lunedì 31 ottobre 2016

In guerra per amore (PIF, 2016)


In guerra per amore (2016)

Ci sono soggetti molto aspri da trattare e, sicuramente, uno di questi è la mafia (un po' come l'Olocausto). E ci sono varie maniere di trattarli: una di queste, al di là della verosimiglianza storica, può essere quella che definirei la "parabola dolceamara". Infatti, questo è il nuovo film di PIF (Pierfrancesco Diliberto), In guerra per amore, il cui titolo potrebbe far pensare dapprincipio solo alla storia d'amore principale, ma che, in realtà, nasconde l'amore per la terra dell'autore: la Sicilia. L'amore per la propria terra è difatti un Leitmotiv del film.


Arturo è un giovane, squattrinato cameriere italiano che lavora a New York ed è innamorato della bella Flora (Myriam Leone), la nipote del proprietario del ristorante. I due ragazzi sognano un futuro radioso insieme, quando, all'improvviso, Flora viene costretta a fidanzarsi con Carmelo, figlio di un boss residente negli States. Allora, un po' per caso, un po' per determinazione, Arturo decide di arruolarsi nell'esercito americano per sbarcare con gli Alleati in Sicilia e andare, romanticamente, a chiedere la  mano di Flora al padre, che abita nel paesino di Crisafulli, situato esattamente sulla costa dove gli Americani devono arrivare. E qui, dato che un militare dell'OSS (l'antenato della CIA) finisce nei guai con un abitante del luogo, in una scena paradossale e divertentissima, il povero Arturo viene mandato in "missione speciale" a salvarlo, appeso a una fune calata da un elicottero e issato....su un somaro. Trovato il militare, il tenente Philip Catelli (di origine italiana), Arturo stringe con lui una solida amicizia; così, si trova al centro di una delle vicende più controverse della nostra storia contemporanea, la collaborazione tra Alleati e capimafia siciliani in occasione dello sbarco del luglio 1943. Vedremo poi come la storia si conclude (anzi, rimane significativamente sospesa, come sospesa era la scena iniziale, che vede Arturo in attesa davanti alla Casa Bianca con una lettera); posso però anticipare, senza rivelare niente, che l'umile soldato italo-americano diventa, nella sua semplicità, un simbolo di amore per la Sicilia, l'Italia, la vera democrazia e di dignità.


In guerra per amore non è il genere di film da cui ci si aspetta un cast tecnico eccezionale (ho notato però, per quanto può valere il mio parere in merito, che il suono era riuscito); anche la recitazione non si distingue particolarmente, anzi, PIF fatica, secondo me a recitare, ed altri interpreti appaiono a volte un po' caricaturali (numerosi i volti da noi già visti nelle serie di Montalbano: Maurizio Marchetti, Mario Pupella ecc.) o caricati; a Myriam Leone, però, si addice il ruolo della fanciulla sognante e innamorata. 
Tuttavia è un film grazioso, riuscito, nato da un'idea intelligente e che trasmette un messaggio serio. Per certi versi lo paragonerei alla "Vita è bella" di Benigni (citata non di rado): non è un film realistico, bensì un film che inserisce alcuni elementi realistici (qui, ad esempio, lo sbarco americano, ben rappresentato per molti versi) entro una struttura che non è di per sé realistica, ma che potrei definire, appunto, una "parabola", un racconto esemplare. 


Ecco allora che, accanto a momenti divertenti, di una comicità pulita, familiare, ce ne sono altri drammatici, quasi realistici (ho molto apprezzato le scene nel rifugio, durante i bombardamenti, tra le meglio riuscite); e, in sottofondo, un messaggio costante, profondo pur nella sua semplicità: la resilienza contro il male nazista in Benigni, il desiderio di non cedere alla mafia in PIF. E poi, con tono tra ironico e amaro, verso la fine, una rapida sintesi storica di quello che fu l'effettiva presa di potere della mafia dopo la "liberazione" del 1943. Attraverso questa parabola, nonostante gli stereotipi (specie quelli sulla Sicilia), passa così un messaggio divulgativo di valore non indifferente. E quella canzoncina che ritorna spesso nel film, sull'"Asino che vola", ripresa dalla scena comica dell'atterraggio di Arturo sul somaro, rinvia infatti al desiderio sincero di migliorare le cose. E col sorriso. 

domenica 30 ottobre 2016

Torta di zucca


Torta di zucca

Una torta di stagione....E molto ferrarese. Questa versione assomiglia a un plum-cake.

