giovedì 26 ottobre 2017

Fiaba orientale dell'amore incompreso (III e ultima parte)


Fiaba orientale dell'amore incompreso (III e ultima parte)


Questa fiaba non ha un finale: non sappiamo come l'amore tra il principe e la principessa andò a finire. Però noi ci comportiamo molto spesso così con Dio. Il tradimento dell'amore compare difatti più volte nella Bibbia per descrivere i rapporti incostanti tra Israele e il suo Dio. Come una sposa infedele, Israele ha spesso indotto Dio al lamento: "Che cosa devo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?" (Is. 5,4). L'amore incompreso è il Suo: enorme, smisurato, pronto sempre a perdonare e ingiustamente rifiutato e malmenato. Siamo tutti malati: e facciamo il male che non vogliamo, di regola a chi non lo merita. Solo Dio può guarirci con il Suo amore. Ma bisogna accettarlo umilmente.

Cosa succederà al principe e alla principessa? Dipende. Di certo, lei continuerà a pregare per lui; ma dato che lui non la vuole, probabilmente lui la perderà davvero e lei se ne andrà per sempre. C'è un momento per l'amore e bisogna coglierlo, perché quando è passato, magari non torna più. Però, una domanda: perché lui dovrebbe ostinarsi a rimanere nella sua prigione? Perché lasciar vincere chi gli ha fatto del male e vuole togliergli il regno? Perché lasciar vincere chi lo vuole infelice? "Tutto posso in Colui che mi dà forza" (Fil.4,13)
Vi ricordate che lei lo aveva rimproverato a torto? Poi gli aveva chiesto scusa tante volte e cercato di riparare: ma lui, è chiaro, non l'ha mai perdonata. Credeva di averle condonato tutto: ma il condono è un atto falso, di rassegnazione, senza speranza. Si condona quel che non si può cambiare. E, prima o poi, ci si rimangia il condono con ira. Lei invece lo ha perdonato tante e tante volte, convinta che lui, ogni volta, potesse ripartire e migliorare. Il perdono guarisce. Ma il perdono è anche responsabilità: implica l'apertura all'altro, la volontà di mettersi in gioco. Ma lui veniva da un mondo senza perdono, né misericordia. E riteneva giusto un mondo senza perdono e senza misericordia. Invece, senza perdono, non c'è vita, non c'è speranza. Forse lui voleva un condono: e, possiamo esserne sicuri, lei non glielo concederà mai. Ha sofferto troppo. Ma il perdono?


Serve impegnarsi per ricevere il perdono. Serve tornare umili e sinceri. Di cosa ha bisogno lui per ottenere il perdono? Di fare in se stesso verità. La menzogna, anche l'infima, è immorale, sempre. Perché nascondersi a se stesso? Perché nascondere le proprie fragilità a Dio? Perché nasconderle a chi lo può aiutare e amare? Perché nascondere che si ha bisogno di aiuto? Perché fingere di essere invulnerabili? Se esiste il perdono, è possibile ammettere i propri limiti e chiedere aiuto, senza essere rigettati o schiacciati, ma ricevendo in cambio rispetto e amore. Dio, la principessa, chi ci ama davvero, sono molto diversi da chi ci ferisce. E' possibile essere umili. Essere umili significa riconoscere quel che si è: fragili, ma bisognosi di amore. Se lui accettasse la misericordia, perdono e aiuto sarebbero pronti per lui. Ma lo vorrà?

La verità vi farà liberi (Gv. 8,32)

Misericordia e verità s'incontreranno....(Sal. 84,11)


Fiaba orientale dell'amore incompreso (II parte)


Fiaba orientale dell'amore incompreso (II parte)



Ma ben presto, incomprensibilmente, le cose cominciarono ad andare male. Innanzitutto, lui lavorava troppo: sembrava volesse riempire il suo vuoto affettivo a furia di lavorare. Lavorava come uno schiavo, si sfiniva al lavoro: dormiva poco, spesso mangiava di corsa, senza accordarsi il tempo necessario; e, inutile aggiungerlo, in tutta questa frenesia per il lavoro, non aveva tempo per lei. Non aveva tempo per il suo amore. Poi, lei, avendole sperimentate, riconobbe in lui le tipiche reazioni di chi ha subito rifiuti e ingiustizie: ai rifiuti, lui reagiva occupando meno spazio possibile e fuggendo; alle ingiustizie reagiva irrigidendosi e divenendo spietato con se stesso. E, di converso, spietato anche con lei. 



Il principe prese infatti a trattarla come trattava se stesso: dapprincipio, la ignorava, o era freddo, distaccato; poi, prese a usarle delle vere e proprie sgarberie. Non capiva neanche lui perché lo facesse, anzi, sensibile com'era, ne era contrariato, si sentiva orribilmente, ma tant'era: ora le toglieva il saluto; ora, la evitava o rifiutava i suoi atti di dolcezza; ora, evitava di parlarle e, beninteso, non rispondeva mai alle sue lettere piene di tenerezza. E quando lei gli chiedeva delle spiegazioni (perché lei era dotata di notevole franchezza e non mentiva mai), lui le rispondeva con dei pretesti o delle bugie vere e proprie. Certo, lui si sentiva profondamente in colpa e non si riconosceva più; ma, in generale, il suo atteggiamento con lei era duro, arido, a tratti persino crudele. Non sembrava più lui: con lei, pareva indossare una maschera, come se un'altra persona (chi lo aveva fatto soffrire?) si fosse sovrapposta alla sua personalità.



Alcune amiche della principessa presero a consigliarle di lasciarlo perdere: quel principe straniero era così complicato...così strano...così duro, anche. Lei non ci guadagnava niente con lui e lui non la meritava. Ma lei insisteva a preoccuparsene, perché lo comprendeva sempre di più; meditava nel proprio cuore tutti i suoi atti, con amore, e vi leggeva il logico risultato e le meccaniche di difesa di chi non è stato amato: la fuggiva perché aveva paura di essere rifiutato ancora; si irrigidiva e pretendeva troppo da se stesso perché temeva di essere vittima di ingiustizie ancora. Inoltre, lui aveva un'idea terribilmente bassa e irrealistica di sé, come se non meritasse niente. Lei sapeva che non era vero, che lui meritava molto. Pregava che lui guarisse, che migliorasse: perché si rendeva conto che, con quello stile di vita crudele, il suo principe, così pieno di qualità, si stava rovinando. Rischiava la vita e rischiava l'anima. Era (incursione da un'altra fiaba!) come il piccolo Kay, rapito dalla Regina delle Nevi e i cui occhi e cuore erano stati pietrificati dai frammenti acuminati dello specchio magico infranto della Regina: non riusciva più a riconoscere la sua amica Gerda, che gli voleva tanto bene.




