mercoledì 27 febbraio 2019

Quando un dio ama una donna - Canto di Apollion di Salvatore Quasimodo



Quando un dio ama una donna - Canto di Apollion di Salvatore Quasimodo

Una brezza di canto antico pervade questa struggente poesia, la seconda compresa nella terza raccolta di Salvatore Quasimodo, Erato e Apollion, pubblicata nel 1936. A parte l'eterna nostalgia della sua Sicilia, intrisa di cultura greca, l'interesse per la letteratura classica si stava rinnovando nel poeta proprio in quegli anni, in cui aveva iniziato a tradurre i Lirici greci, poi pubblicati nel 1940. Affascinato dai frammenti dei lirici del VII - VI sec. a.C. (Saffo, Alceo, Anacreonte e così via) sopravvissuti in brevi lacerti dal passato, Quasimodo ne modernizzò i versi, trasformandoli in poesie attuali, dotate, però, al tempo stesso, di un respiro lirico senza tempo. Motivi mitici e classici rifluirono così anche nella coeva poesia dell'autore di Modica, segnata dall'ermetismo, quindi da un'atmosfera di arduo mistero.
La lirica Canto di Apollion, che qui propongo, reinventa il motivo mitico dell'amore tra un dio e una fanciulla mortale, per trarne un'eterna riflessione sulla condizione umana.


Canto di Apollion


Terrena notte, al tuo esiguo fuoco
Mi piacqui talvolta,
e scesi fra i mortali.

E vidi l’uomo
Chino sul grembo dell’amata
Ascoltarsi nascere,
e mutarsi consegnato alla terra,
le mani congiunte,
gli occhi arsi e la mente.

Amavo. Fredde erano le mani
Della creatura notturna:
altri terrori accoglieva nel vasto letto
ove nell’alba udii destarmi
da battito di colombe.

Poi il cielo portò foglie
Sul suo corpo immoto:
salirono cupe le acque nei mari.

Mio amore, io qui mi dolgo
Senza morte, solo.


L'io lirico è il dio, chiamato, come lascia intendere il titolo, "Apollion", ma lasciato volutamente nel vago, come la sua amata: egli è sceso dal cielo per raggiungerla la notte. Anche se alcuni critici individuano in questo nome quello di un improbabile dio medievale (?), che proteggeva la fecondità della campagna, in realtà Apollion è un nome che unisce da un lato il dio della poesia e del sole Apollo, dall’altro quello biblico Apollion, cioè “il distruttore” (dal verbo greco apollumi, "distruggo"), che compare in Apocalisse 9,11 come l’angelo dell’abisso: Quasimodo, difatti, amava fondere reminiscenze classiche ad altre bibliche. Il nome risulta così ambivalente, evocatore di luce e distruzione al tempo stesso: il dio scende dal cielo a portare luce accecante, ma sale anche dal profondo a portare distruzione. Da sempre, nelle culture antiche, l'incontro tra il divino e l'umano può annientare quest'ultimo: così Mosè deve nascondersi davanti a Dio per non essere annientato; di Lui può vedere solo le spalle, non il volto (cfr. Esodo 33,21-23). Bisogna tenerlo presente per capire il seguito. 


Eppure proprio questo dio scende la notte dalla sua amata (un po’ come faceva Amore con Psiche), tanto che alla notte si rivolge nell’esordio della lirica: durante la notte scendeva al tuo esiguo fuoco….tra i mortali. Il richiamo al dio del sole appare qui anche più pregnante: egli, solare, accetta per amore di scendere verso il buio e il nascondimento. Si immagina un accostarsi furtivo del dio alla dimora dell’amata, al suo focolare dove il fuoco sta ormai per spegnersi. Mi piacqui talvolta, / e scesi tra i mortali. L'uso riflessivo, del tutto irregolare, del verbo "piacere" - la poesia italiana sforzava spesso i verbi fin dall'esperienza espressionista dei poeti della Voce - lascia intendere la condiscendenza del dio che si compiace di trovare diletto tra i mortali. Sopravvive qui una sfumatura dell'arcaica nonchalance con cui Giove accumulava trofei amatori nella mitologia classica. Ma questo dio viene profondamente e inesorabilmente coinvolto dalla realtà umana dell'amore, tanto da perdere definitivamente la sua beata superficialità.


Difatti, nella seconda strofa, in modo misterioso, il dio assume la natura mortale, tanto che si vede quasi dall’esterno come uomo: e vidi l'uomo / chino sul grembo dell'amata. Lui, divino, unendosi per amore con una donna, ha sostanzialmente assunto la natura umana: è possibile qui un riflesso cristiano? Lascio la domanda in sospeso. Comunque lui in grembo all’amata, si vede ascoltarsi nascere, efficacissima sinestesia che esprime la rigenerazione dell’uomo attraverso l’amore. Viene evocato qui l'udito perché esso implica una percezione più profonda, che tocca la sfera esistenziale. Attraverso l'amore, il dio rinasce uomo. Egli si vede inoltre mutarsi consegnato alla terra: si affida così alla fragilità rappresentata dalla terra, dalla "polvere" di cui siamo fatti. Del resto, l'amore rende fragili, vulnerabili, nudi, poveri. E' una sublime vulnerabilità, perché ci consegna al cuore dell'altro. Seguono alcuni accusativi alla greca che evocano la situazione del dio innamorato: le mani congiunte (in preghiera), gli occhi arsi e la mente, altra potente metafora che esprime l’accecamento della mente e dell’animo davanti alla troppa luce dell’amore (e si ricordi ancora che il protagonista è quasi omonimo del dio del sole). E poi il dio si perde nell'amore, come bene esprime il verbo isolato all'inizio della strofa successiva, amavo, un  imperfetto di valore durativo. 


