domenica 15 aprile 2018

Il mio nuovo libro - Anguera aveva ragione


Il mio nuovo libro - Anguera aveva ragione

Cari Amici,
ecco qui il mio nuovo libro, pubblicato dall'editore Fede e Cultura, di Verona, nello scorso gennaio:

http://www.fedecultura.com/p/vetrina_30.html#!/Anguera-aveva-ragione/p/99766424/category=0




Questo libro è il frutto di 5 anni di ricerche e di un'analisi attenta e rigorosa dei messaggi che la Vergine darebbe, dal 29 settembre 1987, a un signore oggi di mezza età, allora diciottenne, Pedro Regis, ad Anguera, diocesi di Santana de Feira, presso Salvador Bahia in Brasile. Ho potuto incontrarlo più volte, parlare con lui e ne ho ricavato la convinzione che si tratti di una persona equilibrata. Inoltre, i messaggi contengono una vasta serie di appelli a costruire una vera e propria "civiltà dell'Amore" che l'Apparsa tratteggia con accenti accorati, perché ci vuole "felici in questa vita e nell'altra". Essi si mostrano del tutto fedeli alla dottrina cattolica e insistono sulla preghiera, l'amore vicendevole, la fedeltà alla Chiesa, la frequenza ai sacramenti, l'amore per gli ultimi e i poveri. 



                                                             Col veggente, il sig.Pedro Regis

I messaggi superano ormai i 4.000 e comprendono anche un ricco insieme di profezie, probabilmente il corpus profetico più importante dell'ultimo secolo. Uno in particolare riprende il dettato del famoso Terzo Segreto di Fatima. Per studiarle, le ho raggruppate per argomenti, verificate nell'originale portoghese, analizzate e confrontate con i testi biblici, quindi con una ricca bibliografia di carattere geopolitico. Effettivamente, il quadro che ne esce è attendibile e compatibile con gli eventi di questi ultimi anni: sono profezie che si stanno progressivamente avverando. Il mio auspicio è che questo studio possa favorire l'evangelizzazione ed il lavoro della commissione istituita dal vescovo di Santana de Feira, mons. Zanoni Demettino Castro.

Chi fosse interessato all'acquisto può direttamente rivolgersi a me, oppure acquistare l'e-book o il cartaceo sul sito dell'editore al link sopra. Alcune copie sono disponibili anche alla cartoleria Mazzoni in via Pomposa a Ferrara e in altre librerie. 


lunedì 9 aprile 2018

La Passione (2)

La Passione (2)

Il processo ebraico

Una delle scene più impressionanti della Passione di Mel Gibson è proprio quella del processo ebraico. Mattia Sbragia, il bravissimo attore che interpretava Caifa, disse che, al vederla, era rimasto "sconvolto". La scena tradisce infatti l'astio e la violenza che contraddistinsero il processo di Gesù, come spesso succede a tutti i processi capitali. Al termine della seduta, i presenti cominciano a picchiare Gesù e a sputargli addosso, per quanto Lui sia del tutto indifeso e legato (e i Vangeli riportano che aveva già ricevuto un pesante schiaffo da una guardia, cfr. Gv. 18,22, senza contare le botte già ricevute dagli sgherri del Tempio).



La gente ignora che cosa siano sul serio i processi capitali. Molti pensano che, durante un processo con eventuale condanna a morte, sia possibile godere della dovuta serenità e agire con distacco: non è affatto vero. L'atmosfera è consuetamente inquinata da odio e disprezzo crescenti per il condannato. Di solito, giurie e giudici si radunano con un forte pregiudizio negativo contro l'imputato e, troppo spesso, più o meno inconsapevolmente, fanno questo "ragionamento": "Abbiamo già deciso che dobbiamo condannarlo a morte, poi troveremo la motivazione". Nel caso di Gesù è andata evidentemente proprio così: prima Gesù è stato arrestato, poi gli astanti hanno cominciato a discutere sulle cause per ritenerlo reo di morte. Di qui l'affastellarsi di varie accuse, non ritenute però dal Sommo Sacerdote pienamente soddisfacenti. Erano accuse false (cioè prnunciate con cuore falso, pur utilizzando elementi di verità): un peccato gravissimo per Esodo 20,16. Ricordiamo che non tutti i reati passibili di morte nel diritto giudaico valevano per i Romani, gli unici che detenevano, essendo la Giudea occupata da loro, la giurisdizione per giustiziare qualcuno (cfr. Gv. 18,31). E i Romani erano, ovviamente, alieni alle sentenze per motivi religiosi.


