domenica 28 gennaio 2018

Fiaba orientale...di amore e misericordia (5 episodio)


Fiaba orientale...di amore e misericordia

Allora, c'era  una volta....di nuovo il nostro bel principe e la nostra principessa. Li avevamo lasciati, sempre a Venezia, ma in una situazione di stallo: lui, incomprensibilmente, si allontanava da lei, ma lei lo perdonava ancora e ancora. E aveva deciso però di lasciarlo libero e aspettare, aspettare. Intanto, lei continuava a pregare: la preghiera illumina anche le notti più buie, come una candela, anche minima, trasforma il buio in luce. Però, ora possiamo proseguire la nostra storia per un poco; perché le storie sono come gli alberi da frutto, i peschi o i susini: maturano poco per volta, mettono i fiori e poi i frutti.



Apparentemente, lui gliene aveva combinate di tutti i colori: ora però lei sapeva che lui non lo faceva apposta, bensì agiva trascinato dalle sue sofferenze passate. Del resto, l'obiettivo delle paure che lo facevano reagire così non era lei: era qualcosa che lui si portava dentro, l'ombra di qualcuno che lo aveva ferito. 
Tuttavia, fu proprio a partire da questi disastri, che cominciarono a fiorire dei germogli, come fioriscono i rami di biancospino alla fine dell'inverno: e alla principessa accaddero molte cose meravigliose. Osservando il comportamento del suo principe, anche lei prese a capire meglio se stessa. Era come se lui la guidasse per mano nel sotterraneo buio dove erano rimasti immagazzinati tanti ricordi brutti: dispiaceri, dolori, traumi; ed ecco, incredibilmente, proprio attraverso i suoi errori, lui la accompagnava dolcemente nel profondo del suo cuore...e lei, confrontandosi con lui, capiva. Capiva che cosa aveva sofferto lui e che cosa avesse sofferto lei stessa. Così, al fondo del proprio cuore ferito, lei non era più sola: c'era il suo bel principe con lei. E ora, quelle stesse sofferenze, venivano alla luce e si scioglievano, come neve al sole. La prima, straordinaria meraviglia era proprio questa: che, qualsiasi cosa lui facesse, qualsiasi pasticcio combinasse, per lei si trasformava in gioia e guarigione. E in amore. Certo, questo accadeva perché Dio vegliava su di loro: ma anche perché il suo bel principe era buono, tanto buono. E l'amava davvero. 



Così, grazie a lui, lei guarì dai rifiuti profondi che aveva vissuto; guarì dalle ingiustizie; guarì dalla disperazione che, non di rado, si annidava anche nel suo cuore, pure se lei voleva vivere e gioire. Guarì dai ricordi amari dei maltrattamenti. Insomma, la principessa sentiva che stava emergendo progressivamente alla luce, come mai prima. E comprese una cosa meravigliosa: proprio gli errori di lui le avevano portato questi risultati straordinari; se lui l'avesse corteggiata secondo etichetta (con fiori e cioccolatini, per intenderci), tutto il suo dolore sarebbe rimasto dentro (per esplodere, magari, in modo tanto più pericoloso in seguito). Invece no: alla luce della misericordia di Dio e del Suo Amore, anche le nostre debolezze hanno un effetto buono. Anzi; la Sua misericordia pare proprio specializzata in questo: nel trasformare gli scheletri in esseri viventi, come dice Ezechiele (Ez. 37). Del resto, ripeto, il suo principe era molto buono. Aveva passato la vita a obbedire, a cercare di fare del suo meglio, ad essere disponibile. Come poteva non meritare amore una persona così? Lei voleva ringraziarlo dal profondo del cuore per quello che era: per i suoi meriti e perché, proprio attraverso le sue imperfezioni, era stato per lei fonte di guarigione; proprio questo le aveva fatto del bene. Dice S.Paolo: "Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" (Rom. 8,28). Solo in una prospettiva d'amore questo è possibile.



Ma non finì qui. Dato che era preoccupata per lui, la principessa prese a cercare un saggio che sapesse dirle come doveva comportarsi con il principe per non ferirlo e fare la cosa giusta (oggi parleremmo di un medico, o specialista, o psicologo, o coach o così via...Ma non sono personaggi da fiaba!). Al primo tentativo andò male: la persona interpellata reagì in maniera scoraggiante. Eppure, la principessa ne ebbe un risultato positivo comunque: proprio a seguito di questo incontro, capì nuovamente qualcosa su se stessa e si avvicinò ancora un po' alla luce! 
E infine, approdò a qualcuno di veramente bravo e buono: e questo saggio, un gentiluomo un po' anziano e ricco di esperienza, prese a insegnarle (o a ricordarle) come volersi bene. "Come possono gli altri volerti bene se non sei tu la prima a farlo?". E queste parole sbrecciarono finalmente l'ultima parete: la principessa si districò dagli ultimi lacci del suo passato e giunse definitivamente alla serenità e felicità che agognava da tanto. Aveva sconfitto il nemico che si portava dentro. E questo risultato aveva raggiunto, proprio mentre e perché cercava di aiutare il suo bel principe (per di più, aveva trovato una persona buona in grado di aiutarla, il che è un miracolo a se stante).  



Finalmente, nonostante tutto il suo dolore trascorso, si sentì forte: capì che lei non era una vittima, non era condannata a subire o a rimanere assediata dal male fattole dagli altri; recuperò appieno le sue forze, la sua gioia, la sua abilità di creare felicità, per sé e per gli altri. Sentì che poteva controbattere al male che la circondava. E così altre meraviglie erano accadute. Ancora una volta, il suo bel principe era stato per lei una "stella cometa", che la portava verso il bene.
Questo è il dono della Misericordia: trasforma il male in bene, il dolore in gioia, il buio in luce. Sicuramente, sotto effetto di quella luce, anche i traumi di lui sarebbero guariti poco per volta; e la principessa ormai avvertiva che, tra loro, c'era una corrente d'amore inarrestabile e che quell'amore, il loro amore, avrebbe vinto. Non vedeva l'ora di riempirlo di sorrisi, parole dolci e carezze: tutto quello che lui attendeva da tanto tempo (continua).


giovedì 18 gennaio 2018

La ruota delle meraviglie - The wonderwheel (W.Allen, 2017)


La ruota delle meraviglie (W.Allen, 2017)

Questo è uno di quei film che, secondo me, suscitano un mucchio di domande e che bisogna commentare proprio a partire dalle domande. In effetti, mi è sembrato un po' meno riuscito di altri film di Woody Allen portati sullo schermo di recente (ne ho visti parecchi e alcuni, li ho recensiti pure sul mio blog) e i critici sono stati piuttosto severi (non so però se lo hanno capito); però, riflettendoci, mi sono resa conto che non è un film banale, tutt'altro. Vale la pena di vederlo perché il messaggio è notevole.



