giovedì 25 aprile 2019

Consigli di sopravvivenza per maturandi...senza più fiato.



Consigli di sopravvivenza per maturandi...senza più fiato.

Vi ricordate la 4M? Quella classe simpatica che contemplava il ruolo degli scolapasta nelle storie d'amore infelice e mandava Gabriele a far da (improbabile) guida turistica per Ferrara? Bene. Ormai sono da un pezzo la 5M e stanno arrivando al gran finale, ovvero il fatidico esame di maturità. Solo che quest'anno a Roma hanno deciso (all'improvviso) di cambiarlo: suscitando così non poco sconcerto in allievi e insegnanti. Come vi ricorderete, i nostri eroici studenti della 5M erano stati anche subissati di attività extra-scolastiche: il risultato è che, la mattina, a volte me ne trovo qualcuno in classe che sta per schiacciare un pisolino sul banco...
Quindi: a mali estremi, estremi rimedi. Lasciamo andare le responsabilità politiche di chi comanda a Roma e le disquisizioni sul perché ha deciso di sconvolgerci all'ultimo momento (lo scritto d'Italiano andrebbe anche, ma il secondo scritto e l'orale? Bah!): bisogna correre ai ripari. Ho pensato allora di radunare alcuni "consigli di sopravvivenza per maturandi senza più fiato" qui a beneficio loro e di chiunque ne abbia bisogno. Vanno bene anche per altre situazioni, non solo per la maturità: e cercherò di fornirli in modo simpatico. Come la 5M (il Barone Rosso di cui sopra è dovuto allo stato di emergenza in cui ci troviamo).
Dividerò i consigli in alcune categorie: studio, pianificazione, vita quotidiana.


Come organizzare lo studio
  • Il trucco per resistere in periodi di studio intenso è lo stesso della maratona: dosare le forze e studiare in modo regolare, senza indigestioni il giorno prima della verifica (io lo ripeto da anni, e non solo io, però...). Quel che si impara in fretta, se ne va di volata, per cui...
  • Suddividere il lavoro in periodi di studio abbastanza brevi: non più di 1 ora per volta, ma anche un periodo di 35-45 minuti va benissimo. Difatti, i ricercatori hanno verificato che si tocca il picco massimo di produttività all'inizio di un periodo di lavoro. Perciò: 
  • Pause adeguate sono importantissime per lo studio, perché ci permettono di ritornare dopo la pausa al lavoro con un'aumentata capacità produttiva. Quindi, le pause devono essere dedicate a qualcosa che disimpegna veramente la testa, un impegno fisico: sono certa che la mamma troverà qualcosa di adeguato (portare via la spazzatura, spazzare, dare un aiuto nelle faccende di casa ecc.: a proposito: tra gli studenti si nota un calo notevole nelle abilità relative a spazzare e fare le pulizie - me ne accorgo quando bisogna pulire l'aula....). Nota bene: continuare a studiare senza pause, a un certo punto fa crollare la produttività e le capacità intellettuali, riducendovi allo stato di uno zombie. Da non provare. 
  • Quando si studia è fondamentale preparare degli schemi, delle mappe concettuali, dei riassunti di quanto studiato: è la vostra produzione scritta, che consolida in modo attivo quello che avete appreso in modo passivo leggendo e sottolineando. Il secondo grosso vantaggio dei riassunti è che vi forniscono, per ogni materia, una specie di sintesi del programma, su cui potete ripassare in modo molto più efficace e rapido che sul  manuale. Man mano che si avvicina l'esame di maturità, dovreste avere la vostra mini-biblioteca di riassunti e schemi, sempre pronta sotto mano per l'uso, cui fare riferimento per tutto, dagli Appennini alle Ande, da Leopardi alla Teoria della relatività. 

  • Ripetere è fondamentale per acquisire capacità espressive, scioltezza e per rafforzare l'autostima (specie per i timidi). Difatti, solo ripetendo diventate sicuri di avere imparato davvero; inoltre, vi preparate per l'orale, anche a livello emotivo. 
  • Studiare in gruppo può essere molto utile e aiuta di regola tutti, sia i più bravi che quelli più incerti. Nel confronto, infatti, si impara meglio, si consolidano le acquisizioni e si apprendono anche delle dritte utili sull'organizzazione e sul metodo di studio (attenzione a rimanere concentrati, però). Mi piace immaginare Nicola e Jacopo B. che studiano assieme!
  • Trovate dei modi divertenti di ripassare: per esempio, tramite dei video, oppure raccogliendo delle illustrazioni, registrandovi col cellulare e così via. La fantasia è d'obbligo in questo campo (per esempio, quando l'anno scorso ho preparato l'esame di Storia degli USA, ripassavo con i documentari o con i film di Spielberg come Lincoln!). Sapere è un piacere: cerchiamo di mantenerlo così il più possibile. Inoltre, queste  modalità aumentano le connessioni tra argomenti nel vostro cervello. 
  • Sfruttate i collegamenti tra materie: torneranno utili per l'orale. Qualche collega, come la Roberta, sta infatti consigliando ai ragazzi di segnare i macro-argomenti con collegamenti possibili in un quaderno a parte. Questo vi permette anche di approcciare gli argomenti da più punti di vista e, quindi, più materie alla volta, aumentando ancora i collegamenti nel vostro cervello (alla fine, il vostro cervello diventerà un emulo di un maglioncino a uncinetto...). 
  • Cercate di mantenere il più possibile il dialogo con gl'insegnanti (se ce la fate, perché la maturità rende molto ansiosi anche loro...): sia per organizzarvi al meglio, sia per riceverne consigli, sia per capire in modo ideale quello che state imparando o ripassando. Usare al meglio il tempo in classe può dimezzare la fatica a casa. 

