venerdì 27 gennaio 2017

Oltre il mare 2

Oltre il mare 2

Solo Dio riesce a dominare il mare. Anche gli antichi Greci, quando videro che il re persiano Serse voleva soggiogare il mare con  un ponte lanciato sugli Stretti, nel 480 a.C., pensarono che era un pazzo superbo; il mare non si domina. E quando Gesù seda la tempesta, gli Apostoli fanno tanto d'occhi e si chiedono: "Chi è mai Costui al quale i venti e il mare obbediscono?" (cfr. Mt. 8,23-27). Solo Dio è  capace di tanto. Il mare è l'abisso: a volte sfuma negl'inferi ed è comunque una realtà infida, negativa. Solo Dio divide e domina il mare. E allora, quando è  nato Israele, Dio ha ripetuto il prodigio della creazione: ha dominato il mare, ha vinto l'abisso e ha permesso agli Ebrei di passarci attraverso incolumi, per raggiungere invece la Terra Promessa. Gli Egiziani, invece, precipitano nell'abisso, quello che in ebraico si chiama tehom. 



Ecco allora che giungo alla morale della mia storia. In questa Giornata della Memoria mi viene da dire che, se gli Ebrei non ci fossero, bisognerebbe inventarli. Sono loro i primi che hanno attraversato l'abisso: e ci aprono la strada. Il popolo ebraico in fuga attraverso lo yam suf ha aperto la strada verso la libertà, la giustizia e una Terra Promessa dove Dio si è impegnato a osservare un'Allenza che avrebbe protetto i più deboli. Il cuore dell'Alleanza è questo: vincere il male, praticare la giustizia e sostenere quelli che sono poveri, come povero era Israele in Egitto. Ancora prima che i Romani si inventassero il diritto o i Greci la democrazia, gli Ebrei testimoniano la nascita di un mondo migliore, basato sulla libertà, sulla giustizia e sulla  misericordia. Guai se non ci fossero.


Gli Ebrei vanno avanti e ci fanno strada. Ecco  perché i Neri d'America, nei loro spirituals, tornavano continuamente su questo episodio  biblico: Go down, Moses, cantavano, quando il fiume Ohio rappresentava davvero la separazione tra gli Stati abolizionisti e quelli schiavisti. Anni fa lessi un saggio che non sono più riuscita a recuperare, ma in cui ci si chiedeva a che scopo esiste ancora Israele. E poi, il saggio, davvero molto bello, citava Isaia 2, 2-5:


                                        Passaggio del Mar Rosso, anonimo, Cappella Sistina
Alla fine dei giorni,
il monte del tempio del Signore
sarà eretto sulla cima dei monti
e sarà più alto dei colli; 
ad esso affluiranno tutte le genti.
Verranno molti popoli e diranno:
"Venite, saliamo sul monte del Signore,
al tempio  del Dio di Giacobbe,
perché ci indichi le sue vie
e possiamo camminare per i suoi sentieri".
Poiché da Sion uscirà la legge
e da Gerusalemme la parola del Signore.
Egli sarà giudice fra le genti
e sarà arbitro fra molti popoli. 
Forgeranno le loro spade in vomeri,
le loro lance in falci;
un popolo non alzerà più la spada
contro un altro popolo,
non si eserciteranno più nell'arte della guerra. 



Qual è il compito di Israele? Esso guida tutti i popoli verso il monte del Signore: e verso la sua Legge, diceva il saggio. Aggiungo: gli antichi Ebrei (e non solo) erano profondamente orgogliosi del Decalogo, che vedevano giustamente come un privilegio: Dio stesso aveva fornito loro le leggi! E le leggi nascono, specie quelle divine, se applicate bene, per permettere una vita di armonia e felicità. Ecco allora che nell'armonia che scaturisce dalla Legge, non esiste più guerra, ma solo onesto lavoro, che promuove l'abbondanza: perché se io osservo la Legge e mantengo i miei limiti, rispetto gli altri e non c'è più ragione per un conflitto. C'è la pace.

Verso questo monte guida Israele. C'è e ci deve essere, perché rimane il punto di riferimento del percorso della storia, la fiaccola che illumina il cammino verso il Bene: verso Dio. Israele è testimone, fin dalle sue origini, del fatto che la felicità, a livello comunitario, è possibile. E' testimone di  un ideale. E' testimone di quello che Dio può fare e custode della Legge che è uno dei suoi strumenti d'azione principali nella storia. Forse proprio per questo, nei momenti più bui della storia, c'è sempre qualcuno che vuole distruggere Israele. Non è solo crudeltà o stupidità umana: è il segno che esiste un male radicale. L'Avversario. Qualcuno che va al di là della storia, anche se è perdente in partenza, e che vuole distruggere i sogni migliori degli esseri umani, i loro valori. Nel secolo appena trascorso, agli Ebrei in primis è toccato l'immane, terrificante compito di attraversare il mare del male provocato dalla follia nazista, ma anche dalla complicità di ben altri organismi, specie politici e intellettuali (si ricordi che tutta l'Europa allora "evoluta", o gli USA, impazzivano per le leggi eugenetiche....).