La prima domanda che sorge spontanea è perché il titolo "La ruota delle meraviglie". Io mi aspettavo, come minimo, che qualcuno si gettasse giù dalla ruota, ma la ruota fa solo da scenografia alla storia, che si svolge in un luna park della spiaggia di Connie Island (vicino a New York: Allen ci andava da bambino): la ruota riflette le sue luci violente, rosse e blu, sulla casa dei protagonisti (notate gli effetti cromatici esaltati dalla fotografia di V.Storaro: che senso hanno questi colori?). Appunto: perché un luna park? L'atmosfera qui è artificiale e vistosa, da paese dei balocchi e mondo delle meraviglie di cartapesta. Il narratore è Mickey (un bagnino - fusto da spiaggia anni '50, interpretato dal cantante Justin Timberlake). Ginny è una madre di famiglia e cameriera di uno dei locali del luna park (una strepitosa Kate Winslet). E' sposata con un giostraio con l'abitudine di alzare il gomito, Humpty (Jim Belushi!) e ha un figlio di primo letto, che, nei momenti liberi, fa il piromane. E qui sorge un'altra domanda: perché un ragazzino dodicenne fa il piromane? Che cosa significa?



Ginny da ragazza sognava di fare l'attrice e continua a coltivare questi sogni e rimpianti fra un piatto e l'altro del fast food, con la nostalgia di quel che non ha potuto realizzare. Per di più, ha il rimorso di avere distrutto il suo primo matrimonio e abbandonato un uomo che l'amava davvero. Altra domanda: perché Ginny ha lasciato il primo marito? Che cosa cercava nell'amante? A un certo punto, torna a casa da Humpty la sua figlia di primo letto, Carolina, che è inseguita dagli sgherri del marito, un gangster italiano; nuovo interrogativo: come ha fatto a cacciarsi in un pasticcio simile? Ma i gangster fanno parte del paesaggio urbano di W.Allen. Il padre dapprincipio non vuole vederla, poi la accetta e comincia a viziarla. il che suscita le amare recriminazioni di Ginny. Ma la vera pietra dello scandalo è il bagnino - fusto, Mickey, con velleità da autore teatrale, che avvia una relazione con la frustrata Ginny; altra domanda? Che cosa cerca in lei? Perché ci sta? Per lei, questa relazione significa la fuga da una vita soffocante e deludente, in cui ha visto morire tutti i suoi sogni. Senonché, ben presto Mickey comincia a interessarsi anche a Carolina; e qui, come vedrete, succede un pasticcio: perché Ginny, che è ferocemente gelosa, combina un disastro, per poi rifugiarsi nel suo mondo di cartapesta, costruito costruito con i cimeli teatrali che custodisce gelosamente e tra cui si atteggia da diva.



Questo film non è né una commedia (non fa ridere), ma neanche una vera tragedia, come, per esempio, Interiors: ricorda però molto le atmosfere dei drammi di Eugene O'Neill (citato qui), a metà tra tragedia classica e crudo realismo americano. Offre anche l'impressione di una pièce teatrale, recitata in un ambiente chiuso, soffocante (la casa della famiglia). La storia si regge quasi integralmente sulla magistrale interpretazione di Kate Winslet (si merita l'Oscar), che tradisce le frustrazioni, amarezze e delusioni di una casalinga, ma in una maniera per cui, guardandola, si avverte sottilmente che c'è sempre qualcosa di impostato e atteggiato nel suo comportamento. Kate Winslet riesce a recitare qualcuno che recita, dall'inizio alla fine.



Ed è qui il nocciolo del film, come anche nell'ambientazione (per questo è così importante la ruota delle meraviglie). Lo dice bene a metà vicenda Carolina, la figlia, che pare una stupidina, ma invece è l'unica, forse, ad aver imparato qualcosa dalla vita: lei ha seguito un gangster, abbagliata dal lusso e dallo splendore posticcio dell'esistenza che lui poteva offrirle; poi si è resa conto che quella era una vita di cartapesta, che nascondeva un precipizio. Quindi, anche se forse questa non è tra le pellicole più riuscite di Woody Allen, trasmette un messaggio profondo (specie in un'epoca in cui la sfera virtuale sta prendendo piede sulla realtà e la gente si nasconde dietro alla tastiera e allo schermo per vivere esistenze "vicarie", da avatar inconsistente): i sogni sono belli, ma quando diventano un pretesto per la fuga dalla realtà, portano a conseguenze morali devastanti. Vivere è importante e richiede serietà.

PS. A proposito: la piromania degli adolescenti permette di sfogare impulsi distruttivi quando ci si sente fortemente inadeguati, specie a livello sessuale. Mi viene in mente lo scialacquatore Iacopo da S.Andrea (Inferno 13), che dava a fuoco la sua villa per vedere un bel falò...



The wonderwheel (W.Allen, 2017)

This movie, in my opinion, arouses a a lot of questions and must be commented precisely on the ground of those questions. In fact, it has enjoyed less success than other recent Woody Allen's movies (I've seen several of them and rewieved some on my blog) and critics have been quite severe with it (I do not know if they understood it, though); however, this is not a trivial film, far from it. It is worth to be seen, because its message is remarkable.

The first question is why the title is "The Wonderwheel". I expected, at least, that someone would throw himself off the wheel, but the wheel is only the setting for the story, taking place in a funfair on the beach of Connie Island (near New York: Allen went there during his childhood): the wheel reflects its violent lights, red and blue, on the house of the protagonists (note the chromatic effects enhanced by V.Storaro's cinematography: what do these colors mean?). Precisely: why a funfair? The atmosphere here is artificial and conspicuous, like in a never never land. The narrator is Mickey (a lifeguard - a 50s hunk, played by singer Justin Timberlake). Ginny is a family mother and waitress at one of the fastfoods of the park (an amazing Kate Winslet). She is married to an alcoholic funfair worker, Humpty (Jim Belushi!) and has a son from a previous marriage, who, in free moments, is a pyromaniac. And here is another question: why is a twelve year old kid a pyromaniac? What does it mean?



