Dante, il grande amore e la storia di Paolo e Francesca 4 parte
La
storia d'amore di Paolo e Francesca può porre questioni filosofiche ed
esistenziali? Penso
proprio di sì.
Dante
rimane profondamente commosso davanti alla loro tragedia, in quanto sa che sarebbe potuto succedere anche a lui;
anzi, lo ammette pubblicamente, dato che nel Purgatorio si sottomette alle medesima pena dei lussuriosi, passa attraverso il fuoco. Ma rimane avvinto soprattutto perché Paolo e Francesca rappresentano
idealmente il nostro desiderio d'Amore assoluto. Un Amore concretizzato nella
vita umana, quella di quaggiù, ma agganciato all'assoluto. A Dio.
Paolo e Francesca, Ary Scheffer, 1855
Il
percorso poetico ed umano di Dante, dalla Vita nova, dedicata a Beatrice appena morta,
fino alla Commedia, è anche filosofico
e teologico, volto a ritrovare il senso della vita attraverso l'amore. Beatrice
rimane punto di riferimento per andare a Dio (è perciò celebre come
"donna- angelo"), Beatrice lo ispira dopo la sua morte, Beatrice lo
introduce in Paradiso e poi lo guida fino alla visione di Dio. Dopo la morte
della donna amata, fin dal 1290, Dante si consola attraverso lo studio della
filosofia, attraverso la via umana della sapienza, sempre però meditando
questioni relative all'amore e alla nobiltà d'animo indissolubilmente legata ad
esso; l'amore diviene così strada verso il perfezionamento morale, verso l'innalzamento
di sé, e deve condurre Dante, dal male, rappresentato dalla "selva
oscura", dove egli si perde
all'inizio del poema, alla purificazione, attraverso i tre regni
dell'oltretomba, fino alla visione beatifica di Dio. Dio che è amore (l'amor che move il sole e l'altre stelle,
come il poeta afferma nell'ultimo verso del poema, Par.33,145), nei termini di S.Tommaso d'Aquino, sommo Bene, somma
Bontà, somma Verità, somma Bellezza.
Dante
quindi pone in modo esemplare le questioni fondamentali dell'esistenza: quella
dell'amore, del desiderio che ne proviamo, dell'etica, del nostro
perfezionamento interiore, della nostra aspirazione al Bene assoluto. La sua
risposta, da cristiano di vari secoli fa, è però adamantina: l'amore,
correttamente vissuto, porta a Dio e Dio è il Bene assoluto, che dona la somma
felicità (appunto, somma bontà, somma verità, somma bellezza). Perciò egli
spiega, nella sua lettera a Cangrande Della Scala, il suo mecenate signore di
Verona, che egli ha scritto la Divina
Commedia per riportare gli esseri umani alla conversione, quindi a Dio e
così alla vera felicità (l'obiettivo della Commedia e di questa cantica - il Paradiso - consiste nell'allontanare i viventi, durante la loro esistenza, dallo stato di miseria spirituale, per condurli alla salvezza, afferma il poeta nell'epistola).
G.Previati, Paolo e Francesca (Ferrara, 1901)
E
qui sopraggiunge forse una prima spiegazione dell'incongruenza apparente: ma
perché due amanti così nobili sono finiti all'Inferno? La morale dantesca più
ovvia è che, perso il collegamento con Dio, unica fonte del vero Amore, anche
quello così nobile di Paolo e Francesca traligna e diviene idolatria, condanna:
persino il legame eterno dei due amanti può trasformarsi allora in una prigione
(ogni forma di idolatria diviene ossessione e poi prigione: e così si potrebbe anche intendere il loro legame eterno...).
Eppure...Eppure,
c'è qualcosa che non quadra, qualcosa cui il poeta, abituato alla sua società di
allora, non ha fatto attenzione. Paolo e Francesca, in fin dei conti, ci paiono
anche vittime: vittime di un assassinio,
attuato dal marito di lei, ma vittime anche di ostacoli innaturali e
costrizioni, che li hanno privati della loro libertà, della possibilità di
lasciar sbocciare la propria personalità: si tratti di certi, malintesi
obblighi sociali o del matrimonio combinato, per noi oggi inconcepibile e che,
molto diffuso tra i ceti alti, risultava spesso una costrizione intollerabile,
non di rado la rovina dell'esistenza di chi lo contraeva. Ecco allora che
l'insegnamento di Dante può allargarsi, abbracciare anche la nostra epoca e avvertire: quell'amore
che porta all'assoluto può corrompersi, divenire perdizione, quando prevale
l'egoismo: nostro o altrui. L'amore perde la sua natura quando perde di vista
il suo obiettivo: l'Amore, cioè Dio, unico principio di ogni bellezza.
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