Pianificazione
  • Per avere una giornata efficace, è necessario pianificarla bene, però con elasticità: vediamo come. 
  • Dato che è impossibile quantificare con precisione l'attività intellettuale - cioè misurare con precisione il tempo necessario per studiare un tot di pagine o simili - è bene mantenersi elastici e pianificare, come ho già detto, dei periodi di studio brevi. Perciò, è inutile pianificare prevedendo quante pagine studiare o simili; ed è anche inutile pianificare nel dettaglio - salvo alcune linee generali - i giorni a venire. L'importante è pianificare bene oggi e domani. Se manterrete il piano di oggi, vi potete fidare serenamente che manterrete anche i vostri impegni futuri. Tanto, ci sono giorni molto produttivi in cui fate di più del previsto, e giorni in cui fate un po' meno, ma avrete il tempo di recuperare. 
  • Quando preparate l'agenda, non accumulate una lista infinita di cosa da fare (come tendo a fare io la domenica sera), ma focalizzatevi su alcuni punti importanti e indispensabili. Il grande mentore statunitense Micheal Hyatt consiglia di dividere le cose da fare in 4 quadranti: importanti e urgenti (subito), importanti, ma non urgenti (in seconda battuta), urgenti, ma non importanti (di solito, queste cose si possono delegare perché non ci riguardano), non importanti e non urgenti (ci fate una croce sopra). In questo modo, si può eliminare il surplus e semplificare l'agenda. L'ideale? Sempre secondo Hyatt, tre compiti importanti al giorno
  • Fondamentale: pensare a un problema per volta. Il multi-tasking è un'illusione da robot, quindi lasciatelo alla Sylicon Valley e ai Giapponesi, mentre voi cercate di affrontare un problema alla volta; come l'ultimo Orazio sopravvissuto, che così fece fuori i tre Curiazi uno per volta. Pensare al futuro crea solo ansia e non ci azzeccherete mai, quindi è inutile. 
  • Riunite le cose da fare in blocchi di cose simili. Per esempio, riunite le questioni da affrontare in segreteria, così da andarci una volta sola; oppure, accorpate lo studio di questioni analoghe in trasversale - per esempio, la Belle Epoque tra Storia dell'Arte e Letteratura Italiana. 
  • Mantenete la concentrazione! Ciò significa eliminare tutti i distrattori quando studiate, ovvero: cellulare; suonerie; TV; visualizzazioni automatiche; What's app; messaggi; email; Youtube e chi più ne ha più ne metta. Potete consultare le email solo una volta al giorno, ad esempio, e nascondere il cellulare in cantina quando dovete studiare (non più vicino della cantina...). 

Vita quotidiana
  • Mantenere una sana igiene di vita vi permette di conservare, se non addirittura aumentare le forze e di far fronte a un periodo di stress. Quindi: 
  • Mantenete degli orari regolari, in modo che le sane abitudini vi salvino dal caos (man mano che ci si avvicina all'esame, pare di avvicinarsi a un acceleratore di particelle che fa schizzare via tutto...e l'entropia tende ad aumentare!).
  • Dormite il tempo giusto. E' inutile stare svegli a studiare la notte: questo elimina soltanto le vostre energie (insomma, non fate come la vostra prof, che, si vede dagli orari del mio blog, sta diventando un vampiro, a furia di studiare tardi la sera...). Tra l'altro: il sonno va adeguatamente preparato per essere riposante, con una bella doccia che rilassa i muscoli, una tisana calmante, lontano dagli schermi di ogni genere, con rituali pacificanti come un libro, le preghiere, la fiaba della buonanotte...
  • Mangiate sano, soprattutto frutta, verdura e cibi leggeri, ma nutrienti. Attenzione ai carboidrati: è vero che il cervello ne ha bisogno per funzionare, però è anche vero che incoraggiano la sonnolenza, quindi vanno dosati con attenzione e concentrati la mattina (ancora una volta, non fate come la vostra prof., che tende a ingozzarsi pericolosamente di dolci appena può perché ha bisogno di coccole...). 
  • Fate attività fisica in modo regolare, perché questo brucia le tossine che si accumulano nel cervello come residuo dell'attività intellettuale (lo so che il mio è un liceo scientifico - sportivo, tanto che hanno fatto diventare sportiva persino una lumaca come me; però fa bene ricordarlo). Tra le vostre pause preferite, quindi, potrebbe essere utile anche quello per il jogging
  • Non lasciate che lo studio o i doveri risucchino tutta la vostra esistenza come un aspirapolvere: che nella vostra vita quotidiana sopravvivano momenti piacevoli, in cui ricrearvi (lontano dagli apparecchi informatici, però, sennò continuate a stancarvi gli occhi e la testa).

Infine
  • Mantenetevi ottimisti.
  • Fate una lista dei vostri punti di forza: aiuta ricordarli!
  • Chi può, preghi, per mantenere la serenità (aiuta molto; e, sono convinta, esistono possibilità di preghiera anche per atei ed agnostici...). 
  • Infine: ce la faremo!
Bacioni!
PS. Devo necessariamente precisare che, a furia di studiare tardi, sto diventando un vampiro, ma innocuo: mi accontento di dolci e pomodoro. 

martedì 23 aprile 2019

La Passione (3)



La Passione (3)

Dopo il processo notturno alla dimora di Caifa, probabilmente Gesù è stato brevemente recluso nei sotterranei del palazzo. Così è del tutto sensata la scena del film di Mel Gibson in cui Gesù è rappresentato imprigionato e incatenato in una cella sotto il livello del suolo mentre la Madre lo cerca.