Eppure, proprio l’assoluto di questo amore, se da un lato lascia penetrare il dio nella dimensione umana, dall’altro, quale ieros gamos, matrimonio sacro cui la natura umana non può resistere, provoca la morte di lei; tanto che nella notte egli ne sente le mani fredde; non ben definiti terrori notturni invadono il letto del loro amore (accolti da lei, che si suppone soggetto del verbo accoglieva) e lui si desta all’alba al battito d’ala delle colombe. Le colombe, da sempre simbolo d’amore (uccelli di Venere e ricordati nel Cantico dei cantici, oppure nel Velo delle Grazie di Foscolo come simbolo del matrimonio), evocano per analogia l’anima dell’amata che vola via, lei che ha dato la vita per il dio che amava. Come una colomba l'anima di lei si libera della terra e vola verso il cielo. 


Il corpo rimane invece, freddo, immoto, a terra, coperto dalle foglie secche, simbolo di autunno e di morte. Il salire delle acque…cupe nei mari, evoca invece il caos originario, cui, con la morte, tutto ritorna: la mente torna al diluvio; ma Apollion non era anche l'angelo dell'abisso? La morte, si noti, non viene descritta: il dio se la ritrova davanti all'improvviso, inattesa, nel corpo immoto dell'amata, altro potente segno della condizione umana con cui il dio è entrato in contatto; la morte è solo evocata suggestivamente da immagini densamente simboliche. Negli ultimi versi, il dio si rivolge infine alla sua amata: con sconvolgente modernità, questa volta il dio, dopo la morte di lei, rimane solo a piangerla, incurante della propria beatitudine e immortalità, ormai inutile. L’amore è stato per lui tramite di conoscenza e amore, ma ha annientato lei e lo ha lasciato solo. 


Splendido canto d'amore, questa lirica ricorda certi quadri di De Chirico, come quelli in cui anonimi manichini riuscivano comunque a convogliare la struggente tenerezza di Ettore e Andromaca e del loro ultimo saluto; oppure, soprattutto, pare di leggere nella poesia versi che traducono l'atmosfera onirica del Canto d'amore del 1914, in cui a un muro di mattoni, in mezzo a un'anonima piazza italiana immersa nella luce del sole che cala, sono affissi un guanto e un calco in gesso della testa dell'Apollo del Belvedere. Qui il vestigio classico sopravvive in un mondo ormai surreale, lontanissimo da quello antico e in cui si percepisce lo sbuffo di una ciminiera sullo sfondo. Tutto è immobile ed evoca solitudine, angoscia esistenziale, proprio come la poesia. Né più né meno del dio della lirica, la testa di Apollo è sbalzata in una realtà altra, umana, contesta di morte e solitudine. Le parole fuori del tempo di Quasimodo, che cercano la purezza assoluta della parola poetica, appaiono del resto molto vicine alle atmosfere sospese e geometricamente irreali della pittura metafisica di De Chirico, anch'egli, d'altronde, amante della cultura classica. 


Tuttavia, il significato più profondo di questa poesia è la fragilità, la vulnerabilità connessa alla condizione umana e all'amore. Gli dei dell'antico Olimpo non amavano: erano capricciosi, incoerenti, crudeli, perché nella loro immortalità egoista non conoscevano il soffrire. Invece, il dio di questa lirica, non appena tocca, lui forse già indifferente, l'amore entro la sfera umana, scopre la passione, la sua luce accecante, eppure anche e soprattutto la sofferenza, la perdita, il dolore. Non si può amare senza soffrire: e non certo per masochismo, ma semplicemente perché l'amore induce ad affrontare i lati difficili dell'esistenza per l'altro e rende vulnerabili, dona "un cuore di carne". Così nel film Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, alcuni angeli decidono di perdere l'immortalità e diventare umani, ma scoprono subito i colori, l'amore e il dolore. Un Dio vero che abbraccia l'amore per gli esseri umani non può che finire sulla croce; altrimenti, rimarrebbe solo, come Apollion, a rimpiangere la sua immortalità.


mercoledì 20 febbraio 2019

Polenta col ragù



Polenta al ragù

Questa è la mia versione, davvero molto gustosa...

Ingredienti
Ragù
200 gr. di carne macinata (mista di maiale e manzo)
100 gr. di funghi
150 gr. di passata di pomodoro
2 3- fette di prosciutto (facoltativo)
1 pomodoro
1-2 cipolline
1-2 spicchio d'aglio
1 piccola carota
olio qb
sale qb


Per la polenta
300-440 gr. di acqua da bollire per ogni 100 gr. di farina da polenta.
Sale qb

Preparare il ragù. Lasciate soffriggere l'aglio e la cipollina, puliti e tagliati minutamente, nell'olio per 30 secondi, quindi aggiungere la carne e mescolate, lasciando cuocere una decina di minuti; poi, pulite e tagliate a pezzetti i pomodori, pulite e grattugiate la carota, infine aggiungete le verdure, i funghi lavati e ridotti a pezzetti e il la passata di pomodoro alla carne, salate e lasciate cuocere a fuoco basso per 50-60 minuti. Chi vuole, può aggiungere anche il prosciutto tagliato grossolanamente.
Intanto, preparate la polenta. Quella che uso io richiede 2 litri di acqua bollente per 500 gr. di farina, quindi a me bastano 300-400 gr. d'acqua per 100 di farina (anche un po' meno).
Preparare la polenta è un'arte e, per evitare che faccia i grumi, ho adottato questi stratagemmi:


  • Aggiungere un cucchiaio d'olio all'acqua bollente.
  • Versare la farina per la polenta e mescolare energicamente dopo aver tolto la pentola con l'acqua bollente dal fuoco. 
  • Rimettere sul fuoco solo dopo qualche minuto, quando si è formata una polenta liscia. 
La mia farina impiega 3 minuti. Quando la polenta è pronta, stendetela sul tipico tagliere, oppure su di un piatto e quindi copritela con il ragù: il risultato è davvero saporito!



