara da Ferrara. Antefatto: come tradizione vuole, gli elettrodomestici decidono di andare KO in occasione delle feste; e quindi, a pochi giorni dal Natale, che cos'è che ha stabilito di andare in tilt a casa mia? Il forno, ovviamente (si noti: sotto Natale, non a Ferragosto; esattamente come la caldaia). Mi rivolgo a una ditta nelle vicinanze per la riparazione, ma questa si dà alla macchia, senza spiegazioni; allora devo ricorrere a una seconda, che riesce a mandarmi un tecnico  in extremis solo il 23, cioè il giorno della gita (altrimenti, nisba). A casa, c'è solo la mia amica e vicina Barbara, disponibilissima a fare le mie veci, ma che attende notizie dal tecnico; e il tecnico non è raggiungibile sul cellulare, per cui, lei mi chiama per capire: verrà? Non verrà? Quando? L'appuntamento sarebbe per il primo pomeriggio (15.00, se non ricordo male): ma il tutto è avvolto dalla nebbia del mistero. Un mistero piuttosto inquietante, per qualcuno che programma di cucinare sotto Natale e per la sua spalla, che non può passare le giornata ad attendere un tecnico fantasma. 

                                                    Il Canal Grande secondo Canaletto

Infine, troviamo il Museo. A Ca'Rezzonico faccio invariabilmente da guida io, con i materiali messi a disposizione sul sito del museo stesso: ma, premetto un'avvertenza per i colleghi. Ca' Rezzonico, infatti, presenta un problema di non poco conto: la sua sala da ballo, la più ampia della città (doveva essere uno splendore illuminata a festa e con dame e cavalieri abbigliati secondo la moda settecentesca per un ballo di Carnevale), è anche la più ampia sala sospesa di Venezia; ragion per cui, appena ci si mette piede, si sente il rimbombo dell'androne sotto. E questo, per tutti, ma dico tutti gli studenti, porta a a una tentazione irrefrenabile: a tutti prudono i piedi e viene subito voglia di fare un saltino. Con le conseguenze che potete bene immaginare. Ecco perché, proprio mentre sto cercando di illuminare la mia squadriglia sugli splendidi affreschi del soffitto, che celebrano la famiglia Rezzonico e presentano il dio Apollo in un cielo dorato...noto che Gruppio e Ferra sono pronti per il misfatto e hanno assunto una tipica espressione con uno scintillio birichino negli occhi e una posa da molla pronta a scattare. E io, con un'occhiataccia: "Se ci provate, vi taglio a fettine". Non ci hanno provato. 

                                                           Il salone del trono

Anni prima, era già successo. Prima che potessi fermarli, alcuni ragazzi di una seconda del 2009/10, peraltro molto educati, ahimé, non erano riusciti a contenersi e avevano fatto il tipico "saltino". Un salto nella sala da ballo di Ca'Rezzonico vi dà l'impressione di precipitare giù nell'atrio: ci eravamo così attirati un'occhiataccia dalle custodi, che ci avrebbero volentieri incenerito seduta stante, come Giove sul soffitto (sono custodi peraltro molto più moderate che in altri luoghi di Venezia, dove gli studenti sono visti letteralmente come il fumo negli occhi). Procedendo in quella visita, a un certo punto, mi ero ritrovata Riccardo, un giovanotto alto, come minimo, 15 cm più di me, che veniva ansiosamente a nascondersi dietro di me. "Prof, aiuto, mi difenda! Quella signora è cattiva!". Ce l'aveva con una custode che lo inseguiva, fulminandolo con gli occhi perché lui aveva compiuto la sciocchezza di toccare un mobile con un dito...

