domenica 31 luglio 2016

La finestra sul cortile - The rear window (Alfred Hitchcock, 1954)


La finestra sul cortile

Allora, qualche mese fa, mi sono accorta (con orrore!) che la mia squadriglia (ero in 3O), salvo eccezioni, non conosceva HITCHCOCK, uno dei mostri sacri del cinema. Quindi, condivido ora uno dei suoi film migliori con voi. E' talmente ben fatto, che vi piacerà di sicuro, anche se è del 1954. Quanto a me, quando arrivo a Londra, voglio  assolutamente andare a caccia delle tracce di "Hitch"...


Siamo a New York, è agosto, fa un caldo asfissiante e, sul cortile interno di un grande condominio, tutti gli inquilini lasciano le finestre spalancate. Jeff, un fotoreporter, è a casa con una gamba rotta (per scattare una foto magnifica durante una corsa di auto, si è andato a piazzare proprio sulla pista...) e, fra una visita e l'altra della sua infermiera, Stella, e della sua ragazza, l'elegantissima Lisa Freemont, passa il tempo osservando i suoi vicini attraverso la finestra (un po' voyeur, non vi pare?). C'è la coppia senza figli che dorme sulla terrazza e ha solo un cane; c'è il musicista in crisi, che organizza feste nel suo attico, ma poi si sbronza perché si sente solo e fallito; c'è la ballerina molto sexy, e la coppietta in luna di miele, che ha chiuso ermeticamente tutte le finestre sul suo nido d'amore (chissà perché?...); e, fra tante storie, commuove soprattutto "Cuore solitario", una zitella che, soffrendo per la sua solitudine, apparecchia per due e fa finta di ricevere un fidanzato in casa (la rappresentazione di questa donna sola è magistrale). 


                                                James Stewart e Grace Kelly

Così, fra tante storie, Hitchcock costruisce una riflessione sull'amore e i rapporti di coppia, entro la cornice del condominio: per questo, il film ricorda un po', per la sua costruzione e ricchezza, il Decameron di Boccaccio. E la riflessione continua, con Jeff che è indeciso riguardo al rapporto con Lisa (la ragazza è la quintessenza del glamour di New York, a spasso tra un cocktail, una sfilata e un negozio di alta moda, e lui non ce la vede a condividere la sua vita spericolata di fotoreporter). Interviene la spassosissima infermiera, resa immortale dall'indimenticabile Thelma Ritter: secondo lei, gli esseri umani devono "accoppiarsi" alla svelta, bang!, "come i puledri"; invece oggi la gente sta tanto a discutere sull'amore che "non si riesce più a distinguere tra una pomiciata e una lezione universitaria"! Ma ecco che, a coronare la riflessione, Jeff appunta la sua attenzione sull'appartamento di fronte, dove un uomo ormai anziano e appesantito si occupa della moglie malata; ma, una notte, al buio si sente un urlo e, poi, la moglie scompare. Dei vicini sono pronti a testimoniare che è partita in vacanza e ci sarebbero anche le prove; ma il marito, osservato dalla finestra aperta, mostra degli atteggiamenti sempre più strani; finché Jeff non riesce a convincere Lisa e Stella, trasformatesi in sue "aiuto-detective", che è stato commesso un omicidio....Sarà vero?

La finestra sul cortile è uno dei migliori thriller mai realizzati, fondato, apparentemente, sul nulla: il retro di un condominio e una serie di azioni quotidiane banali (per di più, nel vuoto dell'estate...). Eppure, su quel nulla, Hitchcock riesce a costruire una storia di una suspense e di una ricchezza impressionante, tutta fondata sulla metafora della rear window, la "finestra sul retro" (il titolo italiano non rende l'idea): che cosa si potrebbe vedere della gente se la si potesse osservare dalla "finestra sul retro"? Non a caso, solo un fotografo di professione può porsi il problema. E fino a che punto è lecito intervenire nella vita degli altri? "Hitch" era un maestro nel costruire storie sul lato inquietante della vita che si spalanca sotto l'apparenza più banale...



Su queste pagine mi lamento spesso delle sceneggiature, perché ho in mente quelle scritte come questa: fateci attenzione, è vivace, frizzante, dinamica, a tratti sembra una commedia brillante! E' opera di John Micheal Hayes, che in seguito collaborò varie volte con il regista. La scenografia fu tutta costruita negli studi della Paramount (con qualche difficoltà): per dirigere gli attori, Hitchcock si serviva di auricolari che ognuno portava all'orecchio, in modo da farsi sentire da un capo all'altro di questo set davvero enorme. Per voi giovanotti che ignorate i grandi divi di Hollywood, questa è la buona occasione per fare conoscenza con James Stewart, attore prediletto da Hitch e non solo, che qui dà davvero un'ottima prova, e, soprattutto, con la splendida Grace Kelly.

