Una voce misteriosa
dentro al cuore
Assisi, 1205. Il
giovane Francesco di Pietro di Bernardone, scavezzacollo proveniente da una
ricca famiglia di mercanti e che, da ricco rampollo si è comportato per buona
parte della sua esistenza, vaga per la campagna umbra. Da quando è tornato
dalla lunga prigionia, un anno, presso la nemica città di Perugia, e a seguito
di una malattia, è sprofondato in un umore più dimesso, forse malinconico. Non
trova più divertimento nei suoi svaghi abituali con gli amici: piuttosto, legge
il Vangelo, medita, aiuta i poveri, visita i lebbrosi. Nella campagna, gli si
para innanzi una chiesetta diroccata - S.Damiano, dove non si celebra più da
tempo. Il tetto è sfondato, i muri in rovina. Dall'arcone pende ancora un
crocefisso dipinto su tavola. Francesco si fa strada a fatica fra le macerie,
fissa il Crocefisso; poi s'inginocchia a pregare intensamente. Mentre prega, ode
per ben tre volte una voce interna, maschile, che gli intima: " Francesco,
va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina ". Questo è
l'episodio fondamentale della vocazione di S.Francesco d'Assisi, una chiamata
in piena regola ("vocazione" = "chiamata" in latino); il
giovane crede di dovere riparare la piccola chiesetta diroccata, quando invece
il significato dell'appello è ben altro: lo spiegano gli affreschi di Giotto,
in cui papa Innocenzo III vede l'umile fraticello sostenere la pericolante
basilica romana di S.Giovanni in Laterano, la "cattedrale di Roma",
la madre di tutte le chiese. Non è solo
S.Damiano che Francesco deve riparare: è tutta la Chiesa che conta sulla sua
chiamata.
Il sogno di Innocenzo III
Molti si chiedono
(anche tra i miei studenti) se Dio parla al cuore degli esseri umani. La
risposta, a mio avviso, è sì: ma bisogna essere pronti ad ascoltare. In occasione dell'inizio del giubileo della Misericordia, vi voglio regalare una meditazione proprio su questo. Quando ero
ragazza, il mio parroco (morto, benché giovane, da alcuni anni) mi diceva che
Dio parla attraverso i nostri pensieri. E' vero: ce ne sono alle volte alcuni,
che ci colgono alla sprovvista e non possono essere assolutamente farina del
nostro sacco (vuoi perché molto più speranzosi e ottimisti, vuoi perché opposti
alla nostra indole, vuoi perché al di là della nostra portata), ma che ci
aprono nuovi orizzonti: soprattutto, ci illuminano la verità in maniera
inattesa. Sembra allora che ce li suggerisca qualcuno (Qualcuno). Ho in seguito
dovuto riconoscere che il mio parroco di allora, don Massimo, aveva ragione: ho
fatto esperienze del genere centinaia di volte, in maniera del tutto quotidiana
e senza alcuna velleità mistica; e, come me, la fanno migliaia di altri
cristiani. Ma succede anche che, proprio come S.Francesco, persone normalissime
percepiscano in fondo al loro cuore una voce misteriosa (di solito maschile),
ferma, autorevole, che illumina la realtà in maniera inattesa e indica cosa
fare. Di solito, si tratta di una chiamata. Io amo dire che è il Capo.
10 settembre 1946. Madre
Teresa, allora suora della congregazione di Loreto, ha preso il treno alla
volta di Darjeeling, in India, per un corso di esercizi spirituali. Da tempo
medita sulla miseria che vede nelle strade di Calcutta, dove in quei giorni è
in corso una rivolta. Quella notte, lei percepisce quella che chiamerà la
"chiamata nella chiamata":
"Sentivo che il
Signore mi chiedeva di rinunciare alla vita tranquilla all'interno della mia
congregazione religiosa per uscire nelle strade a servire i poveri. Era un
ordine. Non era un suggerimento, un invito o una proposta". "Era un
ordine": sembra di capire che anche madre Teresa abbia udito quella stessa
voce, autorevole e ferma, che le ordinava di dedicare la propria vita ai più
poveri tra i poveri. Non si tratta di una generica ispirazione, ma di un ordine
preciso. La voce misteriosa. Il Capo.