                                                      La farmacia

Abbiamo proseguito la visita e scoperto moltissime opere d'arte: ad esempio, in una sala ci sono vari pastelli, di una luminosità soffusa, opera di una delle migliori ritrattiste del Settecento, Rosalba Carriera; oppure, i quadretti di vita quotidiana di Pietro Longhi; o anche preziose collezioni di porcellane (che hanno affascinato la mia collega Silvia, come ho scoperto, un'appassionata del ramo). Vari soffitti sono stati affrescati da G.B.Tiepolo; al secondo piano, si trovano alcuni capolavori dei vedutisti (quelli che fungevano da fotografi del Settecento, dipingendo delle panoramiche precisissime della città grazie alla camera oscura), o anche alcuni quadri famosi di Francesco Guardi (come Il ridotto di S.Moisé, l'anticamera del casinò). Alcune opere, però, sono invariabilmente assenti; all'epoca, ricordo, mancava il ritratto di papa Rezzonico, Clemente XIII, l'unico appartenente alla casata e opera del famoso pittore neoclassico Anton Raphael Mengs. Ma regolarmente, qualcosa manca all'appello. Infine, all'ultimo piano, c'è la pinacoteca e una farmacia, con i vasi di maiolica bianchi e blu e che sembra uscita da un libro. Mantenere l'attenzione della squadriglia sala per sala non era facile, perché, a un certo punto, ci si stanca, ma, tutto sommato, è andata bene: specie quando ricordo che i ragazzi invariabilmente prendevano d'assalto tutti i divanetti e le sedie disponibili e che c'era in orbita libera intorno a me, come un elettrone, Astro-Snoopy...(continua)

                                                     Il ciarlatano di Pietro Longhi

giovedì 22 febbraio 2018

Vesuvio

Vesuvio


Una nube di fumo la cui altezza è stata calcolata tra i 18 e 26 km; uno strato di una decina di metri di cenere al di sopra di Pompei; una nube ardente, che ha spazzato via gli ultimi resti della città, di 700 - 800 gradi, con una velocità di 100-110 kmh; forse più di 2.000 vittime; un miliardo di metri cubi di materiale eiettato; ma, soprattutto, la cenere, che ha congelato la città e i suoi abitanti negli attimi finali della loro agonia, per cui gli edifici sono stati ritrovati quasi come erano e i calchi di gesso, prodotti riempiendo le cavità dove si erano decomposti i corpi, ci hanno restituito la posizione delle vittime mentre stavano morendo. Questo è stata la "formidabile" (cioè terrificante) eruzione del Vesuvio del 79 d.C., eruzione di cui ha parlato anche Leopardi. Partiamo dalla sua Ginestra o il fiore del deserto, poemetto del 1836, per poi avventurarci nella storia del vulcano, dell'eruzione e nelle testimonianze antiche, in primis quella di Plinio il Giovane.


                                        Il Vesuvio al cinema (come era, prima che il cono esplodesse)


La ginestra

Qui su l'arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null'altro allegra arbor né fiore, 
tuoi cespi soltari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti....

Così, con l'impressionante mole del Vesuvio, inizia La ginestra di Giacomo Leopardi, composta a Torre del Greco nel 1836, poco prima che il poeta morisse a Napoli, dove si era trasferito con il fedele amico Antonio Ranieri. I manoscritti sono tutti opera di Ranieri: e fu lui a pubblicarla nell'edizione dell'opera omnia del poeta, nel 1845, in chiusura dei Canti, quale testamento spirituale di Leopardi (e pensate che lui intendeva scrivere una Lettera ad un giovane del ventesimo secolo...per noi!). Chi ha visitato il Vesuvio, ricorderà che le sue pendici sono coperte da questi cespugli di fiori gialli, non bellissimi, ma profumati; e la ginestra, che resiste in un ambiente ostile, è simbolo di un'umanità positiva, che non si fa illusioni arroganti sulla sorte umana, guarda in faccia alla "natura matrigna" e resiste umilmente, ma saldamente; inoltre, qui, per la prima volta Leopardi prospetta una risposta positiva alla "natura matrigna": la solidarietà. Il testo, in lasse di endecasillabi e settenari (317, per la precisione), si divide in queste sezioni:


1) Versi 1-37: il poeta si rivolge alla ginestra, che abita queste zone desolate dalle eruzioni vulcaniche, quasi mostrasse pietà (quasi i danni altrui commiserando, v.35). Alla descrizione del paesaggio vesuviano lunare, si unisce, con notevole effetto poetico, l'evocazione delle città sepolte dal Vesuvio e della loro opulenza svanita.
2) Vv.37-86: lunga sezione polemica contro le ideologie progressiste e ottimiste coeve al Leopardi: la desolazione prodotta dal Vesuvio dimostra quanto siano fallaci tutte quelle credenze nelle magnifiche sorti e progressive (v.51) dell'umanità, in realtà alla mercé della natura matrigna, che ci può cancellare con lieve moto (v.45: l'espressione del v.51 deriva dagl'Inni sacri del poeta cattolico-liberale Terenzio Mamiani, cugino di Leopardi stesso). Così il poeta dichiara tutto il suo disprezzo per il secol superbo e sciocco (v. 53), che evita il vero, dimentica il pensiero razionalistico che additava nella sventura la sostanza della condizione umana e ritorna alla schiavitù, piuttosto che alla libertà.