250 gr. di farina
50 gr. di fecola
60 gr di farina di mandorle
150 gr. di zucchero
150 gr. di zucca
Un poco di aroma di vaniglia 
(o liquore Amaretto)
50 ml di latte
1 bustina di lievito
1 pizzico di sale



Fate cuocere la zucca (ripulita da scorza e semi; ma al supermercato la trovate già pronta a pezzi) in forno per una ventina di minuti, per ammorbidirla; quindi, passatela al frullatore, finché diventa una crema omogenea. 
Amalgamate le uova intere con lo zucchero, quindi aggiungete poco per volta la farina setacciata, il sale, la fecola e la farina di mandorle, alternando le farine con la zucca e il latte; aggiungete infine l'aroma di vaniglia e il lievito  setacciato. 
Mettete in forno a 160 gradi per un'ora o un'ora e un quarto. Servitela dopo averla spolverata di zucchero a velo. 


Pumpkin-pie

A season cake.... And much Ferrara-like. This version looks like a plum cake.

250 gr. sifted flour
50 gr. starch
60 g almond flour
150 gr. sugar
150 gr. pumpkin
A little vanilla flavoring
(or Amaretto liqueur)
50 ml milk
1 little package of yeast
1 pinch of salt


Cook the pumpkin (cleared of peel and seeds, but at the supermarket you will find it ready in pieces) in the oven for about twenty minutes, to soften it; then pass it to the blender until it becomes a smooth cream.
Mix the eggs with the sugar, then gradually add the sifted flour, the salt, the starch and almond flour, alternating flour with pumpkin and milk; finally, add the aroma of vanilla and baking powder sifted.

Bake at 160 degrees for an hour or an hour and a quarter. Serve the cake after having sprnkled it with icing sugar.

martedì 25 ottobre 2016

Pan di Spagna classico - Sponge cake


Pan di Spagna

Questa è la ricetta di casa mia del Pan di Spagna, che può servire poi per varie torte o farcito in varie maniere. Per colazione, basta un po' di panna e marmellata...

100 gr. di zucchero
50 gr. di farina (setacciata)
50 gr. di fecola
un poco di Amaretto (o vaniglia)
3 uova
1 dose di lievito (facoltativa)
un pizzico di sale



                                          Questa foto non è mia, ma il mio assomiglia a questo.

Mescolate lo zucchero con i rossi d'uovo, fino a che il composto diventerà spumoso (il pan di Spagna diventa più soffice quanto più il composto incorpora aria mentre lo mescolate). Unite poco per volta la farina setacciata e la fecola, quindi un po' di Amaretto o vaniglia per dare aroma. Montate a neve gli albumi, infine uniteli al resto. A questo punto, unite il lievito. La ricetta del Pan di Spagna di solito non prevede il lievito, perché l'albume montato basta a far "alzare" la torta; ma, secondo me, con il lievito non solo cresce meglio, ma diventa più soffice e stabile. 
Versate il composto in  uno stampo unto con burro e infarinato, quindi mettete in forno per 45 minuti a 160 gradi. Potete servire con crema, cioccolata, panna, fragole, marmellata, altri tipi di frutta....



Sponge cake

This is my home recipe of the sponge cake, which can be used for various cakes or stuffed in various ways. For breakfast, just a bit 'of cream and marmelade...

100 gr. of sugar
50 gr. flour (sifted)
50 gr. starch
a little Amaretto (or vanilla)
3 eggs
1 dose of yeast (optional)
a pinch of salt



Mix the sugar with the egg yolks, until the mixture becomes foamy (the sponge becomes softer as the compound incorporates air while you mix it). Gradually mix to it the sifted flour and starch, then a little Amaretto and vanilla to give aroma. Whip the egg whites, finally add them to the rest. At this point, add the yeast. The recipe of the sponge cake hasn't usually the yeast, because the egg white can "raise" the cake; but, in my opinion, with the yeast it not only grows better, but becomes softer and more stable.
Pour the mixture into a mold greased with butter and dusted with flour, then put it in the oven for 45 minutes at 160 degrees. You can serve it with custard, chocolate, whipped cream, strawberries, jam, other fruits ....