Ma c'è dell'altro. Come testimoni dell'Altissimo, gli Ebrei sono anche testimoni del fatto che la realtà no si appiattisce a livello materiale, come tanti cercano di farci credere oggi: essi testimoniano che esiste una sfera più elevata, che va al di là del terreno e della materia. Che cosa induce così tante persone a perseguitare, loro come i Cristiani, anche oggi? Il fatto che essi testimoniano un ordinamento al di sopra di quelli terreni. Sono scomodi, perché la loro presenza ci ricorda che uno Stato, un governo, un'ideologia, non ha il diritto di asservire le nostre coscienze. C'è qualcos'altro, ben oltre. Qualcosa che va al di là delle nostre teste, persino al di là del meraviglioso cielo stellato che possiamo contemplare ogni notte. Per questo stesso motivo, Israele (in senso spirituale) giudica gli enti terreni. Essi sono limitati. Ma le realtà spirituali si ergono al di sopra. E con esse la nostra coscienza.


                                                                       Viktor Frankl
Mi viene in mente un film di Tarkovskij, Stalker, il cui protagonista è una guida che aiuta altri ad attraversare una "zona" contaminata verso una stanza dove si può conseguire quanto si desidera. Israele è passato oltre l'abisso del male, aprendo la strada agli altri. Se oggi facciamo memoria dell'Olocausto, non è solo perché bisogna ricordare le atrocità naziste: è perché Israele ci può guidare così, tramite la  memoria, verso un mondo migliore. Ed è anche perché gli esseri umani provano la ricorrente tentazione di eliminare i testimoni e quanti rappresentano il meglio. Cosa c'è oltre l'Olocausto? Ci sono persone come Viktor Frankl, il grande psichiatra, che concepì la sua logoterapia ad Auschwitz, dopo avervi perso i genitori e l'amatissima moglie, praticamente tutta la sua famiglia. Lui curava le persone permettendo loro di ritrovare il senso della loro sofferenza: logos, cioè parola, cioè razionalità. Ritrovò il sorriso dopo l'abisso. Poteva fuggire  negli States: ma quando gli arrivò il passaporto, tormentato dal dubbio, perché non voleva abbandonare i suoi genitori, pregò ed aprì la Bibbia a caso: trovò il Quarto Comandamento: Onora il padre e la madre. Decise di non partire. Seguì i suoi ad Auschwitz. Sopravvisse a tre anni di torture. Ma ne uscì fuori. Ormai anziano, volle imparare a lanciarsi col paracadute (!). Oltre il mare, c'è sempre la Terra Promessa.


Oltre il mare - Quanto Israele è indispensabile


Oltre il mare - Quanto Israele è indispensabile

Pubblico  qui questa meditazione in occasione della Giornata della Memoria.

In un'atmosfera tempestosa, Mosè innalza il suo bastone e invoca l'Altissimo: al suo cenno, le acque del Mar Rosso si dividono. E' una scena ripetuta in tanti film (dai Dieci comandamenti di Cecil De Mille, con Charlton Heston, fino al più recente Principe d'Egitto), molto suggestiva e scenografica: ma pochi sanno che cosa c'è dietro veramente. Un po' di tempo fa, alcuni (ignoranti) Americani cercavano le tracce del passaggio nel Mar Rosso: e speravano di aver trovato un carro egiziano a grande profondità. A dire il vero, figuracce del genere capitano anche qui da noi: e più di una volta ho sentito dei fedeli tradizionalisti inveire contro chi cerca di dare una spiegazione al celebre episodio biblico del passaggio del Mar Rosso diversa da quella letterale. Se la gente fosse un po' meno ignorante sulla Bibbia...


Il testo ebraico di Esodo 14 non parla affatto di Mar Rosso: questa è l'attualizzazione greca invalsa secoli dopo (per esempio la Settanta, la traduzione dell'Antico Testamento fiorita nell'Alessandria del III a.C., traduce con eruthra thalassa, "Mar Rosso""). In ebraico c'è yam suf, "mare della fine" oppure "mare dei giunchi".  Siccome i Greci non riuscivano a capire, lo hanno attualizzato con un mare davvero esistente: ma non è il Mar Rosso. E' innanzitutto uno specchio d'acqua con canneti: cioè, o la zona orientale del delta del Nilo, oppure quella dei laghi salati che va dall'istmo di Suez verso Nord, verso il Mediterraneo. E si noti che, se vi rileggete i capitoli 13-14 dell'Esodo, si  nota la stratificazione di più storie, con versetti che si contraddicono: in una, quella più antica (forse del IX sec. a.C.) Dio fa soffiare un vento orientale e notturno che fa ritirare il mare; nell'altra, risalente probabilmente ai circoli sacerdotali del VI-V a.C., troviamo la celebre, impressionante scena della divisione del mare. Anche gli Egiziani non fanno sempre la stessa fine (a volte fuggono, a volte affogano).


Ecco perché Ridley Scott (contestatissimo) ha legittimamente interpretato nel suo film Exodus: Dei e Re, del 2014, la scena del passaggio del Mar Rosso come uno tsunami. Si è basato sul racconto biblico più antico e sull'interpretazione proposta da vari studiosi: se il vento ha fatto ritirare l'acqua, gli Ebrei potrebbero essere passati attraverso una zona di litorale durante la fase di ritiro di un maremoto. Poi l'acqua è tornata indietro e ha preso in pieno gli Egiziani. Centrare il momento buono per passare è di per sé un miracolo, anche senza gli "effetti speciali"; però è vero che la scena "mitica" della divisione del Mar Rosso colpisce la fantasia: come si fa a farne a meno?