E la principessa sopportava, sopportava. Non per masochismo: sopportava perché si rendeva conto della situazione del suo principe e lo capiva. Tuttavia, continuava a sorridergli con amore: così reagiva alle sue sgarberie, al suo cipiglio, al suo atteggiamento duro. Sperava che la sua tenerezza sciogliesse infine il ghiaccio da cui lui era imprigionato e facesse pervenire un raggio di sole nella prigione in cui lui era rinchiuso. Perché lui, lei lo sentiva, veniva da un vero inferno. 
Ma ecco che un giorno, lui giunse con lei all'affronto estremo: calpestando i sentimenti di lei (e anche i propri, che era abituato a non ascoltare e a reprimere ferocemente) e avvalendosi della maggiore disinvoltura raggiunta nelle ultime settimane, prese a frequentare un'altra donna. E a ostentare di frequentarla davanti alla principessa. Lei, incredula, li vide passeggiare insieme, tra le calli, alla brezza veneziana.




Perché? C'era forse rabbia nel suo atto? Riversava su di lei l'aggressività che non aveva potuto sfogare su chi lo aveva ferito? O voleva forse dimenticare la principessa? Oppure allontanarla da sé, come se lui non la meritasse? O anche schermarsi contro il rifiuto che lui riteneva infine ineludibile? Nessuno lo sa. Ma, qualunque fosse il motivo, l'atto era incredibile e, da parte di qualcuno abitualmente così sensibile e buono, davvero spregevole: perché lui, per soprammercato, si era servito del miglioramento indotto non solo dal proprio impegno, ma anche dalla sorridente comprensione della principessa PER FERIRLA. ATROCEMENTE. Si era avvicinato a lei, per poi illuderla e giocare con i suoi sentimenti. Le aveva inferto quelle stesse ferite di rifiuto e ingiustizia che tanti, lui lo sapeva, le avevano già inferto e che lui stesso aveva sofferto. Aveva calpestato lei e il suo amore. Proprio lui che tanto aveva desiderato un amore così. 



La principessa si sentì molto male e per quasi tre giorni stentò a mangiare. Infine, decise di chiedergli, com'era giusto, delle spiegazioni. Ma lui, codardamente, le rispose con delle menzogne; incomprensibilmente, accampò come scusa una "coerenza" che non dava senso (forse che preferiva essere coerente con il mondo di durezza da cui era fuggito?); e poi la lasciò in fretta. Davanti alle sue confidenti, lei fece la figura della stupida, dell'illusa, di quella che aveva visto quel che non c'era; le fu detto, con scarsa considerazione, che era tanto desiderosa di amore, da essersi immaginata tutto. E lui, il suo principe, aveva avvallato questa ingiustizia. Sofferse, proprio dal principe, quel che lui aveva sofferto, ingiustizia e rifiuto. E quel che lei aveva tante volte sofferto, ingiustamente, prima di incontrarlo. Di tanto amore, le era rimasto in mano soltanto un mucchio di cenere.
(continua)


mercoledì 25 ottobre 2017

Fiaba orientale dell'amore incompreso (I parte)


Fiaba orientale dell'amore incompreso (I parte)


C'era  una volta, tanto tempo fa, in un lontano paese dell'Oriente, un principe. Possedeva tante qualità: era bello, intelligente e, a palazzo, aveva ricevuto una cultura fuori del comune; inoltre, era anche fondamentalmente buono, forse molto buono, e straordinariamente sensibile. Ma non era felice. Per quanto cercasse di fare del suo meglio, di essere sempre irreprensibile, a palazzo non si sentiva a casa sua; del resto, si sa come vanno le cose nei palazzi: intrighi, menzogne, ingiustizie; per cui lui disperava di ricevere un giorno il regno e quanto meritava. Si sentiva rifiutato. Si sentiva incompreso. Non si sentiva amato. E allora, decise di partire.


Viaggiò per numerosi paesi e città, raccolse molte esperienze, radunò intorno a sé persino delle cerchie di amici o persone che lo apprezzavano; ma, la sera, in fin dei conti, era sempre solo. E infelice. Il vuoto lasciatogli dentro dalle esperienze di disamore subite nel palazzo, lo perseguitava. Avrebbe voluto essere sereno come gli altri: ma non ci riusciva. Per di più, nutriva uno straordinario bisogno di amore; e, nei paesi che attraversava, sognava sempre di incontrare la principessa dei suoi sogni: qualcuno da amare e da cui essere riamato. Ma, per uno strano scherzo del destino, ogni volta che cercava di avvicinare una possibile candidata, tutto andava male e, per un verso o per un altro, lei finiva per allontanarsi da lui. Così, continuava a essere tristemente solo. Perciò, si concentrava molto sul lavoro, un lavoro intellettuale che, data la sua buona volontà, gli dava grandi soddisfazioni.


Un giorno, giunse a Venezia (l'ho scelta perché è una città romantica! Un sogno sull'acqua). E qui, finalmente, fece un incontro inatteso: una principessa che sembrava corrispondergli. Anche lei era bella e intelligente; ma, soprattutto, anche lei aveva lasciato il suo paese, perché aveva sperimentato le stesse ingiustizie nel suo palazzo. Lei, finalmente, avrebbe potuto capirlo. E anche lei stava cercando un principe che potesse amarla e da riamare, profondamente: e, ignorava la ragione, ma nessuno aveva ancora mostrato un interesse autentico per lei. Quando la vide, il nostro principe rimase molto colpito e prese spontaneamente a pensarci sempre di più; addirittura, raccoglieva su di lei informazioni in segreto. Non riusciva a credere di avere trovato infine qualcuno che gli potesse corrispondere. Ma, a lei, non diceva nulla. Era molto schivo e, in lui, permaneva la traccia delle delusioni del passato. Quindi, rimase in silenzio. 


