mercoledì 16 settembre 2020

Profiteroles


Profiteroles

Ecco i miei golosi profiteroles! Ma prima di introdurvi ai segreti di questa leccornia, una piccola osservazione: i miei bigné non vengono perfettamente tondi e la copertura, per quanto lucida, non è perfettamente distribuita, semplicemente perché ho due siringhe da pasticciere che non mi soddisfano; quindi, per inserire la crema nel bigné lo taglio a metà e poi, evidentemente, non posso rotolarlo dentro la copertura, sennò le due parti si separano. Ma che importa! Tanto sono buonissimi lo stesso....

Pasta choux per i bignè

Farina 150 gr.
Burro 100 gr.
Acqua 250 ml.
Un cucchiaino di zucchero
2 uova
Un pizzico di sale

Come sempre, fate scogliere sul fuoco il burro dentro l'acqua, quindi portate a ebollizione e togliete dal fuoco. Aggiungete al liquido la farina, il sale e lo zucchero e mescolate energicamente per creare una pasta liscia e omogenea; quindi, rimettete sul fuoco per asciugare la pasta: essa dovrà raggiungere una consistenza soda e staccarsi dai lati della pentola; allora, togliete nuovamente dal fuoco e aggiungete i tuorli, infine i chiari montati a neve ben ferma. A questo punto la pasta deve essere più morbida e collosa. Con la siringa del pasticciere (una che funziona bene, non la mia) formate alcune palline sulla piastra da forno imburrata. Infine, cuocete a forno caldo (180 gradi) per 15-20 minuti (ma sorvegliate con attenzione il forno).

Crema
400 ml di latte
un poco di aroma di vaniglia
100 gr. di zucchero
50 gr. di fecola
Questa volta, ho preparato una crema pasticcera senza uova: unite la fecola, lo zucchero e un poco di latte aromatizzato con la vaniglia; quando fecola e zucchero saranno completamente stemperati e la crema risulterà liscia, aggiungete il resto del latte e mettete sul fuoco, sempre mescolando. Dopo alcuni minuti, la cream comincerà ad addensarsi e a bollire, quindi potete spegnere e coprire con la pellicola.

Copertura di cioccolato

200 gr. di cioccolato fondente
50 gr. di zucchero
100 ml. di latte
50 ml di panna

Per la copertura di cioccolato, in sostanza, si prepara una ganache, cioè una crema in cui a una determinata quantità di cioccolato se ne aggiunge una metà di panna (in questo caso, con latte). Portate a ebollizione in un pentolino lo zucchero e la panna sciolti nel latte, quindi togliete dal fuoco e unite poco per volta il cioccolato tagliato finemente a scaglie. Il risultato è una crema liscia e lucida, abbastanza densa, perfetta come copertura. 

Preparazione dei profiteroles

Inserite la crema nei bigné, quindi rotolateli nella copertura di cioccolato (oppure, versatecela sopra, come ho fatto io). Sono un autentico successo!

Mein Prinz,
wie geht's dir? Ich habe mit der Schule wiederbegonnen und ich habe mehr zu tun; aber ich freue mich, dass ich noch meine Studenten wiedersehen kann. Ich vermisse dich sehr. Wo bist du? Sicher zur Arbeit und du hast viele, aber viele Sachen zu tun. Siehst du meine Profiteroles? Ich will sie fuer dich vorbereiten. Ich bin bereit! All meine Liebe fuer dich, min Schatz. Liebevoll...





mercoledì 9 settembre 2020

Melanzane ripiene

 

Melanzane ripiene

Le mie foto ritraggono una melanzana particolarmente cicciuta, che ho riempito a dovere, ma che bastava per due persone. Un pasto abbastanza facile da preparare e gustoso in questo ultimo scorcio d'estate, ottimo sia freddo, che caldo. 

Ingredienti
Una grossa melanzana (o due più piccole)
250 gr. di macinato (meglio se misto bovino e suino)
Pane grattugiato a volontà
Parmigiano reggiano a volontà
1 uovo
Olio qb
Sale qb


Pulite le melanzane e tagliatele a metà; quindi svuotatele della polpa con un cucchiaino e lessatela (potete fare anche il contrario, cioè prima lessate le melanzane e poi le private della polpa, il che è più facile, ma le preferisco crude prima di riempirle, sennò non stanno in piedi). Quindi unite la carne macinata, la polpa di melanzana, l'uovo, il sale, il pane grattugiato e il parmigiano grattugiato (o grana padano) secondo le dosi che preferite: non ho inserito una quantità precisa per il pane e il formaggio proprio perché, a seconda di essa, il ripieno può assumere un gusto diverso. La versione più ovvia è fare metà e metà (3-4 cucchiai per uno): comunque, vedete al momento quanto ne serve. Dopo aver terminato il ripieno, riempite le melanzane (come vedete nella foto, la mia melanzana era proprio piena), quindi mettete in una pirofila con un filo di olio e lasciate cuocere in forno, a 180 gradi, per 25-30 minuti. Sfornate e servite come preferite, o caldo, o tiepido o anche freddo, con un contorno di insalata, come qui: è una ricetta sempre gustosa. 


Mein Ciccio....,
Dies ist ein der Rezepte, die ich früher oder später für dich vorbereiten werde! Also werde ich dich ein bisschen fett machen und dann musst du viele Kilometer mit dem Fahrrad faheren ... Vielleicht ist mein Brief bereits zu dir angekommen: Ich würde dafür bezahlen, das Lächeln in deinen Augen zu sehen, wenn du ihn gefunden hast! Ich hoffe wirklich, dass du damit zufrieden warst. Ein süßer, süßer Kuss und eine gute Nacht, deine Prinzessin.

sabato 5 settembre 2020

Il caso Paradine (The Paradine case, Alfred Hitchcock, 1947)

Il caso Paradine (The Paradine Case)

Ci sono autori che dovrebbero servire in pianta stabile ai corsi prematrimoniali. Uno, sicuramente, è Tolstoj; l'altro, anche se cinematografico, è Alfred Hitchcock. Non conosco approfonditamente la sua biografia, ma sospetto che abbia vissuto un'infanzia particolarmente dura; forse anche questo potrebbe avere sviluppato in lui un'attenzione inusitata ai problemi di coppia e di famiglia, che affronta in modo magistrale. In questo film, ingiustamente post-posto ad altri più noti dello stesso autore, la vita di coppia gioca un ruolo fondamentale: specie quando cominciano i guai. E i guai sono impersonati dalla nostra straordinaria Alida Valli.