Io, essendo una donna, sono più incline, ovviamente, a notare che, quando si cambia la camicia, Stewart ha dei muscoli un po' flaccidini; ma, devo ammettere, che Grace Kelly qui è un'autentica visione. Non solo è bellissima, ma ha una classe straordinaria (esaltata dagli abiti magnifici preparati da Edith Head, la migliore costumista di Hollywood); e poi, osservate bene i baci tra i due protagonisti: si sfiorano appena le labbra, eppure lei vi profonde una tale carica sensuale e intensità, che capirete come mai il regista la chiamava "ghiaccio bollente". Tra gli attori, vorrei ricordare anche Raymond Burr, il "cattivo", che in seguito divenne famoso come Perry Mason, l'avvocato che sbroglia gli errori giudiziari. Badate infine alla fotografia: alcune soggettive ricreano con grande originalità gli effetti visivi dei protagonisti (per esempio, l'effetto di abbagliamento provocato da un flash). 


Infine, dato che avete fatto ora conoscenza con Hitchcock, vi sfido a trovarlo nel film. Era un suo piccolo rituale, quasi una strizzatina d'occhio agli spettatori: il regista appariva sempre in un cameo nel corso della sua pellicola, col suo profilo cicciotto, pancia e doppio mento. Vi sfido a trovare dov'è.





sabato 30 luglio 2016

Gelato alla cioccolata - Chocolate ice-cream


Gelato alla cioccolata

Anche per questo gelato, vale lo stesso principio di quello alla nocciola: se mescolato non congela nel freezer. Se fate i bravi, proverò anche quello al bacio!




Ingredienti

Cioccolato fondente 60 gr.
Zucchero 100 gr.
1 uovo
Latte 250 gr.
Panna 80 gr. 
(come sempre, potete variare leggermente la proporzione di panna e latte)

Fate fondere in un tegamino a bagnomaria il cioccolato con il latte e la panna; intanto, montate l'uovo intero e lo zucchero. Quando il cioccolato è bene sciolto, lasciate raffreddare il composto, quindi versatelo, poco per volta, nella crema di uovo e zucchero. Infine, mettete su fuoco moderato e, sempre mescolando, portate a ebollizione (l'uovo deve essere sempre fatto bollire per motivi igienici). A quel punto, spegnete il fuoco, lasciate raffreddare, infine, versate la crema in una ciotola precedentemente raffreddata in freezer, mescolate 2 o 3 volte e mettete nel refrigeratore per 1 ora, Quindi tiratelo fuori e mescolate 2-3 volte; ripetete l'operazione ogni ora per altre 2 o 3 volte. Qui vedete il risultato!

Chocolate ice-cream

The same principle I followed for the hazelnut ice-cream, applies for this ice-cream: a mix does not freeze in the freezer. If you are good, I'll try Bacio too!




Ingredients

Dark chocolate 60 gr.
Sugar 100 gr.
1 egg
Milk 250 gr.
Cream 80 gr.
(As always, you can slightly change the proportion of cream and milk)

Melt in a pan bathed in boiling water the chocolate with the milk and cream; meanwhile, whip the egg and sugar. When the chocolate is well melted, let the mixture cool, then pour it, little by little, into the egg and sugar cream. Finally, put on medium heat and, stirring constantly, let it boil (the egg should always be boiled for hygienic reasons). At last, turn off the heat, let the mix cool, pour the cream into a bowl previously cooled in the freezer, stir 2 or 3 times and put it in the refrigerator for 1 hour, then pull it out and stir 2-3 times; repeat the process every hour for 2 or 3 times. Here you see the result!




mercoledì 27 luglio 2016

Tartine di frutta e crema


Tartine di frutta e crema

Pasta frolla
Crema pasticcera
Frutta assortita (albicocche, pere, pesche, mirtilli, fragole ecc.)
Succo di 1 limone
Gelatina


Preparare la pastafrolla come nella ricetta da me già indicata settimane fa, e lasciarla riposare al fresco.

http://annaritamagri.blogspot.it/2016/06/pasta-frolla-versione-scientifica.html

Quindi, preparare la crema pasticcera, di cui ho pure dato la ricetta.

http://annaritamagri.blogspot.it/2015/12/crema-pasticcera.html

Lavare e pulire la frutta; per evitare che si scurisca, spruzzatela con succo di limone.
Stendere col mattarello la pasta frolla, quindi, con delle formine tonde o una tazza, tagliare tanti dischetti, da inserire dentro degli stampini di carta stagnola. Io uso delle formine di 10 cm di diametro, e degli stampini da 8, cosicché le tartine possano avere un bel bordo. Infine, riempite le formine di pasta frolla con dei fagioli secchi (perché la pasta frolla non si sollevi) e infornate a 180 gradi per 10 minuti.



Quando le basi di pasta frolla iniziano a colorirsi, tiratele fuori dal forno, lasciatele raffreddare  un poco, togliete i fagioli e riempite le formine con un po' di crema pasticcera, Infine, decorate la tartina con dei pezzetti di frutta: qui, come vedete, io ho scelto delle albicocche, dei pezzetti di pera e dei mirtilli, ma l'ideale sarebbero le fragole. Spruzzate la tartina con della gelatina (io preferisco quella a spruzzo, che è molto più facile da usare). Infine, infornate a 150 gradi per altri 10-15 minuti. 