When she was younger, Ginny dreamed of being an actress and continues to cultivate these dreams and regrets between a plate and another at the fast food, missing what she could not achieve. Moreover, she feels the remorse for having destroyed her first marriage and abandoned a man who truly loved her. Another question: why did Ginny leave her first husband? What was she looking for in her lover? Carolina, Humpty's daughter from a previous marriage, returns home, because she is chased by the henchmen of her husband, an Italian gangster; new question: how did she get into such a mess? But gangsters are a part of W.Allen's urban landscape. Her father, at first does, not want to see her, then he accepts her and begins to spoil her, which arouses Ginny's bitter recriminations. But the real stone of the scandal is the lifeguard - hunk, Mickey, with ambitions as a theatrical author, who starts a relationship with the frustrated Ginny; another question: what is he looking for in her? To her, this relationship means escaping from a suffocating and disappointing life, in which she saw all of her dreams die. However, Mickey soon becomes interested in Carolina too; and here, as you will see, a mess happens: because Ginny, who is fiercely jealous, does a disaster, and then she hides in her world of papier-mâché, built with the theatrical relics she jealously cherishes and among which she acts as a diva.



This film is neither a comedy (it isnot comical), but not even a real tragedy, like, for example, Interiors: instead, it recalls a lot Eugene O'Neill's dramas (quoted here), halfway between classic tragedy and harsh American realism. It also offers the impression of a theatrical piece, played in a closed, suffocating environment (the family home). The story is based almost entirely on the masterful interpretation of Kate Winslet (she deserves the Oscar), who betrays the frustrations, bitterness and disappointments of a housewife, but in such a way that, looking at her, one subtly feels that there is always something set and posed in her behavior. Kate Winslet manages to play someone who plays, from beginning to end.

And here is the core of the movie, as well as the meaning of the setting (that's why the wonderwheel is so important). Carolina, the daughter, tells it well: she looks like a fool, but she is the only one, perhaps, that has learned something from life: she followed a gangster, dazzled by the luxury and splendor of the existence he could offer to her; then she realized it was a papier-mâché life, hiding a precipice. So, although this may not be among Woody Allen's best films, it conveys a profound message (especially nowadays, when the virtual sphere is winning on reality and people hide behind their keyboard and screen to live "vicarious" existences, like inconsistent avatars): dreams are beautiful, but when they become a pretext to escape from reality, they lead to devastating moral consequences. Life is important and needs seriousness.



PS. By the way: teenagers' pyromania lets vent destructive impulses when one feels strongly inadequate, especially on the sexual level. I recall Iacopo da S. Andrea (Inferno 13), who set his villa on fire just to see a fine fire...

venerdì 12 gennaio 2018

A caccia dei re Magi 1


                                             L'adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano
                                                       
A caccia dei re Magi 1

Siamo abituati a vederli nel presepe, vestiti di colori sgargianti e accompagnati dai cammelli, e a chiamarli Baldassarre, Melchiorre e Gaspare; il poderoso duomo di Colonia, la chiesa di S.Bartolomeo di Brugherio e la basilica di S.Eustorgio a Milano vantano addirittura di possederne le reliquie. Sono i re Magi, protagonisti di una delle più affascinanti pagine dei Vangeli (Matteo, 2,1-12), ritenuta però spesso, anche da cristiani praticanti, una splendida fiaba, magari di significato teologico, ma nulla più. Certo, è vero che la tradizione ci ha ricamato  parecchio: i celebri nomi dei re Magi derivano da una traduzione latina di un testo greco del VI sec., gli Excerpta Latini Barbari. Ma il testo evangelico è un'altra cosa. 

Ricordo innanzitutto un principio di base: i Vangeli sono racconti storici, a scopo teologico, certo, cioè volti a parlare di Dio, ma la base è storica. Nel suo incipit, ad esempio, Luca sottolinea l'accurata ricerca da lui compiuta per stendere il suo Vangelo, mentre Giovanni è integralmente costruito come una testimonianza processuale. Matteo, di cui parleremo qui, è invece redatto per l'ambiente ebraico intorno agli 70-80: in questo caso, evidentemente, era particolarmente necessario essere precisi, dato che testimoni delle vicende narrate erano ancora in circolazione. Del resto, quando si va ad analizzare il contesto storico dei Vangeli, si trovano sempre delle conferme affascinanti. Almeno un nocciolo  storico c'è.



                                            L'adorazione dei Magi di A.Duerer

Ho spesso trovato irritante la sufficienza con cui l'uomo contemporaneo guarda ai racconti antichi: come se precisione e affidabilità non potessero esistere allora. Ma non succede solo ai Vangeli: Schliemann scoprì le rovine di Troia a un'epoca in cui vari illustri studiosi liquidavano i poemi omerici come semplici racconti di fantasia. Un po' come succede quando la polizia ignora le telefonate della vecchietta sul suo vicino inquietante, per poi scoprire una dozzina di scheletri nella cantina del suddetto vicino. Nel caso del racconto dei re Magi, spesso classificato riduttivamente come simbolico o favoloso, esistono elementi (alcuni li ho scoperti io recentissimamente) per ritenerlo storico o, comunque, realistico e verosimile. Vediamo ora perché.

Una premessa: come alcuni di voi si ricorderanno, Gesù è, bizzarramente, nato "avanti Cristo", cioè nel 6-5 a.C.: tutta colpa dell'errore di Dionigi il Piccolo, un monaco del V-VI sec. d.C. che, basandosi sulle Olimpiadi, calcolò l'anno di nascita di Gesù e si sbagliò di qualche anno:  infatti, Erode era morto nel 4 a.C., per cui qualcosa non torna. Partiamo ora dal significato della parola "magi", in greco magoi: fin dallo storico greco Erodoto o dal tragediografo Eschilo (V a.C.), esso designa i sacerdoti persiani, dediti particolarmente all'astrologia (notate che, fino alla Rivoluzione Scientifica e a Galileo, non c'era distinzione tra astrologia e astronomia). Sono quindi dei personaggi legati al culto mazdaico, cioè alla religione fondata da Zarathustra (detto da noi anche Zoroastro) nel VI sec. a.C. Nel mondo mediterraneo erano ben noti: ad esempio, il re armeno Tiridate inviò un'ambasceria di magi all'imperatore Nerone nel 66 d.C. Vero è che il mondo greco-romano li confondeva spesso con i Caldei, cioè gli astrologi babilonesi, e con gli  astrologi tout court; e alcuni studiosi preferiscono effettivamente un retroterra dato dall'astrologia babilonese per il nostro brano evangelico. Si noti però una cosa: il termine magoi aveva preso però progessivamente un significato negativo, di "mago, pratico di magia, ciarlatano": la magia è rigorosamente messa al bando da tutti gli scritti del Nuovo Testamento. Stupisce quindi che Matteo abbia recuperato dei Magi in senso positivo. Già questo è, a mio avviso, segno di un nocciolo storico ineludibile. 
Questo però ci riporta al secolare problema discusso dagli astronomi: ma qual era la stella che i Magi seguivano?