                                                 Le ginestre sul Vesuvio

3) Vv.87-119: in tono più filosofico-morale, egli afferma che un animo veramente nobile guarda in faccia alla realtà e non si inventa una felicità fasulla (Nobil natura è quella / che a sollevar s'ardisce / gli occhi mortali incontra / al comun fato, e che con franca lingua, / nulla al ver detraendo, / confessa il mal che ci fu dato in sorte, / e il basso stato e frale... vv.111-17).
4) Vv. 119 - 57: l'unica colpevole dell'infelicità umana è la natura, madre di parto e di voler matrigna (v. 125; si noti l'efficace chiasmo): contro di lei tutti gli esseri umani si devono unire (e non combattere fra di loro), radice saggia di ogni forma e valore sociale.
5) Vv.158-201: in una pagina estremamente poetica, memore dell'Infinito, il poeta ricorda come ama contemplare il cielo stellato dalle pendici del Vesuvio; e qui si stupisce alla grandezza dell'universo, al confronto del quale la Terra è un punto...oscuro/ granel di sabbia (vv.170 e 191). Le pretese dell'essere umano, al confronto, paiono proprio favole.
6) Vv.202- 36: il genere umano, spazzato via dall'eruzione del Vesuvio (immagine della natura matrigna) è paragonato ad un formicaio schiacciato da un pomo caduto dall'albero. Il brano contiene un'impressionante descrizione dell'eruzione vulcanica.


7) Vv. 237-68: descrizione del contadino campano (il "villanello"), che sorveglia il Vesuvio con timore e fugge alle prime avvisaglie dell'eruzione.
8) Vv. 269-96: evocazione degli scavi della morta Pompei e della furia del Vesuvio, la cui lava risplende sinistra la notte tra le rovine (splendido notturno: E nell'orror della secreta notte / per li vacui teatri, / per li templi deformi e per le rotte / case, ove i parti il pipistrello asconde, / come sinistra face / che per voti palagi atra s'aggiri, / corre il baglio della funerea lava...vv. 280-86): esso è simbolo della natura che non si arresta mai, mentre, suggestivamente, caggiono i regni intanto, passan genti e linguaggi...(vv. 294-95).
9) Vv.297-317: ultima apostrofe alla ginestra, umile modello per gli umani, priva di arroganza o di servilismo, che sta per soccombere alla furia del vulcano.


In definitiva, Leopardi si appoggia al pensiero materialistico ed illuminista per svelare l'"arido vero" della infelice condizione umana, provocata dalla "natura matrigna": contro di essa gli uomini devono unirsi nella solidarietà che sola può mitigare i rigori dell'esistenza. La splendida strofa sul "villanello" che veglia il Vesuvio minaccioso e fugge alle prime avvisaglie di eruzione (come l'acqua che bolle nei pozzi) indica quanto la sorte dei più deboli stesse a cuore al poeta. E debole è la ginestra, simbolo non solo di umiltà e dignità di fronte al dolore, ma anche di razionalità e del dolce profumo che la poesia può spandere sulle rovine umane. Nella sua fragile delicatezza, la ginestra appare un modello quasi eroico di resistenza al male.

Il Vesuvio, uno dei vulcani più pericolosi al mondo

                                              Una volta, il Vesuvio era così (da Cioni, 1999)

Leopardi considerava il Vesuvio un simbolo del male che affligge la natura umana: ma, a dire il vero, la sua visione materialistica gli faceva dimenticare realtà ben più pericolose. Amo ripetere che, secondo i calcoli degli studiosi, negli ultimi due secoli ci sono state più o meno 200.000 vittime delle eruzioni vulcaniche su tutta la superficie del globo (dati offerti da A.Rittmann): secondo dati statistici pubblicati nel 2013 dall'Università  di Bristol sul Journal of Applied Vulcanology, a partire dal 1.600 fino ad oggi, ci sarebbero state 278.880 vittime in totale, provocate da 533 eruzioni. Sono molte, ma, onestamente, molte meno dei 20 milioni di morti causati dalla I Guerra Mondiale, dei 55-60 milioni conseguenza della Seconda, dei 60 - 70 milioni di cui è responsabile Mao Tze Dong in Cina (secondo stime cinesi al ribasso) o dei 200 milioni provocati, ad esempio, dal comunismo in 80 anni di attività; e si potrebbe continuare di questo passo.