Come vedete, nella foto ci sono anche della tartine con la crema di cioccolato, cui ho aggiunto alcune noci e nocciole spezzettate. In sostanza, dovete preparare la stessa ricetta della crema pasticcera, ma dovete far fondere nel latte a bagno maria 50 gr. di cioccolato fondente; il latte va poi aggiunto alla miscela di zucchero e uovo, piano piano, infine il tutto deve essere aromatizzato con un poco di liquore (io uso sempre l'amaretto) e addensato sul fuoco, mescolando in continuazione. La crema al cioccolato va versata nelle formine al posto di quella pasticcera prima della cottura finale. 
Potete servire le tartine fredde, con panna.



lunedì 25 luglio 2016

Gelato alla nocciola


Gelato alla nocciola

Come preparare il gelato senza gelatiera? Anche se molte famiglie ne hanno una, c'è però una categoria di gelati che, secondo i miei esperimenti, si può preparare senza: i gelati con poca acqua dentro. Infatti, un normale gelato alla frutta congelerebbe e diventerebbe un pezzo di icerberg, perché ha troppa acqua dentro. Ma, se qualcuno si ricorda un po' di chimica, il principio diventa evidente: le temperature di congelamento delle miscele si abbassano. L'altra settimana ho preparato un budino di cioccolato che è rimasto perfettamente morbido in freezer. Quindi, gelati come quello di nocciola, cioccolato, crema, si possono preparare anche senza gelatiera. Qui vi presento la prima ricetta che ho provato con questo sistema, il gelato di nocciola, uno dei più popolari e il preferito, pare, di Giacomo Leopardi  (pare che sia passato a miglior vita per questo, ma lasciamo perdere...)


                                     

                                                                  Il gelato fatto da me...
Ingredienti


Zucchero 100 gr.
1 uovo
Farina di nocciole 50 gr.
Latte 250 gr.
Panna 100 gr. 
Un poco di aroma di vaniglia

Mescolate lo zucchero e l'uovo intero, finché il composto è spumoso; quindi, aggiungete l'aroma di vaniglia, la farina di nocciole e, poco per volta, il latte e la panna. Potete cambiare le dosi di questi ultimi due ingredienti: per esempio, per rendere il gelato più leggero, impiegare 300 gr. di latte e solo 50 gr. di panna. 

Quando il composto è pronto, mettetelo sul fuoco moderato e mescolate continuamente (perché non si attacchi al fondo), finché non bolle. A quel punto, togliete dal fuoco e lasciate raffreddare. Quando il composto è freddo, versatelo in una ciotola preventivamente messa a raffreddare in frigorifero, quindi mescolate un poco, 2 o 3 volte: mescolare amalgama la cream col gelato, il che lo renderà cremoso. Infine, mettete nel freezer. Dopo 1 ora, tirate fuori dal freezer e mescolate nuovamente 2 volte; ripetete l'operazione dopo 1 altra ora. Dopo 3 ore, o anche se lasciate il composto in freezer per tutta la notte, il gelato dovrebbe essere pronto. Buon appetito!



Hazelnut ice cream

How can we prepare ice cream without the ice cream maker? Although many families have one, there is a category of ice cream, according to my experiments, that you can prepare without the machine: ice cream with a little water inside. In fact, normal fruit ice cream will freeze and become a piece of icerberg, because it has too much water inside. But, if anyone remembers a bit of chemistry, the principle becomes clear: the freezing temperatures of mixtures are lower. Last week I made a chocolate pudding that remained perfectly soft in the freezer. So, hazelnut, chocolate, custard ice cream, may be prepared without the ice cream maker. Here I present the first recipe I tried with this system, the hazelnut ice cream, one of the most popular and the favorite, it seems, by poet Giacomo Leopardi (it seems he left for a better life for it, but never mind ...)

                                      

                                                      The ice cream prepared by me...

Ingredients

Sugar 100 gr.
1 egg
Hazelnut flour 50 gr.
Milk 250 gr.
Cream 100 gr.
A little vanilla flavoring

Mix the sugar and the egg, until the mixture is foamy; then, add the vanilla aroma, the hazelnut flour and, little by little, the milk and the cream. You can change the doses of these last two ingredients: for example, to make the ice cream lighter, take 300 gr. milk and only 50 grams of cream.

When the mixture is ready, put it on medium heat and stir constantly (so that it doesn't stick to the bottom), until it bubbles. At that point, remove from heat and let it cool. When the mixture is cool, pour it into a bowl previously cooled in the refrigerator, then stir a little, 2 or 3 times: stirring will add some air to the cream, which will make it creamy. Finally, put it in the freezer. After 1 hour, pull  it out of the freezer and stir again 2 times; repeat the operation after 1 more hour. After 3 hours, or even if you leave the mixture in the freezer overnight, the ice cream should be ready. Enjoy it!




giovedì 21 luglio 2016

The Race (2016, S.Hopkins)


The Race

Olimpiadi del 1936, gare di atletica leggera: ben 4 medaglie d'oro vanno all'Afro-americano Jesse (cioè James Cleveland) Owens: corsa dei 100 metri, dei 200, salto in lungo e staffetta 4 x 100. Il campione realizza anche alcuni record mondiali, che rimarranno imbattuti per lungo tempo: questo il soggetto di The Race (gioco di parole tra "razza" e "corsa"). Chi ha ancora negli occhi il magnifico Momenti di gloria, di Hugh Hudson, anche se girato una trentina d'anni fa, si sarebbe aspettato da un soggetto così notevole qualcosa di più. Periodo dell'ascesa del nazismo, del dopo-'29, atletica, Olimpiadi, vittorie straordinarie, questione dei diritti umani, razzismo: uno Spielberg, oppure un Eastwood avrebbe realizzato un capolavoro (qualcuno di voi si ricorda Invictus?). Invece, ci siamo ritrovati Stephen Hopkins, che, a mio modesto avviso, non arriva a realizzare un film all'altezza del compito. Carino, discreto, ma non basta. Ma, soprattutto, qui ha fatto cilecca la sceneggiatura....