                                               I Magi nel mosaico di S.Apollinare in Classe
Non era una cometa (per quanto parli di una cometa il grande commentatore cristiano Origene, del III d.C.), anche perché le comete, nell'antichità, erano ritenute portare disgrazia: del resto, non è stata ancora identificata una cometa il cui ciclo e periodo di passaggio vicino alla Terra corrisponda all'epoca della nascita di Gesù. Una tesi corrente è che il racconto rifletta la profezia di Numeri 24, 17, pronunciata dal profeta straniero Balaam: "Una stella sorgerà da Giacobbe ecc.". Tuttavia, manca in Matteo una qualsiasi citazione proprio di questo passo biblico. Sono state date perciò anche alcune risposte scientifiche al quesito. Ebbene, come ricorda anche papa Ratzinger nel suo libro L'infanzia di Gesù e come spiega approfonditamente uno dei migliori storici dell'astronomia antica, Kocku von Stuckrad, nel suo ponderoso libro Das Ringen um die Astrologie, intorno agli anni 7-6 a.C. si è verificata una visibilissima congiunzione tra i pianeti Giove e Saturno: una congiunzione che non poteva non essere interpretata come un prodigio, nunzio di prodigi. Per di più, i due pianeti entrarono in congiunzione per ben tre volte e anche al centro della costellazione dei Pesci, luogo connesso, nelle tavole babilonesi, alla Palestina. Von Stuckrad (che però opta per un retroscena babilonese e non persiano) la richiama per spiegare in modo complesso come dietro il passo di Matteo ci sia almeno un "nocciolo storico".



                                          L'adorazione dei Magi di Beato Angelico
Io andrei ancora oltre. Ora, nel Mediterraneo greco-romano, se Giove rappresentava il sommo dio, Saturno era invece il pianeta legato al popolo ebraico: se consideriamo l'atmosfera di sincretismo diffusasi a partire dall'età ellenistica, possiamo ritenere che i magi persiani avrebbero interpretato la congiunzione come altri astronomi greco - romani. Infatti, almeno fin dall'epoca delle conquiste di Alessandro Magno (III a.C.), si era verificata una fusione sincretistica tra cultura greca e culture orientali e ciò aveva interessato soprattutto l'astronomia: perciò, prassi astronomiche, per esempio, babilonesi erano giunte ai Greci e viceversa. Il greco, del resto, si era diffuso in tutto il Medio Oriente e non era ignoto in Persia. Di converso, il famoso mitraismo, culto misterico diffuso in età imperiale e in cui ritroviamo la consueta serie planetaria, si fondava su principi derivati dallo zoroastrismo anche se poi pesantemente rivisti alla luce del platonismo. Insomma, molto probabilmente, quando i nostri Magi guardarono in su e si resero conto della straordinaria congiunzione tra Giove e Saturno pensarono automaticamente: "E' nato un re straordinario in Israele, tra i Giudei".



                                                  L'adorazione dei Magi di B.E.Murillo.
Un avvenimento come la nascita di un semplice re avrebbe smosso dei magi persiani dall'attuale Iran, per un viaggio di quasi 2.000 km (1.975, secondo Google Maps) fino a Gerusalemme? La nascita di un semplice re, probabilmente no (ci siete andati voi a Londra quando sono nati i figli di Willy e Kate Middleton?); ma la nascita di un Salvatore, assolutamente sì. Perché, se erano persiani, quando i magi sollevarono lo sguardo verso il cielo e osservarono la congiunzione tra Giove e Saturno, probabilmente (anzi, sicuramente) non pensarono solo "è nato un grande re in Israele", bensì "in Israele è nato il Saoshyant": cioè il Salvatore atteso dalla religione mazdaica.
(continua)

Bibliografia essenziale

K.Nestle-B.Aland, Novum Testamentum Graece. 
Benedetto XVI, L'infanzia di Gesù, Milano 2012.
L.Rocci, Vocabolario Greco-italiano. 
K.von Stuckrad, Das Ringen um die Astrologie, Berlin, 2000.

domenica 7 gennaio 2018

Gelato di crema e pere (o gelato di Luigi XIV....)


Gelato di crema e pere (o gelato di Luigi XIV....)


Ecco qui la mia rivisitazione di una "ricetta storica": un gelato simile, squisito, viene preparato dal protagonista per il Re Sole nel bel romanzo Il pasticciere del re, di Anthony Capella: un romanzo storico ambientato a Versailles e nella Londra di Carlo II Stuart, e che ruota intorno al gelato. Le ricette del libro sono basate su di una pubblicazione autentica dell'epoca, The Book of Ices. La mia versione è meno blasonata, però....molto dolce.

100 gr. di zucchero
2 tuorli d'uovo
300 ml di latte
un poco di aroma di vaniglia
(ma provate pure un poco di spumante in alternativa)
2 pere

Mescolate i tuorli con lo zucchero, aggiungete la vaniglia (o lo spumante), quindi il latte poco per volta; infine, mettete su fuoco moderato e mescolate per alcuni minuti finché il composto non diventa più cremoso e denso. Allora, togliete subito dal fuoco, lasciate raffreddare, infine, aggiungete le pere frullate. Dopo aver mescolato per bene, mettete in freezer: togliete ogni ora dal congelatore per mescolare; secondo la mmia esperienza, il gelato prende la giusta consistenza dopo 5-6 ore.


Ice cream with custard and pears (or Louis XIV's ice cream....)

Here is my version of a "historical recipe": a similar, exquisite ice cream is prepared for Louis XIV by the main character in the beautiful novel by Anthony Capella: a historical novel set in Versailles and in Charles II Stuart's London, and revolving around the ice cream. The book's recipes are based on an authentic publication of the time, The Book of Ices. My version is less aristocratic, though.... very sweet.

100 gr. sugar
2 egg yolks
300 ml milk
A little vanilla aroma
(but try a little sparkling wine too)
2 pears

Mix the yolks with the sugar, add vanilla (or the sparkling wine), then a little milk at a time; finally, put on moderate heat and stir for a few minutes until the mixture becomes more creamy and thicker. Then, immediately remove from the fire, let it cool down, then add the battered pears. After stirring well, place in the freezer: take it out every hour from the freezer to mix it; according to my experience, the ice cream gets the right texture after 5-6 hours.


martedì 2 gennaio 2018

Vincere ansie, fobie e paure varie (3 puntata)

Vincere ansie, fobie e paure varie (3 puntata)

Come da promessa, anche se un po'  in ritardo, eccomi qui con la terza puntata su come vincere l'ansia. Questa volta affrontiamo il rimuginare: la serie proseguirà, però probabilmente con un altro titolo, dato che, come  promesso ai miei buoni vecchi allievi dell'anno scorso, potrei continuare con le tattiche impiegate per la resistenza mentale dalle forze speciali: alcune sono davvero semplici e interessanti!