Polenta with meat sauce

This is my version, really very tasty ...

Ingredients
Ragout
200 gr. minced meat (mixed pork and beef)
100 gr. of mushrooms
150 gr. of tomato sauce
2 3- slices of ham (optional)
1 tomato
1-2 spring onions
1-2 cloves of garlic
1 small carrot
oil to taste
Salt to taste

For polenta

300-440 gr. of water to boil for every 100 gr. of polenta flour.
Salt to taste

Prepare the ragout. Let the garlic and chives fry in oil for 30 seconds, after that they have been cleaned and cut minutely; then add the meat and stir, letting cook for ten minutes; clean and cut into small pieces the tomatoe, clean and grate the carrot, then add the vegetables, the mushrooms washed and cut into small pieces and the tomato sauce to the meat, salt it and cook over low heat for 50-60 minutes. If you want, you can also add the coarsely chopped ham.

Meanwhile, prepare the polenta. The flour I use requires 2 liters of boiling water for 500 gr. of flour, so I need 300-400 gr. of water per 100 gr. of flour (even a little less).
Preparing polenta is an art and, to avoid lumps, I do like this:


  • Add a tablespoon of oil to the boiling water.
  • Pour the flour for the polenta into the water and mix it vigorously after removing the pot of boiling water from the heat.
  • Put it again on the heat only after a few minutes, when a smooth polenta has been formed.

My flour takes 3 minutes. When the polenta is ready, pour it on the typical cutting board, or on a plate and then cover it with the sauce: the result is really tasty! (ADF)


giovedì 14 febbraio 2019

L'epopea della 5O


L'epopea della 5O

Stamane, giorno di S.Valentino, incrocio la collega Cecilia in sala docenti e ci ritroviamo a parlare della 5O che ha passato la  maturità l'anno scorso. "Sai, mi mancano", mi dice. "Vero, mancano tremendamente anche a me", rincaro io. Io però li ho avuti come classe per 5 anni, fin dalla prima: e quest'anno, a settembre, non mi capacitavo che non fossero più in aula ad aspettarmi. Se aggiungo il fatto che ha passato la maturità a giugno anche la 5M, che ho seguito per 3 anni, il rientro in autunno è stato quasi...traumatico. 5 anni sono davvero tanti e si sono accumulati ricordi di ogni genere: tanti da scrivere una vera e propria "epopea della 5O". Achille aveva Omero, Enea Virgilio, la 5O...ha me! Come da promessa, eccomi qui a snocciolare gli aneddoti, spesso divertenti, di 5 anni passati assieme.


Gl'inizi si perdono nelle nebbie. Dapprincipio, in prima, la classe 5O era piuttosto numerosa - mi pare che fossero 28 -, emergevano qua e là varie lacune e alcuni giovanotti facevano abbastanza disperare. A maggio ho ripescato nel mio cassetto un pacco di compiti di allora che, incredibilmente, non avevo consegnato. Li ho riportati in classe e ho letto alcuni brani - ovviamente, da quelli che andavano dal 5 in giù; e non mancavano dei 4 e dei 3. Fortunatamente, la situazione è incredibilmente migliorata nel frattempo: ci tengo a precisare che, alla maturità, ho potuto assegnare loro vari 15/15 e voti comunque dal 13 in su. Hanno lavorato parecchio, senza dubbio. Tuttavia, gli errori di allora erano spesso comici, tanto che abbiamo riso per mezz'ora. Il compito in questione riguardava un'unità didattica che prendeva lo spunto dal diluvio e dai mostri acquatici della Bibbia: di lì, ci eravamo collegati alla balena di Pinocchio, a Moby Dick ecc. Alcuni passi erano esilaranti: per esempio, in un tema molto scombussolato, la moglie di Noè era stata avvistata sull'Ararat (?) e credo che avesse avuto a che fare con una balena (...). In ordine sparso, come rottami in un naufragio, nello stesso compito comparivano anche Pinocchio e Moby Dick. Grazie al cielo, l'intestatario del compito è oggi felicemente all'Università.


Nella scorsa primavera parlavamo spesso coi ragazzi del passato e loro non avevano dimenticato quasi nulla. Per esempio, si ricordavano di quando - e io faticavo a ritornare all'episodio - io misi una nota a un giovanotto sorpreso a sputare fuori della finestra - a dire il vero era allora un mezzo soldino di cacio. Fu ovviamente un mezzo scandalo: la mamma del mezzo soldino di cacio arrivò a ruota con occhi che mandavano lampi (contro il figlio, ovviamente). Ma l'episodio in assoluto più "scandaloso" e, bisogna ammetterlo, comico, avvenne poco tempo dopo. All'epoca, io insegnavo Italiano, mentre la collega Valentina, ora all'Ariosto, Storia e Geografia. Una mattina, la incrocio in sala insegnanti - me lo ricordo ancora: eravamo in piedi davanti ai cassetti - allibita: in sostanza, mi chiama a testimone e mi mette sotto al naso un fogliaccio malridotto che aveva appena sequestrato, appunto, in 1O. Cos'era successo? Mentre spiegava, si era accorta di alcuni movimenti strani tra due o tre giovanotti delle prime file: stranamente, i due colti sul fatto avevano entrambi le iniziali FF (il che non ha niente a che fare con le Ferrovie dello Stato: ma che volete, si dice il peccato, ma non il peccatore). Aveva quindi sequestrato il fogliaccio di cui sopra, che ora esibiva con aria allarmata davanti a me, chiedendomi di leggerlo: infatti, il contenuto era talmente raccapricciante che lei aveva comminato immediatamente una nota disciplinare ai due.