Partiamo prima dagli errori storici. Anche se varie cose sono vere (le gare, la vita personale di Owens, la sua amicizia col collega tedesco Luz, il rifiuto di Roosevelt di riconoscere le sue vittorie, persino il dirigibile Hindenburg che incrociava sopra Berlino!), tutta la vicenda è presentata in termini e con un linguaggio che sarebbero stati attuali al processo di Norimberga, non nel 1934-35. Ora, buona parte della prima metà della pellicola è consacrata alla discussione del boicottaggio dei Giochi Olimpici che sarebbero stati poi il trampolino di lancio della megalomania nazista. Molto è vero, ma non poco no. Vediamo.
 
La scelta di Berlino come città ospite risaliva al 1931, ma Hitler salì al potere nel 1933, suscitando quindi reazioni in alcuni paesi democratici, colpiti dalla politica razziale del Terzo Reich: il Völkischer Beobachter, il giornale di partito, aveva affermato che Ebrei e Neri avrebbero dovuto essere esclusi dalle competizioni. Il dibattito, effettivamente, ci fu, ma temo che la sceneggiatura usi in merito una terminologia troppo manichea, appunto degna del 1945. E sapete perché? Tra i leaders del movimento per il boicottaggio c'erano, ovviamente, molti Ebrei e...Cattolici. Per gli Ebrei, ricordiamo l'American Jewish Committee e il Jewish Labor Committee. Nel film vedrete però che l'oppositore di Avery Brundage (ottimamente interpretato da Jeremy Irons), il futuro presidente della IOC (International Olympic Committe) che va a ispezionare Berlino, è il giudice Jeremiah Mahoney (interpretato dal noto attore William Hurt). Mahoney, presidente dell'Unione Atleti Dilettanti, era cattolico, così come il sindaco di New York Fiorello La Guardia (Italiano!) e il giornale che si espresse per il boicottaggio l'8 novembre 1935, il Commonweal. Perché? Il nazismo, con la sua politica razzista, era anti-cristiano.
 
 
                                                             Il vero Jesse Owens
 
Ovviamente, si espressero per il boicottaggio anche altri, come gli ambasciatori americani a Berlino e a Vienna, il governatore liberale di New York, Al Smith, oppure socialisti e comunisti tedeschi in esilio, nonché sindacalisti americani delle trade unions e presidenti di college. Tuttavia, il dibattito sul boicottaggio fu notevolmente influenzato dall'adesione al credo ebraico o cristiano di vari che lo sostenevano; ma temo che nell'America WASP, dove l'antisemitismo era diffuso, il parere di Ebrei e Cattolici (o anche socialisti) non fosse maggioritario, anche se il fronte del boicottaggio perse di poco alla votazione dell'8 dicembre 1935. Non solo: Brundage, allo IOC, prese il posto di Ernst Lee Jahncke (Protestante, di origine tedesca), buttato fuori dall'organizzazione perché si era espresso con forza per il boicottaggio. Come sottolinea l'Enciclopedia dell'Olocausto, è l'unico membro dello IOC a essere stato espulso in decenni di vita dell'organizzazione!
 
 
Ovviamente, molti atleti di origine ebraica boicottarono i giochi a titolo personale, mentre altri venivano esclusi d'ufficio dalla squadra olimpica tedesca (molti dimenticano però che furono esclusi anche i Rom e Sinti, che anzi, questi furono segregati, all'occasione, in campo di concentramento; mai che si veda un Rom o un Sinti in questi film...). Un ultimo dettaglio interessante: le prime due atlete turche e musulmane della storia dei Giochi Olimpici, Halet Çambel e Suat Fetgeri Așani, fiorettiste, si rifiutarono di stringere la mano a Hitler per simpatia nei confronti delle vittime della persecuzione razziale.
Potete controllare online:

Cfr. The Movement to Boycott Berin Olympics in 1936, Holocaust Encyclopaedia,
https://web.archive.org/web/20140202095138/http://www.ushmm.org/wlc/en/article.php?ModuleId=10007087
 
The Nazy Pary: The Nazy Olympics, Jewish Virtual Library,
https://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Holocaust/olympics.html

http://www.historyplace.com/worldwar2/triumph/tr-olympics.htm
 
 
                                                                  Jeremiah Mahoney
 
Alla fine, gli sforzi di Mahoney persero, perché Brundage insistette a oltranza, affermando che non si poteva mescolare la politica allo sport: così gli USA parteciparono e si trascinarono dietro tutti gli altri Paesi, 49, mai così tanti in un'Olimpiade.
Però, è bene ricordare che nessuno si sognò mai di chiedere a Owens di boicottare i Giochi Olimpici, nessuno in particolare della comunità di colore: la sua partecipazione veniva vista anzi come una  possibilità di combattere il razzismo. La comunità nera vedeva anzi il dibattito sul boicottaggio come ipocrita: perché gli Americani non si occupavano prima del razzismo a casa loro? Ecco perché tutto il dibattito sul boicottaggio da parte di Owens è un grave falso.