giovedì 20 ottobre 2016

I Medici (serie TV) 2016


I Medici

Secondo me, lo sceneggiatore della serie I Medici ha preso ispirazione dal gioco Assassins' creed. Non sto scherzando: nella prima scena della prima puntata, un sinistro personaggio incappucciato osserva da lontano la morte per avvelenamento di Giovanni de'Medici (interpretato dal grande Dustin Hoffmann) nella sua vigna. Il sinistro personaggio ricompare anche altre volte nella trama.
Ovviamente, non c'è alcuna traccia di questo avvelenamento nelle fonti storiche: e così, neanche degli avvenimenti che ne scaturiscono, come l'omicidio del chirurgo che attuerebbe l'autopsia di Giovanni. Il chirurgo poi afferma che ha contravvenuto alla legge per farla, ma anche questo è scorretto, perché i giudici in Italia richiedevano le autopsie in caso di morte sospetta già alla fine del Duecento! Erano proibite, come oggi, le autopsie non autorizzate, come quelle operate da artisti quali Michelangelo: ovvio. Un altro dettaglio: Giovanni de'Medici è morto in febbraio; come poteva essersi avvelenato con l'uva? E come avrebbe fatto l'assassino a indovinare, in una vigna intera, il grappolo esatto da avvelenare, quello che Giovanni avrebbe poi mangiato? Come notate, tutta l'idea è demenziale.


                          Adorazione dei Magi di Botticelli; qui compaiono parecchi Medici;
                           Il re che offre l'incenso al Bambino Gesù è Cosimo.

A parte alcuni dati, I Medici è così colmo di errori storici e pieno invece di lacune artistiche, che le lacune vengono colmate con stereotipi di scarso livello. E' vero per esempio che Giovanni avesse rapporti d'affari e amicizia col famigerato Baldassare Costa, poi antipapa col nome di Giovanni XXIII; grazie a queste relazioni, il banco Medici poté effettivamente accaparrarsi la riscossione delle decime ecclesiastiche in tutta Europa e allargare così il suo giro d'affari a macchia d'olio. Ed è vero che i Medici, più vicini al popolo, si contrapponevano a Rinaldo Albizzi e alla sua famiglia, che proveniva dalla nobiltà una volta guelfa nera, quella di finanzieri e cavalieri, quella cui si contrapponeva già Dante nel 1300. Però, non è assolutamente vero che Cosimo fosse contrario alla guerra contro Lucca: l'ha finanziata lui. Così gli sceneggiatori gli attribuiscono delle ambizioni pacifiste assolutamente anacronistiche.


                                           Il vero Cosimo de'Medici, in un ritratto di Pontormo.

Oppure, aveva un ottimo rapporto con la moglie, Contessina de'Bardi. Ma bisognava introdurre nella storia lo stereotipo scadente, la storia d'amore infelice con la bella lavandaia (Bianca, interpretata da Myriam Leone): quindi, è meglio riempire uno sceneggiato di trovate banali e false, piuttosto che sfruttare la realtà storica e saperla valorizzare al meglio. Di queste procedure ha sofferto in particolare il ritratto proprio di Cosimo de'Medici (uno scialbo Richard Madden). Chi, come me, ha visto per decenni a Firenze i suoi tratti fisiognomici in varie pitture - quel profilo così deciso, volitivo, autorevole, da vero pater patriae - non può riconoscerlo in quell'essere patetico messo in campo dallo sceneggiato. I Medici lo dipinge come un giovane introverso, aspirante artista (come, nello stereotipo romantico, certi rampolli frustrati di grandi famiglie ottocentesche!), travagliato da una storia d'amore infelice. Niente di più falso. Cosimo de'Medici era un uomo determinato, colto, energico, riconosciuto, già prima della morte del padre, come il capofamiglia da una fitta rete di parentele, tra Medici e non (Bardi, Portinari ecc.); aveva una larga cultura (aveva studiato Greco, Latino e Arabo dai Camaldolesi, per non parlare di varie altre materie, come teologia, e delle conoscenze economiche indispensabili per mandare avanti il banco), era apprezzato come diplomatico e molto popolare per il suo sostegno alla popolazione. Ritrarre Cosimo in maniera storicamente fedele sarebbe stato estremamente più stimolante.