Tuttavia, il mare non è solo questo. Gli antichi Ebrei si immaginavano la Terra come un piatto: e questo piatto era circondato dal mare della fine appunto, l'Oceano, oltre il quale il mondo finisce e si precipita nel nulla. Del resto, a differenza dei loro vicini Fenici, essi diffidavano del mare: erano pastori, preferivano evitare le navi e rimanere a terra, quindi questa immane massa d'acqua faceva paura e loro se ne tenevano alla larga. Anzi: al suo interno fiorivano i mostri più strani, come Behemoth, Leviathan ecc.: mostri che forse mitizzavano animali come ippopotami e coccodrilli, ma che spingevano un Ebreo standard a rimanere coi piedi per terra.


Se vi rivedete il Principe d'Egitto, noterete che, mentre gli Ebrei passano il Mar Rosso (lì è quello), si vedono in controluce delle balene nuotare sopra le loro teste nell'acqua bloccata da Dio. Non è una nota di colore: è una corretta lettura della Bibbia. Perché il mare, oscuro e abissale, contiene mostri. Per il fenomeno della rifrazione noi non possiamo distinguere che cosa c'è dentro, e anche un pesce rosso può sembrare una balena; quindi il mare rappresenta un elemento infido per questo e per le sue tempeste. Il mare, nella Bibbia, rappresenta il male. Nell'ultimo capitolo dell'Apocalisse, il 21, si sottolinea che, nella Gerusalemme celeste, "non ci sarà più mare" (è il versetto che un prete cita ai naufraghi del Titanic, nel film di James Cameron, non so con quanta efficacia); e quando, nei primi capitoli della Genesi, Dio crea l'universo, una delle prime cose che fa è quella di "separare le acque". Cioè, domina l'acqua e il mare.


                                                               L'antico cosmo ebraico 




giovedì 19 gennaio 2017

L'arte e la bellezza nella società odierna (di Mario Ballardini)


L’arte e la bellezza nella società odierna
(saggio di Mario Ballardini)

Sono realmente importanti l’arte e la bellezza nella vita odierna? O, per meglio dire, nell’occidente odierno? Io personalmente penso di no e credo di avere buoni elementi per poterlo affermare. Accendendo la televisione, ascoltando la radio, guardando i film più quotati al cinema, leggendo alcuni dei libri presenti nelle risonanti classifiche, osservando le opere nei musei di arte moderna quasi mai scorgo elementi di vera e propria bellezza. 


Io non so chi sia concretamente il colpevole di questo omicidio estetico, non so neppure se esista un vero e proprio colpevole. Quello che so con certezza è che negli ultimi anni si è compiuto un processo di livellamento estetico e che a trarne vantaggio sono stati, come sempre, i mercati e le grandi aziende. Infatti, con il progressivo esaurirsi del senso estetico, è andata scemando anche l’importanza della qualità nell’immaginario comune. Così, ora come ora, si preferisce acquistare da “Zara”, pur sapendo che la settimana dopo ci si dovrà tornare per sostituire il capo che nel frattempo si è rotto, piuttosto che recarsi da un bottegaio, di certo più caro, ma che può garantirti un prodotto più bello e di maggior qualità. 


Con la fine del senso estetico si è esaurita negli animi quella felicità semplice ed umile che contraddistingueva le classi meno agiate paleoconsumiste per lasciar posto ad una felicità drogata, artificiale ed ansiolitica la quale, per essere innescata, necessita obbligatoriamente del consumo fine a se stesso: un operaio ben al di sotto della soglia di povertà, ma ancora in possesso di gusto estetico, poteva finire il turno in fabbrica, recarsi in un prato con la propria compagna, osservare un tramonto ed essere comunque felice ma soprattutto libero. Invece, oggigiorno, i dipendenti (e non solo) staccano dal lavoro ed emigrano in massa nei supermercati per dar sfogo alla propria alienazione prodotta dal lavoro senza però accorgersi di immergersi in un’altra alienazione ben peggiore, cioè l’alienazione del consumo.


In questo contesto l’arte (in senso lato) o, per meglio dire, i produttori dell’arte, come hanno reagito? ribellandosi e proponendo opere estetiche di spessore? assolutamente no, anzi, si sono appiattiti sulle richieste del pubblico. Non metto in dubbio il fatto che tutt’ora vi siano artisti di qualità ma sono completamente oscurati dai nomi altisonanti pompati dal mercato. Invito chiunque ad aprire le attuali classifiche musicali e ad analizzare i testi delle prime dieci canzoni che vi trovate davanti. Io l’ho fatto e sono stato pervaso da vuoto cosmico, dal nichilismo assoluto. E pensare che negli anni 70’ del secolo scorso i grandi cantautori stavano componendo i loro capolavori e pure loro cavalcavano le classifiche. 

Il cambiamento epocale che ha segnato la fine di quella che i sociologi chiamano “società dei produttori” e l’inizio della “società dei consumatori” ha pervaso e sgretolato anche l’estetica, relativizzandola, esattamente come è avvenuto per molti altri ambiti della conoscenza. Di fronte a questo passaggio è necessario sottolineare che ciò che è ritenuto “bello” non è più il bene duraturo, tutt’altro: quella cosa che appaga il gusto comune non è forse più neanche un oggetto bensì un flusso di beni di consumo. Mentre nella società dei produttori il bene che si conservava nel tempo era ritenuto bello (o per lo meno fonte di prestigio) poiché emanava un senso di stabilità, caratteristica necessario per una società con radici ben salde nelle propria cultura, nella nostra “società liquida” (cito il grande sociologo Baumann), in cui tutto è precario e tutto è relativo, a soddisfare le masse è il continuo fluire di beni di scarso valore pronti ad essere gettati per lasciare spazio al bene successivo. 