Sempre durante il processo notturno da Caifa avviene la scena del rinnegamento di Pietro. Gli studiosi sono concordi nel credere che sia storica - nessun cristiano sarebbe stato così masochista da inventarsi un episodio del genere a danno del Capo della Chiesa nascente, così come nessuno può essersi inventato che gli apostoli si sono dati alla fuga dopo l'arresto di  Gesù. Ovviamente, i servi in casa di Caifa riconobbero Pietro dall'accento galileo: è stato ipotizzato che lui e Giovanni (il discepolo menzionato in Gv. 18,15) siano potuti entrare lì perché la famiglia di Giovanni (di solito identificato con questo discepolo anonimo) conosceva Caifa per affari - magari gli fornivano il pesce. In questa maniera, il discepolo anonimo qui menzionato poté accedere alla ricca dimora del sommo sacerdote, situata nell'elegante quartiere del Sisto, presso il Tempio. Un tempo, il padre Lagrange, il fondatore dell'Ecole Biblique di Gerusalemme, si alzava la notte per aspettare il primo canto del gallo e collocare così l'ora del rinnegamento petrino. Il gallo non era certo più lo stesso - del resto, ultimamente, i galli hanno preso strane abitudini e ne ho sentiti cantare persino alle 5.00 del pomeriggio. Tuttavia, il gallo udito dal padre Lagrange cantava a un'ora compatibile con i fatti narrati dai Vangeli - Pietro che per ben tre volte mentisce rifiutando di conoscere il Nazareno. Erano le 2.00 di notte.

                                                Modellino della Fortezza Antonia

I sinedristi sapevano bene che la loro condanna a morte non aveva alcun valore a fronte delle autorità romane occupanti: perciò, non appena sorge il sole, inizio ufficiale dell'attività lavorativa e giudiziaria, essi si spostano presso la sede del prefetto romano di stanza in Palestina, Ponzio Pilato. Il Vangelo di Giovanni registra un dettaglio fondamentale, di vita vissuta, cui gli storici hanno prestato sempre più credito: a 18,28 l'evangelista afferma che i sinedristi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Infatti, era il giorno della Parasceve, cioè della preparazione per la festa (cfr. Gv. 19,14). E' allora Pilato - già in piedi e in servizio, dato che la festa non lo riguarda - che esce incontro a loro, diplomaticamente. Ciò significa che la Pasqua non era stata ancora celebrata, perché l'agnello non era stato ancora sacrificato nel Tempio. In passato, si tendeva a scorgere in questo dettaglio la volontà di far coincidere la morte di Gesù con il sacrificio degli agnelli pasquali; ma in seguito, questo particolare così spiccato ha convinto gli studiosi, che hanno sempre di più preferito la cronologia giovannea a quella degli altri Vangeli, da cui tale coincidenza è assente. Contaminarsi...Non è certo il contatto con il prefetto pagano a contaminare gli accusatori di Gesù. Nel primo confronto che segue, i sinedristi dichiarano infatti espressamente che Gesù è da mettere a morte, anche se Pilato - che doveva avere sentito odore di grane in arrivo - non vuole saperne.


E Pilato? Chi era costui? Nel 1961 gli archeologi dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano, sotto la guida del prof.Antonio Frova, hanno rinvenuto nel teatro di Cesarea Marittima una lapide di cm 82 X 68 X 20, che recita:

Prima riga:       S TIBERIÉUM
Seconda riga:  TIUS PILATUS
Terza riga:  ECTUS    IUDA     E

Le ultime due righe sono da integrare così:

Seconda riga:  [PON]TIUS PILATUS
Terza riga:  [PRAEF]ECTUS IUDA[EA]E

Il tiberieum era certamente un tempio o monumento eretto da Pilato in onore del regnante imperatore Tiberio. La lapide fu usata anni dopo come materiale di recupero nel probabile restauro del teatro della città, eretto tempo prima da Erode il Grande.

                                           Modellino della parte alta di Gerusalemme, zona Sisto

Pilato (ricordato anche da Tacito negli Annales come il procuratore che mise a morte Gesù) era un funzionario del ceto equestre, il secondo ceto, dopo quello senatorio, per disponibilità economica e importanza sociale entro la società romana: sotto Augusto i cavalieri si erano specializzati nell'attività burocratica a servizio dell'Impero e la loro carriera poteva portarli anche a cariche prefettizie molto elevate, come quella di prefetto d'Egitto. Pilato (che secondo notizie difficilmente verificabili, aveva sposato una donna di nome Claudia, imparentata addirittura con la famiglia imperiale) era verosimilmente di origine italica, come buona parte dell'élite dei cavalieri della prima età imperiale; forse, stando al cognomen, proveniva dal Sannio e doveva essere piuttosto ambizioso. Di certo, servire lo Stato sotto l'imperatore Tiberio, sotto il quale si erano moltiplicati i processi per lesa maestà e che aveva un carattere abbastanza paranoico, doveva essere piuttosto scomodo. Vari studiosi hanno commentato che la paura dimostrata da Pilato in più momenti del processo a Gesù non sarebbe credibile e si dovrebbe invece al tentativo, da parte cristiana, di scagionare i Romani e di aggravare le responsabilità giudaiche: tuttavia, ho dei seri dubbi.

                                                 Modellino del Tempio

Il racconto più dettagliato del processo al Pretorio romano è riportato sempre da Giovanni, un Vangelo nato in un ambiente, la Chiesa efesina giovannea, piuttosto avverso al mondo pagano, come dimostrano Apolicasse e le epistole di Giovanni (anche se gli autori di questi scritti sono visibilmente diversi, i tratti in comune a livello di pensiero sono notevoli e denotano un ambiente ben preciso). A proposito del Pretorio: gli studiosi si dividono quanto alla dimora precisa del prefetto nei giorni in cui doveva presenziare a Gerusalemme, perché la città raddoppiava di numero per l'afflusso dei pellegrini e i Romani dovevano prevenire qualsiasi problema possibile di ordine pubblico. C'è chi parla del Palazzo di Erode, situato nella sezione occidentale della città e dominato da tre torri; e chi propende per la Fortezza Antonia, fatta erigere da Erode sul luogo dell'antica roccaforte dei principi Asmonei, in posizione strategica sul monte Sion e dedicata a Marc'Antonio (lui, quello di Cleopatra: all'epoca, nel 37, era ancora vivo e regnante sulla metà orientale dell'Impero). Era una vera e propria cittadella di 7.000 mq, dotata di alloggiamenti per i militari (probabilmente una coorte romana), ma anche di appartamenti e bagni per i suoi residenti più in vista. Dalle sue mura, i soldati romani potevano sorvegliare il cortile del Tempio e intervenire se necessario - come avviene quando salvano Paolo da un tumulto, in At. 21,32-40.