                                                  Piero di Cosimo de'Medici

Ovviamente, se gli stereotipi banali sostituiscono la realtà storica, il risultato non può essere l'alta qualità. I Medici è un prodotto di media qualità (al meglio); anche se la sceneggiatura è tecnicamente accettabile (nonostante quel procedere a zig-zag, pieno di flash-backs, che confondono) e ha dei momenti interessanti, però risente pesantemente di tutta la prospettiva falsata. La recitazione, salvo eccezioni (come Dustin Hoffmann, ovviamente, e il nostro Guido Caprino, nel ruolo di Marco) non vale un granché; ci sono pesanti errori anche nell'ambientazione e nei costumi. Gli abiti (con pellicce e spalle larghe) sono infatti spesso cinquecenteschi, lontani dalla prassi del primo Quattrocento, così come le acconciature; e anche nelle ambientazioni (a parte Pienza, il Palazzo del Bargello, o il Battistero di Firenze) ci sono errori. Il palazzo papale del conclave, ad esempio, rivela affreschi pure cinquecenteschi, con grottesche che vanno bene per il Manierismo. A Firenze si sono (giustamente) scandalizzati per gli anacronismi nella rappresentazione dei monumenti: sul Ponte Vecchio compare il Corridoio Vasariano, anch'esso risalente al tardo Cinquecento; S.Maria del Fiore appare addirittura con la facciata ottocentesca di Fabris! E così via. Su altri aspetti tecnici non mi soffermo: dal doppiaggio non in sincrono, alla 3D troppo pesante, dalla recitazione poco convincente, ai problemi di sceneggiatura, dalla fotografia poco curata alla mise generale dei personaggi, tutto questo è stato affrontato meglio da altri. 


Più le ore passano e più la mia recensione diventa intrattabile. E con ragione: perché se paghiamo il canone annuale RAI nella bolletta della luce e ci bombardano per due mesi con l'annuncio mirabolante di una nuova serie su una delle più importanti dinastie italiane, cavolo, abbiamo ragione di pretendere che con i nostri soldi la RAI paghi un prodotto di alta qualità. Ma è tutta l'operazione che parte da premesse false e, perciò, non può giungere alla qualità vera. Infatti, se prendete la storia autentica e la falsificate in modo sistematico, banalizzandola con stereotipi di quarto livello, è logico poi che il risultato sia scadente. E' logico che la regia lasci a desiderare e gli attori non siano convinti quando recitano. E' logico allora che si riempia la serie di scene di sesso, tanto triviali quanto inutili (e  meno male che alla Lux Vide sono così bacchettoni...). E' logico che si lavori in maniera approssimativa e banale, convogliando alle persone più semplici, che aspirerebbero a informarsi correttamente, una visione completamente distorta della LORO (LORO) storia. 


Perché è questo l'aspetto peggiore: I Medici distorcono la storia. Una premessa: un autore serio può fare come Ridley Scott, che, lo dice a chiare lettere, falsifica la storia per perseguire un suo coerente progetto artistico. Succede nel Gladiatore: e, nonostante che le cose non siano andate così sotto l'impero di Commodo, proprio perché Scott sa agire da artista e fare scelte coerenti, il Gladiatore rende comunque molto bene l'atmosfera del II d.C.; e questo nonostante varie imprecisioni. 
Oggi la materia storica non è molto popolare, perché non apporta denaro e, soprattutto, insegna a pensare con spirito critico; ma alla radice di questo film TV c'è una colossale distorsione storica. Gli autori (USA: Spotnitz, Meyer e il regista Mimica Gezzan: ma dobbiamo aspettare degli statunitensi per gestire la nostra storia?) dimostrano di ignorare la distinzione tra Quattrocento e Cinquecento, che, in Italia, è fondamentale. Oltre le Alpi, nel Quattrocento, in Francia, Germania, Inghilterra, erano ancora immersi in pieno Medioevo e recuperarono solo nel Cinquecento appunto; ma in Italia, il Quattrocento è distinto dal secolo successivo. 


Quando prima ipotizzavo che gli autori si fossero ispirati ad Assassins' Creed non stavo scherzando. In effetti, Assassins' Creed volgarizza una visione stereotipa dell'Italia diffusa Oltralpe fin dal Cinquecento (quindi dopo) e ancora corrente all'estero: l'Italia come terra di lusso, raffinatezza, ma anche intrighi, veleni, assassini e sicari; di qui il significato negativo che ha all'estero il termine "machiavellico". Ovviamente, intrighi e assassini c'erano anche nel Quattrocento e questo stereotipo ha alcune radici vere nella storia italiana cinquecentesca; ma I Medici è completamente imbevuto di questa visione e, perciò, manca di originalità e autenticità storica. E tutta la gente di cultura media che se lo vedrà, berrà quindi una marea di scempiaggini, credendo che siano vere. Diceva il cardinal Ratzinger che bisogna proteggere il  popolo: quello fatto da gente normale, che non frequenta gli ambienti accademici, non scrive articoli scientifici, non tiene conferenze, ma ha diritto, aggiungo io, a un'informazione seria, proprio perché non ha altri mezzi per procurarsela. Ebbene, io dico che una TV che lavora così tradisce pesantemente proprio il suo pubblico, costituito di gente normale. Lo fa coi suoi soldi. Ed è una vergogna. 