Di conseguenza il vettore dell'estetizzazione del mondo non è più l'arte, ma il consumo.Un’altra caratteristica dei nostri tempi è l’omologazione estetica globale: la moda è la stessa da Hong Kong a Berlino, la cultura culinaria è la stessa da Milano a New York, le canzoni che sento in radio a Londra sono le stesse che sento a Sydney e radio Tirana non trasmette più musiche balcaniche (semi cit.). Anche questo aspetto sta all’interno dell’etica dei consumi: il consumatore medio deve essere il medesimo in tutto il globo in modo tale da avvantaggiare i Re dei mercati che possono così ideare un unico prodotto da vendere ovunque. Quell’ingombrante fardello chiamato “individualità” è stato dunque fatto fuori come ogni tipo di folklore e la conseguente arte che portava con sé. 


Viviamo così in un mondo sempre all’ultimo grido: una novità al giorno, un problema risolto a settimana, una nuova sensazione al secondo ed un immenso, risonante, senso di vuoto dentro…un vuoto partorito dall’ansia del consumo che ci offusca lo sguardo e dalla smania del progresso che ci tappa le orecchie: dal cartellone pubblicitario che deturpa il paesaggio e dalla musica elettronica che copre quella classica.A mio avviso da due elementi dobbiamo partire per fondare un sistema di valori che vada a sostituire quello senz'anima del consumismo: la bellezza e la passione. 


Bisogna educarsi alla bellezza per non rassegnarsi alle brutture che ci vengono ormai da decenni somministrate. A partire dai palazzoni grigi delle periferie fino ai grattacieli disumanamente super-lusso di Dubai o Milano. A partire dalle baraccopoli fino ai resort completamente finti in cui benestanti annoiati si coprono gli occhi davanti alla crudeltà del mondo. Ripartiamo dalla natura e dall'arte, dalla ricerca del particolare e del bello fine a se stesso. 


Di pari passo deve andare la passione. Sia nei rapporti umani che nelle piccole cose serve quel tanto di pathos che ci permetta di fare nostro ciò in cui ci stiamo immergendo. Bisogna vivere le esperienze e non sopportarle. Necessitiamo di riacquisire il coraggio che ci permetta di abbandonare il nostro grigio arrivismo per incamminarci verso mete piú elevate. Quando bellezza e passione saranno sedimentati all'interno della nostra società allora potremo definirci progrediti e felici. Prima di allora rimaniamo solo tristi consumatori fieri di esserlo proprio perché troviamo nel consumo quegli svaghi effimeri in grado di nascondere la nostra bruttezza e il nostro passivo nichilismo. La bellezza ci salverà tutti, come sosteneva Dostoevskij. Diamole spazio.


Cappelletti


Cappelletti 

I cappelletti sono un piatto un po' complesso da preparare, ma squisito, antico, tradizionale e danno una grande soddisfazione quando li portate in tavola il giorno di Natale! Secondo la leggenda, li avrebbe inventati un oste, che aveva ospitato una donna bellissima nel suo albergo; dato che era andato (ahi!) a spiarla dal buco della serratura, vide solo....uno splendido ombelico. E allora, l'oste avrebbe deciso di riprodurre quella bellezza nella sua prelibata pasta: il risultato furono i cappelletti.


I miei cappelletti! Fatti da me!
Brodo
Prima di tutto bisogna preparare il brodo. Io l'ho preparato con:

4 litri di acqua

400 gr.  di carne di vitello
400 gr. di carne di maiale
400 gr. di tacchino
2 spicchi di aglio
2 cipolline
prezzemolo qb
erba cipollina qb
1 cucchiaino di sale

Pulite l'aglio, le cipolline, lavate la carne e mettete tutti gl'ingredienti dentro la pentola dell'acqua quindi, lasciate cuocere a fuoco moderato per 2-3 ore, schiumando regolarmente il grasso che emerge. Quando il brodo si è sufficientemente ristretto (dovrebbe rimanere 1 litro e mezzo all'incirca) spegnete, lasciate raffreddare, quindi togliete la carne e le verdure e filtrate. Mia mamma preparava il brodo solo con la carne, ma l'aglio e le cipolline aggiungono un sapore...



Ripieno
Dopodiché, dovete usare le carni per il ripieno.
Altri ingredienti:
100 gr. di parmigiano reggiano grattugiato
100 gr. di pangrattato
un poco di brodo qb
3 uova
sale qb

Io macino rapidamente le carni poco per volta con il tritacarne; quindi aggiungete alla carne lessata e macinata il pangrattato, il parmigiano, le uova e il sale e mescolate il tutto (io mescolo con le mani, si fa prima), aggiungendo un poco di brodo se necessario per ammorbidire l'impasto. Il risultato dovrebbe essere una specie di polpettone morbido morbido, che potete tagliare in vari spicchi e conservare in freezer. 



Cappelletti (pasta)

Questa è la ricetta dell'impasto, che potete poi riempire come volete; è facile da fare ed è bene che anche i miei allievi imparino, per tenere alta la tradizione ferrarese...

                                          Ecco la mia sfoglia! Sulla destra, la sprunela!

