giovedì 30 novembre 2017

Questioni amorose in 4M


Questioni amorose in 4M

La letteratura dà spazio a molte riflessioni: e quelle sull'amore fanno la parte del leone. Inevitabilmente, nelle mie classi queste riflessioni assumono spesso dei risvolti piuttosto divertenti grazie alla spontaneità impagabile dei miei ragazzi. Dato che l'attuale 4M è una classe "tenerona", che si distingue per l'appunto per spontaneità e simpatia, ecco qua alcune chicche.


Alcune settimane fa, spiegazione sul petrarchismo. Assieme al petrarchismo bisogna ricordare il suo fondatore, Pietro Bembo, il nobile letterato veneziano che propose Petrarca a modello della lirica italiana: e, a questo punto, non si può non ricordare che Bembo fece una trasferta a Ferrara nel 1497-98 (quando conobbe Ariosto) e poi nel 1500-1501...per motivi amorosi. 
Bembo era un giovanotto di belle speranze e di grande cultura: e, come raccontavo ai ragazzi, affascinò una giovane vedova, anche lei di famiglia patrizia veneziana, Maria Savorgnan. All'epoca, molte vedove di alto lignaggio venivano "incaprettate" dal testamento del marito, che imponeva loro di non risposarsi pena la perdita dell'eredità: e poi ci pensavano gli altri parenti a montare la guardia. Successe anche ad Alessandra Benucci, l'amata di Ariosto: difatti, loro si sposarono in segreto. Ebbene, Maria Savorgnan diede inizio, con grande intraprendenza, a un corteggiamento segreto e serrato all'indirizzo di Bembo, inviandogli tanto di sonetti (a quel punto, qualcuno dei ragazzi ha osservato che sarebbe molto bello ricevere delle poesie da una ragazza! Può essere un'idea, in effetti). Bembo rispose coi suoi e, poco per volta, nacque una storia d'amore appassionato. 


                                                        Ritratto di P.Bembo di Tiziano

Però, a dire il vero, Bembo era un po'...freddino. Il fatto è che aveva fifa. Il cognato di Maria, Trifone (un nome, un programma) si aggirava intorno come un condor, meglio, un avvoltoio, e ben presto si accorse che qualcosa non quadrava: però non riuscì mai a scoprire chi era il giovanotto che la cameriera riusciva abilmente a contrabbandare di notte nella camera della sua padrona. Successe quindi che, essendo Pietro un amico di famiglia (per di più, si occupava dell'educazione dei figli di Maria), Trifone si sfogava regolarmente con lui. Immaginatevi la scena; Trifone (con accento veneziano): "Quella disgraziata! Sta rovinando l'onore della famiglia! Ma io VORREI TANTO SAPERE CHI E' LUI!". Appunto: e Pietro Bembo si metteva a fissare inspiegabilmente il soffitto. 
Andò a finire che Trifone spedì la cognata qui da noi, a fare da damigella alla corte di Eleonora d'Aragona: e Pietro dietro. Ma, alla fine, dopo due anni circa, la storia d'amore finì. Perchè? Ecco, Maria si rese conto che Pietro non le corrispondeva con altrettanto ardore. Rimangono comunque i sonetti che si sono scambiati a testimonianza della passione. 


Ebbene, a chiusura del  mio racconto, Ilaria, una bravissima ragazza della mia ex-parrocchia, ha osservato ridendo dal fondo: "Allora prof, Pietro Bembo era uno scolapasta!"
Strabuzzo gli occhi. "Ilaria, cosa hai detto?"
"Che Bembo era uno scolapasta".
"Che vuol dire?"
"Vede, prof, quando un ragazzo...non combina nulla, io e le mie amiche diciamo che è...uno scolapasta".
"Perché?" Io ero  piuttosto incuriosita da quella nuova definizione. 
"Perché uno scolapasta ha i buchi e l'acqua se ne va tutta via".
"Ma resta dentro la pasta" ha osservato uno dei ragazzi (mi pare Francesco A.)
A quel punto, ben conoscendo il problema, ho chiosato io: "Mi sa che, a quel punto, se n'è andata anche la pasta...che è ormai dentro al piatto".
Quindi è ufficiale: Bembo era...uno scolapasta. 