domenica 16 ottobre 2016

Cafe society (W.Allen, 2016)


Cafe society

La prima cosa che colpisce di questo film è, a mio avviso, la fotografia: la cura per le immagini è un classico dei film di Woody Allen, che si avvale qui dell'aiuto del prezioso (e grande) Vittorio Sturaro; ma questa volta, l'avvicendarsi dei colori, la costruzione dei singoli fotogrammi è da manuale, come per sottolineare il cuore del film: il confronto con il fantastico (eppure deludente) mondo di Hollywood; e anche con la vita. Ma andiamo con ordine. 



Bobby Dorfman è un simpatico imbranato di famiglia ebraica (l''"autosatira" di Allen sugli ambienti ebraici è graffiante), l'ovvio alter ego dell'artista: è interpretato da Jesse Eisenberg, che, tra l'altro, è veramente Ebreo (Eisenberg è noto come protagonista di The Social Network). Siccome non riesce a combinare nulla a casa, a New York, viene spedito dalla mamma dallo zio, a Hollywood, perché lo zio gli trovi una sistemazione. Lo zio Phil Stern (l'attore comico Steve Carrell), un agente cinematografico, a dire il vero, non ha molta voglia di occuparsi del nipote; alla fine, tra un incontro con Ginger Rogers e una discussione con la Paramount, gli rimedia dei lavoretti nella sua agenzia. 


Ma, soprattutto, lo affida alla sua segretaria, Veronica, detta Vonnie (Kirsten Stewart, nota come Bella in Twilight), che comincia a uscire regolarmente con Bobby. Bobby rimane affascinato da questa ragazza acqua e sapone, che preferisce non essere banale e si rende conto del lato artificiale della vita di Hollywood; però lei è già "fidanzata". Quello che Bobby non sa è che Vonnie ha una storia nientedimeno che con suo zio, il quale ne è innamoratissimo; Vonnie si trova così indecisa tra i due, il maturo e determinato uomo d'affari e il giovane ingenuo, dall'aspetto gentile...Chi si vedrà  il film, capirà che questa indecisione è uno dei temi  portanti della pellicola. 
Il nuovo film di Woody Allen è carino, vivace, ma, per quanto sia stato molto lodato, non è tra i suoi migliori: soprattutto la sceneggiatura non è all'altezza, ad esempio, di The irrational man o di Magic in the moonlight (per citare qualcuno dei film più recenti). Va da sé che la comicità di Allen qui non è al livello dei suoi grandi classici ed è affidata principalmente alle imprese del fratello gangster di Bobby, Ben, che non fa altro che seppellire cadaveri nel cemento; oppure a battute come "Vivi come se fosse l'ultimo giorno; e un giorno ci azzeccherai" (!). Però è una pellicola veramente gradevole, un omaggio  a un'epoca molto amata da Allen, quella del jazz, ai suoi tratti tipici (Hollywood, il jazz, i gangsters, le star, i locali di terza categoria ecc. ecc.), una festa per gli occhi a livello di scenografia e fotografia, ma anche una riflessione non scontata. Per capirlo, partirei proprio dalla fotografia. 


Sturaro (tre volte Oscar e fotografo preferito di Bertolucci) costruisce le immagini usando i colori con valore significativo a seconda degli ambienti: da un lato il grigio o il giallo smorto dei quartieri popolari dove vive la famiglia Dorfman; dall'altro il blu, il giallo squillante, l'arancio o i colori delle ville, dei ristoranti, dei night club di Hollywood, così tape à l'oeil. La luce poi avvolge tutto con calore e con sfumature magnifiche. Sono due diversi modi di vivere e, inevitabilmente, i protagonisti ambiscono al secondo modello per uscire dal primo; eppure, aspirerebbero entrambi anche a una vita semplice, un po' "nel  mezzo", senza artifici, ma più vera (come la piccola bettola marrone dove mangiano insieme o il nido che sognano di allestire a New York). 