Il problema dei rimuginamenti vari

Uno degli aspetti più tipici dell'ansia, sociale o meno, sono i rimuginamenti. Prima di affrontare la situazione, la persona rimugina, rimugina, rimugina (...) su quel che deve affrontare in futuro...e, in proporzione, l'ansia cresce. Proprio tutto questo rimuginare carica, carica, carica l'emotività, come se la gonfiasse stile pompa da bicicletta. Noi pensiamo di essere ansiosi, mentre invece ruminiamo troppo: stranamente, è il nostro cervello che è in sovraccarico!
Secondo alcune ricerche scientifiche recenti, si è notato che in una coppia in cui uno dei due è ansioso, la comunicazione diventa più difficile perché l'ansioso è talmente preso dai suoi rimuginamenti che non presta sufficiente attenzione a quello che fa o dice l'altro.
Il rimuginare si accompagna al cosiddetto "automonitoraggio": l'ansioso si auto-osserva in continuazione ed è estremamente autocosciente di tutto quello che gli accade, anche di quello che dovrebbe normalmente rimanere spontaneo; infatti, il suo scopo è di iper-controllare ogni aspetto di sé. Inevitabilmente però, il suo comportamento, a furia di rimuginare e auto-controllarsi, diventa esitante, indeciso e poco spontaneo. Ottiene proprio il contrario di quanto vorrebbe.


Perciò, il rimuginamento va resettato alla radice: va del tutto evitato, come se si passasse la cimosa sulla lavagna. Infatti, non serve a niente, anzi è nocivo. In realtà, nella vita quotidiana, noi rimuginiamo molto poco prima di dire o fare qualcosa e agiamo spontaneamente. Bisogna quindi che impariamo ad agire e a parlare senza rifletterci prima. Il mio pubblico di ansiosi sarà preso dalla fifa al solo pensarci: e se ci si sbaglia? Se si fanno delle gaffes? E se succede un pasticcio? (ecc. ecc. ecc.). In realtà: lanciamoci! Infatti:

  • ·         L'ansioso è di solito tanto guardingo che è estremamente difficile si comporti in modo inadeguato anche se "si lancia": in realtà, ha molti freni interni, per cui, anche se lasciato libero, indovinerà l'atteggiamento giusto d'istinto.
  • ·         Se fa un errore, pazienza, non è grave. La stragrande maggioranza degli errori (in fin dei conti piccoli) che commettiamo nella vita quotidiana, sono facilmente rimediabili. Molto meglio, in ogni caso, che bloccarsi del tutto.
  • ·         Il rischio dell'errore va assunto comunque, ma rimane un rischio accettabile. Cioè, non succede comunque una catastrofe. Inoltre, se anche commettiamo uno sbaglio, la nostra mente impara immediatamente da esso e aggiusta il tiro per la prossima volta in modo spontaneo (lasciamo fare al nostro cervello il suo mestiere in santa pace....).
  • ·         Se impariamo a "lanciarci", vedremo che, in realtà, le cose vanno decisamente meglio. Infatti, gli altri non percepiranno quello schermo di esitazione che rende il nostro comportamento innaturale e le cose si sistemeranno da sole. Il nostro scopo è difatti un atteggiamento naturalmente armonioso, spontaneo, proprio come quando "guidiamo una bici".
  • ·         Alcuni terapeuti consigliano addirittura di "osare il ridicolo", cioè di azzardarci ad andare oltre ai nostri limiti e paure, verso quello che, secondo noi, potrebbe farci rischiare la brutta figura. Ben presto ci renderemo conto che non succede niente di grave, ma che era solo la nostra ansia a ingigantire la situazione.
Insisto sul fatto che ho provato sulla mia pelle l'efficacia di quanto sto scrivendo



                                                Questo è molto tranqullizzante.....

Insomma, arriva un momento che ognuno di noi dovrebbe "stufarsi" delle  proprie ansie e paure e mandarle tranquillamente a quel paese. Ho detto in precedenza che la paura può guidarci verso quello che è importante per noi: sì, ma quando esagera, diventa un elemento di disturbo. Per resettare i nostri pensieri negativi o ansiogeni, allora, il metodo migliore non è prenderli di petto, con virulenza (non fanno che peggiorare), bensì, semplicemente, accettarli e poi lasciarli perdere, con indifferenza. Chi è che comanda dentro di noi?

E' un sistema che ho già divulgato nel mio blog in un'altra pagina: i pensieri negativi nascono in origine con funzione protettiva, ma poi diventano un'autentica palla al piede. Quando si presentano, è molto utile affrontarli così: "Va bene, caro, tu dici che devo avere paura in questa situazione e pensi di dirlo per il mio bene; ma io non sono d'accordo e faccio diversamente. Bye-bye". Volete vedere che la fifa se ne va? (Come le zanzare della  pubblicità del Raid...No, il mio pubblico non può ricordarsela, era dell'epoca di Carosello; anzi, no, quelle zanzare rimanevano stecchite...).


Ecco perché, ad esempio, funziona molto bene anche il sistema di spostare l'attenzione. Ad esempio, sono all'interrogazione e invece di macerarmi le meningi in modo autolesionista a pensare che tanto non ricorderò niente, eccomi qui a concentrarmi su quanto è orribile il maglioncino della prof (di certo non i miei, sto parlando di altre materie...). Chissà perché, la paura svanisce. Poi, dopo alcuni minuti, se ne è andata da sola. Fine.

Vorrei attirare l'attenzione del mio gentile pubblico anche su un altro dettaglio. La paura (o ansia, o fifa, come volete chiamarla) è legata spesso a dei presupposti assurdi: siccome, invariabilmente, all'ansioso hanno invaso tutto il suo spazio nel suo punto debole, ecco che lui / lei pretende da se stesso l'impossibile, per cui finisce per rimuginare, pretendere da se stesso cose assurde e bloccarsi. Per farvi capire, faccio un esempio, desunto dall'esperienza di una persona che conoscevo.