A dire il vero, la questione degli "scolapasta" è piuttosto annosa a Ferrara. In qualsiasi esercizio pubblico o commerciale mi trovi, dalla scuola all'università, dalla piadineria alle parrucchiere, con una decisa preponderanza di queste ultime, saltano fuori sempre gli stessi argomenti:
1) Ferrara è un mortorio;
2) Gli uomini ferraresi non prendono alcuna iniziativa di corteggiamento (e non si capisce come ci si debba comportare con loro).
La mia amica della piadineria lo dice in continuazione e sua mamma aggiunge: "Come fai, sbagli". Ora, se queste sono le considerazioni di qualcuno che lavora comunque in  un negozio, vi immaginate che cosa devo dire io, che sono perennemente circondata da adolescenti e (dolcissime) vecchiette della parrocchia?


Io ho provato anche a trovare una causa "sociologica", culturale, storica di questo scempio, ma tant'è: non si sa. Sempre secondo le "statistiche" sciorinate dalla parrucchiera (sabato sono andata a farmi tagliare i capelli), questo è un problema tipicamente ferrarese: dall'altra parte del Po, i Veneti cercano ancora di fare un corteggiamento dignitoso (almeno ci provano), i Meridionali poi, non se ne parli (alle volte, esagerano nell'altro senso), ma i Ferraresi, proprio, sembrano, come dico io, delle lumache sgonfie: veramente, spirito d'iniziativa, saltami addosso, e in anni che abito qui, mi sono sentita spesso praticamente trasparente. Eppure, una generazione fa le cose dovevano andare diversamente: il "mitico" bibliotecario di Giurisprudenza, Lucio, una volta mi fa sorridendo: "Chissà quanti filarini hai tu!". "Mah, Lucio, veramente...". E l'ho guardato sgranando un po' gli occhi.


"Eh, prof, non ci sono più i principi di una volta!" hanno sentenziato filosoficamente i miei studenti di 4M sabato mattina, quando siamo andati a visitare il centro di Ferrara. E' stata una mattinata splendida: visita alla casa di Ariosto, poi al Duomo e infine al Museo della Cattedrale. Quel giorno, anche se ero un po' stanca per la settimana, non vedevo l'ora di uscire con loro, perché sono davvero buoni e con loro si sta tanto bene. In quel momento, avevamo appena finito la visita al Museo di S.Romano e stavamo indugiando davanti alla Cattedrale. L'osservazione sui "principi di una volta" proveniva da Ilaria, ancora lei, e da Iacopo B. 
"Sa prof che Iacopo ha "importunato" la sorella di *?" (un altro mio allievo più grande, il cui nome è meglio lasciare nella penna). In realtà, Iacopo è un bravissimo ragazzo e non importuna proprio nessuno: ma mi hanno raccontato tutta la storia ed era piuttosto divertente. La ragazzina in questione è del biennio, ma un amico di  Iacopo, di  terza, molto, ma molto timido, nutriva dell'interesse per lei: solo che non si azzardava a fare il primo passo. Così Iacopo ha fatto da "ambasciatore".


"Be'? E da quand'è che fai il "pronubo"?
"Allora, raccontava Iacopo, abbiamo pensato che un "grande di quarta" avrebbe fatto più effetto e l'ho chiamata io".
"E com'è andata?"
"Pensi, lei faceva resistenza!".
"Sai com'è - ho sentenziato io, pensando a quella sagoma di fratello che si ritrova - con i modelli che ha in casa, c'è da capirla".
"Però, sono stato bravo: sono riuscito a farle firmare il contratto!"
"Contratto?"
"Volevo dire: ha preso l'impegno di uscire col nostro gruppo. Ce l'ho fatta!"
La morale è che possiamo sperare nelle giovani generazioni: e il sorriso allegro di Iacopo è impagabile, quando dice, indicando se stesso: "Prof, ci penso io". Bisognerebbe impiegarlo per dei corsi di aggiornamento da impartire ai suoi congeneri più vecchi.