Vale la pena allora ricordare brevemente la situazione politica della Giudea di allora. L'attuale Palestina era suddivisa in varie zone: la Galilea, ad esempio, era affidata al tetrarca (= re di una quarta parte del territorio) Erode Antipa, figlio di Erode il Grande. La Giudea, invece, era governata dai Romani, da un prefetto, quindi da un personaggio di rango equestre, un cavaliere, non un senatore, direttamente dipendente dall'imperatore (che, a quell'epoca, era Tiberio) e che risiedeva nella città costiera di Cesarea. Come vedremo, allora si trattava di Ponzio Pilato, che, per le feste, si recava a Gerusalemme. I Romani, come sempre, cooptavano le classi dirigenti dei popoli conquistati per governare la regione con la loro collaborazione: e, di regola, le élites avevano il loro tornaconto a cooperare. Nel caso della Palestina, i Romani avevano ottenuto la collaborazione dei sadducei, l'aristocrazia, soprattutto sacerdotale, ma anche laica, che possedeva buona parte delle terre e controllava il Sinedrio ("seduta"), cioè il consiglio di governo di 71 membri a capo della politica interna e più alto organo religioso e giudiziario di Israele. Il Sinedrio contava anche dei farisei ed è possibile che fosse diviso in commissioni minori: si riuniva quotidianamente e pubblicamente nella Sala delle Pietre Squadrate, presso il Cortile dei Sacerdoti nel Tempio. Tuttavia, all'epoca di Gesù era dominato dai sadducei. 

                                                               Trinità di Masaccio, 1428

Sono i sadducei (che poco compaiono nei Vangeli) i veri responsabili della morte di Gesù, più che i celebri farisei, i dottori della legge più simili a dei "borghesi", specialisti della Torah, la Legge d'Israele. Sono i farisei quelli che discutono perennemente di halakhah, applicazione della Legge, con Gesù e che nei Vangeli appaiono così rigidi; in realtà avevano molti meriti e sono loro che hanno letteralmente salvato il giudaismo dopo la catastrofe della distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70. Il giudaismo focalizzato sulla sinagoga risale a loro e molto il cristianesimo ha in comune con loro, come la fede nell'immortalità dell'anima e nell'esistenza degli angeli. I sadducei, invece, che costituivano il grosso dei sacerdoti, sono scomparsi col Tempio. E sono proprio loro, quelli che non credevano nell'immortalità dell'anima perché si attenevano solo al Pentateuco - dove di questo non si parla - e che perciò rivolgono a Gesù una bizzarra domanda (cfr. Mt. 22,23-33), sono loro, i ricchi e i potenti, che hanno voluto Gesù morto. Lui ha turbato il Tempio cacciandone i venditori (cfr. Gv. 2,12-33), cioè i traffici che vi si svolgevano e da cui l'aristocrazia sacerdotale ricavava lauti guadagni. Inoltre, devono avere ritenuto Gesù un disturbo all'ordine costituito e a loro favorevole. L'azione dei sadducei, più discreta e surrettizia, è stata quindi tanto più micidiale.

                                        L'esterno della tomba di Anna, il sommo sacerdote

Da anni, la carica di Sommo Sacerdote era appannaggio della famiglia di Anna, nominato nel 5 e deposto nel 15 d.C., ma ancora potente; ed era passata, di volta in volta, ai suoi 5 figli alternativamente. Anna non doveva tuttavia essere molto soddisfatto dei figli, perché il membro della famiglia che resistette più a lungo in carica fu l'astuto Caifa, il genero, dal 18 al 37 d.C. Tutti costoro avevano praticamente comprato la carica dai Romani, che trattenevano anche la preziosissima veste del Sommo Sacerdote, adorna di pietre preziose. Quando Gesù fu arrestato al Monte degli Ulivi, le guardie del Tempio (che godevano pessima fama presso la popolazione ed erano considerati dei veri e propri sbirri senza scrupoli) lo trasportarono alla dimora di Caifa, nel quartiere elegante del Sisto, presso il Santuario; si tratta della Città Alta, dove gli archeologi hanno ritrovato dimore decorate da mosaici ed affreschi, ampie cantine dove veniva ammassato il cibo e ricco vasellame in ceramica; numerose anche le cisterne per l'acqua, indispensabile per le numerose abluzioni. Giovanni, però, registra anche un incontro preventivo di Gesù con Anna (cfr. Gv. 18,13 e 24). Nella parte meridionale della valle di Hinnom, che separa il Monte Sion dalla collina di Abu Tor, gli archeologi hanno ritrovato i resti della tomba del Sommo Sacerdote Anna, identificata grazie alla descrizione del sito lasciata da Flavio Giuseppe; 3 km più in là, nella foresta di Gerusalemme, è stata ritrovata anche la tomba di Caifa. La decorazione sontuosa rimasta in stile ellenistico, lascia capire che i resti odierni erano sovrastati da un imponente monumento in mattoni: e l'ingresso, non casualmente, ripeteva il modello del Triplo Ingresso al Tempio. 