Un quartiere elegante del West End di Londra. In una dimora raffinata, un sussiegoso cameriere avvicina la padrona di casa, una splendida Alida Valli (Mrs.Maddalena Anna Paradine), mentre questa sta suonando il piano (è proprio lei che suona: la Valli era di origine aristocratica e aveva ricevuto un'educazione consona; inoltre era poliglotta). L'atmosfera è soffusa e ricercata, dominata da un enorme ritratto del marito defunto della donna, il colonnello Paradine, che lei aveva sposato ormai cieco (i ritratti sono frequenti nei film hitchcockiani e possiedono una notevole pregnanza espressiva). Pochi istanti e il solito cameriere introduce presso la gentildonna un commissario di polizia e il suo aggiunto, che devono trarla in arresto proprio per l'omicidio del colonnello. Allora Maddalena si alza con grazia ad accoglierli, li intrattiene con l'eleganza di una vera signora e, sempre con la suprema compostezza e padronanza di un'autentica nobildonna, fa avvisare la servitù che non tornerà a casa per la cena e indossa la pelliccia per uscire dietro i poliziotti alla volta del carcere e, forse, del patibolo. 

Questo incipit straordinario, che per i fan di Alida Valli è diventato leggendario, apre un film che invece Hitchcock non amò molto e che, eppure, diresse benissimo. Non lo amò perché si ritrovò perennemente il produttore tra i piedi, David Selznick (sì, Selznick, quello di Via col vento; anzi, il Caso Paradine divenne un problema per gli studios perché era constato incredibilmente tanto quanto l'altro kolossal: pensate che venne costruita ex novo una replica del tribunale di Old Bailey di Londra). Selznick si era affezionato molto a questo progetto, anzi, troppo, tanto che la sceneggiatura la finì lui, dopo che ci avevano messo le mani vari altri, tra cui Alma Reville, la moglie di Hitchcock che lavorava regolarmente per lui come sceneggiatrice e non solo. E, finendo il copione, Selznick pensò bene anche a tagliare delle scene senza il consenso di Hitchcock. Ora, se pensiamo che, secondo il grande Alfred il film era già quasi fatto se la sceneggiatura era stata preparata a dovere, credo che il produttore non avesse trovato modo migliore per farsi odiare dal suo regista (che, difatti, lasciò poi la casa di produzione). In effetti, la sceneggiatura è buona, con numerosi colpi di scena e aperta ad approfondimenti psicologici, ma, a mio modesto avviso, non ha lo smalto di altre (ad esempio, Il sospetto oppure La finestra sul cortile, i cui primi minuti sono un capolavoro). Innanzitutto, il caso è fin troppo semplice: se il padrone di casa viene avvelenato e poco prima della sua morte è stato avvicinato solo dalla moglie e dal fidato cameriere, ammetteremo che, a meno di attribuire la colpa alle tappezzerie, non ci siano molte alternative per l'esito dell'indagine. Il finale, così, nonostante i colpi di scena (neanche tanto imprevedibili, però) risulta scontato. Anche sotto altri punti di vista, lo sviluppo della storia appare talora ovvio. Forse per questo, durante le riprese Hitchcock apparve a Gregory Peck, "annoiato" (bored). 

Ciononostante, le performances degli attori sono in gran parte ottime, alcune addirittura eccezionali, il che implica che furono eccellentemente diretti. Il protagonista, Gregory Peck, interpreta l'avvocato londinese Anthony Keane, chiamato a difendere la signora Paradine: Gregory Peck non ha molto dell'Inglese, è vero (sembra uscito dritto dritto da un college per giovani di buona famiglia del Nord Est USA, tutto sport e parrocchia), però trasmette egregiamente il ritratto di un uomo onesto, travolto da un'irrefrenabile attrazione per la sua cliente, attrazione che risulterà  fatale sia per il processo che per la sua lucidità di giudizio. Il cuore del dramma anzi risiede proprio qui: da un lato la faccia onesta e la buona volontà dell'avvocato, che si ostina a vedere quel che pensa lui, e la fresca sensibilità di sua moglie, magnificamente interpretata da Ann Todd; dall'altro, il fascino sofisticato ed enigmatico di Maddalena, algida e altera, elegantissima e regale come solo la Valli sapeva essere, e che, nonostante la purezza di linee del suo viso (cui sono dedicati dei primi piani mozzafiato) trasmette continuamente una sensazione di scarsa trasparenza, come se emanasse un ambiguo incantesimo e attirasse il povero Anthony con sé nelle sabbie mobili. Maddalena ha infatti un passato equivoco. La Valli fu bravissima a recitare, tanto più che arrivò sul set all'ultimo momento, non poté imparare la parte e le battute le venivano suggerite all'ultimo momento. Si noti un dettaglio: le scollature della Valli sono regolarmente asimmetriche: segno di qualcosa "che non quadra". 

Raramente Hitchcock ha saputo rendere sullo schermo una coppia affiatata come quella formata qui da Gregory Peck e Ann Todd: tra loro si sprigiona una chimica riuscitissima. Ma raramente il contrasto tra la loro coppia e il pericolo che viene dall'esterno è stato più azzeccato: solo una Maddalena misteriosa e maliarda poteva irretire un Gregory Peck privo di adeguate difese a fronte di una seduzione così sottile e avvolgente. 

Ma Maddalena non è solo questo. Porta anche il nome della peccatrice per antonomasia, quella che la società non può accettare: non è un caso se si chiama così anche la protagonista del sesto film sui comandamenti (Decalogo 6) di Krzystov Kieslovski (1990). Maddalena è straniera e nel film si percepisce una notevole ventata di xenofobia (a proposito: non mi è mai piaciuto che, per quanto Alida Valli sia la protagonista, nei titoli d'inizio venga ricordata per ultima e semplicemente come "Valli"). Straordinarie sono le scene iniziali in cui, prima di entrare in cella, la donna viene privata di tutti i suoi abiti e beni, manifestazione programmatica della spersonalizzazione cui porta il carcere. Infine, lei è  sola e nessuno la comprende davvero, neanche il suo avvocato, che pure vuole salvarla. Molto bella e sfumata l'interpretazione di Ann Todd, che presa da mille dubbi e paure, cerca di salvare il rapporto col marito, senza però perdere l'umanità verso la rivale. 