A proposito di questioni amorose in 4M, bisogna però ricordare le origini: ovvero, la versione locale della storia di Paolo e Francesca (un must, divenuto epico). Il protagonista è un simpatico giovanotto di cui non rivelerò qui il nome (tanto tutti lo sanno).
Fine del secondo giro di interrogazioni del primo quadrimestre, poco prima della fine di gennaio. Manca solo il nostro, cui chiedo Inferno 5,127-32, il celebre brano che prelude al fatidico bacio di Paolo e Francesca:

Noi  leggiavamo un giono per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse; 
soli eravamo e sanza alcun sospetto. 

Per  più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse. 


"Dai,  parafrasa il testo", lo invito; e lui esordisce con molto impegno: 
"Francesca parla e racconta: io e Paolo stavamo leggendo un giorno il romanzo su Lancillotto, da soli; e, mentre leggevamo, ci guardavamo in viso, siamo impalliditi e poi - una breve pausa - ....MANNAGGIA!!!"
Esplosione di risate per tutta la classe (mi ricordo ancora il sorrisone di Emilia sull'argomento). Come ha parafrasato in seguito il buon Lucio, cui ho raccontato l'aneddoto: "E poi, è successo  l'irreparabile". In effetti. Mentre rido anch'io di gusto, osservo: 
"Siamo sicuri che Francesca abbia detto così? In fin dei conti, Paolo era detto "il Bello"!"
Chissà cosa direbbe il buon vecchio Dante...In fin dei conti, pure lui ha origini ferraresi (ma di certo non era uno scolapasta). Di sicuro, da lassù, ride anche lui. 

giovedì 23 novembre 2017

Poesia dell'amore silenzioso


Poesia dell'amore silenzioso

In silenzio sei entrato nel mio
piccolo mondo e in silenzio
ci rimani. Eppure non temere
per l'amore che ti porto: ti amo
perché tu sei tu. E ora che ci sei
nessun altro vorrei all'infuori di te. 



Ti amo per come corrughi la fronte
quando ti concentri, gli occhi scuri
incorniciati dagli occhiali; ti amo
perché sei alto, per quella sfumatura 
un poco fulva, come il grano maturo
al tuo paese. Ti amo per quel tuo accento
lieve, più netto se ti adiri; e se scherzi,
o perché sfrecci in bicicletta come 
una saetta ed eviti i passanti per un soffio;



perché è impossibile seguirti e compari
e scompari all'improvviso, come certe stelle. 
Ti amo perché odi le ingiustizie e perché sei retto,
perché ti incrocio in chiesa; per quanto lavori
e la tua finestra resta accesa, tardi la sera.
Ti amo perché non credi che ti ami,
e per la tenerezza che ti manca,
a te, così forte e così solo; e aspetto
che il tuo cuore si schiuda, delicato
come un mughetto dopo una lunga pioggia. 



Poem of the silent love

(to ADF)

In silence you came into my
little world and in silence
you stay there. Yet, do not fear
for the love I feel for you: I love you
because you are you. 



And now that you are here
no one else I would like outside of you.
I love you for how you knit your brows
when you focus, your dark eyes
framed by your glasses; I love you
because you are tall, for that slightly
tawny hue, like the ripe wheat in your fields. 
I love you for your mild accent,
stronger if you get angry; and if you joke,
or why you run by bicycle like a flash
and avoid the passers-by in an instant;
because it's impossible to follow you 
and you appear and disappear suddenly, 
like certain stars.