Alcuni studiosi hanno messo in dubbio che i Romani si azzardassero ad entrare nel Tempio, dato che il cortile era diviso da un recinto murario sul quale facevano bella mostra di sé varie lapidi che intimavano l'alt a qualsiasi pagano pena la vita. Perciò, ai pagani era concesso l'ingresso solo fino al cosiddetto cortile dei Gentili; del resto, come abbiamo già visto, il Tempio disponeva di guardie proprie (però inefficienti e poco popolari). Io però ribatterei: voglio proprio vedere se gli Ebrei in loco avrebbero osato reagire a una coorte romana che fosse arrivata, armata di tutto punto, per sedare una rivolta...Nell'Evangelo come mi è stato rivelato, scritto da Maria Valtorta sulla base di visioni che la mistica avrebbe avuto sulla vita di Gesù, a un certo punto un graduato romano si trova confrontato a una guardia del Tempio in pompa magna e la apostrofa così: "Ma vai a fare la guerra agli scarafaggi, guerriero da cantina!". Lo so che non è una fonte propriamente storica, ma questa scena rende bene l'idea della considerazione tributata agli ufficiali del Tempio...Comunque, tornando alla Fortezza Antonia, credo che sia da collocare qui il Litostroto (in ebraico Gabbatà), cioè il lastricato in pietra dove Pilato tiene il suo tribunale e giudica Gesù (cfr. Gv. 19,13).


Pilato non si trova davanti un cittadino romano, quindi non lo deve giudicare secondo tutti i crismi del diritto: la procedura si dice allora extra ordinem (ovvero, piuttosto sbrigativa). Vero però che Pilato ci perde alcune ore. Come ho già osservato prima, Pilato viene mostrato particolarmente titubante e vari studiosi hanno ipotizzato che ciò fosse un estremo tentativo, da parte cristiana, di presentare i Romani dalla parte dei "buoni" per ingraziarseli in tempo di persecuzioni. Addirittura, Giovanni asserisce che Pilato aveva paura (cfr.19,8). Vero? Secondo me sì. Il punto è che gli studiosi badano alla carta e non alla vita vera. Vediamo i dettagli. Filone ci descrive Pilato come un disgraziato, reo di corruzione, furti, violenza, maltrattamenti, esecuzioni senza processo e così via. Difficilmente il povero Pilato sarebbe rimasto in carica per 10 anni se fosse stato davvero così. Di certo, reagiva con durezza se necessario. Senonché, Filone sta dipingendo così Pilato nel corso della sua Legatio ad Gaium, cioè il discorso d'ambasceria da lui preparato per la legazione ebraica inviata da Caligola, il successore di Tiberio, nel gennaio del 41 d.C. Motivazione dell'ambasceria: difendere la numerosa popolazione ebraica di Alessandria d'Egitto dai pogrom provocati dai Greci, che odiavano gli Ebrei. Ma siamo nel 41, poco tempo dopo la fine dell'incarico di Pilato (26-36); ed è chiaro che qui Filone sta dando torto a un assente.


                                                    Mappa di Gerusalemme all'epoca

Ovvero - e questo convergerebbe con altri indizi - Pilato sarebbe caduto in disgrazia proprio alla fine del regno di Tiberio. L'affaire è noto: nel 36 Pilato ebbe la cattiva idea di reprimere con la forza un raduno di Samaritani sul Monte Garizim, il loro monte sacro, per timore che esso avesse ricadute politiche; e ci furono vari morti. Ma i Samaritani erano in ottimi rapporti con Roma: per cui, quando andarono a lamentarsi del trattamento subito presso il legato di Siria (era Vitellio, il padre del futuro imperatore), questi, che, essendo di rango senatorio, era al di sopra di Pilato, lo spedì a Roma perché andasse a spiegarsi con Tiberio. Ma Tiberio morì proprio allora: e, quindi, il povero Pilato si deve essere trovato davanti a giudicarlo...quel pazzo di Caligola. Il quale doveva avercela con Pilato anche per altri motivi: pare infatti che questi fosse stato legato al partito di Seiano, il famoso prefetto del pretorio che aveva rovinato proprio la famiglia di Caligola; era la famiglia del principe Germanico, nipote dell'imperatore e designato suo erede, ma poi morto nel 19 d.C. e che aveva lasciato vedova la moglie Agrippina e vari figli, tra cui Gaio Caligola stesso. Le fonti non ci dicono come andò a finire, ma è facile immaginarlo.


Questo lungo excursus sul seguito della vita del prefetto di Giudea più noto della storia ci lascia capire che la sua posizione era quantomeno scomoda. A Roma regnava allora un altro pazzo - quell'imperatore Tiberio cui io stessa ho diagnosticato una sindrome paranoica di Kretschmer anni fa, in un congresso tenuto a Vilnius e negli atti usciti in seguito; di certo, anche se non si volesse credere alla mia diagnosi, è certo che i processi di lesa maestà a danno delle élites al governo erano diventati allora pericolosamente frequenti. La Palestina era il luogo più scomodo - a parte la frontiera del Reno o quella dell'Eufrate - in cui un magistrato romano potesse essere mandato a governare; e i Romani ne avevano abbastanza di questi Giudei che, ai loro occhi, seguivano, spesso fanaticamente, un culto diverso da quello di tutte le altre popolazioni della terra e con cui le cautele e la prudenza non bastavano mai, suscettibili com'erano. L'integralismo religioso non è un'invenzione dei nostri giorni, anzi: già all'epoca si distingueva il partito degli Zeloti, gli estremisti nazionalisti che avrebbero poi rovinato la Palestina con la guerra giudaica del 66-70. Un estremista di tal fatta era probabilmente Barabba, il carcerato liberato al posto di Gesù: il greco lo definisce lestes, "ladrone", ma questa è una definizione che i Romani davano ai ribelli (tutti i governi criminalizzano i loro oppositori politici).