Per la pasta all'uovo, servono 100 gr. di farina (setacciata) e un pizzico di sale per ogni uovo. Le vecchie 'zdore, cioè massaie, erano in grado di fare una sfoglia anche di 5 uova per volta, stesa poi col mattarello come una tovaglia sulla tavola: era un'opera di autentica acrobazia (la mia vicina di casa, la signora Angela, ora passata a miglior vita a 104 anni, ancora centenaria faceva la sfoglia a casa così: era  una di quelle che mi controllavano come una vedetta...). Voi potete provare con uno o due uova.
Mescolate la farina con l'uovo (o le uova), magari aggiungendo un poco di acqua, e poi dovete tirare l'impasto a lungo, pigiando e tirandolo con la parte bassa della palma verso l'esterno, finché non diventa un  unico impasto liscio e compatto (guardate sotto: viene fuori  liscio come la pelle di un bambino....). Infine, bisogna suddividere l'impasto in alcune parti per tirarle la sfoglia. Sarebbe bene, specie se vi cimentate con un solo uovo, che imparaste con il mattarello; altrimenti, oggi quasi tutti usano la macchina, che però potrebbe lasciare un lieve retrogusto metallico. Io preferisco il mattarello. In ogni caso, la pasta deve essere spesso spolverata di farina, perché non si attacchi alla spianatoia. Deve essere non troppo sottile, altrimenti si rompe, e neanche troppo spessa, sennò non cuoce mai: in  media, ogni uovo dovrebbe dare una cinquantina di cappelletti.

                                                    Vedete che carina la mia pasta?

Quando la sfoglia è pronta, tagliatela con la sprunela (non riesco a trovare una parola corrispondente al dialetto ferrarese: è l'aggeggio con la rotellina per tagliare la pasta, guardate la foto sopra) in piccoli quadrati, su cui poi va riposto un poco di ripieno. Per chiuderli....Eh, bisogna vederlo fare. Comunque: chiudete il cappelletto a triangolo e posatelo sul polpastrello; ripiegate la punta del triangolo verso di voi (come se doveste produrre la piega di un cappellino), quindi stringete insieme i due angoli della base del triangolino al di sotto del vostro dito, in modo tale che la piega vada verso l'alto, come il fazzoletto di un  marinaio: ecco il cappelletto! (Magari devo organizzarmi per un video - tutorial). I cappelletti vanno poi messi in fila su di una spianatoia infarinata e lasciati asciugare per un po', altrimenti si incollano insieme quando li mettete nel brodo.
Per la cottura in brodo (brodo di pollo, cappone, o anche vegetale, se non avete altro), dovete aspettare che il brodo bolla, quindi metterli dentro pochi per volta, altrimenti il brodo traboccherà subito. Sono cotti quando risalgono a galla. Possono però essere anche cotti in acqua bollente, scolati e serviti con condimenti di vario genere, a seconda del ripieno. 


Cappelletti

The cappelletti are a dish a bit complex to prepare, but exquisite, traditional, and gives a great satisfaction when you bring them onto the table on Christmas Day! According to the legend, an innkeeper would have invented them when he hosted a beautiful woman in his hotel; since he went (ouch!) to spy on her through the keyhole, he saw only .... a beautiful navel. So, the landlord would have decided to reproduce that beauty in its delicious pasta: the result were the cappelletti.

Broth
First you need to prepare the broth. I have prepared it with:

4 liters of water
400 gr. of veal
400 gr. of pork
400 gr. of turkey
2 cloves of garlic
2 spring onions
parsley to taste
chives to taste
1 teaspoon of salt


Clean the garlic, the onions, wash the meat and put all the ingredients into the pot of water, then cook over medium heat for 2-3 hours, regularly skimming the fat that emerges. When the broth has sufficiently small (expected to remain around 1 liter and a half) turn off, let it cool, then remove the meat and vegetables and filtered. My mother prepared the broth only with the meat, but the garlic and the onions add such a flavor ...

Filling
After that, you have to use the meat for the filling.
Other ingredients:
100 gr. grated Parmesan cheese
100 gr. breadcrumbs
a little broth
3 eggs
Salt to taste


I grind the meat quickly, little by little, with the meat grinder; then add to the boiled meat, the minced breadcrumbs, Parmesan, eggs and salt and mix everything together (I mix it by my hands, it's quicker), adding a little broth if necessary to soften the dough. The result should be a kind of soft meatloaf, you can cut into various pieces and store in the freezer.

Cappelletti (dough)

This is the recipe of the dough, which you can later fill up like you want; it is easy to do and it is good that my students learn, to keep up Ferrara traditions...

                                   
                                          
Here's my dough! On the right, the sprunela!


For the dough, you need 100 gr. flour (sifted) and a pinch of salt for each egg. The old 'zdore, ie housewives (our dialect), were able to make a dough even by 5 eggs at a time, then to spread it with a rolling pin as a tablecloth on the table: it was something acrobatic (my neighbor, Mrs. Angela, who passed away when she was 104 years old, still made the dough at home; she was one of those who controlled me as a lookout ...). You can try by one or two eggs.Mix the flour with the egg (or eggs), perhaps adding a little water, and then you have to pull the dough long, pressing and pulling the lower part by the palm outward, until it becomes smooth and compact (see below: it comes out smooth like a baby's skin ....). Finally, we must divide the dough in parts to pull it. It would be good, especially if you grappled with a single egg, which you learned with a rolling pin; otherwise, today almost everyone uses the machine, but it might leave a slight metallic aftertaste. I prefer the rolling pin. In any case, the dough must often be dusted with flour, so that it does not stick to the work-surface. It should not be too thin, otherwise it breaks down, and not too thick, otherwise it is never cooked: on average, each egg should give fifty cappelletti.