Ma ci sono varie altre interpretazioni di spessore nel film. Guardate, per esempio, il teso interrogatorio di André, il giovane cameriere, interpretato magnificamente dal noto attore francese Louis Jourdan: a mio avviso, è il cuore della pellicola. Oppure, Ethel Barrymore guadagnò una candidatura all'Oscar per il miglior ruolo femminile da non protagonista con poche scene, tra cui una magistrale, verso la fine, in cui mostra tutta la sua pietà e misericordia per Maddalena: la vera morale del film. A fronte di lei, il marito, il giudice Horfield che presiede il processo ed è interpretato dal grande Charles Laughton: cinico, godereccio e spregevole, impersona il prototipo del giudice indifferente alle sorti umane che si dipanano in aula davanti ai suoi occhi. Di lì a qualche anno Laughton avrebbe diretto uno dei grandi capolavori degli anni '50, La morte corre sul fiume (1955), che riprende molte atmosfere del cinema tedesco espressionista degli anni precedenti. 


L'interpretazione conferisce quindi profondità psicologica a una pellicola che però ha anche altre frecce al suo arco. Ho notato soprattutto la fotografia. Hitchcock si cimentava spesso in modo sperimentale in riprese originali: ad esempio, quando Keane lascia definitivamente l'aula, quest'ultima viene ripresa dal soffitto a picco; oppure, la camera ruota intorno a Maddalena quando in aula entra André, che passa intorno al suo posto. Ma ci sono varie altre riprese molto interessanti: per esempio, il dialogo di chiarimento tra Anthony e sua moglie Gay viene ripreso davanti al loro letto nuziale; in alcuni dialoghi, l'immagine è tagliata in due metà, con una illuminata e l'altra più in ombra, in corrispondenza significativa coi personaggi; in altre immagini, Gregory Peck, ma anche altri attori, sono inquadrati significativamente dietro delle sbarre o delle grate o addirittura dietro la ringhiera delle scale: segno di qualcosa di strano e indefinibile che rischia di imprigionarli. Perciò, alla fine ci si chiede forzatamente: perché Maddalena è così pericolosa per i protagonisti? Non sarà che attraverso di lei, "la straniera", gli altri esorcizzano limiti propri? Dove sbaglia Anthony Keane? Solo per il fatto di sentirsi attratto dalla sua cliente? Oppure si sente attratto da lei per qualche altro motivo? E che cosa dovrebbe fare dal punto di vista etico? La moglie stessa, Gay, non vuole che lui lasci il caso, perché la  morte di Maddalena, oltre che moralmente inaccettabile, perpetuerebbe in lui un sogno non realizzato. E poi: come si fa a rimanere fedeli davanti a una tentazione del genere? Il film non dà risposte a questi quesiti: però introduce il dubbio che la facciata "liscia" della buona società, che rigetta quel che non si attaglia fino in fondo ad essa, non sia poi tanto "liscia". Anche se Anthony e Gay sono brave persone con normali debolezze umane, sembra dirci Hitchcock, non è che intorno a loro altri, pronti a giudicare, sono però "marci dentro", come si dice di Maddalena?


PS. Se cercate il cameo con Hitchcock, lo trovate, rotondo come al solito, alla stazione che gira con un violoncello. E' uno strumento con cui si mostra anche in altri film. 

mercoledì 2 settembre 2020

La gente mormora (People will talk, Joseph Mankiewicz, 1951)


 La gente mormora (People will talk)

Questa commedia romantica è una piccola perla del cinema anni'50: quel cinema che i miei studenti ignorano del tutto e che, perciò, può essere molto gradevole riesumare. Inoltre, io adoro i film dell'epoca, specie le commedie e ancora di più se il protagonista è Cary Grant.

La gente mormora appartiene al genere della sophisticated comedy, la commedia brillante che, nata negli anni '30, dispone di alcuni ingredienti irrinunciabili: ambiente mondano ed attori eleganti (di solito corrispondenti alle élites del Nordest degli USA, a città come New York, Philadelphia, Boston ecc.), ironia che si volge spesso in vera e propria satira sociale, e, soprattutto, sceneggiature estremamente sofisticate e argute, che sembrano raccogliere il meglio della conversazione inglese ottocentesca e del suo wit. Il genere è proseguito ben oltre gli anni '30 e ha dato nuovi risultati negli anni '50. Il mostro sacro della sophisticated comedy era ovviamente Cary Grant, considerato una delle maggiori stelle del cinema hollywoodiano, ma (non a caso) inglese di nascita. E' straordinario come Cary Grant passi sostanzialmente invariato da un film all'altro (fino agli ultimi di Hitchcock): sempre elegante, misurato, lievemente ironico e ricco di humour. Dato che ci sono, posso consigliare qualche altro titolo che lo vede come protagonista: per Alfred Hitchcock ha interpretato autentici pilastri del cinema come Notorius, Il sospetto, Intrigo internazionale e il celeberrimo Caccia al ladro, con Grace Kelly; al di fuori dei thriller, consiglio caldamente Scandalo a Filadelfia, decisamente una sophisticated comedy, oppure l'impagabile Arsenico e vecchi merletti, o Un amore splendido, qui già recensito, o il divertentissimo Operazione sottoveste, in cui comanda uno sgangherato sottomarino che incrocia nel Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale e che viene dipinto di rosa (!). 

Ma torniamo a La gente mormora. Ambientato in una cittadina universitaria del Nordest, il film si apre con un sinistro figuro, il prof.Edwell (Hume Cronyn), con un muso (è il caso di dirlo) arcigno e ben poco raccomandabile, che intervista una governante zitella e dalla lingua biforcuta, pronta a rivelare nefandezze sul celebre dott.Noah Praetorius (Cary Grant), un clinico di fama di quella stessa università. Edwell accusa Praetorius di avere esercitato il ruolo di guaritore in una cittadina di campagna dello stesso Stato, ma cerca anche altri capi d'accusa, soprattutto in relazione all'assistente di Praetorius, Shunderson (Finley Currie). Praetorius è in realtà un ottimo medico, che riesce a guarire i suoi pazienti mettendoli soprattutto a loro agio a livello emotivo e psicologico e trattandoli con grande cura e dedizione. Durante una lezione una studentessa, Deborah Higgins (Jeanne Crain), sviene e, quando si presenta successivamente allo studio di Praetorius, questi le diagnostica una gravidanza. Disperata, Deborah tenta il suicidio, ma si ferisce solo di striscio: Noah cerca allora di curarla sia fisicamente, che psicologicamente e, quando lei scappa dalla clinica per tornare a casa, lui la segue col suo fido collaboratore Shunderson. Lo scopo del medico è  quello di parlare col padre della ragazza, Arthur (Sidney Blackmer), un buon uomo deluso e schiacciato dai fallimenti di una vita: senonché, ben presto Noah si rende conto che fra lui e Debbie c'è molto di più che il rapporto medico - paziente. Ma mentre la coppia scopre il suo amore, l'inchiesta del prof.Edwell va avanti e rischia di gettare il discredito sull'integerrimo professore...