I love you because you hate injustice 
and because you're upright,
because I cross you in the church; 
for how much you work
and your window is lit late in the night.
I love you because you do not believe I love you,
and for the tenderness you miss,
you, so strong and so alone; and I await
that your heart opens, delicate
like a flower after a long rain. 


lunedì 13 novembre 2017

Istruzioni (tutte da ridere) su come fare una tesina di maturità



Istruzioni (tutte da ridere) su come fare una tesina di maturità

Stanno per resettarmi il mio indirizzo email, quindi, nel rivedere la cassetta della posta, ci ho trovato questo cimelio storico: un messaggio di emergenza che ripeteva (per l'ennesima volta, ve lo assicuro) le regole di base su come fare una tesina decente a una classe di quinta di qualche anno fa. Come leggerete, le mie istruzioni, benché serie, furono trasmesse in modo piuttosto buffo. Dal testo non si capisce che classe era e si indovinano, a volte, solo le iniziali di qualche disgraziato che aveva combinato dei pasticci inenarrabili in merito; si comprende anche che la classe in questione era piuttosto scalcinata. Però le istruzioni, ve lo assicuro, sono utili: e fanno sorridere. Buona lettura.

NB. Nel postscritto è riconoscibile la mia straordinaria omonima, la prof.sa Donatella Magri, nonché il nostro mitico Maurizio. 



Carissimi Ragazzi,
scusate questa mia serale, ma temo che le vostre tesine ne abbiano bisogno. Stamane io e la mia Omonima ci siamo affrettate a nascondere quanto potevamo delle vostre produzioni, prima che venissero sott'occhio a qualche esterno (un'operazione da MI5). In effetti, quelle che abbiamo visto presentano notevoli problemi di formattazione e ricordano piuttosto gli appunti di Robinson Crusoe sulla zattera, senza neanche il conforto di Venerdì. Quindi, per chi ha deciso di presentare copia scritta della tesina, vale quanto segue:

1) Il frontespizio: non è che per salvare la foresta Amazzonica dovete tagliare le pagine fondamentali. Il frontespizio (titolo; autore; classe; liceo; una foto magari o un'immagine a colori) è ancora necessario. Alcuni kamikaze (vedasi AC) lo hanno eliminato, ma fa pessimo vedere. Possibile che, in tutta una casa, non si trovi una pagina per stampare un frontespizio decente?
2) Allineate le righe: nella civiltà occidentale, i libri stampati hanno le linee giustificate sia a destra che a sinistra. Non allineate sono solo le lapidi tombali.


3) L'introduzione: va curata e non deve essere tirata via. Probabilmente, sarà l'unica parte che i vostri docenti leggeranno. Un'operazione suicida è quella di farla in modo penoso (ho visto delle introduzioni, in questi giorni, che voi umani....). Soprattutto, l'introduzione deve chiarire: argomento, motivazione della vostra scelta, concatenazione logica delle varie parti della tesina in modo esauriente. Ricordate: voi dovete dimostrare, nel vostro piccolo, una tesi. La vostra opera è argomentativa, un'argomentazione volta a uno scopo (non un assemblaggio di pezzi in crisi di identità e che non sa che cosa sta a fare al mondo e dove è diretto).

4) La conclusione: analogamente curata (non come quello scarabizzo che ho visto in fondo, quasi fosse una nota a pie' di pagina, a certe tesine), deve tirare le somme e dimostrare che avete dimostrato quanto presentato prima.
5) I vari capitoli della tesina vanno separati coscienziosamente con uno stacco di pagina (andare alla voce "inserire", si trova nel menù a tendina: vi assicuro che esiste).  E vanno titolati! (con materia e argomento).


6) Le vostre pagine non devono essere sovraccariche di scritto (specie se in carattere piccolo), così da offrire l'impressione della Naturalis historia (37 libri!) rinvenuta in qualche sperduto monastero di montagna, con tanto di note e soprascritte, invisibili a occhio nudo, ma percepibili solo col microscopio elettronico (ADB?). Anche l'occhio vuole la sua parte e un'impaginazione ariosa, con fotografie e immagini (una o due per pagina) rende il tutto più gradevole (che direste voi di una bionda - o di un biondo, per le fanciulle - vestita/o  da barbone?). Scegliete con attenzione il carattere, la sua grandezza e siate accurati.