                                   

                                                    
You see how cute is my dough?


When the dough is ready, cut it with the sprunela (I can not find a word corresponding to the Ferrarese dialect: it is is the little object with the wheel to cut the dough, look at the picture above) into small squares, then you must placed in them a little stuffing. To close them .... Oh, you have to see it done. However: close the square into a little triangle, like a cap, and lay it on the fingertip; fold the tip of the triangle towards you (as if you were to produce the fold of a cap), and then tighten together the two corners of the base of the triangle at the bottom of your finger, in such a way that the fold goes upwards, as the handkerchief of a sailor: here is the little hat! (Maybe I have to arrange for a video - tutorial). Cappelletti are lined up on a floured surface and dried for a while, otherwise they will stick together when you put them into the broth.To cook them in broth (chicken broth, or even vegetables broth, if you have nothing else), you have to wait that it boils, then put them in a few at a time, otherwise the broth will overflow immediately. They are ready when they surface. However, they can also be cooked in boiling water, drained and served with various kinds of toppings, depending on the filling.



martedì 17 gennaio 2017

Poesia notturna 13 - Night poem 13


Poesia notturna 13

Una poesia nata dal mio amore per le sonate per violoncello di Bach.



Ali di violoncello
volano nella notte,
mentre tace il vento:
eco dei ricordi,
fruscio d'acqua
sulle rocce del passato.

Night poem 13

A poem born from my love for Bach's sonatas for cello. 



Wings of a cello
fly in the night,
while the wind is silent:
echo of memories,
Water rustling
on the rocks of the past.

mercoledì 11 gennaio 2017

Notturno d'amore in Oriente II - Asian night of love II


Notturno d'amore in Oriente II



La tua bocca profuma di cannella,
aroma d'incenso è il tuo respiro,
seta lucida e ambra la tua pelle: 
scivolano sull'acqua della fonte
serene corolle d'orchidea;
e io bevo l'abbandono e l'ambrosia
dell'oblio, dimentica di ogni orizzonte, 
racchiusa tra l'avorio delle tue braccia. 



Asian night of love II

Your lips smell of cinnamon,
incense aroma is your breath,
shiny silk and amber your skin:
on the water of the source
orchid blooms serenely glide;
and I drink abandonment and the ambrosia
of oblivion, forgetting all horizons,
enclosed in the ivory of your arms.


Florence (S.Frears, 2016)


Florence

Voi cerchereste di diventare famosi come cantanti pur essendo stonati come un campanaccio? E di cantare nientemeno che alla Carnegie Hall? Ebbene, questo è stato il sogno (avverato) di Florence Foster Jenkins, un'ereditiera americana veramente esistita e la cui storia vera ha dato lo spunto al godibilissimo film di Stephen Frears Florence, con gli strepitosi Meryl Streep e Hugh Grant. 


Florence Foster Jenkins (Meryl Streep) è un'ereditiera appassionata di musica e patrona di un club musicale molto rinomato a New York. Il suo più grande desiderio è cantare: ma è stonata come una campana. Eppure il marito, l'Inglese St.Clair Bayfield (Hugh Grant), la sostiene in questa sua passione e cerca di proteggerla a tutti i costi dalle malelingue che la criticano aspramente. Per coronare il suo sogno, anzi, la appoggia nella ricerca di un maestro di musica: e, allo scopo, viene scelto il timido e sensibile, ma competente, Cosmé McMoon (Simon Hellberg). Le lezioni di musica sono esilaranti: in realtà, Florence, così spumeggiante e gioiosa, a volte quasi svampita, cela un pesante segreto e una vita di sofferenza: il primo marito le ha attaccato la sifilide, che le ha rovinato l'esistenza. La malattia, rimasta al secondo stadio per decenni, le ha impedito di avere figli, le ha danneggiato i nervi delle mani, impedendole di diventare la concertista che sognava; le sono caduti tutti i capelli, i problemi fisici si sono moltiplicati, per anni non ha mai consumato il matrimonio col suo grande amore, St.Clair, per paura di contagiarlo, è stata obbligata a pesantissimi trattamenti col mercurio e l'arsenico, e, come se non bastasse, su di lei pende di continuo la minaccia della terza fase della malattia, quella della follia. Per questo, il marito, proteggendola con amore genuino (anche se non privo di debolezze) cerca di salvare il suo ultimo sogno: cantare. E cantare per i soldati in guerra, per farli sentire meglio. Perché no?


La commedia è divertentissima, anche se la comicità è semplice, basata principalmente sulle stecche di Florence (e Meryl Streep è bravissima, perché, pur essendo intonata, come sappiamo da Mamma mia!, riesce a steccare in modo credibile, il che è difficile) e sulle facce strane del suo maestro di musica davanti a queste...esibizioni (forse però Hellberg risulta troppo caricaturale). In questo, il film rispetta la vena di Stephen Frears, che, nelle sue pellicole, ama il realismo: tutti ricorderanno lo straordinario The Queen, così credibile, che pareva di vedere girare per davvero la Regina di Inghilterra, interpretata da Helen Mirren. Il realismo è accentuato qui dalla cura per le scenografie e la ricostruzione storica, degli ambienti e delle situazioni nella New York degli anni '40. Se Meryl Streep riesce a dare spessore a un personaggio non ovvio, che oscilla tra candore e malinconia, ingenuità e spumeggiante allegria, Hugh Grant è perfetto nel ruolo del gentleman inglese che, con il suo sorriso stirato, cerca di far fronte a ogni sorta di assurdità. 