Potrei dire che i nostri due principi si intesero al primo sguardo, ma non è così. Infatti, se anche un primo sguardo ci fu (e rivelò a entrambi molto dei sentimenti reciproci), i rapporti fra loro furono subito difficili. Il principe era troppo schivo: si vergognava dei suoi sentimenti, forse perché erano troppo profondi, e cercava di nasconderli alla principessa. Forse aveva anche paura: paura di essere rifiutato ancora. E lei, per quanto ne fosse spontaneamente attratta, spesso e volentieri, di primo acchito, non sapeva come interpretare il suo comportamento. Talora, nelle calli, lui svicolava facendo addirittura finta di non vederla. Però ricordiamolo: anche lei aveva sofferto praticamente lo stesso che aveva sofferto lui. Anche lei, a palazzo, si era sentita vittima di ingiustizie, dimenticata, rifiutata. E, quindi, poco per volta, dopo un primo fraintendimento, per cui lo aveva rimproverato a torto, lei cominciò a capire. 
E il suo amore per lui prese a crescere, senza che se ne rendesse conto. Nutriva profonda stima per le sue qualità e lo ammirava; provava poi infinita tenerezza per lui, perché si rendeva conto di quanto soffrisse e avesse sofferto. Così, discretamente, teneramente, cominciò a incoraggiarlo con dolcezza, per rassicurarlo. Dato che lui la evitava, non le restò altro che servirsi delle sue lettere (ah, che romantiche che erano le lettere! Altri tempi) in cui, rispettosamente, e facendo un profondo sacrificio (perché non ci era abituata e temeva di apparire sfacciata), gli rivelava quanto tenesse a lui. Lettere su pergamena ricamata, profumate e che giungevano a destinazione scivolando sull'acqua dei canali nella gondola di un messaggero segreto...


Dapprincipio, tutto (o quasi) andò bene. Lui pareva felice di incontrarla, le sorrideva e, soprattutto in certi momenti, sembrava avesse trovato finalmente la felicità che cercava. Pareva fidarsi di lei, acquisire nuova sicurezza. Inoltre, pareva profondamente desideroso di uscire dalla sua condizione di sofferenza, di adoperarsi con alacrità per vincerla e venirle incontro. Pareva desideroso di lottare per lei e il suo amore. 
Una volta, in particolare, trovandosi da solo in sua presenza, lui si lasciò andare e la guardò con una gioia, ma una gioia che pareva la promessa di una nuova aurora per entrambi. Sembrava persino diventare più bello. Lei si sforzava di incoraggiarlo sempre più, discretamente, di dimostrargli comprensione, tenerezza: infatti si era resa conto che lui era spiritualmente rinchiuso in una prigione senza amore. Quando lo avvicinava, nutriva l'impressione di scendere in un sotterraneo isolato, buio, freddo. Lui non conosceva l'amore: pareva non sapere che cosa significasse riceverlo. E lei era pronta a darglielo, con grande slancio. Decise di non deluderlo e di fare di tutto per non deluderlo. Faceva le acrobazie per escogitare nuovi sistemi per incoraggiarlo. Si decise a rimanere fedele a quel ragazzo che le aveva sorriso con così tanta gioia, perché lei si sentiva profondamente responsabile della sua felicità.
(continua)


domenica 22 ottobre 2017

Il mistero della digitale purpurea


Il mistero della "Digitale purpurea"

In disparte da loro, agili e sane,
una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane,

l'alito ignoto spande di sua vita.


Al termine della seconda parte del poemetto Digitale purpurea (1898), nei Primi poemetti, Giovanni Pascoli, dopo una lunga rievocazione dell'atmosfera candida e dolce del convento in cui risiedevano le sorelle a Sogliano sul Rubicone, inserisce appunto l'immagine sinistra della digitale purpurea: un fiore rosso, che riesuma morbose atmosfere di morte in disparte da loro, agili e sane; rosso di un rosso sangue, viene dipinto con una suggestiva analogia che lo assimila a una spiga di fiori, il che ci farebbe pensare a qualcosa di nutritivo; ma no, è una spiga di dita spruzzolate di sangue, dita umane. Il lettore rabbrividisce come davanti alle macabre tracce di un omicidio. E l'immagine del fiore insanguinato, segno di un eros sinistro, si acquatta tra le erbe che circondano il monastero, subdolo forse come il serpente dell'Eden: difatti l'alito ignoto spande di sua vita, ma forse è un'antifrasi, perché la vita diffusa dalla digitale purpurea è solo morte.


Questo poemetto però, fortemente sensuale, si conclude in maniera misteriosa, una maniera cui, a mia conoscenza, i commentatori non hanno posto attenzione. Ma ripartiamo dall'inizio. La digitale purpurea è un arbusto, con fiori a campanule color porpora, del genere Digitalis e della specie Scrophulariaceae. Le foglie contengono dei glicosidi attivi sul cuore, contro l'aritmia e in grado di aumentare le contrazioni cardiache; servono perciò nella terapia dell'insufficienza di cuore (l'assumeva anche mio padre, per esempio). In dosi massicce, può però provocare avvelenamento, con nausea, vomito, visione di aloni e di colore giallo, fino all'arresto cardiaco.

Ida e Maria, le sorelle minori del poeta, dopo la distruzione della loro famiglia erano state sistemate in un pensionato a Sogliano del Rubicone; e Maria aveva raccontato al fratello della digitale purpurea, il fiore velenoso che cresceva nei dintorni del monastero in un giardino privo di siepe. La madre maestra aveva redarguito le sue educande, avvertendole che il fiore era bello sì, ma venefico; per cui esse si erano ben guardate dal toccarlo. Pascoli trasfigurò questo insignificante ricordo in una visione di grande suggestione poetica, a metà tra il candore, la bellezza, l'innocenza e il fascino oscuro di un eros cupo.


Nel poemetto, compaiono due amiche ed ex-educande del collegio, Maria, la sorella del poeta, e una fanciulla immaginaria, Rachele; fin dall'inizio sono contrapposte in modo netto: Maria è esile e bionda, semplice di vesti e di sguardi; l'altra invece è esile e bruna, con due occhi che ardono. Si indovinano due temperamenti del tutto opposti:  una è una specie di "donna-angelo", l'altra una "donna-demonio", fatale, come in tanta letteratura decadente. Nella tipica sintassi spezzata di Pascoli, le due fanciulle rievocano gli anni del convento, la sua dolcezza intatta, il giardino chiuso, descritto nella precisione così pascoliana dei rovi, delle more, dei bossi, dei tordi che zirlano. E poi (Maria quasi non osa menzionarlo) quel fiore, fior di...Morte, risponde Rachele; e qui l'amica già appare più esperta dell'ingenua compagna: che, difatti, si affretta a spiegare di avere sempre evitato quel fiore dotato di un miele (metafora) in grado di inebriare e di immergere l'anima in un oblio dolce e crudele. L'ossimoro evoca l'effetto perverso di quel fiore.