Io non capisco perché queste incombenze vengano richieste all'insegnante d'Italiano e non, per esempio, al collega di Matematica (?). Comunque: mi rassegnai al mio ruolo di perito e a leggere; ed era un'autentica porcheria. Cioè: si trattava di un racconto a luci rosse, sul cui contenuto glisso per motivi di censura, ma che era un'indecenza non solo per il soggetto - trattato del resto con l'assurdità tipica di due quattordicenni -, ma anche e soprattutto per la grammatica e la sintassi. Un'oscenità, in tutti i sensi. Sospettavamo che nel fattaccio fosse implicato anche un terzo, P., ma non avevamo le prove - vi siete resi conto che anche a scuola si deve procedere con la cautela di un tribunale? -. Bene, solo 5 anni dopo, il soggetto in questione, ormai ben lontano da tutta la vicenda, mi confessò che era stato veramente complice del fattaccio e che se l'era cavata per il rotto della cuffia - quasi nascondendosi sotto il banco - , mentre gli altri due erano stati colti in flagrante perché Valentina li aveva sorpresi mentre si passavano il corpo del reato. Inutile dire che la nota disciplinare seguì tutto il suo iter: e i due colpevoli, con tutta la tremarella di due liceali alle prime armi, atterrarono prontamente nell'ufficio del preside. Avrei pagato per assistere alla scena e vederli, seduti tremanti in punta di sedia davanti alla scrivania del nostro dirigente.


Il nostro preside, che ha uno straordinario senso dell'umorismo, avendo sequestrato il documento compromettente, glielo mise sotto il naso e poi pronunciò la fatidica minaccia: "Adesso lo metto nel mio cassetto; e se non rigate dritto, alla prima lo ritiro fuori. E lo tengo qui, nel cassetto, perché penda su di voi come la fatidica spada di Damocle, fino al giorno della maturità". Così fu: i due schizzarono fuori dall'ufficio del preside come schegge, proponendosi - almeno al momento - un futuro di  penitenza e ascesi; e il corpo del reato fu inghiottito dal fantomatico cassetto che risucchia tutti gli altarini e gli scandali interni del Roiti - un cassetto tanto mitico quanto pericoloso come il passaggio a Nord Ovest, ma di cui tutti ignorano l'esatta collocazione. In effetti, anni dopo, mi pare di avere chiesto sorridendo al preside dove fosse finito il racconto a luci rosse dei due FF, ma lui non mi ha dato una risposta precisa (...). Ma questi sono solo gl'inizi: quando penso che, adesso, i "miei" della 5O sono tutti all'Università, sparpagliati tra Ingegneria, Matematica, Farmacia, Diritto ed Economia, quasi mi commuovo. Certe mattine, lo ripeto, mi guardo attorno nel corridoio e mi stupisco che non ci siano. (continua).


mercoledì 13 febbraio 2019

Pudding inglese con mele - English pudding with apples

Pudding inglese con mele



Ho già pubblicato in passato la mia versione del pudding inglese con pane e burro; questa è una mia variante con le mele, una vera leccornia degna della pasticceria posh...

Ingredienti
Alcune fette di pancarré
Burro qb
100 gr. di zucchero
2 uova
Uvetta sultanina 50 gr. 
Cannella in polvere
noce moscata (facoltativa)
un poco di vaniglia
350 ml di latte
50 ml di panna
2 mele,
un bicchierino di liquore Amaretto



Il pudding deve essere preparato come nella ricetta da me già proposta: le fette di pane tagliate a metà in diagonale e imburrate su un lato devono essere disposte in una pirofila ugualmente imburrata: tra uno strato e l'altro, oltre all'uva sultanina e alla polvere di cannella, bisogna versare anche un po' di ripieno di mele. Il ripieno di mele va preparato con le mele  ripulite e tagliate a fettine, quindi mescolate con due cucchiai di zucchero e l'Amaretto. Finiti gli strati, versateci sopra la crema: la preparate mescolando le uova, lo zucchero, quindi il latte intiepidito e la panna, aromatizzati con la vaniglia. Mettete la crema su fuoco moderato e mescolate finché si addensa. Allora, toglietela dal fuoco e versatela sugli strati di pane; infine, infornate per 45-50 minuti a 180 gradi (se il dolce diventa scuro, potete abbassare il calore a 150 gradi). Il risultato è delizioso e le mele vanno benissimo con il pane imburrato e l'uvetta!



English pudding with apples

I have already published some time ago my personal version of the English pudding with bread and butter; this is my new version with apples, a real delicacy, worthy of posh bakery...

Ingredients
Some slices of bread
Butter to taste
100 gr. of sugar
2 eggs
Raisins 50 gr.
Cinnamon powder
2 apples
a little glass of Amaretto liqueur
a little vanilla
350 ml of milk
50 ml of cream



The pudding must be prepared as in the recipe I have already proposed: the slices of bread diagonally cut in halves and buttered on one side must be placed in a pan, which has been buttered altogether: between one layer an another, in addition to the raisins and the cinnamon powder, pour also a little apple filling. The apple filling should be prepared with the apples cleaned and cut into slices, then mixed with two tablespoons of sugar and the Amaretto liqueur. Once the layers are finished, pour the cream over it: prepare it by mixing the eggs, the sugar, then the warmed milk and the cream, flavored with vanilla. Put the cream on moderate heat and stir it until it thickens. Then, remove it from the heat and pour it over the layers of bread; finally, bake the cake for 45-50 minutes at 180 degrees (if the cake becomes dark, you can lower the heat to 150 degrees). The result is delicious and the apples are very well with the buttered bread and the raisins...

mercoledì 6 febbraio 2019

Senso (di Camillo Boito)


Senso

Dallo scartafaccio della contessa Livia...