Ora, Pilato sapeva certamente, mediante le informazioni che gli arrivavano copiose dai suoi centurioni smistati sul territorio, sapeva certamente che Gesù era pacifico: tentativi di alcuni anni fa per farlo passare per uno zelote e un ribelle al giogo romano sono semplicemente privi di fondamento. Ebbene, quella mattina Ponzio Pilato si trovò davanti una folla crescente assetata di sangue e che continuava ad ammassarsi presso il Tempio e la Fortezza in un momento delicato come la festa di Pasqua: si rasentava la rivolta. D'altra parte: che cosa sarebbe successo se lui avesse condannato a morte un Uomo visibilmente innocente? E noto in tutta la Palestina, per di più. Non avrebbe incoraggiato la sedizione? Lo stesso fatto che la folla preferisse Barabba gli diceva fin troppo chiaramente dove essa volesse andare a parare. No, Pilato aveva paura, perché aveva capito benissimo la questione: i sinedristi gli avevano consegnato Gesù per invidia, cioè per astio nei confronti di Qualcuno che non favoriva i loro disegni di potere. Erano ammanicati coi Romani solo per motivi di comodo: ma se ne sarebbero sbarazzati volentieri, e così gli altri, se avessero trovato un Messia o un ribelle convincente - non quell'avanzo di Barabba, finito in galera. E allora, falsi fino al midollo, gli hanno consegnato un Pacifico, l'unico cui non interessava un regno di questo mondo, per accusarlo precisamente di sedizione anti-romana. Gesù aveva perfettamente ragione: che regno era il suo, se nessuno lo difendeva in quel frangente? Comunque si fosse comportato, Pilato avrebbe favorito il sentimento e la ribellione anti-romana: ma lui capiva che, l'unica via per non fomentarla nella realtà, era difendere Gesù. Colpendolo, avrebbe fatto l'interesse degli Zeloti. Per forza che aveva paura....

sabato 6 aprile 2019

Il male di vivere in Montale



Il male di vivere in Montale

Questo post, come altri passati e futuri, è dedicato alla mia 5M, che, a furia di attività extra-scolastiche è rimasta indietro e che devo portare comunque decentemente all'esame: di qui l'idea di questi approfondimenti.

Montale è il poeta del "male di vivere". L'espressione deriva da questa poesia, molto suggestiva nella sua brevità, che appartiene agli Ossi di seppia, sezione dallo stesso titolo. Montale è infatti un filosofo autentico, che si è posto le grande questioni esistenziali cioè:
1) A livello della conoscenza: che cos'è la verità? Questa è una domanda che mi piace particolarmente perché risale fin agli antichi Greci: ora che arriviamo a Pasqua, non dimentichiamo che è la domanda fondamentale che Pilato pone a Gesù (e poi se ne va, senza aspettare la risposta).
2) Qual è il senso dell'esistenza? questa è la domanda che ci poniamo su basi etiche, per capire come orientare la nostra vita.
3) Dove possiamo trovare la felicità?


Montale non offre una risposta: sostanzialmente è uno scettico, anche se nutrito dalla grande cultura liberale e ottocentesca. Ma è uno scettico che ha letto Nietzsche, Leopardi, Schopenauer: cioè si pone da un punto di vista filosofico "negativo" - nel senso che vuole spazzare via le false sicurezze. Al tempo stesso, è affascinato dalla fede. La sorella Marianna, che lo adorava e condivideva con lui letture e studi del Liceo classico (poi di Lettere), dato che lui era perennemente malato e a casa, aveva provato a fargli conoscere anche i suoi punti di riferimento spirituali, due sacerdoti modernisti - cioè di quelli che volevano il rinnovamento della Chiesa, talora in modo anche un po' incongruo. Pare che la loro visione spirituale inquieta si sia comunicata in qualche modo non solo alla sorella, ma anche al giovane "Genio". Ma vediamo la poesia, due semplici quartine quasi tradizionali:

                                         

Spesso il male di vivere ho incontrato,
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato. 

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato. 


Montale ha completamente saltato la fase delle avanguardie, quindi rimane ancorato a una lirica ancora abbastanza tradizionale, specie nella metrica, pure se più libera. Attraverso la prima quartina, egli presenta una serie di quelli che poi, dalle Occasioni, avrebbe chiamato "correlativi oggettivi" (termine desunto da Thomas Eliot). Non sono propriamente né metafore, né allegorie, ma oggetti che suscitano l'emozione correlata al soggetto, al fulcro della poesia: e, nella prima quartina, riguardano la sofferenza esistenziale. Che cosa vediamo? Immagini di vita troncata, anche brutalmente: un ruscello senz'acqua, strozzato dalle strettoie delle pietre (con l'attuale coscienza ecologista, si può pensare alla siccità indotta dal mutamento climatico; e se l'acqua è sinonimo di vita...); la foglia accartocciata, anch'essa per mancanza d'acqua in un paesaggio riarso, quello delle Cinque Terre (e si noti l'aggettivo riarsa, posto in evidenza dall'enjambement all'inizio dell'ultimo verso); e infine la peggiore, un cavallo stramazzato al suolo. Viene da pensare che qualcuno, sadicamente, abbia ridotto l'animale apposta in questo stato. Non è solo una visione di sofferenza, è una visione crudele e suggerisce che gli esseri umani collaborano spesso a creare il "male di vivere". Vi tornerò tra breve. 