La seconda parte della poesia tratteggia l'atmosfera paradisiaca del monastero in cui le giovinette crescevano nell'innocenza: l'azzurro del cielo di maggio, l'incenso, il profumo delle rose, delle violacciocche (probabile citazione dal Sabato del villaggio di Leopardi), il suono dell'organo, la melodia dell'Ave Maria, intonata con maggiore slancio dalle giovinette dopo una visita gradita, la gioia, alternata alla malinconia spontanea, fatta di nulla e così tipica delle fanciulle...E poi il tramonto d'oro, una metafora che descrive l'atmosfera paradisiaca di quel luogo protetto, una sorta di "nido monastico", in cui svolazzavano gli abiti bianchi e si udiva il cicaleccio delle ragazze....Eppure, discosto da tanta purezza, ecco il rosso sinistro della digitale.


Il mistero emerge nella terza parte, nella conclusione che ne rappresenta il culmine. Dopo aver ricordato gli anni della fanciullezza e adolescenza, Rachele e Maria si stringono le mani: e Rachele confessa con sguardo rapito chissà dove, di avere provato la digitale. Da sola nel bosco immediatamente vicino al giardino del convento, dopo una notte passata in sogni che la facevano ardere e poi, all'alba, erano spenti (si noti la doppia metafora, che evoca il fuoco della passione e la delusione della solitudine una volta che il sogno è svanito), si era incamminata verso il fiore, che pareva attirarla a sé con una voce misteriosa: nel bagliore di lampi lontani (si noti la sinestesia del soffio dei lampi, molto amata da Pascoli e che ricorre, ad es., ne L'assiuolo), sui terrapieni erbosi (immagine, a mio avviso, cimiteriale), con i piedi trattenuti dall'erba (l'erba la tratteneva per proteggerla? La ghermiva?), Rachele aveva provato una dolcezza tale che...

vedi...(l'altra lo  stupore
alza gli occhi, e vede ora, ed ascolta

con un suo lungo brivido... ) si muore!"


Che cosa ha visto all'improvviso Maria? Qualcosa che non aveva visto prima, di sicuro. Rabbrividisce a quella nuova vista e consapevolezza. E questa nuova consapevolezza è legata alla comprensione che, con la digitale...si muore! Però, cosa ha visto Maria? Qui inizia il mistero. A mia conoscenza, nessun commentatore da me consultato si è posto il problema diche cosa Maria abbia visto. Nel nostro manuale M.M.Cappellini - E.Sada, viene suggerito che Rachele sia un riflesso di Ida, la sorella di Pascoli che, sposatasi, tradì il "nido"; ma non viene spiegato che cosa Maria abbia visto. Nel manuale di R.Luperini, vede viene spiegato come "immagina la scena", cosa che non può assolutamente soddisfare. Il  manuale di G.Baldi afferma che "Pascoli qui gioca volutamente sul non detto, sull'indefinito, sull'ambiguo, sull'allusivo"; e viene rievocata l'interpretazione di Getto, secondo cui questa esperienza è simbolica, anticipa e riassume molteplici altre successive di Rachele, sfociate in una malattia mortale o in una passione che conduce alla morte (altri hanno pensato alla tossicomania). Di certo, Baldi ha ragione quando ricorda che, per conseguire una maggiore suggestione, il poeta ha inteso espressamente lasciare la conclusione nell'indefinito. Eppure, questo è il nocciolo della poesia ed è evidente che qualcosa, Maria, lo deve aver visto, e qualcosa di sconvolgente.


                                                              Pascoli con le sorelle Ida e Maria

Nella classe 5O l'interrogativo ha dato vita a una discussione appassionata. Del resto, si  sa, Pascoli è autore di fantasmi e misteri. Ebbene, vi offro qui le due tesi principali uscite dalla discussione: una è mia, l'altra è il risultato delle idee di alcuni studenti in particolare. Vediamole nel dettaglio.

La mia esegesi: Maria si accorge che Rachele è morta. Difatti, le due amiche, poco prima, stanno per salutarsi con un...triste e pio...ultimo saluto; Rachele piange; dice Addio!; poi parla con Maria, ma mantiene gli occhi fissi verso il vuoto, senza guardarla, come se fosse assorbita in chissà quale lontananza, lungi dalla realtà di quaggiù; infine, l'ultima parola, si muore, spiegherebbe quel che ha capito Maria osservando per la prima volta con sguardo approfondito l'amica. Rachele si comporta come un fantasma, è un fantasma; Maria se ne accorge solo alla fine.


L'esegesi della classe (risultato degli sforzi combinati di Mattia V., Francesco, Sofia e il mio famoso Dario): Rachele è morta (il che recupera la mia interpretazione), ma questo è un sogno. Solo in sogno può succedere che Maria si accorga soltanto all'ultimo dell'amica morta, cui, del resto, stringeva le mani. Difatti, aggiungo io, nella poesia si osserva una strana concentrazione del tempo: il passato del convento sembra quasi presente, pare che Rachele abbia provato il fiore velenoso anni fa, ma muoia ora; insomma, il tempo non scorre in maniera consueta, ma a salti, quasi come in sogno: ci si sposta continuamente dal presente (un presente del resto vago e ambiguo) ai flash-backs del passato). Nell'atmosfera onirica, inoltre, tutto rimane sospeso e non solo: se Maria sta sognando, Rachele è una proiezione di lei stessa, delle sue paure e desideri; Rachele esprime il desiderio di Maria stessa di provare la digitale (che rappresenta l'eros), per cui la fanciulla prova un misto di paura e attrazione, in modo ambivalente; così nel sogno, Rachele rappresenta non solo l'interdetto davanti al fascino del proibito, ma anche il risultato dell'azione che ha infranto quell'interdetto, quindi la paura di Maria stessa. Rachele è un fantasma onirico, ma riassume in sé i desideri e i fantasmi di Maria, è una proiezione di Maria.