                                                     Crocifisso di W.Congdon

A proposito delle norme sui processi celebrati dal Sinedrio, abbiamo il trattato del Talmud Sanhedrin, il cui contenuto è databile alla fine del I, inizio del II secolo d.C., dopo la caduta di Gerusalemme. Non possiamo essere sicuri che queste regole valessero anche all'epoca di Gesù, ma è probabile. Comunque, secondo il Sanhedrin, le adunanze notturne non erano valide, perché mancavano i requisiti ed era verosimile che non tutti i membri potessero essere raggiunti e convocati regolarmente; in effetti, Luca 22, 63-71 registra un prolungamento della seduta al mattino, come se essa fosse stata necessaria per convalidare il tutto. Il grosso della seduta è avvenuto però di notte e questo era probabilmente irregolare. Non solo: non si potevano tenere sedute nei giorni di festa e il sabato (!), nè condannare qualcuno dopo un solo giorno. Insomma, la  procedura è stata violata più volte nel caso di Gesù, per cui si può parlare a stento di un processo. Se ritorniamo alle accuse, si ricordi quella secondo cui Lui avrebbe promesso di distruggere il Tempio e di ricostruirlo in 3 giorni, un attacco gravissimo al Santuario, secondo gli Ebrei; oppure quella di magia. Nella tradizione ebraica già vista, riportata proprio dal Sanhedrin, Gesù infatti compiva dei miracoli grazie alla magia, proibita dal Levitico. 

                                                           Crocifissione di Giotto

L'accusa però che finisce per prevalere è quella di bestemmia "in flagranza". Stanco delle inutili discussioni degli astanti, discussioni che no portano a nulla, Caifa decide di chiedere a Gesù direttamente: "Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?" (Mc. 14,61: "Benedetto" è un termine che sostituisce il Nome di Dio, impronunciabile). In realtà, è una domanda a trabocchetto: Caifa è ben consapevole di come risponderà Gesù ed è intenzionato a non prendere seriamente in considerazione la Sua risposta affermativa. L'idea che il Messia sarebbe stato figlio di Dio era diffusa, ma intesa in senso generico: un po' come per tutto Israele, figlio di Dio per traslato. Qui invece, Gesù rivendica nientemeno che la divinità di persona, commettendo una blasfemia, cioè intaccando il dominio esclusivo di Dio (come quando perdona i peccati ai malati). Difatti, appena Gesù risponde: "Sono Io" (il Nome di Dio), Caifa si straccia le vesti (gesto di massima costernazione). A quel punto, il Sinedrio decreta che Gesù è reo di morte (continua). 


lunedì 2 aprile 2018

La Passione (1)


La Passione (1)

Il 7 aprile del 30 d.C., su di un'altura situata fuori dalla porta occidentale di Gerusalemme, il Golgotha, avvenne un'esecuzione fuori dell'ordinario, di un Uomo, umile, ma fuori dell'ordinario. Conosciamo quella data perché è l'unica entro il periodo di governatorato di Ponzio Pilato in Giudea (26-36 d.C.), a parte il 33, in cui la Pasqua sia caduta di sabato, come riferisce Giovanni (il 33 appare un po' troppo spostato verso la fine del governo di Pilato). In queste puntate del mio blog riferirò i dati storici sulla Passione di Gesù, come sfondo per la meditazione sulla Pasqua.  