La seconda quartina parla invece del rovescio della medaglia del "male di vivere": la "divina Indifferenza". Viene in mente il credo epicureo, secondo cui gli dei esistevano, ma negli intermundia, luoghi tra i mondi, in cui era sconosciuto il dolore ed essi vivevano perfettamente indifferenti agli esseri umani. Dio non è indifferente, ma, quando si soffre, purtroppo lo sembra: e con un'altra efficacissima anastrofe, accompagnata da litote, il poeta dichiara "bene non seppi": del bene rimane solo un'immagine vaga, introdotta da altri correlativi oggettivi: una statua (statue erano gl'idoli antichi, falsi dei), l'afa del pomeriggio che induce all'apatia e alla sonnolenza, il falco che vola oltre ogni debolezza umana, lontanissimo. Quindi, le due quartine esprimono, lo ripeto, due facce della stessa medaglia: la sofferenza umana e l'assenza divina. In effetti, le tre domande sopra citate e in cui, a mio avviso, si può riassumere la poesia di Montale, rinviano al profondo bisogno che l'essere umano prova di:
  1. Verità.
  2. Bontà.
  3. Bellezza.
Ovvero, Dio. Ma, cercandolo da quaggiù, talora è molto difficile da trovare. Paradossalmente, però, spesso lo possiamo trovare vicino a noi proprio nel buio, nella sofferenza, nel "male di vivere".


Torno un attimo al "cavallo stramazzato". Ho trovato in un blog letterario cui rinvio, Asterismi letterari, una splendida riflessione nutrita di alcuni suggestivi paralleli a questa immagine. Parto dall'ultimo. Vari tra i miei studenti avranno letto la straordinaria (e terrificante) allegoria della Fattoria degli animali di George Orwell. Orwell era un socialista onesto e intelligente, quindi denunciò dagli albori lo stalinismo e i suoi orrori: e la scena più  raccapricciante del racconto è quella citata in questa pagina. Il cavallo Gondrano, con fede indefessa negl'ideali sbandierati dai maiali che reggono la fattoria al posto degli umani, lavora con tutte le sue forze obbedendo loro ciecamente. Lavora e lavora fino allo sfinimento. Quando ormai non riesce più a lavorare, viene venduto dai maiali al macello, il cui proprietario lo porta via con un furgone fra l'impotenza generale degli altri animali, atterriti. Lui stesso, ormai sfinito, non riesce a opporre resistenza e a fuggire dal furgone e va così verso la morte. Anche se è un'allegoria, fa male allo stomaco. 


Il blog succitato rinvia anche a un'altra opera, che non conoscevo, ma che deve essere bellissima, dati gli stralci che ne ho letto: A Oriente del giardino dell'Eden di Israel Singer. Ambientato tra Polonia e Russia nel Primo Dopoguerra, il romanzo parla di un giovane ebreo povero, Nachman, abituato ai soprusi per la propria miseria; lascia la fede del padre e comincia a credere fanaticamente nell'incipiente comunismo. Addirittura, fugge in URSS, dove partecipa, lavorando come un cavallo, appunto, ai piani quinquennali, in condizioni di totale miseria. Per tutto ringraziamento, viene coinvolto nelle purghe contro i "sabotatori", organizzate dall'élite stalinista per stornare le disfunzioni del sistema contro opportuni capri espiatori. Allora Nachman fugge e trova, al confine con la Polonia, un cavallo stramazzato, in cui legge un simbolo del proprio destino. Riporto qui la citazione, magnifica:


Nachman guardò lo sventurato animale che avevano lasciato lì a morire. Era incredibilmente magro; le costole sporgevano come creste sotto la pelle. Il dorso era stato ridotto dalla stanga a un ammasso di lividi, i fianchi erano carne viva, scorticata dai finimenti di corda. Il posteriore scarno e triangolare era coperto di segni freschi di frustate. Nachman guardò e rifletté. Qualcuno aveva condotto in quella radura l'animale che dopo aver portato il giogo tutta la vita ora non era più in grado di trainare quel peso. Nachman fu travolto da uno strano, appassionato senso di vicinanza all'animale morente, e gli accarezzò la pelle scorticata e ferita. In quell'animale abbandonato, sfinito, sfruttato, che ansimava nell'agonia, vide se stesso, vide tutta la propria vita.  

Viene in mente anche l'asino che muore dallo sfinimento nella splendida novella Rosso Malpelo e che diviene un amaro simbolo di quello che il piccolo protagonista vive ed è destinato a sopportare: maltrattamenti e soprusi. 
Montale non poteva conoscere queste due opere, ma conosceva Verga, evidentemente, e lo spirito della sua poesia corrisponde. Probabilmente, conosceva invece il quadro sotto, E ora? del macchiaiolo Giovanni Fattori, un dipinto del 1903 che, fin dall'ironica domanda posta nel titolo pare porre il problema delle responsabilità etiche di chi fa soffrire un altro essere vivente. 


Il blog letterario che mi è servito da fonte: 

Le foto, onde evitare un eccessivo "male di vivere", ritraggono le Cinque Terre e la casa di Montale a Monterosso. 


mercoledì 3 aprile 2019

La 4M e la 4N...nel "gran Milano"! 2



La 4M e la 4N...nel "gran Milano"! 2

Eccoci qua alla seconda puntata della "mitica" gita a Milano della 4N - 4N, 20-22  marzo scorsi: come dice Riccardo: "Avanti Savoia!". Cioè: quando siamo "atterrati" in centro a Milano il primo giorno, proprio davanti alla nuova sede del Teatro Piccolo e io ho dato il via alla marcia attraverso il centro, lui ha appunto esclamato: "Avanti Savoia!" (credo che lo abbia sentito da suo nonno). Noi non siamo esattamente un reparto di cavalleria - non ancora; ma non è impossibile che prima o poi lo diventiamo: l'anno scorso, dato che la 4M comprendeva ben 30 studenti, io li chiamavo veramente "Settimo cavalleggeri". Di sicuro, come motto dà coraggio, non meno del mitico Worbas! ("sempre avanti") degli Estensi, che, come tutti sanno, avevano origine bavarese. Quindi, "Avanti Savoia!" e vediamo il seguito.