Tuttavia, il Vesuvio è uno dei vulcani più pericolosi al mondo: forse il secondo, dopo la gigantesca caldera di Yellowstone, che potrebbe spazzare via buona parte degli USA occidentali. La pericolosità dei vulcani, del resto, viene determinata sempre di più dalla densità della popolazione circostante: e, intorno al Vesuvio vivono più di 3 milioni di persone, forse la zona vulcanologica più densamente popolata al mondo, con almeno mezzo milione inquadrato dalla nostra Protezione Civile nella cosiddetta "zona rossa", quella a più immediato rischio. Bisogna ricordare, innanzitutto, che il Vesuvio è un vulcano esplosivo, non effusivo: cioè, il suo magma siliceo è più viscoso di quello basaltico e fluido dell'Etna; mentre questo rifluisce via, si solidifica e basta, quello del  Vesuvio tappa il condotto vulcanico e, a causa della pressione dei gas, lo può far esplodere: con conseguenze devastanti. Si è osservato che, nei giorni precedenti l'esplosione, i vulcani esplosivi sembrano "gonfiarsi": le loro pendici si arrotondano, perché c'è qualcosa sotto che preme.

                 
                            Il cono del Vesuvio; dietro si vede molto bene la caldera del monte Somma

In realtà, come afferma il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo sulla base delle ultime, accurate ricerche, condotte assieme alla collega Lucia Pappalardo, il Vesuvio ha la stessa camera magmatica della amplissima caldera dei Campi Flegrei, quella dove le solfatare sbuffano i loro soffi di zolfo; una camera magmatica situata a 8 km di profondità sotto il Vesuvio e a 6 sotto i Campi Flegrei. In sostanza, da Posillipo fino a Procida, per 12 km di estensione, è tutta una successione di vulcani, che potrebbero esplodere in qualsiasi momento con possibilità di previsione pressoché nulle ("è una roulette russa", afferma lo studioso in un'intervista recente al Corriere della sera). Il problema è che col bradisismo recente (movimenti tellurici più lenti), il terreno si è sollevato, ma diventa sempre più fragile, per cui ovunque si potrebbe aprire una frattura che innescherebbe un'eruzione.

Storia del Vesuvio

Quello che vediamo oggi non è il Vesuvio come lo videro gli antichi la mattina del 24 agosto (o ottobre) del 79: era molto più alto, perché l'eruzione ha fatto esplodere il cono vulcanico. Oltre il cono attuale si vedono ancora molto bene i resti dell'antica caldera, il Monte Somma.
Gli antichi Romani non sapevano che il Vesuvio fosse un vulcano. In generale, dei vulcani conoscevano solo la pericolosità: e che fosse necessario starne alla larga. Lo storico e geografo del I sec. a.C. Strabone, autore della Geografia, fu forse l'unico a rendersi conto che il Vesuvio (Mons Vesbius) era un vulcano: notò infatti le rocce bruciate sulle pendici, anche se esse erano coltivate, grazie alla loro fertilità, e coperte di vigneti. In realtà, già nella preistoria, le numerose esplosioni avevano creato una vasta caldera....(continua)


Bibliografia

M.R.Auker, R.S.J.Sparks, L.Siebert, H.Sian Crosweller, J.Ewert, A Statistical Analysis of the Global Historical Volcanic Fatalities Record, Journal of Applied Vulcanology 2,2, 14 febbbraio  2013,
https://appliedvolc.springeropen.com/articles/10.1186/2191-5040-2-2
M.M.Cappellini, E.Sada, I sogni e la ragione. Tra Ottocento e Novecento, vol. 5, Milano, Mondadori, 2015.
A.De Simone, Le  solfatare dei Campi Flegrei, uno dei vulcani più pericolosi al mondo, Corriere della sera, 4 luglio 2017,
http://www.corriere.it/cronache/17_luglio_04/solfatare-campi-flegrei-dei-vulcani-piu-pericolosi-mondo-0a2560ba-609e-11e7-b845-9e35989ae7e4.shtml?refresh_ce-cp
G.Ferroni, Storia della letteratura italiana, 3 vol., Milano, Elemond, Einaudi, 1991.
A. e L.Rittmann, I vulcani, Novara, De Agostini, 1976.