7) L'ho ripetuto centinaia di volte: ogni capitolo deve avere una breve introduzione, che lo aggancia alla tematica generale, quindi una breve conclusione, che, analogamente, come nei saggi, chiude l'argomentazione e l'allaccia al seguito. Altrimenti, i vostri capitoli sembreranno dei rottami dopo il naufragio della Medusa.
8) L'indice e la bibliografia vanno in fondo! (in Italia; nei paesi anglosassoni no; ma il vostro Inglese è...lasciamo stare cos'è, quindi, perché mettere l'indice dove lo mettono gl'Inglesi e non gl'Italiani?).
9) Rileggete con attenzione per evitare errori di stampa, battitura e sviste, specie ortografiche.


10) Attenzione, perché questa commissione è rigorosa e si andrà a leggere probabilmente per davvero quello che scrivete. O, almeno, ci darà un'occhiata. Non oso pensare che cosa succederebbe al malcapitato la cui tesina, all'occhio della presidente (docente di Lettere) presentasse degli errori inenarrabili tipo quelli che ho visto oggi. Se volete suicidarvi, ditelo, ma sappiate che io, in quante difensore, da decenni, della vita a oltranza, mi dissocio. E, se vi vedo presentare una schifezza, vi disconosco ("E chi l'ha mai visto questo qui?").
11) Per chi volesse essere prudente: fate il PowerPoint, ma, a quel punto, ricordate che è un genere diverso da quello dell'argomentazione scritta; è uno schema! (Schema: sintetico, riassuntivo, che procede per punti rapidi, non per tonnellate di scritto). Anche lo schema va poi corredato di mappe concettuali, immagini e foto carine.

Questo è l'ultimo tentativo per farvi entrare questi concetti in z....volevo dire, in testa, quindi: avete due o tre giorni di tempo, fate le correzioni che dovete, rileggete e non arrivate con uno scartafaccio approssimato e frutto della fretta delle ultime ore (certune delle vostre tesine, vedasi AC, sembrano i compiti di Piperita Patty: fatti non sul pullmino della scuola, ma sulle scale della scuola, nel corridoio della scuola, sulla porta dell'aula....).


Quindi: obbedite e fate un buon lavoro. Se avete dei dubbi, siamo a disposizione e sfruttate anche l'aiuto di Maurizio. Buona notte e bacioni,

                                                                                                   Annarita Magri

PS. Pagherei per sentire le risate della mia Omonima quando leggerà il tutto (dovrei conservare queste email e farne un libro, alla "Io speriamo che me la cavo").

sabato 11 novembre 2017

La manipolazione e la monaca di Monza


La manipolazione e la monaca di Monza

La storia della monaca di Monza (capp.9-10 dei Promessi sposi) è forse il vertice della spietata analisi che Manzoni consacra al potere e ai suoi abusi. Calvino difatti sosteneva che I promessi sposi sono il romanzo "dei rapporti di forza": e mai come in questi capitoli, la violenza si fa strada nella vita delle persone, in tutte le sue forme. Passerò allora in rassegna la vicenda della monaca alla luce delle caratteristiche della manipolazione relazionale (per cui rinvio ai miei post precedenti, che la illustrano adeguatamente).


                                                   La Signora di Monza, di G.Molteni (1847)
Comunicazione e menzogna

Per  motivi di chiarezza, preferisco partire dalla comunicazione. I manipolatori, lo sappiamo, mentiscono e a oltranza. Nel nostro caso, il manipolatore è chiaramente il padre della disgraziata Gertrude, che invece è la vittima; ma anche la vittima, come vedremo, impara a mentire dal suo carnefice. Del resto, la corretta comunicazione con gli altri o con l'esterno può saltare in varie maniere. Vediamo come.