Del resto, questo falso ha provocato un corto circuito assurdo nella pellicola. Infatti: è arcinoto che Owens partecipò alle Olimpiadi di Berlino: ma i "buoni" avrebbero dovuto boicottare i nazisti, quindi si crea la strana anomalia per cui, alla fine, gli sceneggiatori devono dare per "buona" l'azione eticamente meno valida. Insomma, un pasticcio incoerente. Dato che siamo sulla sceneggiatura, trovo inoltre che essa non lasci emergere sufficientemente i personaggi: per esempio, l'allenatore Snyder avrebbe potuto essere meglio scolpito (molto del suo dramma è lasciato implicito: lo vediamo bere per tutto il film e non capiamo perché), così come le potenzialità del bel rapporto tra lui e Owens. La stessa questione razziale emerge in modo stereotipato (confrontate invece la maldicenza sottile e subdola con cui si scontra Harold Abrahams in Momenti di gloria, molto più realistica). Il film decolla in occasione delle gare (e qui fioccano le citazioni da Momenti di gloria), ma questo è un effetto abbastanza agevole da raggiungere.
 
 
                              Halet Çambel, l'atleta turca che non volle stringere la mano a Hitler
 
Torniamo infine ad altri errori storici. L'attore che impersona Goebbels, Barnaby Metschurat (il cognome è ebraico...), non solo non gli assomiglia per niente, ma non rende minimamente il lato mefistofelico del Ministro della Propaganda di Hitler, detto "nano malefico"; piuttosto sembra un sopravvissuto ai gulag staliniani. Hitler stesso è caricaturale (ben altro era Bruno Ganz nella Caduta), così come Hermann Goehring. Infine, Leni Riefenstahl è presentata come la "buona" del gruppo nazista, il che lascia molti dubbi, dato che era compromessa col nazismo e la sua propaganda (cambiò idea, quando perse un fratello al fronte). Rimane il fatto che le sue riprese autentiche di Olympia rimangono tra le parti migliori del film. Lo stesso attore che interpreta Owens, Stephan James, non gli assomiglia per niente, mentre invece gli è molto simile quello che impersona il padre....Infine, rieccoci con lo stereotipo che Hitler non strinse la mano a Owens: l'atleta ha sempre detto il contrario. Io tendo a credergli.


Per quanto riguarda la recitazione, mi ha colpito Jeremy Irons, di solito avvezzo a tutt'altri ruoli, ma qui perfetto in quello dell'affarista americano senza scrupoli; con un copione migliore sarebbe emerso ancora di più anche Jason Sudaikis nel ruolo di Snyder. Per il resto, il film riesce, sorprendentemente, a sottolineare l'imponenza dei monumenti nazisti (Speer ringrazierà), così come la musica appare non di rado interessante. In definitiva, anche se ho usato questo film in classe e può essere discreto ed esplicativo, rimane un kolossal mancato. Preferisco però ricordare una scena bella e riuscita: quella dello spogliatoio, in cui Snyder, per far capire ai suoi atleti che non devono lasciarsi distrarre da insulti o beffe del pubblico, continua testardamente a parlare, mentre il suo collega vuole cacciarlo. Questa è una scena davvero riuscita, potente e intensa: è una lezione di vita.
 
                                                 
 
Ma la tendenza allo stereotipo annacqua e guasta il messaggio, che è troppo compromesso dal politically correct attuale e dai suoi manicheismi: ovvero: facciamo parlare la gente non come parlava davvero, ma come noi pensiamo che dovesse parlare. Tra l'altro: a un certo punto, Luz, discorrendo con Owens, racconta con costernazione come gli fosse stata inviata una ragazza, che intendeva farsi mettere incinta da lui per motivi eugenetici. Mi spiace, ma l'effetto è paradossale, se non rischiasse di apparire ipocrita. Oggi l'eugenetica sta tornando alla ribalta in maniera sempre più sfacciata (e non certo con metodi "naturali"), così come, all'epoca, la esaltavano quasi tutte le èlites nei paesi nordici e protestanti, Stati Uniti compresi: quindi, sarebbe forse più dignitoso tacere sull'argomento. La nostra generazione politically correct è troppo arrogante nel confronto con le altre culture, presenti o passate, e ipocrita. Attenersi alla verità storica ci salverebbe.
 
A proposito: sull'eugenetica,
Eugenetica, Museo Virtuale delle intolleranze e degli stermini, http://www.akra.it/amis/ric.asp?id=6


Solitudine - Solitude



Solitudine

La solitudine
è come il mare d'inverno:
se immergi le membra
nell'acqua ghiacciata
non le senti più.