Florence non è però una commedia semplice. Vari spunti lasciano capire la crudeltà della società che circonda questa ereditiera ingenua: bugie, di cortesia o meno, volgarità, ipocrisia, favori e applausi comprati col denaro; persino St.Clair, che, in fin dei conti, la ama sul serio, intrattiene però una relazione con un'altra donna, per debolezza. E' come se lei continuasse a credere di vivere nel bozzolo in cui, senza dubbio, era stata allevata nella sua ricca casa di Philadelphia, ricca e puritana. La malinconia emerge spesso, a ricordare che Florence però non è così ingenua. Aveva  il diritto di cantare pur essendo stonata? Ebbene sì: perché lo faceva col cuore. Chi la criticava aspramente era da compatire lui, invece: perché non capiva che cosa significano umanità e misericordia. 


Florence

Would you try to become famous as a singer despite being out of tune like a cowbell? And to sing nowhere else than at Carnegie Hall? Well, this was the dream (come true) of Florence Foster Jenkins, a real American heiress whose true story has been the occasion to the very enjoyable Stephen Frears' film, Florence, with the terrific Meryl Streep and Hugh Grant.


Florence Foster Jenkins (Meryl Streep) is an heiress and passionate of music; she is also the patron of a very popular music club in New York. Her greatest wish is singing, but she is out of tune as a bell. Yet her husband, the Englishman St. Clair Bayfield (Hugh Grant) supports her passion and tries to protect her at all costs from the gossips of those who criticize her harshly. To accomplish her dream, indeed, he supports her search for a music teacher, and, in order, they choose the shy and sensitive, but competent, Cosme McMoon (Simon Hellberg). The music lessons are hilarious: actually, Florence, so bubbly and joyful, sometimes almost dizzy, hides a dark secret and a life of suffering: her first husband passed to her syphilis, which ruined her existence. The disease, which remained at the second stage for decades, prevented her from having children, damaged the nerves of her hands, preventing her from becoming the concert pianist she dreamed of; all her hair fell out, physical problems multiplied, for years she never consummated the marriage with her great love, St.Clair, she was forced to heavy treatment with mercury and arsenic, and, to make matters worse, the continuous threat of the third stage of the disease, that of madness, hung upon her. Therefore, her husband, protecting her with genuine love (though not without weaknesses) tries to save her ultimate dream: to sing. And singing for soldiers at war, to make them feel better. Why not?


The comedy is hilarious, even if the humor is simple, based mainly on Florence's bad tune (and Meryl Streep is very good, because, despite being in tune, as we know from Mamma Mia !, she can sing out of tune in a credible way, which is hard) and the strange faces of her music teacher in front of... these performances (but Hellberg is maybe too caricatured). So, the film respects Stephen Frears' vein, who likes realism: everyone will remember the extraordinary The Queen, so believable, that you could believe to see for real the Queen of England, played by Helen Mirren. Realism is accentuated here by the attention to the scenery and the historical reconstruction of environments and events in the New York of the '40s. Meryl Streep manages to give depth to a not so obvious character, one fluctuating between innocence and melancholy, ingenuity and bubbling joy, Hugh Grant is perfect in the role of the English gentleman who, with his stretched smile, tryes to cope with all sorts of absurdity.



Florence is not, however, a simple comedy. Various hints let understand the cruelty of the society surrounding this naive heiress: lies, courteous ones or not, vulgarity, hypocrisy, favors and applause bought by money; even St.Clair, who, after all, loves her seriously, however, has a relationship with another woman, out of weakness. She looks like believing to live still in the cocoon where, no doubt, she has been brought up, in her house in Philadelphia, a rich and puritanical house. Melancholy often comes up, recalling that Florence is not so naive though. Had she the right to sing being out of tune? Well yes, because she did it with her heart. Those who harshly criticized her were to be pitied themselves instead: because they did not understand what humanity and mercy mean.

martedì 10 gennaio 2017

A casa da...Sherlock Holmes


A casa da Sherlock Holmes

221B di Baker Street: un indirizzo mitico, inventato espressamente da Arthur Conan Doyle per stabilirvi la residenza del detective più famoso del mondo, Sherlock Holmes. Ed eccomi qui, da brava apprendista detective io stessa, che sono andata a fare visita al "maestro" di tutti gl'investigatori. Ecco qui il mio reportage.

                         

Ecco la coda davanti al Museo e il figurante vestito da bobby. In realtà, il 221B di Baker street, all'epoca del primo romanzo di Conan Doyle, nel 1887 (Lo studio in rosso), non esisteva: Baker street, che porta verso Nord dal centro di Londra, nella zona di Marylebone, finiva prima, all'85. 
Negli anni '30, però, i numeri civici vennero cambiati e il 221B cominciò a esistere realmente: fu assegnato alla Abbey Road Building Society, come dice il nome, una ditta di costruzioni. Ben presto, però, gli uffici, posizionati davvero in una casa fin de siècle, cominciarono a ricevere tonnellate di letterine per l'investigatore più famoso al mondo: alla fine, la ditta dovette destinare una segretaria apposta a Sherlock Holmes! Inutile dire che si fecero comunque anche tanta pubblicità. 