Il seguito prevede un encomiabile esercizio di democrazia, con l'assemblea di classe al ristorante dell'hotel. Infatti, c'erano alcune variabili da decidere col gruppo: quindi, approfittando del fatto che i nostri tavoli si trovavano in una sezione della sala separata da una specie di tramezzo, alla fine della cena mi sono alzata, piazzata al centro dei nostri e ho cominciato l'"allocuzione alle truppe". Punto numero 1: programma del giorno dopo, Museo della Scienza la mattina, più Planetario nel primo pomeriggio. Punto numero 2: la Chiara, di 4N, aveva ripetutamente espresso il desiderio di andare a vedere il famoso "Bosco verticale", ovvero i due grattacieli con giardini pensili inaugurati nel 2014 nella zona Centro direzionale di Milano (tra le stazioni di Porta Garibaldi e Centrale, in sostanza). Alla proposta è seguita una votazione: chi voleva andare a vederli? Hanno alzato la mano più o meno 5 o 6 ragazze della N - dal che ho dedotto che fossero state guadagnate alla causa dalla Chiara. Ricordate questo risultato, perché ritroveremo il Bosco verticale - e la Chiara - in altre fasi della nostra storia. Comunque, dato lo scarso successo della proposta e che la zona era lontana dal nostro itinerario, abbiamo lasciato il "Bosco verticale" fuori programma. Al limite, avrei, se possibile, accompagnato il ristretto gruppetto nell'ora libera dopo il Planetario.


Punto numero 3: stabilire gli orari di fine giornata. Dopo il Planetario avevamo in programma dei momenti di relax in centro - = vetrine e "contemplazione" dei negozi, cosa caldamente richiesta da settimane da più studenti -, ma anche l'uscita serale. Perciò, è seguita un'altra votazione, perché dovevamo decidere l'orario di rientro per la cena in funzione dell'eventuale uscita dopo cena. Anche qui, solo 5-6 persone avrebbero preferito rimanere a casa, per cui è stato deciso - e lo si ricordi a imperitura memoria, dato il seguito - che non valeva la pena dividere il gruppo, perciò saremmo usciti a visitare Milano by night tutti insieme. Per favore, ricordatevelo tutti e ricordate soprattutto il processo decisionale seguito. Difatti, il giorno dopo ci sono stati momenti in cui mi sono sentita come Juncker con gl'Inglesi della Brexit (...). In generale, però, questo nostro esercizio democratico di votazione si è svolto col massimo ordine e in modo molto edificante per gli altri avventori (per la serie: noi siamo migliori di Montecitorio...). Devo ammettere però che, fin dal primo ingresso nel pullman avevo tassativamente richiesto al microfono silenzio completo quando parlavo, perché si trattava di annunci organizzativi per il buon funzionamento della gita. E, in effetti, nel corso dei tre giorni ho ripetutamente ottenuto silenzio in queste situazioni. Grazie, raga. 

Dopo la cena è cominciato invece per me il "pellegrinaggio delle sette chiese" per i documenti e il formulario di manleva. Spiego: l'albergo non ci ha chiesto una cauzione, bensì un modulo firmato dai genitori dei minorenni per addossarsi la piena responsabilità del comportamento dei loro pargoli. In effetti, è molto meglio della cauzione: alla direzione dell'albergo l'idea deve essere venuta dopo episodi come quello che ci riferiva Assunta, la ragazza in servizio ai tavoli, secondo la quale tempo prima 200 ragazzi in ritiro calcistico avevano fatto un disastro. Sono perfettamente d'accordo con i moduli di manleva, solo che, dal punto di vista dell'organizzatrice, non si finisce mai di raccoglierli (...). I rappresentanti di classe, Anna per la N e Giandaniele per la M avevano fatto un lavoro accurato: il frutto delle loro fatiche, ovvero due cartelline di documenti in bell'ordine, era stato poi da me religiosamente stipato in valigia e consegnato alla reception subito dopo l'arrivo. Solo che, durante la cena, mi vedo emergere accanto al tavolo la signora di Migliarino con due fogli su cui aveva notato a matita 10 nomi, 5 per classe, di ragazzi senza il modulo. Dopo il primo attimo di sorpresa, leggendo meglio, mi sono resa conto che si trattava dei maggiorenni. Del senno di poi son piene le fosse: ed è vero che, a pensarci dopo, era ovvio che bisognasse presentare i documenti dei maggiorenni alla reception. Però non ci avevamo pensato prima e bisognava farlo ora. Quindi me ne sono incaricata io: ed è qui che è cominciato il pellegrinaggio infinito.


Ecco, quando svolgete queste mansioni, vi rendete conto che non avete mai finito. Ho cominciato da alcune ragazze della N, la suddetta Chiara, poi, se non ricordo male, Emma e Maria Vittoria: le ho trovate davanti al biliardo della hall - un simpatico punto di ritrovo, molto attraente per la N. Mentre parlavo con loro, sono emersi altri due ragazzi, Lucio e Niccolò, maggiorenni pure loro e prontamente da me scortati alla reception. La M, invece, era già in camera a fare la doccia, quindi ho cominciato il giro delle stanze. Primo passaggio: Luca R., Chiara e Francesco mi hanno affidato i documenti senza problemi, Matteo V., invece, era sotto la doccia, per cui sono andata oltre da Gianluca. Ecco: se mi avessero chiesto: "C'è pericolo che qualcuno non abbia la carta d'identità e rischi di passare perciò la notte alla stazione della metro?", senza esitazione avrei risposto: "Gianluca".