La seconda interpretazione è sicuramente molto suggestiva e ancora più azzeccata della mia. Di certo, quella rossa digitale purpurea che affiora in mezzo all'erba e chiama tentatrice Rachele, in preda al  turbamento, ricorda molto il serpente dell'Eden. Molte le analogie tra il racconto biblico di Genesi 3 e il poemetto: nei due casi, si tratta di una tentazione, il cui esito è nefasto, letale; la tentata è una donna, infine corrotta; la tentazione si manifesta in un giardino, apparentemente uno spazio chiuso e immacolato; in chiusura, a Adamo ed Eva "si aprirono gli occhi", mentre Maria "vede": questo parallelo conferma che l'atto di "vedere" è risolutore. Forse mette conto ricordare anche che la digitale purpurea si cela tra l'erba, proprio come un serpente; come il serpente è velenosa; del resto, nel corso della storia il peccato di Genesi è stato spesso interpretato in forma sessuale; e qui l'eros tentatore a danno di alcune inconsapevoli giovinette è evidente.

In conclusione, la rossa e velenosa digitale purpurea, in Pascoli, che mai conobbe l'amore, rimane simbolo sinuoso e tenebroso dell'eros che spaventa e affascina a un tempo. 


venerdì 20 ottobre 2017

Poesia notturna 22 - Night poem XXII



Poesia notturna 22

L'onda sinuosa
delle carezze molli
come velluto
segue la pelle
e il suo chiarore eburneo
alla casta luce
della lampada a olio...



L'amore misterioso
affiora nella notte
quando non si aspetta,
quando la ragione
quotidiana non inganna...
Amore...Come un liquido
tiepido e dolce inonda
tutto e remore non lascia...
Solo tenerezza,
un'onda solo di carezze...
Amore...



Night Poem 22

The sinuous wave
of soft caresses
like velvet
follows the skin
and its ivory flare
in the chaste light
of the oil lamp ...



Mysterious love
surfaces in the night
when you do not expect it,
when the everyday reason
does not deceive ...
Love ... Like a liquid,
tepid and sweet, it inundates
everything and leaves no qualms ...
Only tenderness,
only a wave of caresses ...
Love...


Da leggere con l'accompagnamento della sonata 1 in Si di Bach

https://www.youtube.com/watch?v=mGQLXRTl3Z0

martedì 17 ottobre 2017

Le ferite dell'animo (da Lise Bourbeau)


LE FERITE DELL’ANIMO

(Tratto dal libro di Lise BourbeauLe 5 ferite e come guarirle)
L’ infanzia e l’adolescenza sono l’ alba e il mattino della vita dell’ uomo: gli eventi vissuti in questo periodo lasciano il segno e condizionano la vita futura.
Per alcuni l’alba della vita non è stata serena. Le ferite sono state dolorose e possono essere ancora aperte. Sono sorte delle difese, delle maschere, nelle emozioni e nel comportamento.
Queste maschere, o forme  corporee, hanno lo scopo di evitare le antiche sofferenze. Le maschere sono protezioni; aiutano ma non fanno essere noi stessi, perchè impediscono di vivere liberamente la vita.
Il rifiuto, l’abbandono,  l’ umiliazione, il tradimento,  l’ indifferenza, la derisione  e  l’ingiustizia sono ferite profonde. Queste  bloccano la capacità di essere noi stessi  e condizionano profondamente la nostra vita.
In questo post troverai delle immagini di alcune figure corporee. Secondo la forma  e l’ immagine del corpo possiamo conoscere la nostra ferita e capire i tormenti  intimi e più profondi dell’animo.
Queste ferite sono  responsabili del  disagio, la sofferenza e  le maschere costruite per proteggere dall’ angoscia.
FERITA                               MASCHERA  (o Carattere)
1-Rifiuto                                             Fuggitivo
2-Abbandono                                    Dipendente
3-Umiliazione                                   Masochista  
4-Tradimento                                   Controllore
5-Ingiustizia                                      Rigido
Tanti problemi di natura emotiva, mentale o corporea derivano da queste ferite. Queste sono anche le principali forme di condizionamento della nostra esistenza.

Le Ferite del RIFIUTO
Caratteristiche della ferita da Rifiuto


Il 
rifiuto è una ferita vissuta dalla persona che si è sentita respinta e rifiutata in tutto il suo essere e nel suo diritto di esistere. 
La definizione del termine ‘rifiuto’  o ‘rifiutare’ si intende: espellere,respingere, non ammettere, cacciare, essere intolleranti verso…, mettere da parte, allontanare.
La ferita del ‘rifiuto’ si distingue dalla ferita ‘dell’ abbandono’ perché abbandonare qualcuno significa: allontanarsi da questa persona,  mentre rifiutare qualcuno significa respingerlo, non volerlo vicino, escluderlo dalla propria vita, non volerlo sentire.
Lineamenti della FERITA DA RIFIUTO
La ferita del rifiuto origina un carattere, una modalità o una maschera da fuggitivo.
Insorgenza: Precocemente, fin dal concepimento.
Genitore:La  ferita del rifiuto viene risvegliata dal genitore dello stesso sesso. In futuro, chi è stato rifiutato proverà sentimenti negativi  nei confronti di quel genitore. Proverà risentimento, non vorrà accettarlo e i rapporti saranno difficili.
Nei rapporti col genitore del sesso opposto, il fuggitivo, anziché sentirsi rifiutato, ha paura di mostrarsi come uno che rifiuta, di conseguenza si trattiene  nelle azioni e nelle parole nei suoi riguardi. Se vive un’ esperienza di rifiuto col genitore di sesso opposto, penserà di essere lui stesso la causa,  e che se l’altro l’ ha rifiutato è per colpa sua.
Maschera: fuggitivo. I comportamenti sono propri ‘di un fuggitivo, ossia di una persona che non vuole apparire, imposti dalla paura di rivivere la ferita del rifiuto.
Carattere:  La prima  reazione  di una persona che si sente rifiutata  è la fuga. Ricerca la solitudine. Il bambino che si sente rifiutato va a crearsi la maschera del fuggitivo. Si crede  una nullità, per questo sarà assente,con la testa fra le nuvole, solitario e sfuggente.  Più tardi ricercherà la solitudine, perché pensa che se riceve troppa attenzione  ha paura di non sapere come comportarsi.
E’ come se la sua esistenza fosse di troppo. In famiglia o in qualsiasi gruppo, tende a scomparire, a nascondersi, a sentirsi indegno, a non avere il diritto di ribattere.
Corpo: magro, ridotto, striminzito o mingherlino. Si tratta di un corpo che non vuole occupare troppo spazio, esattamente come il suo carattere, anche il suo corpo sembra chiudersi in se stesso. Questo è un modo di non essere presente completamente in ciò che accade, per paura di soffrire.
Disturbi e malattie
-Soffre frequentemente di diarrea, vomito, allergie ( che sono un riflesso del senso di rifiuto), aritmia,problemi respiratori, svenimento, capogiri, ipoglicemia, diabete.
– La paura più grande sono  gli attacchi di panico. Può  soffrire di  agorafobia.
-Se sviluppa molto odio nei confronti di un genitore, in seguito al dolore di  un rifiuto  e crede di essere arrivato al limite, emozionale e mentale,  può diventare depresso o addirittura un maniaco-depressivo.
Se prova molta difficoltà a perdonarsi di non aver voluto bene un genitore, oppure prova risentimento,  o addirittura odio, e non riesce ad accettarlo, allora può sviluppare anche un cancro.
Il cancro è spesso associato al rancore o all’ odio, in seguito ad un dolore vissuto nell’ isolamento.  Se riesce a confessare a se stesso  di aver provato questi sentimenti negativi, non avrà questa malattia.  Il cancro si sviluppa  soprattutto nelle persone che hanno sofferto molto  e che si autoaccusano.
Il cancro  indica che non permette al bambino che è dentro di lui di aver sofferto, o di aver provato astio e rifiuto verso un genitore. Sarebbe come ammettere di rifiutare chi accusiamo di averci rifiutati e noi non vogliamo rifiutare, perché non accettiamo di procurare agli altri  la ferita del rifiuto.
Se riconosci di avere la ferita da rifiuto, ricordati che più la ferita è forte, più attiri a te circostanze tali da venire rifiutato o di rifiutare qualcuno. Più il fuggitivo si auto-rifiuta, più ha paura di essere rifiutato.