Il lato migliore di questo film è la sceneggiatura. La gente mormora è un tipico film dal respiro teatrale, che non insiste tanto su scenografie, costumi, fotografia e parti tecniche, quanto su recitazione e sceneggiatura appunto, anche perché nasce da una piéce teatrale tedesca di Curt Goetz. Ma dietro la macchina da presa e la penna del copione, c'è un mostro sacro come Joseph Mankiewicz: per intenderci, il regista del kolossal Cleopatra, ma anche di capolavori come Eva contro Eva e Improvvisamente, l'estate scorsa. Era comunque anche uno dei migliori sceneggiatori di Hollywood: e qui lo dimostra in pieno. La sceneggiatura è un fuoco di fila di sentenze filosofiche ed esistenziali o di battute estremamente argute, raggiungendo il suo vertice in alcuni dialoghi: provo adesso a riprodurre qualche frase notevole. 

- Ha mai notato che il giorno muore in modo simile a molti uomini? Si batte fino all’ultimo attimo di luce prima di arrendersi alle tenebre (il dott.Noah alla sua infermiera, di sera). 


- Hai mai osservato, caro Shunderson, che i teschi ridono sempre? Ora, perché? Perché un uomo dovrà morire e poi ridere per l’eternità? (sempre il dott.Noah, poco prima di una lezione, davanti allo scheletro dell'aula di anatomia). 

- E’ un cane spaventato e infelice – Mali comuni a una gran parte dell’umanità (breve dialogo tra Shunderson, che è  riuscito ad ammansire il tremendo cane degli Higgins, e Noah). 

- Lei è un professore, è difficile far capire a voi la roba che non è sui libri: e il più di quel che succede nel mondo non è sui libri (la governante zitella dell'inizio con il prof.Edwell). 

- Sai qual è il tuo problema, Edwell? Non hai mai avuto un cadavere tutto tuo (il simpaticissimo prof.Lionel Parker, amico di Noah, al pessimo Edwell). 

Come si vede, Mankiewicz, quando scriveva, pensava indubbiamente a Shakespeare: difatti, il film è, in fin dei conti, una riflessione sulla vita, sulla morte e sul ruolo di chi cerca di salvare l'una e sconfiggere l'altra, cioè il medico. Grant è ora arguto, ora ricco di humour, ora malinconico, come si addice alla vicenda. A parte i due protagonisti, Cary Grant e Jeanne Crain (che, curiosamente, ebbe la parte perché la prima scelta, Anne Baxter, aspettava un bambino), ho notato in particolare la recitazione di Walter Slezak, l'amico Lionel Parker, cicciotto e simpaticissimo quando "litiga" con Noah (vedere la scena in cui suona il contrabbasso nell'orchestra dell'Università, infischiandosene bellamente della direzione del suo amico); oppure Finlay Currie, il misterioso Shunderson, sul quale tutti spettegolano, perché non si sa da dove venga, ma che ha la posa immobile e ieratica di un antico sapiente (o di un fantasma?). Non è un caso se l'attore interpretò anche il ruolo di S.Pietro in Quo vadis?  o del re mago Baldassarre in Ben Hur. 


Per comprendere il senso del film, però, bisogna riandare alla situazione degli USA all'epoca. Mankiewicz, con questa trama, intendeva alludere alla famosa "caccia alle streghe" lanciata alla fine degli anni '40 e durante gli anni '50 dal senatore del Wisconsin Joseph McCarthy, ovvero il maccartismo, cioè la caccia ossessiva dei nemici comunisti, temuta quinta colonna entro la compagine statale statunitense. La caccia al comunismo fu condotta con una ristrettezza di vedute e una paranoia tali da sfociare nell'idiozia: e la persecuzione che lancia Edwell contro Noah le assomiglia moltissimo. Ma non bisogna dimenticare che gli USA degli anni '50, per quanto ricchi, vincitori sul piano bellico e al loro massimo sviluppo, erano anche una società profondamente conformista: una società in cui tutto era previsto dalla nascita alla tomba e in cui l'uomo medio si alzava la mattina, andava a lavorare in una grande corporation, cui dedicava tutta la sua esistenza lavorativa e in cui tutti si uniformavano ai modelli proposti, tornava la sera a casa in una villetta identica a quella di decine di vicini e si conformava volonterosamente ai dettami della pubblicità. L'economia era guidata dalle grandi corporations che facevano dell'omogeneizzazione la loro strategia primaria. Dal punto di vista etico, guai a chi sgarrava: tanto che le ragazze che rimanevano incinte fuori dal matrimonio, sulla base di ideologie che in realtà niente a che fare avevano con la religione e che s'imparentavano piuttosto con il darwinismo sociale, erano considerate delle autentiche tarate mentali. Ecco come si spiega la disperazione di Debbie e il collegamento tra la sua situazione e quella di Noah. 


La densità dei dialoghi rinvia dunque a una profonda discussione sulla condizione umana, sulla vita e sulla morte, ma anche proprio sul fatto che "la gente mormora": la massa, che non pensa e si lascia omogeneizzare, è immediatamente pronta a lanciare le sue pietre sui geni che non comprende (Noah), su chi dimostra delle fragilità (Debbie e Shunderson), su chi non ha successo (Arthur). L'omogeneizzazione rende però mediocri e insulsi, meschini. Il cattivo della situazione, Edwell, è infatti un uomo gretto, un po' come il diavolo del Faust di Goethe, incapace di vedere il bene e la grandezza; non è "neanche degno di legare le scarpe al dott.Praetorius" (come dice Shunderson). Una lieve aura soprannaturale pare circondare il medico e il suo assistente, tanto che sembrano venire da un altro mondo; non posso escludere dei richiami evangelici. Il miracolo della vita, però, finisce per prevalere: e come canta il coro dell'università eseguendo Brahms, Gaudeamus igitur, "Allora, siamo felici". 