Solitude

Loneliness
is like the winter sea:
if you dip your limbs
in the icy water
you do not feel them

anymore.


lunedì 18 luglio 2016

Queen of the desert (W.Herzog, 2015)


Queen of the desert

Le prime immagini sono delle affascinanti panoramiche del deserto; e proprio la resa del deserto, del suo fascino silenzioso, del suo mistero, è forse la parte migliore di questo film. Queen of the desert, di Werner Herzog, con Nicole Kidman nel ruolo della protagonista, traccia la vicenda della esploratrice, archeologa, storica (e un'altra marea di cose) Gertrude Bell, la "Lawrence d'Arabia al femminile", pure britannica, che negli anni immediatamente precedenti e successivi alla I Guerra Mondiale, svolse un impareggiabile lavoro di ricerca e approfondimento della realtà medio-orientale sul terreno, con risvolti anche diplomatici (tracciò i confini dell'Irak sulla base della sua approfondita conoscenza della tribù locali e fu consulente per la risistemazione del Medio Oriente voluta da Churchill). E' da notare che il lato più "femminista" della vicenda è stato giudiziosamente lasciato un po' da parte (ma era perfettamente giusto rilevare, come avviene nell'esordio, che la vita femminile all'epoca della regina Vittoria doveva essere una noia mortale!).



La vicenda riferisce le due storie d'amore della protagonista: quella con Henry Cadogan (interpretato con sensibilità da James Franco), in servizio all'ambasciata britannica di Teheran, poi interrotta dalla morte di lui; quindi quella, a distanza, con il console di Damasco, Charles Doughty - Wylie (qui ho apprezzato Damian Lewis: la quintessenza del console britannico). La Kidman ha fatto come sempre un lavoro molto professionale: tra l'altro pronunciava l'arabo con naturalezza, cosa che non tutti gli attori riescono a fare con lingue molto diverse dalla propria (vedere ad es. come gestiva l'aramaico la Bellucci in The passion); invece non ho ben capito che cosa ci facesse Robert Pattinson nel ruolo di Lawrence d'Arabia da giovane: forse ho agganciato eccessivamente Pattinson al ruolo del vampiro di Twilight, e sono troppo affezionata a Peter O'Toole nel celeberrimo Lawrence d'Arabia di D.Lean; ma, onestamente, Pattinson non solo non assomiglia per niente a T.E.Lawrence e O'Toole sì (anche se O'Toole era molto più alto; Lawrence era piuttosto bassino), ma non ho neanche ben chiaro se la sua recitazione corrisponda al vero Lawrence.


Comunque: il film è discretamente bello, vale la pena e ha un che di poetico. Il suo intento però non è tanto storico (anche se il quadro iniziale pare rinviare all'attualità con la rapida presentazione delle difficoltà medio-orientali): non solo la storia appare sfasata rispetto alla cronologia reale (Gertrude ci viene presentata all'inizio come più giovane che nella realtà, e giunse in Persia nel 1892, non nel 1902), ma, da questo punto di vista, esso è molto diverso dal già citato Lawrence d'Arabia, epico, sostanzialmente un film di guerra, anche se sui generis; qui il tono è decisamente più meditativo, interiorizzato, quasi esistenziale. Forse è più adatto a una donna, ma, secondo me, è anche sottilmente più affascinante. E' vero che, alle volte, la sceneggiatura, di Herzog, pare sfilacciarsi e dilatarsi e fatica a offrire un percorso esistenziale della protagonista verso una meta ben definita; però non è male che sia lenta (ciò corrisponde bene all'ambientazione del deserto e del Medio Oriente) ed è una costruzione molto letteraria, accattivante, con le citazioni di Omar Khayyam e di poesia persiana nella prima parte e, nella seconda, quelle tratte dalle lettere e dai diari di lei (spero che siano citazioni autentiche, non ho modo di controllarle).


A questo tono di ricerca quasi del senso della propria esistenza e di se stessi coopera la bella fotografia, suggestiva per la cura degli effetti di luce e per la resa dei paesaggi, non solo quando si tratta del deserto o delle distese di sale, ma anche della campagna britannica intorno alla casa dei Bell (credo di avere riconosciuto il parco di Stourton); quindi anche la colonna sonora, specie nelle melodie orientaleggianti (firmata da Klaus Badelt, abituale collaboratore di Hans Ziemmer). Forse, con una sceneggiatura più rigorosamente orientata, si poteva conferire maggiore intensità proprio a questo lato letterario, meditativo, di riflessione sulla propria esistenza a confronto col deserto, col pensiero di popoli lontani, con la cultura medio-orientale. Il deserto è un profondo rivelatore del profondo della nostra anima: perciò ritengo che le parti più belle del film siano quelle in cui la voce fuori campo della protagonista riporta le sue meditazioni su quell'ambiente silenzioso e desolato, oppure i versi d'amore che esprimono il suo profondo dolore dopo la morte di Henry, mentre fuori incombe l'inverno inglese; sono molto belli gl'incontri con lo sceicco dei Drusi e con il secondo sceicco nel deserto, scambi di rispetto, ospitalità, saggezza e, infine, il dipanarsi, quasi in sordina, ma efficace, dell'amicizia con Fattuh, la guida della Bell, espressione di una sapienza e di una fedeltà che appaiono quasi come un augurio per il difficile dialogo tra culture odierno.