Il fatto è che ha la flemma di Linus - senza  coperta -, per cui, quando sono arrivata alla sua porta e il suo compagno di stanza, Niccolò, mi ha spiegato che era anche lui sotto la doccia, io, scettica fino all'osso, ho deciso di aspettare. Solo che la doccia si prolungava: e dopo un bel po', mentre pensavo al Po in secca e al Rio delle Amazzoni a rischio ecologico, ho sollecitato il giovanotto a concludere. A quel punto si è udita una voce dalle profondità immemori del bagno, rivolta all'amico: "Prova a vedere nella tasca della giacca". Frattanto, si era avvicinata alla porta anche Beatrice. Le ho rivolto uno sguardo perplesso: "Come sarebbe a dire: prova a vedere? Non ditemi che non ha i documenti con sé!". Ripeto: per chi era senza documenti, l'alternativa era il pernottamento alla stazione della metro. E io a borbottare con la Bea: "Lo sapevo. Se mi avessero chiesto chi era a rischio di essere senza documenti, avrei detto Gianluca! E ora?". E ora, fortunatamente i documenti c'erano, Niccolò me li ha portati e io, soddisfatta, ho deciso di ripassare da Matteo. Matteo, fortunatamente, è tutt'un altro carattere. Quando ha sentito che ero di nuovo lì, si è precipitato fuori dalla doccia con l'asciugamano in vita. Senonché, tanto zelo ha rischiato di provocare degli effetti controproducenti: perché quando Matteo è arrivato di corsa davanti al comodino...ha rischiato di perdere l'asciugamano. E io, inorridita, sono schizzata via dalla porta, per non assistere alla scena dallo specchio strategicamente posizionato! Assicuro alla mia platea e alla censura che non ho visto assolutamente niente: però, se si ha la stanza in un corridoio di maschi - anzi, io avevo quella proprio all'ingresso del corridoio, come se fossi un'ideale Scilla e Cariddi da attraversare - pare di stare nello spogliatoio di una squadra maschile di calcio. Quasi quasi mi sentivo il coach. 


Dopo avere portato il pacchetto di documenti della M alla reception, ho individuato la penultima ragazza della N al biliardo, Arianna, le ho raccomandato di avvisare anche l'altra, Ludovica  - e poi sono andata a dormire, perché non ne potevo più. Ma non era finita: verso le 11.00 mi chiamano ancora dalla reception. Mancavano ancora i documenti di altri due ragazzi, tra cui Dima. "Ci pensa Lei o ci pensiamo noi?". Memore del fatto che loro hanno il telefono e che io dovevo andarci di persona, facendo letteralmente la circumnavigazione dell'hotel (bellissimo, ma molto grande), ho risposto: "Per favore, pensateci voi. Sto crollando". Difatti: dopo pochi minuti si è sentita aprire la porta di Dima che andava giù. Ma io stavo già scivolando, finalmente, nel mondo dei sogni.
Tutta la storia delle carte d'identità ha un'appendice: il venerdì, Arianna mi ha comunicato di non avere più la sua. A questo punto, io non l'avevo ricevuta, alla reception non l'avevano più, lei non la trovava. Insomma, desaparecida. Non so cosa dire, salvo che l'ho cercata dappertutto inutilmente e che in questo tipo di operazioni c'è sempre qualche "vittima collaterale".


Il mattino dopo, l'abbondante colazione ci ha fornito parecchia energia per l'intensa giornata che ci aspettava: colazioni del genere per me sono pericolose, perché va a finire che mi rimpinzo di biscotti. Comunque, credo di averli abbondantemente metabolizzati nel corso della giornata. Come abbiamo visto, la nostra prima tappa era il Museo della Scienza e della Tecnologia, in zona San Vittore (SO del centro). Adesso è un po' complicato trovare l'accesso, perché è parzialmente nascosto dai lavori in corso per la nuova linea della Metro; ma l'interno è straordinario. A mio avviso, la disposizione degli  oggetti in mostra è persino superiore a quella dell'analogo Museo della Scienza di Vienna. Tra le prime sale, abbiamo visto il telaio Jacquard, divenuto noto con la Rivoluzione Industriale e davanti a cui Beatrice mi ha scattato una foto; la prima in assoluto è invece la "farmacia antica", che mi ricorda molto quella conservata a Ferrara, l'antica Farmacia Navarra, del Settecento. Tra le sezioni che meritano di più di essere ricordate, quella in cui si trova la riproduzione di una sezione dell'acceleratore del CERN di Ginevra, la passione della nostra collega di Matematica Cristina - cui ho prontamente mandato la fotografia. Serena, invece, l'altra collega di Matematica della N, ha commentato: "Siamo circondati da acceleratori!". Difatti, l'acceleratore di particelle di Ginevra è il protagonista delle gite di quinta. Ma questa è un'altra storia. (continua).


                                                   Il modello dell'acceleratore del CERN
Errata corrige alla puntata 1

1) Luca R. mi ha ricordato che lui non era nel gruppo che stava cercando di coprire NN in mutande, dato che la sua stanza era nell'altro corridoio (il 5, non il mio, il 4). Tuttavia, Luca C. ha osservato che in una storia del genere si può anche "romanzare". Io, a dire il vero, mi attengo alla cronaca nella maniera più stretta, quindi riferisco.
2) NN ha precisato che, al momento in cui è rimasto fuori dalla stanza, aveva già la fatto la doccia. E quindi, mi chiedo io, che cosa cappero ci faceva in mutande nel corridoio? Non poteva vestirsi prima di uscire?
3) Altra precisazione folkloristica di NN, su qualcosa che io non potevo - né volevo - assolutamente verificare: il motivo decorativo, nonché la serie, delle sue mutande s'intitola "baci e abbracci" (...).

                                                           
                                                           Io davanti al telaio Jacquard