Lieber Prinz,
heute habe ich mit meinem Architeck ueber das neue Zuhause diskutiert. Ich moechte etwas sehr schoenes und bequemes vorbereiten, obwohl ich auch ersparen will. Und du? Du wirst Fernunterricht sicher halten, waehrend ich schon meinen Zurueckgang zur Schule vorbereite; Ich werde in Schulraum arbeiten und mit allen meinen Studenten. Das wird sicher kompliziert sein. Ich liebe dich. Du bist in meinen Herz, Passerotto...

sabato 29 agosto 2020

Il turista (The tourist; F.Von Donnersmarck, 2010)


Il turista (The tourist)

Questo è divenuto poco per volta, nel corso degli anni, uno dei miei film preferiti e si addice perfettamente all'atmosfera di fine vacanze. A Parigi, Elise Clifton Ward (Angelina Jolie), elegantemente vestita, si reca, col suo passo da modella, a far colazione a un caffè dietro il Louvre, mentre la pedina una squadra di poliziotti francesi. Durante la colazione, un corriere le porta una busta che lei legge e, prontamente, brucia - per la disperazione dei poliziotti e del capo dell'operazione, il detective Acheson di Scotland Yard, collegato da Londra. Quindi lei si alza, depone sul tavolo 20 euro e si allontana su suoi tacchi, riuscendo a seminare tutta la squadra (non è che i poliziotti francesi facciano qui una grande figura...). La sua meta successiva è la mitica Gare de Lyon dove prende...eh sì, non prende un TGV francese, ma un Eurostar italiano! Direzione Venezia. Come ordinatole nella lettera, si siede presso un uomo qualsiasi, un innocuo - e imbranato - turista americano, Frank Tupelo (Johnny Depp). 

Lo scopo della donna è quello di farlo passare per il suo amante ricercato, il fantomatico Alexander Pearce, che resterà una primula rossa per tutto il film e ha derubato un gangster con contatti in Russia, Reginald Shaw, frodando, per di più, il fisco inglese. Ecco perché l'Interpol, Scotland Yard e le polizie di ben 14 paesi cercano Pearce, che ha sedotto la bella Elise ed è scomparso con il malloppo. Così, a Venezia, si intrecciano i fili della caccia all'uomo: da una parte il detective Acheson (Paul Bettany), gli agenti italiani dell'Interpol, la nostra Guardia di Finanza, i Carabinieri, insomma, tutti alla ricerca di Pearce per tramite di Elise; dall'altro Shaw con i suoi gorilla russi, che vuole indietro il maltolto e fargli la pelle; e, in mezzo, il povero Frank, estraneo alla vicenda, che sembra sempre più goffo e imbranato e a cui, per il fatto di essere al posto sbagliato, nel momento sbagliato, ne capitano di tutti i colori...

Il film è un thriller di classe, piuttosto sofisticato, con accenti di commedia, nella linea dei film dedicati alle rocambolesche avventure dei ladri gentiluomini attivi nel jet-set (mi ricorda molto la serie degli Ocean's 11, 12, 13...oppure The Italian Job). Il regista, Florian Von Donnersmarck, è arrivato alla regia di questa pellicola dopo una prima rinuncia e una lunga serie di ordini, contrordini e assegnazioni ad altri: infine il lavoro gli è stato affidato perché era appena assurto a celebrità mondiale grazie al bellissimo Le vite degli altri, Oscar per il miglior film straniero 2007. Di recente ha diretto un altro magnifico film sulla storia tedesca, Opera senza autore, del 2018. Vale la pena soffermarsi un attimo su questo regista, perché in pochi anni è diventato una delle figure più carismatiche della cinematografia, non solo europea: è un gigante di 2,05  metri, discendente di una casata aristocratica tedesca di conti, nipote dell'abate emerito di Heilingekreuz (dove ha scritto la sceneggiatura de Le vite degli altri) e quasi mio perfetto coetaneo, dato che è nato esattamente 2 giorni dopo di me (ovviamente, i rapporti tra me e lui finiscono qui). E' talmente degno di considerazione che l'Università di Leeds gli ha consacrato un convegno nel 2012 e anche se parecchi critici hanno liquidato The Tourist come un film non perfettamente riuscito, in realtà i suoi lavori, compreso questo, appaiono molto ricchi e stratificati su più livelli. Difatti, The Tourist è un divertissement di classe. 

Von Donnersmarck ha rifatto da cima a fondo la sceneggiatura, il che si nota anche perché vi sono inserite numerose frasi nelle lingue che lui conosce: a parte la base in Inglese, ci sono parti in Francese, in Russo e, ovviamente, in Italiano (Von Donnersmarck è anche docente di Russo). A mio avviso, a parte qualche incongruenza minore, la sceneggiatura è ben riuscita, perché progredisce per colpi di scena ben calcolati e appare compatta e ben costruita; le incongruenze minori consistono nel fatto che, lo vedrete, alcuni personaggi che funzionano da deus ex machina tendono a comparire dal nulla (vi chiedete come facciano ad essere lì). Tuttavia, è una buona sceneggiatura, con numerosi tocchi di humour che mi ricordano vagamente certe parti di Hitchcock. Ovviamente, un film del genere non offre molte chances alla recitazione: onestamente, per quanto sappiano fare il loro mestiere, i due protagonisti non mi convincono del tutto. 

Johnny Depp fa a meraviglia il ruolo del goffo Americano perennemente tra i piedi, però non si amalgama veramente alla chimica del resto del film (in effetti, come ha notato qualcuno, non c'è molto affiatamento tra lui e la Jolie). Quanto ad Angelina Jolie, è bellissima, fa piacere vederla, è sempre elegantissima (le sue parures e toilettes sono uno dei valori aggiunti della pellicola), però fa in sostanza la bella statuina dall'inizio alla fine del film e sembra che abbia ingoiato un manico di scopa. Continuo a pensare che i produttori avrebbero dovuto insistere con la prima scelta, Charlize Theron. Se volete vedere un po' di recitazione, dovete osservare i personaggi di contorno: a me non dispiace Bettany, il detective antipatico e che ha fatto della cattura di Pearce la sua ossessione, ma varie figure minori risultano davvero credibili nel loro piccolo, come Bruno Wolkowitch, che interpreta il capitano Courson, a capo della squadra francese, oppure i nostri attori italiani. 