Ferita da ABBANDONO

La ferita da  ‘abbandono’ si distingue dalla ferita ‘delrifiuto’ perché abbandonare qualcuno significa: allontanarsi da questa persona per qualcun altro, non volersene occupare.

Caratteristiche della ferita da Abbandono

Molti confondono  il rifiuto e l’ abbandono . La differenza è che  abbandonare significa lasciarlo, andarsene, separarsi temporaneamente, mentre rifiutare qualcuno significa respingerlo, non volerlo vicino, escluderlo dalla propria vita, non volerlo sentire. 
 Un bambino piccolo può sentirsi abbandonato:
-se arriva un fratellino più piccolo e la mamma si trova assorbita dal neonato.
-se i  suoi genitori sono entrambi impegnati nel lavoro e hanno sempre poco tempo per lui.
-Quando ha un ricovero ospedaliero e viene lasciato da solo.
-Quando i genitori vanno in vacanza e lo lasciano presso un’altra famiglia.
-Quando la mamma è continuamente malata e il padre deve sempre occuparsi di lei.
 Aspetti della Ferita da Abbandono

L’abbandono fa indossare una modalità o maschera da ‘persona dipendente’.

Insorgenza: Precocemente, tra il primo e il terzo anno con il genitore del sesso opposto. Questa ferita viene risvegliata dalla mancanza di nutrimento affettivo o da sensazioni che richiamano  gli episodi   di  abbandono.
Maschera: Dipendente. I comportamenti sono imposti dalla paura di rivivere la ferita dell’abbandono.
Corpo: allungato, sottile, molle, schiena un po’ curva, gambe fiacche, parti del corpo che sembrano flaccide.
Carattere: La  ferita da abbandono fa sentire, poco autonomi, bisognosi di attenzioni, di presenza e, particolarmente, di sostegno. Ha difficoltà a fare e decidere da solo, per questo chiede consigli, che poi non segue.
Di carattere sensibile, ha difficoltà a sentirsi dire di ‘no’, ad accettare una disapprovazione. Vuole essere  protagonista, perché se non è al centro delle attenzioni prova angoscia.
Tende alla tristezza o al pianto facile.  Attira la pietà. Ha alti e bassi dell’ umore: un giorno è allegro, un altro è triste. Si aggrappa fisicamente, anche se ama la sua indipendenza .
Paura  più grande: la solitudine. Ha grande bisogno dell’ aiuto altrui, per non sentirsi solo.
Alimentazione: Buona forchetta Tende a mangiare lentamente. Bulimico.
Disturbi e malattie:
Da bambino è stato con una salute cagionevole, spesso malato e debole.
-Soffre frequentemente di asma, problemi ai bronchi (riflesso di non ricevere abbastanza dalla propria famiglia), problemi respiratori.
-Disturbi al pancreas (ipoglicemia e diabete) e alle ghiandole surrenali.
-Fragilità dell’ apparato digerente ( La sua sensibilità mentale gli dà convinzioni  di non essere stato nutrito a sufficienza)
-Miopia  ( vista come difficoltà di vedere lontano, perché collegata alla paura del futuro e alla paura di far fronte da soli al futuro).
-Può avere emicranie, problemi alla schiena.
Può  soffrire di  isteria (perché fa sentire nel ruolo di vittima), depressione e agorafobia.
-Può soffrire di malattie rare, o di malattie ‘incurabili’, che attirano maggiormente le attenzioni, perché i comportamenti propri del  carattere arrendevole e  rispettoso  (carattere dipendente) sono dettati dalla paura di rivivere la ferita dell’abbandono.

Ferita dell’ UMILIAZIONE

Chi ha questa ferita si sente sminuito, mortificato, degradato, criticato, sottovalutato e vergognoso.
Il risveglio di questa ferita avviene quando il bambino sente che uno dei suoi genitori si vergogna di lui, o quando combina un guaio e viene sgridato davanti a tutta la famiglia.
Se  viene rimproverato in pubblico quando si fa la pipì addosso, quando è vestito male e viene deriso, o quale che sia le circostanze che conducono il bambino a sentirsi ripreso, criticato, mortificato, sminuito, confrontato o vergognoso, la ferita si sveglia, si ingrandisce e si diffonde.
La ferita si risveglia quando sente la mamma che riferisce l’accaduto al papà o ad altre persone, mortificandolo e facendolo vergognare.
Il bambino può percepire il disgusto dei genitori o degli adulti e sentirsi umiliato e vergognoso.
Se i genitori mortificano  il bambino, davanti agli altri perché è goffo, non si comporta bene, perché si è sporcato, perché è stato sorpreso ‘quando si   toccava’, ecc., l’ umiliazione sarà ancora maggiore.
Questo comportamento può far credere al bambino che i suoi genitori sono disgustati di lui.
Carattere: La persona con questa ferita, spesso, si vergogna di sé e  ha paura che gli altri si vergognano di lui. Per se stesso prova disgusto. Punisce se stesso, credendo di punire l’altro. Mantiene il controllo su tutto per evitare la vergogna.