Allora, questa ragazza aveva la fobia dei bagni pubblici: le era venuta perché temeva sempre di non fare abbastanza alla svelta in bagno dato che a casa sua non le lasciavano la privacy di cui aveva bisogno (c'era sempre qualcuno a rompere le scatole fuori della porta, in parole povere). Quindi, lei aveva sviluppato l'idea assurda che avrebbe dovuto andare alla toilette pubblica con tempistiche degne di Speedy Gonzales o di Flash Gordon. A furia di invaderle il campo, l'avevano implicitamente convinta che lei non fosse capace di usare la toilette pubblica come tutti. Quando ha cominciato ad applicare i suoi esercizi di esposizione, poco per volta si è resa conto che pretendeva da se stessa troppo:  in fin dei conti, gli altri si prendevano il tempo che volevano in bagno, anche alcuni minuti. E' arrivato quindi il momento che è riuscita a dirsi: "Ma io me ne infischio, anche se c'è la coda fuori della porta. Io mi prendo il mio tempo!". Detto, fatto: usando poi lo stratagemma di spostare l'attenzione, è riuscita ad azzerare i suoi rimuginamenti e a battere la sua fobia. Vittoria! Quindi, potete vincere alla stessa maniera anche voi. 
(continua, probabilmente con altro titolo)


lunedì 1 gennaio 2018

I misteri di Venezia (1)


I misteri di Venezia (1)

Ecco qui il riassunto di un magnifico documentario francese su Venezia e i suoi misteri, andato in onda nel 2015 per la serie L'ombre d'un doute: ho fatto alcune aggiunte e correzioni io però. Ecco il link al documentario:

https://www.youtube.com/watch?v=Jh_6hCiBNSw&t=61s

Fondata nel V sec. d.C. su Rialto, la maggiore isola della laguna veneta, da fuggiaschi che volevano evitare le devastazioni delle orde barbariche, Venezia vede consolidarsi il suo sistema politico fin dal VII sec. con il doge a suo capo (dal latino dux, "comandante": si trattava di un titolo militare bizantino), il cui potere però è limitato da altre istituzioni. Venezia comincia ad arricchirsi grazie soprattutto al commercio del sale; e, nel IX secolo, avviene un fatto che ne sancisce l'importanza fondamentale. 


Nel giugno 826, due mercanti veneziani, Bruno di Malamocco e Rustico di Torcello, partono alla volta di Alessandria con la segreta missione, da parte del doge Angelo Partecipazio, di riportare a Venezia le reliquie dell'evangelista Marco. Infatti, nel Medioevo, le reliquie conferivano grande importanza a una città o a una chiesa e Venezia aveva bisogno delle sue per sottolineare la sua potenza. I due mercanti riescono (non si sa come) a ottenere le reliquie dai pochi monaci impauriti che le custodivano, quindi le trasportano per Alessandria nascoste sotto della carne di maiale (kanzir, in arabo). Perciò, al momento dei controlli al porto, i doganieri arabi si ritraggono inorriditi e le reliquie partono senza problemi. A mia conoscenza, i due mercanti, invece, avevano adocchiato il pesantissimo sarcofago del santo e, travestiti da Arabi cenciosi, avevano scommesso con il capocantiere che stava smantellando la chiesa di S.Marco, di essere in grado di trasportarlo: poi però avrebbero preso la fuga, sotto il naso del capocantiere....


La nave rientra a Venezia il 31 gennaio 828: ora Venezia può rivaleggiare con Roma e Costantinopoli e godere della protezione di S.Marco, rappresentato dal leone: una vera e propria operazione politica, volta ad esaltare la Serenissima. Subito comincia ad essere costruita una basilica in onore del santo: la cripta dell'attuale S.Marco ospita i resti di quell'edificio e, ancor oggi, nessuno può accedervi (la cripta viene mostrata nel video al minuto 10.00). La basilica però rimane vittima di un terribile incendio nel 976.
Essa viene ricostruita nel 1094: ma, dopo un secolo, non si sa più dove sono finite le reliquie di S.Marco. Allora il doge indice un digiuno generale per 3 giorni; il terzo giorno, un braccio del santo emerge da sotto un blocco di marmo della basilica e le reliquie vengono così ritrovate. Tuttavia, dall'828 i copti d'Egitto reclamano le reliquie di S.Marco; solo nel 1968 papa Paolo VI accettò di "restituirle". In realtà, si trattava di reliquie di contatto, ovvero di un tessuto messo a contatto con la tomba del santo. Al Cairo è in seguito sorta la cattedrale di S.Marco per ospitarle.


                                                              La cripta di S.Marco
Frattanto, il dominio di Venezia continua a crescere: essa occupa così le coste dalmate. La grandezza della città viene celebrata tutti gli anni per l'Ascensione, quando il doge, a bordo del celebre Bucintoro, si reca al largo e getta un anello d'oro in mare per rappresentare il matrimonio tra la città e il mare stesso: è la "Sensa".
Venezia aspira a essere la più importante città del Mediterraneo; è in rivalità quindi con la sua madrepatria, Costantinopoli (si ricordi che Venezia era, nell'Alto Medioevo, territorio bizantino). Il 12 aprile 1204, i crociati avrebbero saccheggiato Costantinopoli proprio su mandato dei Veneziani: infatti, quando era stata organizzata la IV crociata (predicata da Innocenzo III), il doge Enrico Dandolo aveva chiesto per il trasporto dei crociati una somma così alta, che questi si erano trovati in debito ed erano rimasti bloccati al Lido (aggiungo io: erano 85.000 marche imperiali di argento). Allora, il doge avrebbe suggerito che si sdebitassero conquistando per lui una città dalmata (cristiana però): Zara, essenziale per controllare i traffici dell'Adriatico. La spedizione è guidata dal doge stesso, che occupa Zara il 24 novembre 1202. 


La versione dello storico di Venezia A.Zorzi è un po' diversa: in realtà, i Veneziani avevano stipulato con i Crociati un regolare contratto di trasporto e avevano allestito loro stessi una flotta, pagando di tasca loro e trovandosi poi a spendere per i crociati inoperosi al Lido; il problema è che parecchi baroni non si presentarono all'appuntamento a Venezia, per cui la crociata "si sbriciolò", come dicono gli storici, senza che fosse stabilito un vero obiettivo comune (Egitto? Siria?) e senza che i Veneziani fosero pagati delle spese. Enrico Dandolo prese la direzione dell'impresa per salvare il salvabile e trasformò il contratto di trasporto in una compartecipazione totale; ma l'idea di attaccare Zara sarebbe venuta ai crociati stessi, già allettati da Alessio (vedi sotto) e dalle sue promesse. La sosta a Zara, così come la sottomissione di Trieste e Muggia, servivano anche e soprattutto per i rifornimenti: il problema fu che gli abitanti di Zara opposero resistenza e, così come l'idea di sbarcare in Dalmazia venne in corso d'opera, anche l'assedio si presentò come una necessità all'ultimo momento. E Innocenzo III, a causa di questo conflitto tra cristiani, scomunicò i Veneziani (su cui i baroni avevano scaricato la loro responsabilità).