Difatti, per noi Italiani il film è doppiamente godibile e non solo per Venezia e per l'Eurostar: infatti, sullo schermo compare una lunga serie di attori nostrani. Nell'ordine: Alessio Boni, a capo della squadra Interpol italiana, affiancato da Daniele Pecci e Giovanni Guidelli; alla reception del celeberrimo Hotel Danieli, dove scende Elise Ward, troviamo Neri Marcoré - che in una scena gustosa, duetta con Johnny Depp al telefono, senza capire che l'altro ha dei killers in camera; e si noti che, a differenza della versione italiana, nell'originale inglese Johnny Depp tenta un abborracciato spagnolo, come fanno veramente gli Statunitensi in visita da noi. Poi, al mercato della frutta di Venezia, nelle vesti (manco a dirlo) di carabiniere, troviamo Nino Frassica; quindi, come colonnello alla caserma, Christian de Sica; infine, ricordo il sarto di Shaw, il nostro Renato Scarpa (il maggiore Lohengrin dei servizi segreti nel Ladro di merendine, serie di Montalbano). Fra gl'Italiani, non posso dimenticare Bruno Bilotta, a capo della squadra dei tiratori scelti (forse il GIS), Maurizio Casagrande, come cameriere e, ovviamente, Raoul Bova, che compare in un cameo al ballo. Per completare la serie degli attori noti, sul lato inglese compaiono, come chief detective inspector di Scotland Yard nientemeno che Timothy Dalton (che fa una gran bella figura) e, nel ruolo di un altro misterioso turista, Rufus Sewell. Il cattivo, infine, il gangster Reginald Shaw è interpretato da quello che era già il cattivo all'epoca di 007 Operazione piovra, Steven Berkoff. 

A parte Berkoff, avrete notato che nel cast abbondano gli attori belli. In effetti, esorto le fanciulle tra il mio pubblico a fare la prova: non ho mai visto in un film una tale congerie di uomini belli, ma veramente belli (non le facce slavate e passive di certe copertine o gli efebi adolescenziali che vanno tanto di moda oggi, ma proprio uomini, prestanti e di aspetto deciso, virile). Ho citato Alessio Boni, Daniele Pecci, Giovanni Guidelli, Raoul Bova, ma anche Paul Bettany, Timothy Dalton, Rufus Sewell; ma anche i poliziotti francesi, per quanto inefficaci (!), non scherzano. Provate la scena iniziale sull'Eurostar: Elise attraversa i primi vagoni della classe business e incontra una lunga serie di professionisti molto attraenti. Ovviamente, la realtà sugli Eurostar è ben diversa - anche in classe business: qui alcuni anziani che parlano dei loro acciacchi, là una famiglia con dei bambini pestiferi, ancora più in là un gruppo di amiche che spettegola a voce alta, facendosi sentire da tutto il vagone...

La cosa colpisce, comunque, anche perché l'unica donna che compare nel film è la Jolie. Vabbé, fa piacere, così come tutto il lato sontuoso della pellicola: ho citato il Danieli e le mises della protagonista, ma sono molte le scene che colpiscono, come quelle nella suite del Danieli (in realtà, alcune riprese sono state operate a Palazzo Querini Benzon e Palazzo Pisani Moretta), il magnifico ballo (alla Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia) o le scene nell'appartamento finale, sull'Isola della Giudecca. Parallelamente, sono numerose le scene divertenti - come l'inseguimento del povero Frank in pigiama sui tetti di Venezia - o ricche di humour. Manca la frenesia adrenalinica di certi film di Hollywood e prevale l'eleganza, l'amore per la bellezza, il divertimento raffinato. Cito infine la bella fotografia, che dà il meglio di sé nelle suggestive riprese di Venezia la notte, o la colonna sonora, con squarci indovinati. Insomma, a mio avviso, The Tourist è un thriller riuscito, molto godibile e di classe, che lascia la voglia di essere rivisto. 

PS. Il paesaggio che si vede dai finestrini dell'Eurostar non è di certo quello che si ammira prima di arrivare a Venezia...


Mein lieber Prinz,
das ist einer meiner beliebten Films. Und das ist auch romantisch...Ich habe ihn noch einmal gesehen, als ich am Mittwoch nach Hause mit dem Zug zurueckgekommen bin: Ich frage mich, ob du ihn gesehen hast. Kennst du das Kino? Was liebst du? 
Hier hast du den link, wenn du es auf English sehen willst:


Ich liebe die Idee, meine beliebten Filme mit dir mitzuteilen...Und keine Sorge, wenn ich schoene Schauspieler bemerke, sie sind nicht mein Typ und der beste und schoenste bist immer du...Ich liebe dich...

lunedì 24 agosto 2020

Capri, la bellezza che sorge dal mare...

Capri, la bellezza che sorge dal mare...

Capri, regina di roccia,
nel tuo vestito
color amaranto e giglio
vissi sviluppando
la felicità e il dolore, la vigna
piena
di splendenti grappoli
che conquistai sulla terra,
il tremulo tesoro
di fragranza e di chioma,
lampada zenitale, rosa allargata,
favo del mio pianeta.


Sbarcai d'inverno. 
Il suo abito di zaffiro
l'isola conservava ai suoi piedi,
e nuda sorgeva nel suo vapore
di cattedrale marina. 
Era di pietra la sua bellezza.
In ogni frammento della sua pelle
rinverdiva
la primavera pura
che nascondeva nelle fenditure
il suo tesoro....


Questi versi sognanti costituiscono l'esordio di una vera e propria ode che Pablo Neruda dedicò all'isola di Capri, Chioma di Capri, durante il suo soggiorno qui, tra il 1952 e il 1953 e poi pubblicata  nella raccolta L'uva e il vento, edita nel 1954. Il poeta, comunista, si era rifugiato in Italia a causa di contrasti col governo cileno e qui aveva scoperto innumerevoli meraviglie, finché non era approdato a Napoli e, infine, a Capri; si innamorò di questa splendida isola e qui ebbe anche la gioia di sapere che la sua amata Matilde era rimasta incinta. 
E' straordinario come quest'isola, che davvero sembra sorgere dalle onde azzurre del Mediterraneo come, nel mito antico, la dea Afrodite, comunichi una profonda, solare voglia di vivere. Credo che pochi luoghi sappiano coniugare in maniera altrettanto magica bellezza naturale, paesaggio e architettura pittoreschi, sole, cielo, mare, arte, cultura e persino il meglio delle vetrine! Approfitto di questa pagina per condividere alcune impressioni dopo la visita di oggi, pagina che costellerò delle mie fotografie. 