Così, col consueto escamotage del documento originale, inizia la più affascinante novella che sia stata scritta da un appartenente della Scapigliatura, il movimento letterario ed artistico che fiorì nell'Italia appena unita, tra Milano e Torino, sul modello della bohème parigina (di cui "Scapigliatura" è un tentativo di traduzione). Il racconto fa parte della raccolta Senso. Nuove storielle vane, pubblicata da Camillo Boito nel 1883: Boito, fratello del più famoso Arrigo (l'autore del libretto dei verdiani Otello e Falstaff, per intenderci), era scrittore e architetto, tanto che curò un controverso restauro dell'altare di Donatello al Santo di Padova e progettò la casa di riposo degli artisti voluta da G.Verdi. Senso è un po' il suo capolavoro letterario, forse passato in sordina all'epoca, ma divenuto celebre grazie alla sontuosa trasposizione cinematografica di Luchino Visconti del 1954: Senso, con Alida Valli nel ruolo della protagonista e Fairly Granger in quello dell'odioso ufficiale austriaco di cui lei si innamora (Granger ha lavorato in quegli anni con Hitchcock). Il film, però, è piuttosto diverso dall'originale: infatti, se avessero mantenuto una protagonista cinica come quella della novella, o Alida Valli si sarebbe rifiutata di recitare, o l'avrebbero lapidata per strada.


Infatti, come di norma nella migliore tradizione scapigliata, il soggetto è scandaloso e "maledetto": gli Scapigliati avevano un debole per temi grotteschi, orrendi, surreali, peccaminosi e simili, un po' come nel Romanticismo tedesco - ricordo al mio pubblico che il Romanticismo vero è quello tedesco e inglese, cupo, condito di creature mostruose come Frankenstein, di fantasmi come in Coleridge, di fanciulle morte anzi-tempo, come la fidanzata di Novalis, e di poeti folli quali Hoelderlin; il nostro, con Manzoni buon padre di famiglia e Leopardi scettico razionalista che si limita a sognare l'infinito da dietro una siepe, è una versione addomesticata. Dicevamo, il soggetto è "maledetto": e sembra quasi che il buon Camillo Boito si sia piccato di rendere la coppia protagonista il più spregevole possibile. Una coppia esteticamente splendida (alto, biondo e roseo lui, snella e dai lunghi capelli scuri lei), ma in cui si gareggia in egoismo.


Lei, la contessa trentina Livia, bellissima e cinica, si è sposata volontariamente per interesse con un conte vecchio e incapace, che lei tradisce a gogò; in quest'epoca, iniziata con le sofferenze di Jacopo Ortis che non poteva sposare la sua Teresa e in cui, a ogni spron battuto, romanze e novelle tiravano fuori le ingiustizie dei matrimoni combinati e infuriava il mito di Paolo e Francesca, Livia fa di tutto per sposarsi per soldi e poi divertirsi alle spalle del marito (addirittura, sono i suoi che non vogliono che si sposi con lui!).

I miei erano contrarii ad un matrimonio così male assortito; né, bisogna dire la verità, il pover'uomo ardiva di chiedere la mia mano. Ma io mi sentivo stufa della mia qualità di zitella: volevo avere carrozze mie, brillanti, abiti di velluto, un titolo, e sopra tutto, la mia libertà. Ce ne vollero delle occhiate per accendere il cuore nel gran ventre del conte; ma, una volta acceso, non provò pace finché non m'ebbe, né badò alla piccola dote, né pensò all'avvenire. Io, innanzi al prete, risposi un Sì fermo e sonoro.


Le prime pagine la mostrano fredda e insensibile alle lusinghe dell'amore: quasi  un'innaturale preminenza di raziocinio e di forza. Questa non è una donna: è una virago. Provoca la morte di un giovane ufficiale innamorato pazzo di lei, senza rimpianti. E' tutta presa dalla sua vanità, dal "trionfo" della sua bellezza, con cui attira tutti gli sguardi. E, dato che "Dio li fa e poi li accoppia", si innamora infine di un bellissimo tenente austriaco, Remigio Ruz, che fa il paio con lei:

Forte, bello, perverso, vile, mi piacque.

Tanto statuario e simile a un Adone o a Ercole, quanto vile e spregevole: a tal punto che un giorno, lui nuotatore provetto, si rifiuta di salvare un bambino caduto in una canale. Difatti, la storia d'amore è ambientata sullo sfondo magico di Venezia, evocata con una raffinata sensualità e alchimia cromatica, in pagine suggestive e intensamente pittoriche, molto vicine a quelle del successivo Fuoco di D'Annunzio. Del resto, Boito aveva studiato all'Accademia di Venezia e aveva un debole per questa città e la sua pittura, qui rievocata con maestria. C'è un sardonico compiacimento nell'atteggiamento di lei, sprezzante nei confronti delle convenzioni morali e sociali: quasi un movimento da donna molto intelligente, capace di una prospettiva distaccata e superiore a quella degli altri, ma che se ne serve per scopi infami. Inutile poi che si lamenti del finale.


E' l'epoca della Terza Guerra d'Indipendenza e in Veneto, ancora sotto egida austriaca, si combatte contro gl'Italiani che intendono recuperare questi territori grazie all'alleanza coi Prussiani. Ma a Livia questo non interessa: le interessa solo che il suo Remigio non venga minimamente scalfito dal conflitto in corso, affinché resti il suo oggetto di piacere personale. In modo molto diverso, Alida Valli, nel film, viene coinvolta dalle trame dei patrioti attraverso un eroico cugino, interpretato da un indimenticabile Massimo Girotti (lui sì che è molto più bello di Fairly Granger; ma era stato un nuotatore, prima di essere attore). Nella novella, quando Remigio le chiede del denaro per corrompere i medici che potranno firmargli un falso certificato di congedo, Livia non esita un attimo. Ma lui è a Verona, presso il comando, e lei a Trento: e, preoccupatissima, ma pure incapace di controllarlo, decide di avventurarsi in carrozza fino a Verona. E qui, in un crescendo di disagio, scopre la verità: ode le allusioni di alcuni commilitoni di lui in un'osteria, comincia a nutrire dei sospetti, quindi, arriva in punti di piedi al suo appartamento e sbircia dalla porta socchiusa: così lo sorprende con un'altra. Allora, zitta, zitta, si allontana, quindi si reca dal generale Hauptmann al comando, a Castel San Pietro. Qui, senza aggiungere nulla, gli consegna la lettera di Remigio da cui emerge chiaramente che lui ha disertato.