C'è innanzitutto la menzogna di partenza: a Gertrude viene imposta una vocazione che non è sua, per motivi di denaro (il padre, per via del maggiorascato, deve preservare il patrimonio per il primogenito e destina al convento tutti i figli cadetti). Ed ecco allora che, sulla base di quella menzogna iniziale, la piccola viene sottoposta fin dai primi anni di vita a un vero e proprio lavaggio del cervello: le viene imposto "un nome che risvegliasse immediatamente l'idea del chiostro e che fosse portato da una santa di alti natali"; gioca con "bambole vestite da monaca", poi con "santini"; viene lodata esclusivamente con la frase "che  madre badessa!"; a ogni pie' sospinto le viene ricordato che deve mantenere un comportamento adeguato a quello di una monaca; e cosi via.

Della menzogna divengono complici anche molte suore del monastero dove la bambina viene collocata: liete della potente protezione del principe padre, esse si danno da fare per adescare Gertrude con "chicche e carezze senza fine" e un'adulazione continua che non può che essere bugiarda. Tutte bugie che, almeno nella mente di Gertrude crollano al confronto con la realtà, cioè la vita sontuosa prospettata alle sue compagne di collegio, che si aspettano di sposarsi e vivere nel mondo tra "nozze, pranzi, conversazioni, festini".


Gertrude è, fondamentalmente, sola. La  violenza isola e la menzogna non fa di meno, dato che di solito procedono a braccetto. En passant ci viene fatto notare che il primogenito è l'unico figlio rimasto in casa del principe: e, a fronte del compatto trio padre - madre - figlio primogenito, per tutta la storia la ragazza appare come un'esclusa, una paria. D'altronde, i suoi rapporti con le compagne di collegio sono altalenanti, tra dispetti e una forma di amicizia "apparente e passeggiera", quando poi, sentendosi sola, la ragazza va a mendicare il favore delle altre ragazze. Al tempo stesso, Gertrude si rinchiude in un mondo di fantasie tutto suo, uno "splendido ritiro" dove "si rifugiava dagli oggetti presenti": anche questo è sintomo di scarsa comunicazione efficace con l'esterno. Le vittime di un'educazione oppressiva si rifugiano di regola in un mondo di fantasia alternativo.


Ma il culmine della menzogna viene toccato quando la povera Gertrude cerca di palesare al padre la sua volontà di non rimanere nel chiostro. Sull'argomento, non ci sarà mai chiarezza, mai una discussione esplicita tra loro: Gertrude, su consiglio di una compagna (che poi la sbeffeggia perché la ragazza ha già inviato la supplica al vicario delle monache), indirizza una lettera al padre (chiaramente, non riesce ad affrontare il soggetto direttamente); poi la badessa, complice del genitore, si limita ad accennare con lei alla "gran collera del principe", senza spiegare oltre. L'accenno, ovviamente, riempie la fanciulla di paura. Fumi di indegno mistero offuscano il soggetto, che non verrà mai trattato direttamente, a viso aperto, secondo verità. 
E quando la figlia si ritrova a casa, dove dovrebbe trascorrere un periodo di vacanza per capire se è destinata al mondo o no, viene completamente isolata; si aspetta delle imposizioni o delle moine, ma non succede nulla di tutto questo; semplicemente, i familiari "la riguardavano come una rea, come un'indegna; un anatema misterioso pareva che pesasse sopra di lei, e la segregasse dalla famiglia". Ancora una volta la isolano ed evitano ad arte di affrontare il problema. Il tema del chiostro le viene solo accennato e, in modo ricattatorio, indicato indirettamente come il mezzo per recuperare l'amore della famiglia; del resto, la ragazza vive segregata in casa e viene ancora più segregata quando, per mancanza di affetto, si innamora di un paggio che è stato gentile con lei, cosicché ella cerca di inviargli una lettera. Quando il ragazzo viene licenziato, il  principe mente sia sul motivo per cui lo ha scacciato, sia per giustificare la continua assenza della ragazza, che viene data per malata.