Da questo punto di vista è centrale il personaggio di Vonnie: se il maturo Phil ne è attratto, come Bobby, è perché lei è la ragazza pulita vagheggiata in tanti film di Allen, fin da Manhattan; un rifugio fresco e autentico in mezzo al sofisticato mondo della cultura, del cinema, o dell'intellighenzia (e allora non dovrebbe stupire per niente che Allen abbia sposato Soon Yi: il grande intellettuale vive continuamente la nostalgia per il candore). Temo però che qui Kirsten Stewart, per quanto reciti bene, non sia adatta al ruolo: con le sue occhiaie, ha un'aria da fanciulla vampirizzata che può andare bene per Twilight, ma non qui (e, a mio avviso, non è neanche bella, anzi: è un modello di bellezza da non proporre ai giovani, perché sa di anoressia). 
I due protagonisti finiranno per farsi strada nel bel mondo, ma a scapito dei loro sogni più genuini: e, anche se meno profondo  di altri film, Cafe society pone un interrogativo tipico dell'età matura, quando cominciano i rimpianti (anche nel bel mezzo del successo) e ci si accorge di essere quasi divisi in due metà, di averne abbandonata una e di non essere davvero realizzati. Per questo, come sempre in Allen, il senso del film diventa chiaro nel finale: e fa riflettere su quello che ciascuno di noi dà alla sua vita. 

Cafe society

The first thing that strikes you about this movie is, in my opinion, its cinematography: the cure for images is a classic in Woody Allen's movies, who is helped here by great Vittorio Sturaro; but this time, the colours, the construction of individual shots is worth a handbook, as to emphasize the heart of the film: the fantastic (but disappointing) Hollywood world; and also life in comparison with it. But first things first.


Bobby Dorfman is a cute "nerdy"  from a Jewish family (Allen's satire on Jewish environments is scratchy), the obvious alter ego of the artist: he is played by Jesse Eisenberg, who, by the way, is really Jew (Eisenberg is known as the star of the Social Network). Since he can't do anything good at home, in New York, he is shipped by mom to his uncle, in Hollywood, so that his uncle can find an accommodation for him. His uncle, Phil Stern (comic actor Steve Carrell), a theatrical agent, to be honest, doesn't really want to take care of his nephew; at the end, among a meeting with Ginger Rogers and a discussion with Paramount, he finds him odd jobs in his agency.
But, above all, he entrusts him with his secretary, Veronica, Vonnie (Kirsten Stewart, known as Bella in Twilight), who begins to regularly go out with Bobby. Bobby is charmed by this fresh girl, who prefers to not be trivial, and realizes the artificial side of Hollywood life; but she is already "engaged". What Bobby doesn't know is that Vonnie has a story with none else than his uncle, who is greatly in love with her; so Vonnie is torn between the two, the mature and determined businessman and the naive young man, looking nice ... Those who see the film will understand that this indecision is one of the main themes of the film.



The new Woody Allen's movie is cute, lively, but, even if it has been highly praised, is not among his best: above all, the script is not up, for example, The irrational man or Magic in the Moonlight ( to name some of his most recent films). It goes without saying that the comic side here is not up the level of his great classics and is mainly entrusted to Bobby's gangster brother, Ben, who does nothing but burying corpses in the concrete; or to lines like "Live as if it were your last day, and one day you'll guess it" (!). But it's a really enjoyable film, a tribute by Allen to a beloved era, that of jazz, to its typical features (Hollywood, jazz, gangsters, celebrities, third-rate premises etc. etc..), A feast for the eyes thanks to set design and cinematography, but also a not obvious meditation. To understand it, I would start just from cinematography.


Sturaro (three-time Oscar winner and favorite cinematographer by Bertolucci) constructs images using colors with meaningful value for different environments: on the one hand the gray or pale yellow of the neighborhoods where the Dorfmans live; on the other, the blue, bright yellow, orange or the colors of the villas, restaurants, night clubs in Hollywood, so tape à l'oeil. The light wraps everything with warmth and with magnificent hues. They are two different ways of living and, inevitably, the protagonists aspire to the second model and to come out from the first; yet, both also aspire to a simple life, a little "in the middle", without artifice, but more real (as the little brown tavern where they eat together or the nest they dream of setting up in New York).