A Zara, intanto, giunge in visita Alessio, l'erede al trono bizantino decaduto, figlio di Isacco Angelo: e questi chiede all'armata di aiutarlo a riconquistare la sovranità promettendo un compenso straordinario e 20.000 soldati in aggiunta per la conquista della Terra Santa (secondo Zorzi, i Veneziani avrebbero semplicemente seguito il volere dei baroni, preoccupati di recuperare le spese). I crociati giungono così nel Bosforo nell'estate 1203 e reinstallano Alessio senza problemi sul trono: in realtà, sottolinea Zorzi, nessuno aspettava Alessio a Bisanzio, per cui i crociati dovettero reinsediarlo con la forza, provocando la xenofobia dei Greci. Tra i militari acquartierati a Bisanzio, per volere del nuovo imperatore Alessio IV, che abbisognava del loro sostegno, e gli abitanti cominciarono a volare scintille; così, Alessio IV prese a dilazionare il pagamento. Secondo il documentario, allora, Dandolo avrebbe scatenato i crociati sulla città. In realtà, il problema era sempre il solito, i crociati avevano bisogno di risorse e, quando Alessio IV fu infine ucciso, dovettero allora riprendere la città (mentre Dandolo cercava di mediare col nuovo sovrano, Alessio V). Si giunse così all'orrore del saccheggio di Costantinopoli, uno dei peggiori della storia del  cristianesimo (anche se qui il cristianesimo c'entra poco): donne violentate, bambini uccisi, crociati che insozzano le chiese intrattenendosi con le prostitute. 


Molte opere d'arte vennero rubate: ad esempio, i quattro cavalli che dominano S.Marco provengono dal circo di Costantinopoli. Anche il tesoro della basilica contiene vari beni razziati a Bisanzio, come la famosa Pala d'oro, conservata dietro l'altar maggiore: una pala d'oro in cui sono incastonate 3.000 pietre preziose. Al minuto 21, viene mostrata una preziossima scatola in smalto, fabbricata per contenere una reliquia della Santa Croce. Dandolo morirà proprio a Bisanzio nel 1205 e il crollo dell'impero romano d'Oriente assicurerà alla sua Venezia il primato commerciale e sui mari. Quanto al saccheggio, è stato un trauma profondo, rimasto tra le chiese d'Occidente e d'Oriente finché, il 28 giugno 2004, Giovanni Paolo II chiede perdono al patriarca di Costantinopoli.
Al minuto 24, viene mostrato l'Arsenale, dove venivano costruite le navi veneziane. Nel 1270 il re di Francia S.Luigi impone la pace a Genova e Venezia in lotta; ma è solo una tregua. Il simbolo migliore dello spirito d'iniziativa di Venezia nel Medioevo è Marco Polo, che vi rientra, vestito in foggia orientale, nel 1295 (secondo la leggenda, al ritorno dei Polo essi avrebbero dovuto soltanto aprire i loro manti per farne cadere pietre preziose in quantità, segno della straordinaria ricchezza acquisita all'estero). I Polo sono mercanti, specializzati nel commercio del preziosissimo pepe: nel 1271 quando Marco ha 17 anni, parte col padre e lo zio e attraversa il Medio Oriente, l'Asia centrale, il deserto di Gobi, per giungere nel 1275 a Kambaluc, odierna Pechino, dove incontra finalmente Kublai Khan. Copito dall'intelligenza del giovane Marco, l'imperatore gli affida la missione di esploratore ed osservatore suo personale per tutta la kilometrica estensione del suo impero. Tornato in Occidente, nel 1296, Marco Polo viene fatto prigioniero dai Genovesi; in carcere, dato che non sa scrivere, egli detta a Rustichello da Pisa, un erudito, le sue memorie, frutto di 20 anni di viaggi appassionanti per le terre dell'Estremo Oriente. Nasce così il Milione: descrizione delle meraviglie d'Oriente, dal sistema postale, ai canali, la seta, la cartamoneta...


                                                   Il testamento autentico di Marco Polo
La sinologa Frances Woods, nel 1995, pubblica un libro in cui contesta la realtà dei viaggi di Marco Polo in Cina: secondo lei, Polo sarebbe arrivato tutt'al più nei pressi del Mar Nero, ma non oltre, perché non ha lasciato traccia di sé negli archivi cinesi. La studiosa, letteralmente messa da parte dalla comunità universitaria, spiega però che Marco Polo, nel Milione, non parla né di bacchette, né di tè, né della Grande Muraglia, né dell'uso di stringere i piedi alle donne; insomma, mancano dall'opera molti aspetti della cultura cinese autentica del 1200. Non solo: la sua descrizione delle navi cinesi è contraddetta dai ritrovamenti dell'archeologia subacquea; ad es., lui descrive delle navi a 5 alberi, quando ne avevano 2. D'altro canto, le fonti cinesi o mongole dell'epoca annoverano Francesi, Tedeschi, Bulgari, ma non Italiani e men che meno Marco Polo.
Si potrebbe dubitare persino della sua esistenza: ma alla Biblioteca Marciana di Venezia è conservato il suo testamento (minuto 32). In latino, datato al 1324, poco prima della morte del personaggio, è stato redatto dal notaio; nulla nel testo conferma il famoso viaggio in Cina: tutt'al più, M.Polo vi rende la libertà a uno schiavo tartaro che aveva portato con sé dall'Oriente. Come avrebbe allora appreso tutte le cose che ha dettato nel Milione? La sinologa F.Woods risponde: dai racconti di altri viaggiatori. E' dello stesso avviso anche il nostro archeologo D.Petrella.


                                                          Enrico III di Francia
La fortuna della Serenissima dipendeva dalla stabilità delle sue istituzioni, che, in un'epoca di assolutismi, garantivano quasi una distinzione moderna di poteri (esecutivo, destinato al Collegio; legislativo, al Senato; infine il Consiglio dei 10, nato nel 1310, cui spettava il giudiziario; ma c'erano, aggiungo io, anche altre istituzioni, come il Maggior Consiglio o le Quarantie). Venezia cnquista la terraferma, allargando il suo territorio nel Veneto; ma già nel 1500 comincia il declino, specie a causa della scoperta dell'America e del conseguente spostamento dei traffici commerciali. Il 7 ottobre 1571, durante la battaglia di Lepanto contro i Turchi, Venezia vince, ma perde buona parte della sua flotta. Allora, nel luglio 1574, quando arriva in città il nuovo re di Francia Enrico III, figlio di Caterina de'Medici, la visita possiede un valore propagandistico enorme. Ordine tassativo del doge: mostrare il massimo fasto possibile per stupire il proprio vicino francese. Addirittura, vengono fatte rientrare tutte le imbarcazioni che erano fuori, per fare degno corteggio al sovrano.
Il 30 maggio 1574 era morto Carlo IX, fratello maggiore del nuovo re; Enrico si trovava invece in Polonia, dove aveva acquisito il trono, ma la madre gli ingiunse di tornare da Cracovia. Il giovane re, il 17 luglio, fa sosta comunque a Venezia, dove rimane per 10 giorni. Centinaia di giovani vengono messi al suo servizio; il 18 luglio, il Bucintoro lo porta assieme al doge a S.Nicola del Lido, dove nientedimeno che Palladio ha eretto un arco trionfale in suo onore. Il re risiede al Palazzo Foscari: dal balcone, può ammirare i maestri vetrai di Murano che soffiano il vetro forgiando delle meraviglie solo per lui; segue una regata organizzata apposta. A Palazzo Ducale viene organizzato un banchetto di 3.000 coperti; la sera i fuochi d'artificio accendono il cielo. Ogni giorno il re assiste a una sorpresa nuova e gli viene fatto visitare addirittura l'Arsenale, dove gli operai costruiscono una nave al suo cospetto mentre lui fa colazione! 