Nel film, Alida Valli appare quasi ingenua e viene praticamente "tirata a cimento" da Farley Granger (chiamato con nome tedesco Franz, non a caso) e quasi trascinata all'irreparabile; invece, la vicenda del libro è molto più sordida. Il generale (dipinto come un buon padre di famiglia) comprende ed è disgustato:

Signora, ci pensi: la delazione è un'infamia e l'opera sua è un assassinio.

Fredda, insensibile, Livia, che ha rifiutato il bacio delle bambine del generale e si disinteressa della sorte dei medici complici, si limita a ribattere: "Compia il suo dovere". Sembra una dea pagana in attesa di un sacrificio umano. Poche ore dopo, ella assiste alla fucilazione di Remigio e di uno dei medici collusi. Ma ecco la vera conclusione che fa ingrassare di soddisfazione tutti i lettori: un sergente boemo l'aveva riconosciuta perché lei aveva dimenticato il suo borsellino nell'osteria frequentata dai militari e lui l'aveva seguita per restituirglielo; riconoscendola, capisce tutto; e vedendola sul luogo dell'esecuzione, le strappa il velo e sputa in faccia. A lei, chiusa nel suo narcisismo e nella sua meschinità, alla fine del racconto non resta altro che accettare la corte di un avvocatucolo, Gino, già menzionato nell'esordio della novella e oggetto del suo altero disprezzo, ma cui lei fa abbandonare la fidanzata. Ovvero: ormai sua signoria deve imparare ad accontentarsi, ma rimane la stessa spaventosa egoista, arida come una selce e pronta a sacrificare gli altri al proprio narcisismo.


Senso viene composta agli esordi del Decadentismo, quindi al termine della parabola del Romanticismo, così pervaso di sentimenti ed entusiasmi. Del Romanticismo, il Decadentismo estenua l'ardore e il sentimentalismo in forme languide e sensualità; ma vi sopravvivono anche le tendenze "maledette" e oscure del Romanticismo più genuino, quello nordico. Il Romanticismo, a sua volta, aveva esaltato passione e sentimenti al massimo, in reazione all'"arido" razionalismo illuminista. Ma esaltare troppo i sentimenti come contraltare ad altre facoltà umane è pericoloso. Quando i ragazzi mi scrivono nei temi che l'amore è un sentimento, io sottolineo in rosso la frase, come se fosse un errore. E aggiungo: l'amore non è solo sentimento; è qualcosa di più, perché include volontà, intelligenza, ragione. Però le facoltà umane devono essere unite e in armonia tra loro: non distaccate e contrapposte, come se il sentimento potesse funzionare senza la ragione e viceversa. Così si mutila l'essere umano.


L'esito di tanto sentimentalismo - a volte stucchevole - romantico, ce lo indica Senso: dai sentimenti si passa alla sensualità, da questa al piacere nudo e crudo e da quest'ultimo all'egoismo. Una volta che il divertimento è finito o che l'ego è stato soddisfatto o offeso, l'oggetto del piacere può essere buttato via senza rimorsi e senza preoccuparsi neanche delle conseguenze per gli altri. Livia fa così: e temo che, pur senza arrivare all'estremo di mandare alla fucilazione un amante fedifrago, non poche persone - pure non poche donne - oggi si comportino altrattanto. Il significato del racconto di Camillo Boito è molto più profondo di un'idea originale resa in un linguaggio raffinato e sensuale: mostra la spaccatura antropologica cui è arrivato l'essere umano già nell'Ottocento e che si è perpetuata anche in seguito. L'amore cantato nelle canzonette ed esaltato in certi film oggi non è amore: è l'egoismo arido della contessa Livia.

sabato 2 febbraio 2019

Venediger Märchen der Liebe und der Barmherzigkeit (9).



Venediger Märchen der Liebe und der Barmherzigkeit (9)

Es war Winter in Venedig und der Himmel zeigte wundervolle perlmutterne und rosafarbene Nuancen. Diese Farben wurden im Wasser zwischen den Gondeln reflektiert und leuchteten dann auf, wenn die Sonne unterging. Die Prinzessin saß traurig in der Nähe der Seufzerbrücke und dachte nach. Sie könnte ihren schönen Prinzen nicht mehr kontaktieren. Das letzte Mal, als sie bei Beginn des Winters versucht hatte, mit ihm mitzusprechen, hatte er brüsk geantwortet, dass er keinen Kontakt mehr mit ihr wollte. Und sie hatte gehorcht.
Seitdem hatte die Prinzessin lange nachgedacht. Sie erkannte, dass sein Verhalten zu viele Widersprüche aufwies. Einmal begrüßte er sie mit einem schönen Lächeln, einmal beschuldigte er sie, weil er gezwungen wurde, sie nicht zu begrüßen. Bald mochte er ihre Liebenswürdigkeiten, bald lehnte er sie ab. Jetzt versuchte er, sich ihr zu nähern, dann schickte er sie weg; und das durfte auch in wenigen Minuten passieren. Manchmal hatte sie den Eindruck, dass sie mit verschiedenen Personen zu tun hatte. Aber das war immer er, ihr wunderbarer Prinz; und er war eins und derselbe.