From this point of view the central character is Vonnie: if the mature Phil is attracted, like Bobby, by her, it is because she is the clean girl courted in many of Allen's films, since Manhattan; a fresh and authentic retreat in the middle of the sophisticated world of culture, cinema, or of the intelligentsia (and then it should not be surprising at all that Allen has married Soon Yi: the great intellectual continually lives nostalgia for innocence). I fear that here Kirsten Stewart, even if she acts well, is not suited to the role: with her dark circles, she looks like a vampirised girl, may be fine for Twilight, but not here (and, in my opinion, she is not even beautiful, indeed: she is a model of beauty not to propose to young people, because she reminds anorexia).

The two protagonists will eventually make their way into rich society, but at the expense of their most genuine dreams: and, although less deep than other movies, Cafe society poses a typical middle age question, when regrets begin (even in the middle of success) and you realize that you are almost divided into two halves, you have left one and you are not really accomplished. For this, as usual in Allen, the film meaning becomes clear in the final: and it makes us think about what meaning each of us gives to his/her life.

sabato 15 ottobre 2016

Ti prego: torna da me - I beg you: come back to me.


Ti prego: torna da me


Ti prego:
torna da me.
Lo sussurrano
i calici dei fiori
molli di rugiada
all'alba;
lo sussurrano
le foglie
tenere di pioggia,
gocciolanti primavera.
Ti prego:
torna da me.


Lo sussurrano
i salici
che piangono al vento,
lo sussurrano
le betulle
che tremano
nel loro argento,
lo sussurra
il ronzio delle api,
silenzio assonnato
del pomeriggio estivo.


Ti prego:
torna da me.
Lo sussurrano le foglie
rosse, cadendo vinte,
lo sussurra
il primo brivido
di vento autunnale,
lo sussurrano
le ultime rose,
sfogliandosi
ai raggi tiepidi
del sole che svanisce.


Ti prego:
torna da me.
Con la prima neve
niente più lo sussurrerà,
al freddo rimarranno
solo i ricordi,
l'eco del tuo riso,
della tua voce,
dell'amore
di cui mai

ti ho fatto dono. 


I beg you: come back to me. 

I beg you:
come back to me.
so whisper
the flower calyces
wet with dew
in the dawn;
so whisper
leaves
soft with rain,
dripping the spring.


I beg you:
come back to me.
so whisper
willows
crying in the wind,
so whisper
birches
quivering
in their silver,
so whisper
the buzzing bees,
sleepy silence
of a summer afternoon.


I beg you:
come back to me.
So whisper leaves
red, falling down won,
so whispers
the first shiver
of autumn wind,
so whisper
the last roses,
losing their leaves
in the warm rays
of the vanishing sun.

I beg you:
come back to me.
With the first snow
nothing more will whisper,
in the cold 
only memories will remain,
the echo of your laughter,
of your voice,
of the love
I could  never give you
as my gift.


Ciambella al caffè - Coffee cake



Ciambella al caffé

400 gr. di farina 
1 bustina di lievito (e un po')
200 gr. di zucchero
3 uova intere
200 gr. burro (ammorbidito)
250 ml. di latte
un poco di vaniglia
100 gr. di caffè

Distribuite la farina (setacciata) a fontana con il lievito, pure setacciato dentro, e, al centro, lo zucchero, il burro a pezzetti, le uova; mescolare il tutto; quindi, in una ciotola, aggiungete il caffè sciolto nel latte e la vaniglia. Versate in uno stampo imburrato e infarinato e cuocete in forno a 180 gradi, per 40 - 45  minuti. 

NB: Si  può provare a sostituire 50 gr. di caffè con 50 gr. di cacao zuccherato. Questa ciambella è ottima per la colazione (specie se spalmata con la Nutella...).


                                      Stavolta la foto non è mia, ma la mia ciambella era molto simile
Coffee cake

400 gr. flour
1 tablespoon of baking powder (add a little) 
200 gr.  sugar
3 eggs
200 gr. butter (softened)
250 ml. of milk
a little vanilla
100 gr. of coffee

Spread the flour (sifted) on the table with the baking powder, sifted as well, and in the center, the sugar, the butter, the eggs; mix everything; then, in a bowl, add the coffee dissolved in milk and the vanilla. Pour into a buttered and floured mold and bake  in a 180 degree oven, for 40-45 minutes.
NB: You can try to replace 50 grams of coffee with 50 gr. sweetened cocoa. This donut is great for breakfast (especially if spread with Nutella ...).