L’umiliazione fa indossare la maschera del masochista.

Infatti, quasi sempre, in maniera inconscia, cerca di farsi del male o di punirsi prima che lo facciano  altri.
Soffre  per l’umiliazione e indossa una maschera da masochista per evitare di vivere il dolore associato all’ umiliazione.
Corpo:Grasso,tondo, non tanto alto, collo grosso e rigonfio, tensioni al collo,alla gola, alle mascelle, al bacino.
Dal punto di vista corporeo, dal momento che questa persona si crede sporca, senza cuore, un maiale o comunque molto meno importante delle altre, sviluppa una massa di grasso di cui ha vergogna.
Molte di queste persone fanno fatica a riconoscere il corpo e la ferita da umiliazione. Per molte di loro è difficoltoso riconoscersi tale, perché riescono a controllare bene il proprio peso.
E’ empatico. Conosce le proprie necessità, ma non le ascolta. Fa del suo meglio per essere sempre occupato, in quanto ‘ essere libero’ significa ‘illimitato’. Se è senza limiti ha paura di strafare, di straripare,mettersi in mostra ed essere  deriso.
Massima paura: la libertà. Per questo si riempie di impegni, anche inutili, ma che gli impediscono di stare senza fare nulla.
E’ ipersensibile. Compensa e si gratifica col cibo.
Attenzione, se  tu prendi peso facilmente e  diventi rotondo appena smetti  di tenere sotto controllo il peso, può darsi che tu soffra della ferita da umiliazione.

Ferita da TRADIMENTO

Un  bambino può sentirsi tradito ogni volta  che il genitore di sesso opposto non mantiene una promessa o ogni volta che tradisce la sua fiducia.Molti  di quelli che soffrono di tradimento hanno sofferto perché il genitore di sesso opposto’ non ha mantenuto la  parola’.                                                                                         
Sentirsi traditi significa sentirsi abbandonati, delusi, ingannati,  e la fiducia è venuta meno.
Essere fedele significa mantenere i propri impegni, essere leale e colmo di dedizione.
Di una persona fedele ci si può fidare. Ogni volta che la fiducia è distrutta, si può soffrire  per il tradimento.
Questa ferita si risveglia fra i due e i quattro anni, nel momento in cui si sviluppa l’energia sessuale. A questa età si sviluppa il Complesso di Edipo.
Secondo Sigmund Freud, padre della Psicanalisi, ogni bambino, fra i due e i sei anni, si innamora del genitore del sesso opposto, o della persona che svolge questo ruolo. Questo avvenimento spiega il comportamento delle bambine che cercano di sedurre il papà e i maschietti che cercano di sedurre la mamma.
Tutti viviamo questo complesso, ma a gradi diversi.
Una bambina è gelosa se vede il papà  con la mamma e vive il tradimento anche quando viene messa da parte dal padre, in seguito all’ arrivo di un fratellino.
Il bambino vuole il genitore di sesso opposto tutto per sé, senza dividerlo con nessuno.
Ma la mamma ha comunque bisogno di occuparsi anche d’altro, compresi gli altri membri della famiglia. Se la madre ( o il papà) soddisfa tutti i capricci del piccolo, diventandone quasi schiavi, il bambino incomincia credere di poter sostituire il genitore dello stesso sesso, e d’essere in grado di rendere felice la mamma ( o il papà).
I genitori devono aiutare a superare bene questa fase. La mamma deve far sentire senza gelosia, la presenza del papà e che  è importante quanto lei. Lo stesso vale per la bambina.
Il complesso di Edipo è vissuto male quando accade che la madre è troppo possessiva nei riguardi del figlio e il padre nei confronti della figlia.
Il bambino può sentirsi tradito ogni volta  che il genitore di sesso opposto tradisce la sua fiducia.
Quando il bambino incomincia a vivere ripetutamente esperienze di tradimento, si crea una maschera di protezione.                                                                                          Questa maschera è quella del CONTROLLORE, o di chi ha bisogno di fare continui accertamenti.
Questa maschera, o questo atteggiamento, serve per appurare che gli altri mantengono  i propri impegni, sono fedeli e responsabili.
I comportamenti tipici del controllore, nella fase adulta, sono dettati dalla paura di rivivere la ferita del tradimento.
Fra le maschere relative alle cinque ferite l’esigenza ossessiva del controllo fa alimentare le maggiori aspettative nei confronti degli altri, perché desidera poter prevedere tutto, in modo da tenere le cose sotto controllo e se può continuare a potersi fidare degli altri.

Caratteristiche

Inizio della ferita: fra i due e i quattro anni di età, con il genitore di sesso opposto. Scaturisce dalla violazione della fiducia, nella connessione amore/sessualità e nelle aspettative non corrisposte.
Maschera:  controllore, investigatore.
Corpo: esibisce forza e potere. Nell’uomo le spalle sono più larghe delle anche; nella donna, le anche sono più larghe e più forti delle spalle. Ventre rotondo.
Sguardo: Intenso e seducente. Coglie tutto in un’ occhiata.
Vocabolario: “Hai capito?, Sono capace, lasciami fare da solo, lo sapevo, fidati di me, non mi fido di lui”.
Carattere: si giudica molto affidabile, responsabile e forte. Cerca di essere speciale e importante. Non mantiene gli impegni presi e le promesse, oppure si sforza per mantenerli. Mente facilmente.                                                                                     Manipolatore, seduttore, commediante.
Ha molte aspettative. Impaziente, intollerante, tendenza a ripudiare e a rinnegare chi ha sbagliato, a non offrire una seconda chance. Si confida con difficoltà. Non mostra la propria vulnerabilità. Scettico. Ha sbalzi d’umore. E’ convinto di aver ragione, cerca di convincere l’altro.
Ha paura dell’ indipendenza e dell’autonomia. Dà ottime prestazioni per farsi notare
Massima paura:  dissociazione, separazione, rinnegamento.
Alimentazione:  buon appetito; mangia rapidamente. Aggiunge sale e spezie. E’ in grado di controllarsi quand’è occupato, ma poi perde il controllo.
Possibili malattie: malattie che riguardano il controllo e la perdita di controllo, agorafobia, spasmofilia, apparato digerente, malattie che finiscono con il suffisso “-ite”, herpes alla bocca.