Sintesi sui fatti dell'eruzione (in inglese):
https://www.youtube.com/watch?v=N-upaByYclM
Breve documentario su Pompei (con immagini tratte dal film omonimo del 2014):
https://www.youtube.com/watch?v=CxHQVGsqfFk

mercoledì 14 febbraio 2018

Il grande amore e la storia di Paolo e Francesca


Il grande amore e la storia di Paolo e Francesca

Ecco qui la mia conferenza del 13 febbraio scorso, la vigilia di S.Valentino, su Paolo e Francesca, tra Dante e la storia dell'arte, all'UTEF di Portomaggiore: seguono i link degli audio, pubblicati su Youtube (sono 8), e le  immagini cui faccio riferimento nel testo. 


Ritratto perduto di Francesca, chiesa di S.Maria in Porto, Ravenna


Rocca di Gradara, stanza di Francesca



J.D.Ingres, Paolo e Francesca (1814, Chantilly)


Coupin de la Coupérie, Paolo e Francesca (1812)



J.D.Ingres, Paolo e Francesca (Museo Bonnat, 1819)


J.D.Ingres, Paolo e Francesca (1845)



William Dyce, Paolo e Francesca, 1845


Anselm Feuerbach, Paolo e Francesca, 1836.



Gustave Doré, Paolo e Francesca, 1861


Amos Cassioli, Paolo e Francesca, 1870



Dante Gabriel Rossetti, Paolo e Francesca, 1870.


Alexandre Cabanel, Paolo e Francesca, 1870.



Gaetano Previati, Paolo e Francesca, 1887


Gaetano Previati, Paolo e Francesca, 1901



Gaetano Previati, Il sogno, 1812


William Blake, Il girone dei lussuriosi, 1827


Ary Scheffer, Paolo e Francesca, 1844


Gustave Doré, Paolo e Francesca, 1861.


George F.Watts, Paolo e Francesca, 1887


Arnold Boecklin, Paolo e Francesca, 1893


Umberto Boccioni, Il sogno ovvero Paolo e Francesca (1912)


Auguste Rodin, Il bacio (1880)


Auguste Rodin, Paolo e Francesca (bozzetto)


domenica 11 febbraio 2018

Poesia invernale d'amore 2 - Love winter poem II



Poesia invernale d'amore 2

Come un abbraccio vorrei
ti accogliesse la mia casa,
quando torni da lontano, 
e le mani gelano nei guanti.
Con un fuoco scoppiettante
e un sorriso aspetterei
la tua voce in corridoio
e di vederti, infine, sulla soglia.



Love winter poem II

Like an embrace I would like
that my home could welcome you,
when you come back from afar
and your hands freeze in the gloves.
With a crackling fire
and a smile I would wait
for your voice in the corridor
and to see you, at last, at my door.
(ADF)


martedì 6 febbraio 2018

Fiaba orientale....di amore e misericordia (6 puntata)



Fiaba orientale...di amore e misericordia (6)

Ritorniamo al nostro principe e alla nostra principessa, perché la loro situazione, tra i riflessi dorati delle calli veneziane e i bagliori argentei della laguna sta lentamente avvicinandosi a una svolta. E la svolta non può essere altro che la misericordia. Cos'è la misericordia? E' l'amore che guarda all'altro con verità. Non secondo i nostri pregiudizi o le nostre ristrettezze mentali, bensì secondo le esigenze autentiche dell'altro, con una prospettiva ampia come l'orizzonte sul mare azzurro. La principessa si rese conto che era stata troppo severa con il suo principe: lo aveva perdonato, vero, però in fin dei conti, c'era ben poco da perdonare. Molte delle azioni di lui erano dettate, comprensibilmente, dalla paura di soffrire ancora ed erano irriflesse. Lei pensava con tristezza all'ingiusta altalena di saluti e silenzi cui lo aveva sottoposto: anche se, a dire il vero, lei spesso taceva con lui semplicemente per non metterlo a disagio. E allora, lei ora non gli avrebbe fatto mancare più la luce del suo sorriso: lui aveva bisogno di una mare di tenerezza, senza riserve, e lei era pronta a dargliela.