Endlich verstand sie. Der Prinz war aussenordentlich intelligent; deswegens, war er auch ungewöhnlich feinfühlig, mehr als die anderen. Er war sehr stark, aber er konnte mehr leiden. Die Prinzessin verstand, dass er aufgrund vergangener Traumata viel gelitten hatte. Denn, nach einem großen Trauma, kann sich selbst eine Person, eine gesunde Person, unterschiedlich wahrnehmen, so dass ihr Bewusstsein fragmentiert erscheint. Sie ist immer ein einzelner Mensch, aber das Leiden darf es wie einen gesprungenen Spiegel zerbrechen, der aber mit einem festen Rahmen verbunden bleibt. Wenn wir etwas Unerträgliches erleiden, können wir tatsächlich eine Trance erleben  und unser Bewusstsein lockern: wie wenn wir müde sind und nicht genau erkennen, was wir tun, und dann vergessen wir es. Deswegens bleibt das Trauma im Inneren vergraben - das ist eine gute Verteidigung, weil es die bewusste Person noch nicht ertragen kann. Das Trauma bleibt versteckt, wie ein geheime Buch in einer Schublade; aber es kann jedoch wieder auftreten, wenn die Person auf etwas Ähnliches stößt. Die Prinzessin verstand, dass sie wahrscheinlich ihren Prinzen an sein Leiden erinnerte. Sie schauderte, weil sie ihn so sehr liebte und ihren Prinzen absolut nicht leiden lassen wollte; aber er fühlte so. Sie tauchte ihre Hand im Wasser ein und die Kreise, die sich bildeten, lösten ihr schönes Spiegelbild auf. Aber dieses Bild erschien sofort noch wieder, schöner als zuvor.


Denn die Prinzessin fing an, diese Form des Leidens zu studieren - sie hatte ein 500 - seitiges Buch gekauft! - und vielleicht (vielleicht) fiel alles zusammen - endlich. Als der Prinz ihr gesagt hatte, sie solle sich nicht mehr mit ihm in Verbindung setzen, wahrscheinlich war seine verletzte Seite plötzlich in ihm aufgetaucht. Entweder der Prinz konnte sie nicht zurückhalten, oder er war davon nur vage bewusst, weil er sich verteidigend und unbewusst von einer sehr schwierigen Situation abwandte; er hatte jedoch keine, keine Schuld daran. Und seine verletzte Seite verhielt sich defensiv - natürlich. Konnte es so sein? Vor ihr, der Prinzessin, erlebte der Prinz immer noch das ursprüngliche Trauma, obwohl sich alles geändert hatte und er frei war. Seine verletzte Seite wollte ihn so verteidigen, und denn sie schickte sie weg: sie spontan fürchtete, dass ihn die Prinzessin immer noch verletzen würde. Das war mehrmals passiert, wenn der Prinz unter Stress war, obwohl ihr er nähern wollte; und es war nur eine veständliche Verteidigungsreaktion. War es so?


Natürlich war es ein Problem: und der Prinz lied entsetzlich. Wenn dies passierte, musste er erschreckt werden, da er entdeckte, dass er etwas nicht sehr bewusst getan hatte, etwas das die anderen tadelten. Aber es darf passieren, obwohl wenn ein Mensch ganz gesund ist; und es gab nur einen Weg, um zu heilen: er brauchte Verständnis, Mitgefühl, Barmherzigkeit. Er brauchte voll akzeptiert zu werden. Wenn es so war, dachte die Prinzessin, musste sie ihn noch mehr lieben und akzeptieren, in seiner Vollständigkeit, ihn und seine verletzte Seite. Sie freute sich, dass sich ihr die verletzte Seite offenbar gemacht hatte, da sie sich natürlich verstecken wollte. Die Prinzessin empfand es als ein Privileg. Sie schätzte, was die verletzte Seite tat, um ihren Prinzen zu verteidigen (aber es war immer nur er!): und sie fing an, diese Seite von ihm "den Verteidiger" zu nennen.


Der Verteidiger war stark! Es war ihm gelungen, sie wegzuschicken! Natürlich brauchte seine Aktion respektvoll korrigiert zu werden - der Verteidiger war, ihrer Meinung nach, etwas übereifrig geworden. Er hatte die Prinzessin weggeschickt, ohne sich zu fragen, was der Rest der Persönlichkeit des Prinzen wollte; und er hatte sie drastisch - aber wolherzogen - behandelt. Der Verteidiger hatte die Prinzessin sogar beschuldigt, den Prinzen zu verfolgen (...). Er war auch etwa zu streng. Da er immer noch im Trauma und im Notfall lebte, benahm er sich wie alle traumatisierten Menschen, die glauben, dass sie sich nur an die Entbehrungen gewöhnen sollen. Er "bestrafte" den Prinzen, wenn er ein Bedürfnis nach Süße und Zärtlichkeit zeigte. So vermutete die Prinzessin, dass der Verteidiger sofort auftauchte, wenn sie mit dem Prinzen zärtlich war - wenn sie ihm zärtliche Karten schickte oder Kekse für ihn kochte. Aber Zärtlichkeit zu brauchen ist normal - vielleicht hatte der Verteidiger Angst, verletzlich zu sein? Es ist aber auch normal, verletzlich zu sein. Vielleicht verhielt sich der Verteidiger ein wenig wie Rosso Malpelo, das Kind von Giovanni Vergas Geschichte, der seinen Freund Ranocchio misshandelte, um ihn an Misshandlungen zu gewöhnen. Man konnte ihn verstehen.