Menzogna, isolamento, solitudine: tutto questo provoca in Gertrude una gran confusione, che la spinge a provare un senso di colpa eccessivo  per il suo, presunto, "fallo", a vedere il  monastero come un'ancora di salvezza, a provare nostalgia per un affetto familiare che non è affetto. Per questo, cede alle mire del padre: si noti come Gertrude è immersa in una tal mancanza di verità, che crede uno sbaglio quel che non lo è e chiede perdono per una colpa inesistente; la menzogna crea sempre confusione e lei finisce per vedere la realtà attraverso la lente deformante del castello di bugie erettole intorno dal padre. Difatti, quando lei scrive al padre per chiedergli perdono e lo incontra, lui, mentendo, afferma che ora lui non può più farle sposare nessuno, perché lei è venuta meno al  proprio onore (???); e basta che la ragazza intercali il discorso con un vago "sì", perché lui lo rigiri come il segno di un assenso che non esiste.


                                                   La Monaca di F.Hayez


Da questo momento in poi, per la povera Gertrude la vita sarà una valanga di menzogne: col vicario delle monache e poi in occasione di tutti i gradini che la porteranno al noviziato e alla monacazione forzata; quindi, nella losca storia con Egidio. L'ultima menzogna coincide con la terra che ricopre la sventurata conversa, Caterina di Meda, uccisa da Egidio perché avrebbe potuto svelare la tresca. Ma tra le tante menzogne registrate nella triste storia della monaca di Monza, la più impressionante è, a mio avviso, la scena d'indegno teatro che avviene tra il principe e la madre superiora quando Gertrude pronuncia infine la sua richiesta ufficiale di vestire l'abito: la badessa deve "avvertire i genitori....che se, per caso....forzassero la volontà della figlia, incorrerebbero nella scomunica". I due interlocutori mantengono una cortesia di facciata, quindi si separano con malcelato imbarazzo. Mette conto ricordare che, davanti a Dio, questi due erano già colpiti dal fulmine della scomunica?

domenica 5 novembre 2017

Fiaba orientale...dell'amore che perdona



Fiaba orientale...dell'amore che perdona

Se qualcuno fosse punto dalla curiosità su come sono finiti il nostro bel principe e la principessa dell'ultima fiaba orientale (quelli che si aggiravano tra le poetiche calli di Venezia), ebbene, possiamo proseguire un poco la nostra storia. 
Ci chiedevamo se lei lo avrebbe perdonato e se lui avrebbe voluto il suo perdono. Eppure, possiamo essere certi che lei lo ha già perdonato, con tutto il suo cuore (ne dubitavate?). Perché? Lei sa che lui non ha mai conosciuto il dono del perdono e della misericordia, per cui, come potrebbe negarglielo? Come potrebbe lasciarlo in balia dei sensi di colpa che, lei ne è certa, affliggono il suo cuore sensibile? Come potrebbe non dargli con larghezza quello di cui lui ha bisogno per "risorgere" e rinascere a vita nuova, come le rose rialzano il capo dopo la tempesta? Solo così lui potrà liberarsi dei suoi atteggiamenti sbagliati. Così, passeggiando nel silenzio che scende come velluto sull'acqua e sui marmi veneziani, lei ha compreso: lei lo ha perdonato tante volte, lo ha già perdonato ora e lo perdonerà sempre. Perché lo ama davvero.


Del resto, lei non ha mai cambiato idea su di lui: sa che è profondamente buono, pulito, dolce, tenero; e quello che l'ha ferita, per certi versi..."non era lui". Era una maschera: quella che ciascuno di noi indossa per proteggere la parte più vulnerabile di sé, quando si sente in pericolo. Era la maschera prodotta dai meccanismi di difesa, che distorcono il volto bellissimo con cui siamo usciti dalle mani amorevoli del Padre. Se lui, come lei ritiene, teme ancora di essere ferito, di essere rifiutato, di subire per l'ennesima volta le ingiustizie che tanto hanno pesato su di lui, ecco allora la maschera dura, inflessibile, oppure quella sfuggente, volta a sottrarsi alla vista, le maschere che gl'impediscono di  avvicinarla e di ricevere e dare amore come vorrebbe.