Abbiamo varie fonti in merito. Innanzitutto, i 4 Vangeli: anche se il loro scopo è teologico, cioè parlare di Dio, la loro base è storica; infatti, la predicazione evangelica non avrebbe valore senza una solida base storica, è fatta di storia. Del resto, l'archeologia ha fornito loro varie conferme. I Vangeli sono stati scritti pochi decenni dopo i fatti: Marco per la comunità cristiana di Roma, intorno al 60 d.C., Matteo evidentemente in ambiente ebraico, tra 70 ed 80 d.C., mentre Luca da un cristiano di origine gentile, un Greco, per dei Greci, più o meno alla stessa epoca. Si capisce anche che Luca non è testimone diretto dei fatti, ma, come del resto afferma lui stesso nel suo proemio, si è fatto raccontare gli eventi stessi da testimoni. Infine Giovanni, il più arduo a livello teologico e il più tardivo, redatto intorno al 90, appare tuttavia quello che, più degli altri, riporta dettagli storici di prima mano: risale a un testimone oculare e proviene da un ambito giudaico. Dettagli sulla Passione sono riportati anche nel resto del Nuovo Testamento, per esempio nelle epistole di S.Paolo, mentre molto poco contano gli scritti esclusi dal canone, i cosiddetti apocrifi, con l'eccezione di uno, degl'inizi del II secolo, il cosiddetto Vangelo di Pietro, che riprende in gran parte la struttura dei Vangeli canonici.


A proposito: spesso i media ci favoleggiano sopra, ma gli apocrifi sono invariabilmente più tardivi, spesso anche molto più tardivi dei Vangeli; soprattutto, parecchi di quelli collocabili tra II e III d.C., sono pieni di speculazioni esoteriche gnostiche su fantomatici enti spirituali e, quindi, ben lontani da ogni narrazione storica; quelli dal IV secolo in poi sono invece fortemente leggendari. In proposito, vorrei ricordare un aneddoto. Alcuni anni fa, quando ancora abitavo in Svizzera, la veglia di Natale fui invitata a cena assieme al parroco da una parrocchiana della comunità in cui lavoravo come assistente pastorale. Durante la cena, il figlio maggiore della padrona di casa, un giovanotto sulla ventina, cominciò a pontificare che la Chiesa aveva nascosto gli apocrifi per celare chissà quali segreti, ecc. ecc. ecc. Io, che assistevo regolarmente alle riunioni dell'AELAC (Association pour l'étude de la Littérature Apocryphe Chrétienne, il gruppo di studio internazionale sugli apocrifi), lo lasciai dire, poi intervenni: "Scusa, ma li hai mai letti?" Evidentemente, no. "Bene, ripresi, in certi apocrifi c'è scritto, ad esempio, che Gesù, da bambino, fulminava e faceva morire gli altri bambini che giocavano con Lui, perché avevano osato offenderlo con qualche dispettuccio". Il giovanotto tacque di colpo e abbandonò l'argomento. In definitiva, gli apocrifi sono testi molto interessanti, ma raramente appartengono al genere letterario storico-narrativo e sono perciò affidabili a livello di cronaca.


                                                  Il Monte degli Ulivi con la relativa chiesa
Oltre a queste fonti, esistono però anche alcuni riferimenti alla Passione in autori non cristiani: lo storico romano Tacito (Annales 15,44) cita Cristo e la sua morte per ordine di Pilato in margine alla persecuzione dei cristiani da parte di Nerone; poi anche Flavio Giuseppe, lo storico ebraico dell'epoca della rivolta del 70, parla di Gesù in Antichità giudaiche, 18,3,3,63-64, il cosiddetto Testimonium flavianum, che contiene qualche rimaneggiamento cristiano. Tralascio invece qui le fonti provenienti dal Talmud, più tardive, a parte il trattato Sanhedrin 6,1 che riferisce la morte di Gesù in modo molto diverso, ma incompatibile con l'incontrovertibile giudizio romano attestato da più fonti: si parla di lapidazione e impiccagione, dopo una divulgazione della sentenza durata 40 giorni! Tuttavia, il Talmud conferma che Gesù fu ucciso la Parasceve, il giorno di preparazione della Pasqua. Infine, e soprattutto, abbiamo una marea di dati archeologici. Bisogna ricordare, in particolare, che molto luoghi venerati in Terra Santa sono stati recintati già alla fine del I o inizi del II secolo, quando ancora le  persone sapevano con precisione che cos'erano, quindi furono isolati perché sottoposti a venerazione dai pellegrini: la datazione può essere ricavata dall'analisi epigrafica dei graffiti che i pellegrini ci lasciavano sopra. Ecco quindi come è stata isolata la grotta che rientrava  nell'abitazione della Madonna a Nazareth, così come la zona del Santo Sepolcro e del Golgotha, oggi compresi nella basilica. Ma ora veniamo al racconto vero e proprio della Passione, a partire dal momento in cui Gesù, accompagnato dai Dodici, lascia il Cenacolo (quasi sicuramente collocato nella zona a SE della città), per attraversare il Cedron, il torrente che circonda la rocca, ed avviarsi verso il Monte degli Ulivi.