Queen of the desert (English version)

 
 
 
The first images are a fascinating panorama of the desert; and just this featuring the desert, its quiet charm, its mystery, is perhaps the best part of this film. Queen of the desert, by Werner Herzog, starring Nicole Kidman, tells the story of British explorer, archaeologist, historian (and another bunch of things) Gertrude Bell, a womanly "Lawrence of Arabia", that in the years immediately before and after the First World War, performed an unparalleled research of middle East realities on the ground, even with diplomatic implications (she drew Iraq's borders on the basis of her in-depth knowledge of the local tribes and she was a consultant for the Middle East resettlement by Churchill). It 's worth noting that the "feminist" side of the story has been judiciously left a little by side (but it was rightly pointed out, at the beginning, that women's lives at the time of Queen Victoria were to be very boring !).

                                             

The story relates the two love stories experienced by the protagonist: one with Henry Cadogan (played sensitively by James Franco), on duty at the British Embassy in Tehran, a story interrupted by his death; later, with the consul of Damascus Charles Doughty - Wylie (here I liked Damian Lewis: the quintessential British consul). Kidman has done a very professional job, as usual: among other things, she spoke Arabic with ease, something that not all actors can do with a language very different from their own (see eg. Bellucci speaking Aramaic in The passion). However I did not understand what Robert Pattinson was doing in the role of Lawrence of Arabia as a young man; perhaps I "hooked" Pattinson to the role of the Twilight vampire, and I'm too fond of Peter O'Toole in super-famous Lawrence of Arabia by D.Lean; but, honestly, Pattinson does not look anything like T.E.Lawrence while O'Toole did (although O'Toole was much taller; Lawrence was quite short), and I have not even realized whether his acting corresponds to real Lawrence .

                                              

However, the film is fairly good, worthwhile and shows something poetic. But its intent is not so much a historical one (even if the initial framework seems to make reference to current events with the rapid presentation of Middle East problems): not only the story seems out of phase with the real history (at the beginning, Gertrude is presented to us younger than in reality, as she arrived in Persia in 1892, not in 1902), but, from this point of view, it is very different from the aforementioned Lawrence of Arabia, epic, essentially a war movie, although sui generis; here the tone is definitely more meditative, internalized, almost existential. Perhaps it is more suitable to a woman, but, to me, it's also subtly more fascinating. It's true that, at times, the script, by Herzog, seems not very compact and does not offer a definite, existential journey of the protagonist towards a precise goal; but it's not bad it is a little slow (this corresponds well to the setting of the desert and of the Middle East) and a very literary construction, captivating, with quotes of Omar Khayyam and Persian poetry in the first half, and, in the second, of sections from the her letters and diaries (I hope they are authentic quotations, I have no way to control them).

                                           

This research of the meaning of existence and of our self is highlighted by the beautiful photography, impressive for the lighting effects and the landscapes. It is impressive not only when it comes to the desert, but also about the British countryside around the Bells' home (I think I have recognized the Stourton park); so does even the soundtrack, especially by its oriental melodies (signed by Klaus Badelt, regular collaborator of Hans Ziemmer). Perhaps, a more strict script could give greater strength to this literary side,  to the meditative reflection on existence in the frame of the desert, to the comparison with distant peoples, with Middle East culture. The desert reveals deeply the depths of our souls: so I think the most beautiful parts of the film are those where the voice of the protagonist expresses her meditations on that quiet and desolate environment, or the love verses voicing her deep grief after the death of Henry, while the English winter hangs around. The meetings with the Sheikh of the Druze and with the second sheikh in the desert are really fine: an exchange of respect, hospitality, wisdom; and, finally, I'd like to underline the almost unnoticed, but effective, friendship with Fattouh, her guide: a sign of wisdom and fidelity that appears almost like an omen for the current, difficult dialogue between cultures.


Around the world....by movies 1


Around the world ... by movies

Several times my kids have asked me a list of interesting films to learn more about cinema and not only. With this new post, I begin a series that will take us through the non-European continents by films. I could not see them all: to give complete information, I had to point to some without watching them. However, I will try to offer a good international overview to my movie fans. We will start from the Far East.
Good vision!
                                         
JapanHow to start from Japan without the Last Samurai? This great movie, directed by E.Zwick in 2003, starring Tom Cruise (technically he did a very good performance) and a super Ken Watanabe as co-star, without forgetting the wonderful soundtrack by Hans Ziemmer (the same who created the music for Gladiator), it narrates a crucial point in Japanese history, the Meiji Revolution of 1876. Summary of previous episodes: during the nineteenth century, the Japanese government realized that, in order to oppose the Europeans, it was necessary to adopt their best discoveries; then it resorted to a bunch of consultants, who helped the emperor, the Mikado, and his ministers, to reform the nation in the Western sense. Tom Cruise plays one of these consultants, American Nathaniel Algren, who ends up on the samurai side to struggle in defense of the warrior tradition (based on Zen code of Honor Bushido).