Capri è veramente un piccolo mondo a sé. E' un incanto semplice, che nasce dalle sue stradine tortuose, orlate di ville e villette dal candore immacolato, sommerse da un verde lussureggiante, da chiome di buganvillee, glicini, oleandri, villette immancabilmente annunciate da piastrelle colorate che ne indicano il titolo, magari accompagnato da un motto. Qui ne presento due, una più caratteristica, l'altra più "devota" - si ricordi che siamo in terra di marittimi e la devozione è letteralmente l'ultima spiaggia quando il mare fa paura...Ma molti portoncini sono dei piccoli capolavori. Per esempio, osservate quello, rallegrato da meloni gialli e pomodori datterini appesi ad asciugare, ma doverosamente adorno della sua piastrella - non si legge molto bene, ma il motto è Capri, l'isola dei sogni...Ogni scorcio è un piccolo capolavoro. 


Molte di queste ville sono, inoltre, interessanti anche a livello architettonico. I muri di pietra, i graticci di canne che proteggono i terrazzi, le ringhiere in ferro battuto, i colori pastello trasformano ogni angolo in un preannuncio di un piccolo Eden insulare. E, tra uno scorcio e l'altro, si aprono panorami mozzafiato. 
Dopo una lunga, tortuosa salita a piedi attraverso le viuzze che si dipanano come fili di un magico labirinto tra i moli della Marina Grande e la celebre piazzetta, sono finalmente arrivata a quest'ultima. L'atmosfera qui è la consueta, allegra caciara - un po' meno internazionale, forse, dato che, con le restrizioni in corso, ho notato che molti turisti hanno un accento campano e, quindi, si sono orientati verso il "turismo di prossimità". Ma non mancano gli stranieri, specie anglosassoni. Il distanziamento sociale è un pio auspicio, comunque quasi tutti indossano la mascherina (o almeno ci provano, col caldo che fa). 


Io sudavo a più non posso e le varie misurazioni di temperatura sul traghetto e in albergo mi avevano edotto quanto al fatto che la mia temperatura stava precipitando a picco - 35,3, poi addirittura 35 -: inutile dire che mi sentivo piuttosto deboluccia. Ho colto allora l'occasione al volo per "consolarmi" con qualche pasticcino della tradizione partenopea. Nella celebrazione della bellezza locale, i dolci rivestono un ruolo primario e questa foto fa onore a uno dei bar prossimi a piazzetta Umberto I. 


Dopo questa sana pubblicità e dato che, nel frattempo, le mie energie erano risalite, ho deciso di andare a visitare uno dei luoghi più suggestivi, "mitici" di Capri: Villa Lysis, la dimora fatta erigere nel 1905 dal conte Fersen. Prima però faccio una breve digressione, poiché essa si trova poco al di sotto di un'altra villa, forse ancora più celebre e da me visitata anni fa: Villa Iovis, dove, più di 2000 anni fa visse e morì l'imperatore Tiberio (deceduto nel 36 d.C.). Ricordo ancora i giganteschi serbatoi d'acqua in muratura e i resti, davvero ciclopici, di quella che doveva essere una villa imponente, arroccata su di uno sperone roccioso in vista del mare. Dicono che da quelle rupi Tiberio abbia fatto precipitare più di un personaggio scomodo o vittima della sua diffidenza: di certo, come disse qualcuno una volta (non ricordo chi): "Si ritira nelle isole chi ha fatto naufragio sul continente". In effetti, Tiberio aveva un carattere molto difficile e diffidente, non si sentiva mai al sicuro, aveva passato anni nascosto a Rodi, tanto da rischiare di cadere in disgrazia presso il patrigno Augusto, per poi fuggire da Roma quando già era imperatore e ritirarsi a Capri. 


Da qui, nell'ottobre del 31, inviò la fatidica lettera al Senato, con la quale comunicava a distanza al nobile consesso di eliminare il suo prefetto del pretorio, e fino ad allora favorito, Seiano. Immaginatevi l'effetto terrorizzante di un ordine del genere, emanato da un assente che, però, ha nelle sue mani l'esercito, la guardia del pretorio ecc. Nel giro di un giorno (il 18 ottobre) Seiano, che intendeva forse fare le scarpe a Tiberio, fece una pessima fine. Anni fa dedicai uno studio alla personalità di questo imperatore e diagnosticai che tutto induceva a credere fosse affetto da una forma di paranoia (la paranoia di Kretschmer). Presentai lo studio a una conferenza a Vilnius, Lituania, con cui l'università di Friburgo all'epoca collaborava: mi spiace per i miei lettori, ma l'intervento (redatto in francese), fu poi tradotto in lituano, per cui non so quanti lo leggeranno. In ogni caso, ricordo il bel complimento di un archeologo della Sorbona, secondo cui il mio Tiberio "pareva vivo": mi consigliò di redigere una vera e propria biografia. Prima o poi, forse, completerò il lavoro. 


Tiberio ha lasciato dietro di sé un ricordo sinistro, di nefandezze e crudeltà, in parte enfatizzate da biografi come Svetonio, ma, temo, non troppo. Anche il conte Fersen si rifugiò in quel luogo lontano da tutto per sfuggire a una terribile condanna emanata dalla giustizia francese - corruzione di minore - e lasciò intorno alla sua villa un'aura di scandalo con una vita piuttosto dissoluta: basti pensare che la villa possiede anche una "camera dell'oppio", di cui Fersen era assiduo consumatore. Fu proprio l'uso di stupefacenti misti ad alcool che lo portò alla morte, probabilmente voluta, nel 1923. Lo sguardo dei suoi ritratti fotografici rivela la pesantezza interiore del dandy raffinatissimo, ma che non ha mai trovato un senso definitivo alla propria esistenza, la tristezza profonda di chi si trascina dietro qualcosa di irrisolto. Tuttavia, la villa pare scrollarsi di dosso tutto questo. Si tratta di una piccola, elegante costruzione che unisce lo stile neoclassico ai mosaici dorati cari alla Secessione Viennese, le ceramiche a greche alle ringhiere in stile liberty. Un connubio davvero felice. Il Comune di Capri ne è venuto in possesso nel 2015 e, per il momento, ha fatto restaurare la struttura: le sale sono in gran parte vuote o ospitano un mobilio ridotto all'essenziale. 