Aber es gab viel, viel Gutes im Verteidiger zu behalten. Wenn der Verteidiger etwa exzessiv war, passierte es, weil er noch in der Zeit vom Trauma lebte. Er versuchte die Stärke, die Energie, die Strenge vom Prinzen auszudrücken: was der Mann zu verbergen pflegte, weil er sehr gut war und oft meinte, mit allen sehr gut zu sein. Der Prinz hatte der Prinzessin einmal gesagt, nichts gegen sie zu haben: und es stimmte wirklich. Das war nur eine Verteidigungsmethode. Der Verteidiger ließ sie an die alten, edlen Ritter des "Heiligen Deutschland", des alten Reiches, denken; die Ritter mit Lanze und Schwert, die die Waisen und Witwen beschützten und nach edlen Idealen lebten. Der Verteidiger hatte daher das uneingeschränkte Recht, gehört zu werden, das Leiden des Prinzen zum Ausdruck zu bringen und ihn zu verteidigen; er hatte das fülle Recht akzeptiert zu werden. Er brauchte auch in Harmonie mit dem Rest der Persönlichkeit des Prinzen zu leben.


Nun, da die Prinzessin glaubte zu verstehen, wollte sie reparieren: und so viel wie möglich reparieren. Tatsächlich hatte sie mit dem Prinzen viele Fehler gemacht, eben weil sie es nicht wissen konnte. Sie hätte gerne ihn um Vergebung gebeten, weil sie sein Verhalten falsch interpretiert hatte; Vergebung, weil sie manchmal wütend geworden war, wenn es der Prinz absolut nicht verdiente; Vergebung, weil sie ihn einem übermässigen Stress ausgesetzt hatte, als sie ihm zu nähern versuchte; sie wollte ihn um Vergebung bitten, weil sie nicht bei ihm im Stillen gewesen war, wie er brauchte. Jetzt, als sie verstehen glaubte, war das Wichtigste ihm die beste Sicherheit zu garantieren - unten werden wir erklären, wie. Sie wollte schon aus der Ferne mit ihm zusammen sein, dieses Leiden mit ihm bekämpfen, einfühlsam und mitfühlend sein, wie er verdiente: mit ihm zu fühlen ...Konnte er aus der Ferne die Stärke ihrer Liebe fühlen? Mit ihm sein...Mitfühlen...


So war seine Heilung möglich. Sie konnte aus Barmherzigkeit kommen. Es ging darum, dem Prinzen zu helfen, Harmonie in sich selbst wieder herzustellen: könnte er lernen, alle seine Seiten wieder anzunehmen? Könnte er wieder lernen, das zu akzeptieren, was er selbst für mangelhaft hielt, aber tatsächlich großen Reichtum verbarg? Ein Mensch ist wie ein Prisma: durch es geht das Licht Gottes hindurch. Es scheint in vielen verschiedenen Farben, aber es ist immer derselbe Lichtstrahl. Vielleicht ist eine Seite des Prismas etwas rissig, aber man kann sie reparieren und die Farben sind wunderbar. Der Prinz war wunderbar, in allen seinen Seiten. Die Barmherzigkeit bringt die Versöhnung, die innere und die aussere Versöhnung, und das ist das Geschenk Christi:

Wir bitten dich von Christi Seite: Lass dich mit Gott versöhnen....In der Tat sagt Gott: in der Stunde meiner Barmherzigkeit habe Ich dir zugehört, am Tag der Erlösung bin Ich gekommen, um dir zu helfen. Siehe, dies ist die Stunde der Barmherzigkeit Gottes, dies ist der Tag der Erlösung (2Kor 6,5-6).


Wenige Regeln, um die Sicherheit und Gelassenheit des Prinzen zu gewährleisten:
Wenn der Prinz die Prinzessin trifft und sie ihn ignoriert, tut sie dies nur, um ihm Stress zu vermeiden. Sie liebt ihn immer, liebt ihn sehr und freut sich, ihn zu sehen. Sie akzeptiert ihn so, wie er ist, steht zu seiner Verfügung und auch zu jeder Seite - auch der am meisten verwundeten. Sie möchte auf ihn hören und mit ihm fühlen. Wenn er will, kann er sie, wie es ihm passend erscheint, heimlich oder offener ansprechen, und sie wird ihn immer mit Süße und Diskretion behandeln; aber aus Respekt und Vorsicht kann sie nicht die Initiative ergreifen. Aber der Prinz kann es machen, wenn er unter seinen verschiedenen Bedürfnissen eine bessere Harmonie in sich erreichen kann - mindestens ein bisschen. Er ist ein verantwortungsbewusster Erwachsener und kann die Situation sorgfältig angehen. Wenn der Verteidiger erscheint, alles in Ordnung, solange der Verteidiger die Prinzessin respektvoll behandelt.


Der Verteidiger tut jedoch gut daran, gewisse Verteidigungsgrenzen festzulegen - beispielsweise gegen die Briefe zu protestieren. Es ist gut zu warnen, was den Prinzen stören kann. Wenn er keine Kontakte will, muss die Prinzessin das respektieren, aber sie hofft, dass er versteht, wie sie den Prinzen liebt: sie will sein Wohl und will mit dem Verteidiger zusammenarbeiten, um ihn zu schützen. Vielleicht wird er seine Entscheidung im Hinblick auf den Rest der Prinzpersönlichkeit verändern können. Allerdings eine Bemerkung: vielleicht geht die Verteidiger nicht so sehr gegen sie vor, als befürchtet er, dass andere Leute sie und den Prinzen zusammen sehen. Darf es richtig sein? In Wirklichkeit gelingt es dem Prinzen, den Verteidiger viel zu halten; aber er kann nur mit dieser Seite seiner selbst in Einklang kommen, indem er sie mit Mitgefühl annimmt, wie es die Prinzessin tut. Am besten wäre es, ein "Team" zu sein und zum Wohle des Prinzen zusammenzuarbeiten.