Lei ha deciso di rimanere fedele in cuore a quel ragazzo che le si era mostrato così pieno di gioia al vederla (quello che saltava a due a due i gradini di un ponte veneziano davanti a lei): lei voleva rimanere fedele al suo desiderio e ai suoi tentativi di essere felice. Tuttavia, pur perdonandolo, capiva che ora lei non poteva fare niente. Attenzione, ragazzi, sappiate sempre distinguere tra perdono e sue conseguenze pratiche: le seconde non sono immediate. Bisogna saper attendere, come per i frutti d'estate. Accoglierlo, perdonarlo, offrirgli in dono la misericordia di cui lui aveva bisogno, significava anche lasciarlo libero: che cosa era meglio per lui? Lei o un'altra? La principessa non poteva saperlo. Non era in suo potere ristabilire alcun contatto tra loro: stava a lui. E stava a lui costruirsi il proprio percorso per giungere, se voleva, fino a lei. 


E allora, anche se le piangeva il cuore, decise di non fare niente, di rispettare la sua libertà e di attendere quel che lui avrebbe deciso o potuto fare. La principessa, del resto, sa che lui è buono e ha tanta, ma tanta buona volontà e determinazione, come una quercia avvezza a resistere a tante tempeste; lasciarlo libero, significa anche fidarsi di lui e della sua buona volontà, come ci fidiamo di un albero da frutto, che a primavera, di sicuro, metterà tanti fiori e poi deliziose pesche o susine. Se lui comincerà a capire quel che ha sofferto e arriverà a prenderne coscienza, le catene che lo hanno avvinghiato finora si spezzeranno.


Lei desidera con tutto il cuore che lui ritrovi se stesso. Vorrebbe che loro due potessero essere misericordia l'una per l'altro, reciprocamente: e anche lei attende un giorno, che qualcuno l'accolga e le doni amore. Chissà. Ognuno di noi ha una chiamata speciale: quella di dare amore in una maniera unica ed irripetibile, che è soltanto nostra. La principessa è sicura che il suo bel principe è chiamato a dare tanto amore e che, quando cadranno le catene che imprigionano i suoi sentimenti, lui ritroverà se stesso e la sua personale maniera di amare; e lui, allora, potrà riversare dal suo cuore tutta la tenerezza di cui è capace. Fosse per lei, lo coprirebbe di carezze, tutte quelle di cui lui ha bisogno...Ma un fiore che risorge dopo la tempesta è più pudico e delicato di un mughetto per cui pesa persino la rugiada. Per ora, lei deve farsi da parte. Amore è anche farsi da parte. In attesa che lo Spirito ci permetta di ritrovare noi stessi e la scintilla più genuina e primigenia del nostro essere, quando siamo usciti dal suo amore come dalla luce fiorisce l'arcobaleno.


Insalata arcobaleno - Rainbow salad


Insalata arcobaleno

Ingredienti
8 foglie d'insalata
1 patata
1 pomodoro
1 scatoletta di tonno (80-100 gr.)
1 mozzarella
1 cipollina
1 uovo sodo

Bollite la patata e fate rassodare l'uovo, quindi pulite e spezzettate la cipollina e il pomodoro. Quando la patata è bollita, pelatela e tagliatela a pezzi. Mescolate i vari ingredienti tagliati a pezzetti e servite l'insalata fredda: è allegra e facile da preparare, gustosa per queste sere estive. 

Rainbow salad

Ingredients
8 leaves of salad
1 potato
1 tomato
1 tuna can (80-100 gr.)
1 mozzarella
1 chives
1 egg

Boil the potato and the egg, then clean and chop the chives and tomato. When the potato is boiled, peel it and cut it into pieces. Mix the various ingredients cut into small pieces and serve the salad cold: it is delicious and easy to prepare, tasty for these summer evenings.