Although the Japanese did not resort to the Americans, and instead of Algren there was a French man, the film's core is real (with the samurai a little idealized, as it was observed in Japan); the warrior class had to adapt by force: there were those who rebelled, as in the movie, and there were those who entered the new Western logic: did you know that the main Japanese industries, such as Toyota, were born from samurai families and ethics?Another attractive and successful film, which illustrates a fascinating side of Japanese culture, is Memoirs of a Geisha, 2005 (always with Watanabe), starring Zhang Ziyi (who is actually Chinese). I have only seen the clips, but  it won three Oscars for photography, sets and costumes, then, at the technical level it is very good. But you have to take cautiously some parts about the life of a geisha: the author of the novel, A.Golden, ran into some trouble with the geisha he had used as a source, because he had portrayed geisha as escorts. In fact, sexual favors were excluded from their work: geishas are artists and honored entertainers.


 
If you want to know Japan for real, you should watch a few films by the genius of Japanese cinema, Akira Kurosawa (1910-98). He came from a samurai family, became famous for his historical reconstructions of the time of the samurai, similar to our westerns and characterized by epic tone; however, some of his productions are based on stories by Shakespeare and other classics of literature (for example, I have seen the Idiot, 1951, adapted from Dostoevsky: in fact, the film recreates very well the atmosphere of Japan after the war). The most famous films by Kurosawa are Ran (= Chaos, 1985, a Japanese remake of King Lear), Rashomon (1950, awarded the Oscar and the Golden Lion in Venice, it is the title of a 1915 short story and the name of a gate of Kyoto, where the characters relate to each other, in always different ways, a crime; the diversity of irreconcilable perspectives reminds As I Lay dying, by Faulkner) and, above all, Seven samurai, a true Japanese western, where a group of samurai (Ronin, masterless samurai) agrees to defend a poor farming village from a swarm of brigands (they come to our rescue!). The film was the model for the famous Magnificent Seven with Yul Brynner (1960). In Kurosawa's film you will find sooner or later famous actor Toshiro Mifune: often compared to John Wayne, he is recognizable for its relentless and (often) spirited attitude.

                                         
Finally, back to history. To understand a little better the trauma of Japan's defeat after the Second World War, you can see Emperor, 2012, starring Matthew Fox and Tommy Lee Jones ,who excels in the role of General Douglas MacArthur. Practically, it is the story of the investigation carried out by the occupying Americans, to determine the degree of responsibility of Emperor Hirohito at the outbreak of war. Guys, it is an American movie: you feel the Manichean division between good guys and vilains, without many shades and with various clichés (like the ritual love story); Hirohito eventually saves the country from the atomic bombings agreeing to conclude the peace. But it is a decent film and can be instructive. Alas, I have not seen it, but always about Hirohito there is a 2005 film by respected Russian director Alexandr Sokurov: The sun. Even here, at the center of the story there is the trauma of defeat, and the emperor's decision to give up his divine status.


Finally, a masterpiece about war and peace: Hiroshima, mon amour. Maybe it's a bit difficult, lyrical, but it's really beautiful: in 1959, it was celebrated as the initiator of the Nouvelle Vague, that is the new way of French films, which roughly corresponds to Italian Neorealismo; in fact, the first film of the Nouvelle Vague is Les quatrecent coups, by François Truffaut, beautiful, 1959. The director here is Alain Resnais, the exceptional screenwriter Marguerite Duras, one of the biggest names in the '900 French culture ( Oscar-nominated for her screenplay). Hiroshima, mon amour tells the love story between a French actress and a Japanese architect, in the background of Hiroshima destroyed by the atomic bombing: the actress (who has no name, as her lover) has to deal with the traumas of war, during which she lost her first love; but, from a long series of flashbacks, she realizes she is alone in front of pain, while, around her, the courage stands out by which the Japanese, perhaps the real winners of the conflict, face their misfortune. The photography, black and white, is magnificent, scene blend the past and the present with dizzying and unsettling effects. The film is a beautiful story about loneliness, pain, but also about love.


Southeast Asia

Under this broad title, I put not only true Southeast Asia (Vietnam, Cambodia, Burma, Thailand, Laos), but also the insular part.
And here, there's really a lot of stuff, so much so that I will also go on in the next installment.First, the plethora of films about Vietnam. To be sure, not a few are largely set in America after the war, in the environment of veterans: the famous Hunter, 1978, by Michael Cimino (who died a few days ago, the film won five Oscars), with Robert De Niro (in Italy, which was on the left back then, it caused a scandal for the cruel representation of the Vietcong); Good Morning, Vietnam, the film that launched Robin Williams in 1987 (the title is taken from the greeting by which the protagonist, disc jockey Adrian Cronauer, addresses from the radio to the soldiers on the front); Born July 4, 1989, with Tom Cruise, directed by Oliver Stone (perhaps one of his best films), which tells the story of a paralyzed and horribly disillusioned war veteran; always by Oliver Stone and based on his personal experiences, Platoon, 1986, which won four Oscars; finally and above all, Apocalypse Now, directed in 1979 by Francis Ford Coppola, starring Marlon Brando, Harrison Ford and Martin Sheen (who risked almost to get crazy to identify with his character). The latter film is inspired by Joseph Conrad's masterpiece on colonialism, Heart of Darkness, a kind of journey into the hell of  Belgian Congo, focussed on mysterious and evanescent Kurtz, hidden in the forest (played by M.Brando). The hell is here the Vietnam jungle  (I remind my readers that Conrad was Polish, but wrote in a beautiful English, with a rare depth).


                                                                                                (to be continued)