Qui Gesù raggiunge un giardino chiamato Gethsemani, cioè "frantoio": era un luogo dove amava pregare. Il pellegrinaggio pasquale era un obbligo per ogni devoto Israelita, ragion per cui la città moltiplicava il  numero dei suoi abitanti durante le feste: ma non si poteva lasciarne il periplo durante le celebrazioni. Gesù sapeva che lo cercavano, ma non volle venire meno al suo dovere di pio Ebreo; e così rimase nelle vicinanze (le colline circostanti la città erano comprese nel periplo) e fu catturato. Il Monte degli Ulivi, che circonda Gerusalemme sul lato nord-orientale, trae il nome proprio dagli ulivi che lo coprivano e lo ricoprono ancor oggi: ma non sono più gli stessi. Durante il tremendo assedio del 70 a opera dei Romani, questi ultimi, per motivi di sicurezza, disboscarono tutta l'area per miglia e miglia intorno alla città. Qui Gesù si ritirò in un angolo di pace per pregare.


Quando pensiamo alle sofferenze della Passione, la nostra attenzione è attratta dalla flagellazione, dalla croce, dalle torture: quasi nessuno pensa a quello che ha provato quella notte Gesù, da solo nel giardino, con gli Apostoli che continuavano ad appisolarsi e apparivano più ottusi che mai, tanto da non capire l'evidente sofferenza del loro Maestro; quasi nessuno pensa che Gesù ha sofferto qualcosa di estremamente angoscioso, qualcosa di molto vicino alla morte (cfr. Mt. 26,36-46; Mc. 14,32-42; Lc. 22,39-46; Gv. 18,1, ma anche Ebrei 5,7, che riferisce come Gesù pregò "con forti grida e lacrime"). Gesù sapeva quello che sarebbe successo. Luca, secondo la tradizione un medico, ci ricorda un dettaglio impressionante: Gesù sudava sangue (Lc.22,44), fenomeno definito in medicina come ematoidrosi e dovuto alla rottura di capillari, il cui sangue viene poi convogliato nelle ghiandole sudoripare. Il fenomeno, rarissimo, fu tuttavia osservato anche da Aristotele, Leonardo da Vinci e anche di recente lo è stato in un caso italiano registrato al Pronto Soccorso di Firenze su di una ragazza. La condizione precipita per causa dello stress: e, quella notte, lo stress cui fu sottoposto Gesù, dovette essere immane. Il sudore, del resto, presenta Gesù come una sorta di atleta in lotta: in lotta con il male. "La mia anima è triste fino alla morte", dice ai discepoli (Mc. 14,33).


                                               La croce di Claudio Parmeggiani

Egli vede con estrema chiarezza l'intera  marea sporca del male, tutto il potere della menzogna e della superbia, tutta l'astuzia e l'atrocità del male, che si mette la maschera della vita e serve continuamente la distruzione dell'essere, la deturpazione e l'annientamento della vita, osserva papa Ratzinger. Mentre Gesù prega faccia a terra (la posizione dell'estremo abbandono a Dio) e osserva, davanti a sé, la sagoma del Tempio di Gerusalemme stagliarsi ai raggi della luna (che è piena a Pasqua), deve avere percepito il peso del male che lo circondava: così prega "che il calice passi": "Ma non ciò che Io voglio, bensì ciò che vuoi Tu" (Mt. 26,39). E non ha del tutto torto Mel Gibson, il regista che nel suo The Passion, inserisce un serpente, immagine del demonio, nel Gethsemani, tanto che Gesù, infine, lo schiaccia col calcagno: è un rinvio al testo di Genesi 3,14-15 in cui si preannuncia la lotta infinita tra il serpente e la stirpe della donna, l'umanità; ma si pensi anche a Luca 4,13, in cui l'evangelista osserva, al termine delle tentazioni, che il diavolo sarebbe tornato "al tempo fissato". Eppure, nell'angoscia di quest'ora suprema, Gesù, secondo Marco, si rivolge a Dio col termine confidenziale "Abbà", "Papà": nessuno lo avrebbe fatto alla sua epoca (Mc. 14,36).