Già tante cose meravigliose erano successe: e la principessa si rese conto che pure le sue imperfezioni le avevano permesso di mantenere il contatto con lui. Le sue vecchie ferite l'avevano portata ad essere tenace, forse anche insistente, e puntigliosa; eppure, proprio queste caratteristiche le avevano reso possibile di continuare a gettare dei segnali nei confronti del principe, come delle scie luminose in cielo. Tra i marmi rosei della Serenissima, al vento della sera, lei pensava che, in quella storia meravigliosa, tutto, tutto, tutto si trasformava per miracolo in fiori profumati e meraviglie: e sarebbe successo ancora.



Si guarisce insieme. Qualcosa in lei le indicava che il suo bel principe esitava non tanto perché non l'amasse, quanto perché lasciarsi andare all'amore, anche all'amore di lei, avrebbe significato  affrontare ancora quel sotterraneo buio di ricordi amari da cui cercava di fuggire. Ma non si può fuggire per sempre. E allora, come lei era discesa nel suo sotterraneo e ci aveva trovato lui, col suo sorriso, così pure lei lo avrebbe accompagnato nel buio che lo opprimeva. Lei gli avrebbe preso la sua mano, più grande, con la sua manina, e gliel'avrebbe tenuta stretta: e lui non sarebbe stato solo. Il principe si sarebbe infine reso conto che, nella stanza sotterranea, quelli che potevano apparire dei vermi, si sarebbero tramutati in farfalle e sarebbero volati via, alla luce del sole.



L'amore di lei, unito a quello del Padre, poteva fare miracoli. Anche per il nostro cuore succede come per il mondo: la Buona Novella si allarga, come le onde in un lago, e raggiunge le parti più profonde di noi, illuminandole e sanandole. Proprio come a Venezia, l'amore crea bellezza. Lei sapeva che il suo amore gli faceva bene; che, poco per volta, umilmente, lo confortava e lo rafforzava. E più la principessa creava intorno a sé un alone di serenità, gioia e amore, più il principe sarebbe stato, poco per volta, avvolto, sanato e rafforzato da questo alone. Era un circolo virtuoso: lei era tanto piena di amore che poteva veramente aiutarlo ad elaborare le sue ferite. 



Poco per volta, quasi senza pensarci, quasi senza rendersene conto, se lui si fosse avvicinato un po' per volta al sole dell'amore di lei, ne avrebbe tratto calore, avrebbe spontaneamente reagito più serenamente, avrebbe tratto forza e fatto liberamente ciò che era corretto per entrambi. Con la preghiera, la sua serenità ritrovata, l'amore, lei avrebbe creato un'atmosfera positiva, come un fiume caldo e protettivo, e lui sarebbe stato trascinato da quel fiume. Perché la positività è contagiosa! E ormai (e questa era un'altra cosa meravigliosa) erano arrivati tutti e due al punto che qualsiasi cosa  avessero fatto, anche imperfetta, sarebbe andato tutto bene. "Andrà tutto bene" le era stato detto; ed era vero. "Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rom. 8,28): con l'amore di lei, lui sarebbe sbocciato come un bellissimo fiore in  un giardino segreto; come quelli nascosti dai muri coperti di glicine  di certi palazzi veneziani. E il segno più bello di tutto questo sarebbe stato il loro sorriso. (continua)



lunedì 5 febbraio 2018

L'ora più buia - The darkest hour (Joe Wright, 2017)



L'ora più buia

9 maggio1940: una panoramica di file di soldati della Wehrmacht, immobili come automi, e poi di armamenti tedeschi in riprese d'epoca in bianco e nero; la sinistra fissità delle immagini evoca un'atmosfera cupa, mortuaria. E poi, subito dopo, una ripresa dall'alto del Parlamento inglese, con i deputati in subbuglio e il capo dell'opposizione che, davanti a un pallido Neville Chamberlain, pronuncia un furibondo discorso contro la fallimentare politica del premier inglese (aveva letteralmente ceduto la Cecoslovacchia a Hitler a Monaco nel 1938, per vederlo invadere, nell'ordine, Polonia, Danimarca, Norvegia). Questo il potente incipit de L'ora più buia, magnifico film inglese che, come gli antichi racconti epici, si focalizza su di un momento chiave della carriera di Winston Churchill e della Seconda Guerra Mondiale: il maggio del 1940, quando ormai Belgio e Olanda erano in procinto di cadere vittime della Blitzkrieg tedesca, la Francia stava per capitolare, ben 300.000 soldati inglesi erano intrappolati sul continente, tra Dunkerque e Calais, gli Usa rimanevano isolazionisti e latitanti e la Gran Bretagna era rimasta sola davanti alla furia di Hitler. Chiamato a sostituire Chamberlain al governo, fra la diffidenza degli altri conservatori, Churchill si trovò a dover decidere se continuare la guerra o prendere una decisione che, all'epoca, appariva molto, ma molto sensata: trattare con Hitler. 