Ferita da INGIUSTIZIA

Il sentimento dell’ ingiustizia è caratteristica  di una persona a cui sono mancate giustizia, correttezza, equità, imparzialità, rettitudine, onestà e moralità.
Una persona che soffre di ingiustizia non si sente apprezzata nel suo giusto valore; non si sente rispettata o non crede di ricevere quanto merita.
Chi soffre di ingiustizia è più incline a provare invidia nei confronti di chi ha più di lui e che, a suo avviso, non lo merita.
La  ferita da ingiustizia è causata se c’è la convinzione di non ricevere in modo equo e in maniera  adeguata.
Questa ferita si risveglia fra i tre e i cinque anni, ossia nel momento  in cui prende coscienza  d’ essere un essere umano, un’ entità a sé e con le sue particolarità.
Il bambino vive questa ferita  soprattutto con il genitore dello stesso sesso. Soffre  per la sua freddezza, per la sua incapacità di comprendere o di comunicare.
Soffre per l’autoritarismo del genitore, le sue critiche frequenti, la sua severità, la sua intolleranza o il suo conformismo.
La reazione  di fronte all’ ingiustizia portaa tagliare i ponti con il proprio sentire, a non ascoltarsi, a non rendersi conto delle proprie esigenze,  allo scopo di proteggersi di fronte alla freddezza e ai rifiuti.
La maschera  che il bambino si crea per difendersi dalla ferita dell’ ingiustizia è quella della RIGIDITA’.
Fin da bambino, il rigido si rende conto di essere apprezzato più per ciò che fa, che per ciò che è. Questo lo offende, lo vive come un’ ingiustizia. Anche se questo non è vero, lui ne è comunque convinto.
Pur vivendo l’ ingiustizia, per avere affetto diventa estremamente efficace. Fa il possibile per non creare problemi, per non avere problemi, e anche quando ne ha tanti, preferisce dire di non averne, pur di evitare di percepire la sofferenza che a tali problemi è collegata.
Non chiede aiuto. Crede che dicendo spesso «Non c’è problema!» fa del suo meglio per risolverli da sé, così riesce a nascondere a se stesso e agli altri quello che prova, perché non si sente compreso.
Teme l’autorità perché, da piccolo, ha imparato che l’autorità ( i genitori, gli insegnanti, ecc.) avevano sempre ragione.
I comportamenti tipici del rigido sono dettati dalla paura di rivivere la ferita                 dell’ ingiustizia.
Indossando la maschera del rigido pensa di evitare questa ferita.
Caratteristiche della ferita da ingiustizia
Risveglio della ferita: tra i quattro e i sei anni, con il genitore dello stesso sesso. E’ convinto che deve fornire prestazioni elevate ed essere perfetto. Blocco dell’ individualità.
Maschera: rigido
Corpo: diritto, rigido e più perfetto possibile. Ben proporzionato. Natiche rotonde, vita piccola,stretta dagli abiti o dalla cintura. Movimenti inflessibili, pelle chiara, mascella serrata, collo rigido, portamento diritto e fiero.
Sguardo: Luminoso, vivace, chiaro.
Modo di esprimersi: “nessun problema, ottimo,benissimo, molto speciale, giustappunto, esattamente, sicuramente, d’accordo?”
Carattere: perfezionista, invidioso, taglia i ponti con quello che sente. Incrocia spesso le braccia. Da prestazioni che mirano alla perfezione. Troppo ottimista. Vivace e dinamico.Si giustifica molto. Ha difficoltà a chiedere aiuto. Può ridere per niente, per nascondere la sua sensibilità. Tono di voce secco e rigido. Non ammette di sentire o di avere dei problemi.
Dubita delle sue scelte, si paragona con gli altri. Difficoltà, in generale, nel ricevere. Trova ingiusto se riceve meno degli altri, e trova altrettanto ingiusto se riceve di più.
Non rispetta i propri limiti, chiede troppo a se stesso. Si tiene sotto controllo. Ama          l’ ordine. Raramente si ammala. Chiede troppo al suo corpo. Collerico, freddo, ha difficoltà a mostrare i suoi affetti. Gli piace avere un aspetto sexy.
Massima paura: la freddezza.
Alimentazione:  preferisce gli alimenti salati a quelli dolci. Si tiene sotto controllo per non ingrassare. Si giustifica e prova vergogna quando perde il controllo.
Possibili malattie:  esaurimento nervoso professionale, anorgasmia (nella donna), eiaculazione precoce o impotenza nell’uomo. Può soffrire di malattie che finiscono con  “-ite”, come la tendinite, la borsite, l’artrite, torcicollo, stitichezza, emorroidi, crampi, problemi di circolazione, problemi epatici, varici, problemi di pelle, nervosismo, insonnia, disturbi della vista.

CONCLUSIONI

Si può guarire dalle nostre ferite interiori così come si guarisce dalle ferite fisiche.
Ti è mai successo di essere di essere impaziente di veder scomparire una certa affezione dalla faccia, da tormentarla continuamente? E che cosa è successo? Questa è rimasta molto più a lungo.
E’ proprio quello che succede quando non hai fiducia nel potere di guarigione del nostro corpo. Perché un problema scompaia, qualunque esso sia, prima di tutto bisognerà accettarlo, invece di volerlo far sparire. Bisogna accettarlo incondizionatamente.
Le nostre ferite hanno  bisogno di essere riconosciute, amate e accettate.
Amare una ferita, o amare l’affezione che è sorta sul viso, significa dunque accettare che siamo stati noi a crearli, per una data ragione, allo scopo di aiutare noi stessi.
Invece di voler far scomparire quell’ affezione dal viso a tutti i costi, usiamola  per prendere coscienza di un aspetto di noi che non vogliamo vedere.
I brufoli , infatti, vogliono attirare l’ attenzione per rendere consapevoli che abbiamo paura di perdere la faccia in una data situazione, e che tale paura impedisce di essere noi stessi.
Se accetti il messaggio, non si vedrà il malanno come un problema da sbarazzarsi al più presto. Anzi, potremmo addirittura ringraziarlo. E’ un messaggio. Serve a comunicare qualcosa che non vogliamo accettare.
Ma accettare che cosa?                                                                         Soprattutto il fatto che ciò che temi dagli altri, o ciò per cui li rimproveri, è qualcosa che a tua volta fai agli altri, e che soprattutto fai a te stesso.
 Tratto dal libro di Lise Bourbeau
Le 5 ferite e come guarirle-Edizioni Amrita