Chissà dove sono finiti i magnifici pezzi che adornavano la villa all'epoca del suo padrone? Come dicevo alla volontaria che accoglie i turisti, ci vorrebbe un mecenate che li ritrovasse. Dandy e poeta, il conte Fersen discendeva da un ramo della stessa famiglia che aveva dato nel Settecento i natali al famoso amante di Maria Antonietta. La sete di bellezza e di solitudine lo hanno spinto fin qui, gli hanno fatto amare l'arte e la cultura; ma quando si arriva a Villa Lysis (così chiamata dal nome di uno dei personaggi del Simposio di Platone), si arriva in una Capri molto diversa da quella di Piazzetta Umberto I. E' un po' come la meta di un pellegrinaggio. Le stradine che vi conducono sono insolitamente vuote e silenziose, rispetto ad altre  parti dell'isola; la natura è al  massimo del suo splendore, ogni scorcio suggerisce quiete, luce, armonia. Camminare verso Villa Lysis è stata un'esperienza meravigliosa di per sé, grazie a cui mi sono imbevuta della luce del sole, della freschezza dell'ombra dei tanti cespugli fioriti, dell'azzurro del cielo. Infine, quando sono arrivata alla villa vera e propria, circondata dal magnifico giardino della Gloriette (si veda la prima foto), mi si sono aperti dinnanzi paesaggi indimenticabili. 


Qualsiasi sia stato il destino del suo proprietario, nella purezza delle sue linee e nell'incanto della natura che la circonda, pare che questa villa aiuti a riconciliarsi con se stessi. 
Si dice che chi contempla il tramonto del sole nel cielo di Capri dall'alto dello splendido belvedere di Villa Lysis, potrebbe avere la fortuna di scorgere un particolare riflesso verde nei raggi del sole che declina: e questo privilegio confermerebbe al fortunato che potrà cambiare in meglio la sua esistenza. Questa la leggenda: però è straordinario che Capri riesca a inculcare la voglia e la gioia di vivere. Persino i lussuosi negozi di via Roma e via Camarelle, si armonizzano magicamente con l'insieme: laddove le sontuose vetrine di Bulgari, Cavalli e Prada appaiono non di rado un'imposizione nei centri storici di alcune nostre città d'arte (penso ad esempio a Firenze e all'effetto patinato, non genuino, che le conferiscono), a Capri, invece, s'intonano al resto. Forse perché l'isola è divenuta una meta delle élites europee durante la Belle Epoque e lo stile liberty si è sposato felicemente con l'atmosfera solare e mediterranea delle viuzze capresi; però, è anche vero che qui abbondano molti negozi di pregiate produzioni locali, dalle ceramiche adorne dei caratteristici limoni, ai tipici abiti bianchi di pizzo, dai coralli, ai miei profumi preferiti, i Carthusia, la cui tradizione risale all'arte antica dei certosini e al loro giardino dei semplici. Qui tutto è talmente bello...Anche senza acquistare, già ammirare le vetrine è un regalo per l'anima. 


Concludo, citando una poesia che il nipote di Pablo Neruda, Rodolfo Reyes, ha voluto dedicare qualche anno fa (aprile 2017) all'isola amata da suo nonno. Cito soltanto alcuni versi: s'intitola Capri, isola bella. 

La fragranza dei fiori
profuma ogni angolo delle tue stradine,
che sono sospese come rondini rocciose,
e ogni colore, cambia con la pioggia,
permettendo al sole di impreziosire di rubino
le tue acque verde smeraldo, formando
un amalgama di pietre preziose (...)


Oh!...Isola capricciosa dell'Eden, staccata dal Paradiso,
che la Madre Roccia ha consentito di lasciare
Alle cure dei suoi tre faraglioni guerrieri, 
e a cantare dell'incanto delle sue sirene. 

Ti ricorderò per sempre,
in ogni goccia di pioggia,
in ogni profumo di fiori
all'alba della mia primavera,
Capri, isola dell'amore. 


Le poesie di Neruda e di suo nipote Reyes in links locali:

mercoledì 19 agosto 2020

Bigné di crema e mela

Bigné di crema e mela

Un nuovo dolce, fresco e delizioso per l'estate, una vera leccornia....

Bigné
Ritroviamo qui la nostra ricetta per i bigné
Ingredienti
150 gr. farina
100 gr. burro
250 ml di acqua
1 cucchiaino di zucchero
2 uova
un poco di sale

Lasciate sciogliere il burro in acqua sul fuoco, quindi aggiungete la farina, il sale e lo zucchero fuori dal fuoco. Rimettete sul fuoco per qualche minuti affinché la pasta si asciughi; infine, dopo aver tolto nuovamente il composto dal fuoco, aggiungere i due tuorli d'uovo e, infine, i due chiari montati a neve. 
Formare delle palline con la siringa per dolci e infine mettere in forno a 180 gradi per 15-20 minuti (il tempo di cottura può variare).


Crema pasticcera
Come sempre, seguite la ricetta:


Mele
Pulite e tagliate a fettine mezza mela (può bastare) da unire a un cucchiaio di zucchero e uno di liquore Amaretto. 

Infine: tagliate a metà i bigné, inseritevi la crema e, al di sopra della crema, qualche fettina di mela. Potete poi coprire il bigné con una glassa, oppure, come qui, con zucchero a velo (altrimenti c'è la panna). 


Lieber Prinz, ich habe einen kleinen Vorschlag für dich: du kannst jedes Tages einen kleinen Schritt (den du allein kennst) zu mir tun, um unsere Situation zu verbessern. Schritt nach Schritt willst du gewinnen...So wirst du ruhiger, und arbeiten ohne zu verstehen, dass du vorkommst. 
Ich sollte am Sonntag nach Sorrento mit dem Zug und einer Freundin abfahren. Aber die Freundin kann jetzt nicht mehr und es ist ganz wahrscheinlich, dass ich allein bleibe. Ich weiss, was unsere Situation ist, aber willst du mich?....Es wäre so schön ....Aber ich weiss, es ist fast unmöglich und ohnehin träume ich davon, denn es wäre so schön...Aber ich bin sicher, dass du bald mich erreichen wirst, wenn nicht in dieser Reise. 
Weisst du? Ich will noch den Traum über unser Zuhause verwirchliken: Ich habe noch meinen Plan die Wohnung für uns zu kaufen, mit zwei Parkplatze, für Brigida und Polpetta! Es gibt viel Platz drin und mehrere Zimmer. Ich dachte an dich, genau, als ich diese Wohnung wahlte...Ich liebe dich immer. Gute Nacht, deine Prinzessin.