                                        Stampa con la ricostruzione della casa vera di SH

C'è però un'irregolarità nei numeri. Quando voi, ignari turisti, arrivate a Baker street, cercate il 221B e non trovate il museo. Io allora ho chiesto alla libreria araba vicina (Alef, dove ho pure comprato un bel libro). Ebbene, il numero autentico del museo è il 239, per cui, quando ve lo indicano, dovete risalire un po' più in su. In effetti, la ditta non ha mai voluto rinunciare al suo 221!

                                      

Questo è il letto di Sherlock Holmes. Il museo è una tipica casa inglese della fine dell'Ottocento, con scale strette coperte di moquette, vari piani e due piccole stanzette per piano. Al primo trovate la stanza da letto e la celebre scrivania dove il detective studia e prende appunti: sopra c'è ancora steso il Times, un numero dell'epoca. Libri antichi, fotografie, stampe, oggetti del passato...Tutto è stato ricostruito nei minimi particolari, come se fosse vero! Come dice Mattia di 4O, sembra proprio che Sherlock stia per uscire dall'angolo e travestirsi in vecchio marinaio, per andare a inseguire qualche malvivente. 
A proposito: i romanzi di Sherlock Holmes non sono solo gialli appassionanti, ma sono, secondo me, tra i pochi gialli che abbiano dato un vero contributo agli studi criminalistici. Per esempio, Sherlock Holmes ritiene che un investigatore debba possedere una vasta conoscenza della cronaca nera ed ha perfettamente ragione: infatti, solo conoscendo molti casi, si riesce ad ottenere quell'esperienza che, altrimenti, pochi investigatori sono in grado di farsi (a meno che non lavoriate a Scotland Yard, in una grande città come Londra, o non siate Don Matteo, intorno al quale fioriscono le stragi persino a Gubbio). La conoscenza della storia del crimine è quello che manca spesso ai poliziotti e carabinieri di paese, dove avvengono gli omicidi più sconvolgenti della nostra cronaca nera: pensate a Garlasco, Cogne, Ascoli...Spesso questi casi restano nella storia e si trascinano negli anni perché le prime indagini sono state manchevoli e si è imboccata la strada sbagliata, quella più banale. Non c'era Sherlock Holmes nei paraggi. 


Il nostro Sherlock Holmes, di cui è celebre il metodo deduttivo, è stato invece modellato da un medico. Conan Doyle lo ha ritratto sulla base di uno dei suoi professori di Medicina, il dott.Joseph Bell, che aveva esercitato uno straordinario senso dell'osservazione e della deduzione (difatti, a mio avviso, la Medicina è la scienza per eccellenza). In effetti, il metodo scientifico-deduttivo impiegato da Holmes nei suoi libri è quello delle moderne investigazioni: di qui la passione di Holmes per la Chimica (pensate alle analisi forensi, specie a quelle del DNA), le sue conoscenze e osservazioni sui terreni, la sua ricerca continua delle tracce (ogni contatto lascia una traccia, è l'adagio degl'investigatori), la sua presenza in laboratorio (dove lo incontra Watson) o la sua pratica dell'Anatomia, della Botanica (veleni) e di altre scienze vicine. Tra l'altro, Bell aiutò la polizia facendo una specie di profilo (come un moderno profiler) del celebre Jack lo Squartatore (Jack the Ripper). A proposito: ecco qui l'avviso lasciato da Scotland Yard nel 1888, quando infuriavano gli omicidi del serial-killer più famoso al mondo.


Sherlock Holmes e Jack lo Squartatore sono coevi, ma non si sono mai incontrati (salvo in qualche romanzo o nel celebre e divertente video-gioco omonimo). Che cos'hanno in comune? L'ambiente: la Londra di fine Ottocento era una metropoli dove infuriava la criminalità, a causa delle pessime condizioni di vita di masse di gente (specie nell'East End). Non è un caso se qui è nata la polizia moderna (i bobbies, così chiamati dal ministro degl'Interni Robert Peel, che li fondò nel 1821) e la criminalistica. A proposito, un'altra perla della deduzione forense è, a mio avviso, anche la celebre frase: "Una volta eliminato l'impossibile, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità". E' proprio vero e funziona sempre. 
Quella sopra è invece la tavola della colazione, elegantemente apparecchiata dalla signora Hudson. C'è il portauovo, la teiera per il tè, ci sono i cristalli, le porcellane, i candelabri in argento, i fiori....Veniva voglia di mettersi a tavola! Dato che ero ospite, ma ho un occhio per le questioni casalinghe, ho insistentemente chiesto dov'era la signora Hudson. Le ragazze del museo mi hanno risposto che era uscita...per fare la spesa. 


Questa casa, che, come abbiamo visto, esisteva anche prima, nell'Ottocento era una pensione di stile georgiano. Quindi, proprio come la casa della signora Hudson. Ecco qui il salotto: potete vedere la pipa, il tipico cappello di Sherlock, ma anche la bombetta di Watson, il tavolino davanti al caminetto, l'orologio sopra il caminetto, e poi le due poltrone dove l'investigatore fa accomodare i suoi ospiti. Potete immaginare qui il povero Lestrade, oppure anche i visitatori di casa Baskerville. Come vedete, sono riuscita a farmi invitare dal celebre detective...Lo sto aspettando, perché dobbiamo discutere di alcuni casi di massimo livello...Per esempio, scoprire Mr.X!