Diretto da Joe Wright (un regista dal solido curriculum, che ha già firmato Orgoglio e pregiudizio e Anna Karenina), L'ora più buia è un film potente, dal ritmo serrato (a parte qualche punto nella seconda parte, quando prevalgono i dubbi di Churchill): guardandolo, ho avuto la sensazione che ogni scelta e dettaglio avesse senso nell'organica costruzione del risultato finale. E il risultato è un film storico dal respiro veramente epico, anche se asciutto, sobrio, privo delle banalizzazioni, ovvietà e semplificazioni tipiche oggi del genere (per es., Into the Storm, prodotto nel 2009 da HBO, non è male, ma non regge proprio il confronto). Soprattutto, già la sceneggiatura rende bene l'idea dei dubbi e delle incertezze di quel momento estremo, in una progressione e suspence, anche intellettuale, che è di per sé emozionante. 


Di certo, buona parte del film ruota intorno alla straordinaria interpretazione di Gary Oldman: reso molto simile a Churchill dal formidabile make-up (anche se, a mio avviso, gli manca un poco del tipico corruccio burbero di sir Winston), si muove, agita e cammina proprio come lo statista, offrendone un ritratto tridimensionale; gli scatti d'ira, il lato burbero eppure cordiale, l'eterno scotch (che Churchill annnacquava col succo di frutta), gli orari impossibili (Churchill lavorava spesso a letto), la magnifica intesa con la "mitica" Lady Clementine, compagna di una vita. Kristin Scott Thomas è splendida come pendant di sir Winston, tra eleganza, ironia e decisione. Tra gli altri interpreti ho poi apprezzato particolarmente Ben Mendelssohn, nei panni di un somigliantissimo Giorgio VI (perfetto: con la distinzione regale, i tic, la balbuzie ecc.) e Ronald Pickup, che dona spessore a Chamberlain (sarebbe poi morto di cancro nel novembre 1940 e il film lo mostra alle prese con la morfina e piuttosto tormentato). Invece, sir Edward Halifax, il ministro degli Esteri che voleva trattare con Hitler e sosteneva la politica di Chamberlain, fa troppo la figura del "cattivo", con una faccia smorta e un po' subdola: il suo personaggio andava sfumato meglio.


A livello storico, il film è preciso, ma si prende alcune libertà, specie per motivi di sintesi. Per esempio, lo scontro tra Churchill, da un lato, e Halifax e Chamberlain dall'altro viene enfatizzato e schematizzato; e non è vero che, nel momento di maggiore dubbio, Churchill sia disceso nella metropolitana di Londra, per incontrare alcuni membri del suo popolo e chiedere loro consiglio. Eppure, quest'ultima libertà ha senso ed è molto efficace. Lo storico John Broich, che insegna proprio la storia della Seconda Guerra Mondiale alla Case Western Reserve University, ricorda che la popolazione inglese subiva le decisioni delle élites, quindi che era ben lontana dall'entusiasmo e dalla pugnace volontà di resistenza mostrata nel film. Orwell temeva che il popolo avrebbe ben potuto accettare anche la pace col nemico e ben altro. Inoltre, i discorsi di Churchill, che infiammano le platee nel film, con uno straordinario effetto trascinante, non suscitavano poi tutto questo entusiasmo nella realtà (il film sembra riprendere...l'opinione di Churchill stesso sul successo dei suoi discorsi). Eppure...A mio avviso, quella scena è davvero bella. Perché se la popolazione di Londra non ha mostrato a parole questo entusiasmo, come nella metro, ha sostenuto però tenacemente la guerra coi fatti e a denti stretti: e la scena, a mio avviso, allude al fatto che, durante la terrificante battaglia d'Inghilterra, quando le bombe tedesche riducevano in cenere tutto il quartiere di St.Paul e buona parte di Londra, la popolazione si assiepava in metropolitana. E resisteva. 