                                                     Veronica Franco, poetessa e cortigiana
Ma il re è affascinato anche da ben altro: al Palazzo Foscari chiede una cappella e un'uscita segreta per assentarsi la notte (e può tornare anche alle 11 del mattino): senza dubbio, va a godersi la vita notturna della città, che è celebre per le sue cortigiane. Queste presenze sono dovute al fatto che Venezia è un porto (13.000 prostitute per 200.000 abitanti); tuttavia, esiste anche una prostituzione di lusso, di livello aristocratico, con cortigiane che amano l'arte e la letteratura e che son dette "cortigiane oneste". Al minuto 41, il video mostra l'elenco di queste cortigiane oneste, che porta, alla sezione 204, il nome di Veronica Franco; il registro riporta anche il nome di sua madre, Paola Franco. I sonetti dedicati dalla Franco al re di Francia mostrano che lei ne ricevette una forte impressione e lo descrive come un amante eccezionale (e dire che un malinteso storico descriveva Enrico III come omosessuale...). Enrico III ripartì il 27 luglio per la Francia.
Il Cinquecento, anche se è l'inizio della decadenza di Venezia, vede anche il massimo fulgore delle sue arti: Tintoretto, Tiziano, Veronese rivaleggiano coi loro colori; Tiziano però muore di peste nel 1575, anno di una grande pestilenza. Una nuova peste, quella celebre del 1630, induce il doge a pronunciare un voto: erigere una basilica in onore della Madonna se allontanerà il flagello da Venezia. E, difatti, nasce così S.Maria della Salute, opera di Baldassarre Longhena, terminata nel 1680 e costruita su più di un milione di pali in legno. 


                                                        La Venere di Urbino, di Tiziano
Ma spostiamoci all'inverno 1636, nel ghetto ebraico, durante la festa di Purim (il carnevale ebraico): a mezzogiorno, le porte del ghetto vengono chiuse senza preavviso dagli sbirri, che cercano il ladro che ha rapinato a un ricco patrizio veneto ben 70.000 ducati, una somma enorme. Tutte le case sono perquisite, ma il fatto denuncia l'atmosfera di diffidenza di cui gli Ebrei sono circondati, persino in  una delle poche città d'Occidente che li accoglie. Perché? Al minuto 46 potrete vedere uno straordinario Al Pacino che interpreta Shylock, l'ebreo del Mercante di Venezia: il punto è che la Serenissima ha bisogno di finanziatori come i banchieri ebrei; e così questi vengono installati nel "Ghetto", prima zona ebraica delimitata con quel nome, dal veneziano per "fonderia". Il ghetto era nella zona di Cannaregio, nel Nord della città: al minuto 47 potete vedere il decreto originale del 1516 redatto per la sua istituzione. Prima gli Ebrei erano sparsi per la città, ma vi potevano risiedere solo per 15 giorni; dal 1516 poterono soffermarsi più a lungo, ma solo rimanendo nel ghetto per non "contaminare" i fedeli cattolici, come dice il documento (...). Le porte del ghetto sono chiuse la notte e le guardie lo sorvegliano a spese degli Ebrei stessi. Essi devono inoltre portare un cappello giallo distintivo, il loro cimitero è separato e situato al Lido, inoltre possono esercitare solo i mestieri di rigattiere e prestatore. Nonostante le condizioni draconiane, gli Ebrei affluiscono in gran numero a Venezia, ma, siccome non possono uscire dal ghetto, ecco allora sorgervi case altissime, fino a 8-9 piani. Da 700, installati nel "ghetto novo", gli Ebrei dilagano poi nel "ghetto vecchio" e poi nel "nuovissimo" fino a raggiungere la cifra di 4.000. Entro il '700, gli Ebrei veneziani avranno pagato alla Serenissima ben 800.000 ducati, una cifra enorme, per risiedervi, seppur in condizioni discrete, di certo migliori che altrove.


                                                                    Il cafè Florian

Nel '700 Venezia si mantiene neutrale, perché sta declinando enormemente; ma diventa la capitale dei divertimenti. Al minuto 51 potete vedere il presentatore dentro il Caffè Florian (lui dice che è stato aperto nel 1720, ma la data autentica è il 1725; voglio ricordare anche il Lavena, 1750, e il Quadri, 1775). Il documentario ci presenta poi la figura dell'ambasciatore francese a Venezia nel 1752, l'abbé de Bernis (François-Joachim-Pierre de Bernis), che risiedeva in un superbo palazzo a Cannaregio. Destinato a diventare cardinale e primo ministro, protetto dalla marchesa di Pompadour (la potentissima favorita di Luigi XV), verrà soprannominato il "cardinale dei piaceri", tanto era esteta e amante del lusso, della buona tavola, che imbandiva sovente con cibi raffinati, in onore di tutti gli ospiti di riguardo che passavano per Venezia. Grazie alla marchesa, lui, un letterato privo di esperienza diplomatica diventò ambasciatore a Venezia, ma era deciso a fare un ottimo lavoro per motivi di carriera; difatti, ottenne la stima dei governanti veneti, mentre a Versailles si erano dimenticati di lui. Il suo nome è associato a quello di Giacomo Casanova: all'epoca, tra "casini", sale da gioco, feste e carnevale (che durava 6 mesi), a Venezia ci si divertiva in continuazione e le maschere permettevano l'anonimato. E' Casanova che riferisce di essere stato spiato da Bernis mentre era con la sua amante e di avere partecipato con l'ambasciatore a delle serate non proprio pie: ovviamente, poi Bernis diede di se stesso un ritratto ben più casto. 
Ma su Casanova e la sua celeberrima fuga dai piombi, dobbiamo aspettare la seconda parte...(continua). 

Cfr. A.Zorzi, La Repubblica del Leone, 1980 (2)