Il film ha tanti meriti. Ha raccolto una selva di premi e di candidature all'Oscar: miglior film (io avrei aggiunto anche miglior regia, perché Wright fa davvero un ottimo lavoro), miglior protagonista maschile, miglior fotografia per il francese Bruno Delbonnel (plurinominato: osservate gli splendidi chiaroscuri e l'atmosfera soffusa di molte scene, che rende bene l'illuminazione dell'epoca, ma sottolinea anche drammaticamente i personaggi e il loro confrontarsi), miglior scenografia, trucco e costumi (meritatissimi: ai costumi troviamo Jacqueline Durran, che ha lavorato spesso con Wright; si noti anche la perfetta ricostruzione dei War Cabinet, il bunker sotto Westminster, che ho visitato l'anno scorso). Notevole pure la colonna sonora del nostro Dario Marianelli (Oscar nel 2008 per le musiche di Espiazione, altro film di Wright), che impressiona, specie nella prima parte del film. In questa pellicola, in cui, come ho già detto, viene curato ogni dettaglio, si sente la presenza di una squadra di lavoro solida, che compie un'opera riuscita a livello complessivo, come nei vecchi kolossal dell'epoca di D.Lean (Lawrence d'Arabia, Il Dottor Zivago ecc.). Varie scelte concorrono a una grande efficacia: per esempio, le panoramiche dall'alto degli scenari di guerra, come per sottolineare le immani sofferenze causate dal conflitto (in una, il paesaggio in fiamme sfuma nel volto di un soldato morto); oppure, le carrellate sulla gente comune, che tradiscono la  preoccupazione dello statista per la sua nazione. 


                                           Giorgio VI e il suo interprete, B.Mendelssohn
Varie volte mi sono commossa. Non è un caso se il film inizia con il Parlamento inglese e finisce in Parlamento. Credo che ogni nazione abbia una sua missione, radicata nella sua storia e nelle sue caratteristiche; e, al di là di tanti limiti, Brexit o no, la Gran Bretagna è più volte intervenuta per "salvare" il continente, come una vedetta esterna. Quando vado a Londra, mi sento grata nei confronti degli Inglesi e nei confronti di Churchill in particolare: perché se non fosse stato per lui e per i Britannici che sopportavano i bombardamenti rifugiandosi in metropolitana, oppure per quelli che sono morti un po' ovunque, anche da noi, in guerra, noi, forse, avremmo ancora le SS che girano indisturbate per la strada. E quando Churchill decise di rifiutare la trattativa, aveva ragione a pensare che, se avesse trattato con Hitler, si sarebbe ritrovato con la bandiera della svastica a svolazzare su Buckingham Palace: Hitler, del resto, aveva già pronto il  re adatto (Edoardo VIII, filo-nazista sia per scarsa intelligenza politica, sia perché aizzato da quella strega di Wally Simpson, che venerava Hitler perché la chiamava "Altezza reale" e che, negl'intermezzi del suo matrimonio principesco, andava probabilmente a letto con Ribbentropp, passandogli informazioni; altroché "amore del secolo"). Non è esagerato pensare che, a un certo punto, Churchill abbia portato quasi da solo il peso dell'umanità intera sulle spalle. 


                                              N.Chamberlain e il suo interprete, R.Pickup

C'è stato un momento in cui la Gran Bretagna era sola contro la Germania nazista; e, in Gran Bretagna, Churchill era solo. Anche se sir Winston era un tipo con la mentalità delle forze speciali, mi chiedo a volte come abbia fatto a non essere schiacciato da questa responsabilità. Per mesi. Per anni. Ripeto: se non avesse tenuto duro, da solo, noi avremmo ancora i nazisti in casa. Grazie, sir Winston. 

Per i fatti storici del film, cfr. J.Broich, What's Fact and what's Fiction in Darkest hour, Browbeat. Slate Culture Blog, 8 dicembre 2017, http://www.slate.com/culture/2018/02/fact-vs-fiction-in-the-assassination-of-gianni-versace-episode-3.html. 

Qui il sito dei Churchill's War Rooms, il museo ricavato dal bunker di Churchill:
https://www.winstonchurchill.org/visit/churchill-war-rooms/