Quando il Capo ordina,
non si può dire di no. Teresa Tomeo, una giornalista convertita e piuttosto
nota nei media US, racconta (traduzione mia):
"L'esperienza di
trasformazione che ho fatto quando mi sono finalmente ridotta al silenzio,
quando ho smesso di parlare e ho ascoltato quel che Dio stava cercando di dirmi
sul mio futuro vale la pena di essere ripetuta. E' stato verso la fine della
mia carriera televisiva secolare. Avevo accumulato molte frustrazioni
nell'ambiente dell'informazione. Dato che ero tornata con passione alla Chiesa,
ritenevo che il Signore avrebbe continuato a servirsi di me come cristiana nei
media secolari. La mia chiamata, così pensavo all'epoca, consisteva nel far
risplendere la luce di Cristo nell'ambiente dell'informazione. Ma ciò non stava
funzionando tanto bene, perché il mondo dell'informazione stava diventando
sempre più animato da sensazionalismo e pregiudizi; i capi redazione non
compravano quel che vendevo ed ero confusa. Una sera, mentre stavo preparando
la cena, invocai Dio e gli chiesi di mostrarmi che cosa dovevo fare della mia
vita. E' importante sottolineare che Tv e radio erano spente in quel momento.
C'ero solo io, i miei singhiozzi, e Dio. Dopo essermi fatta un buon pianto, mi
tranquillizzai e continuai a cucinare. Allora fui raggiunta dalle parole:
"Non mi posso più servire di te nei media secolari". Le parole erano
così chiare che parevano provenire da una voce udibile nella stanza".
Non si tratta di
allucinazioni (cioè percezioni senza un oggetto esterno), anche se, non essendo
una psichiatra, non sono in grado di dimostrarlo. Le allucinazioni, che, a dire
il vero, possono verificarsi sporadicamente pure in soggetti sani, sono
normalmente legate a psicopatologie (una fra tutte: la schizofrenia, ma non
solo) o a forti stress (come la privazione prolungata di sonno): ma io
insisterei su di un altro fatto. La percezione di questa voce misteriosa
possiede, per chi la riceve, una potenza motivazionale, una pienezza di senso, una
verità e una corrispondenza al contesto reale che vanno ben al di là delle
allucinazioni (normalmente avulse dalla realtà). Questa voce mostra una strada,
una strada che rimane ancora oltre il singolo, ma comunque realistica e possibile.
Chi ode questa voce è invitato a capire il nocciolo della propria esistenza e a
rimetterla in gioco per andare oltre: per raggiungere nuovi, più ampi orizzonti.
Del resto, rimane la domanda, la cui risposta è avvolta nel mistero: chi o cosa
suscita questa "voce"? Una semplice condizione patologica o piuttosto
"Qualcuno"?
Fine aprile del 1858, Alençon,
cittadina della Normandia. La giovane merlettaia Zélie Guérin sta passando sul
ponte di S.Leonardo. Da tempo medita sulla sua vocazione: avrebbe desiderato farsi
religiosa, ma è stata rifiutata dal convento. Poco per volta si avvicina alla
possibilità della vocazione matrimoniale. Sul ponte, la ragazza incrocia un
elegante orologiaio del vicinato, Luigi Martin. Subito le pare di udire una voce:
"E' questo che ti ho preparato". I due giovani si conoscono: "L'intesa
è subitanea e totale, come se si conoscessero da tempo"; dopo tre mesi si
sposano. Sono i genitori di S.Teresa del Bambin Gesù. Anche in questo caso, la
voce ha parlato in maniera straordinariamente consona a una realtà di cui Zélie
non poteva essere ancora a conoscenza.
Episodi del genere sono
però narrati anche da persone di culture molto diverse. Nelle ultime settimane
sto leggendo il bel libro della giapponese Marie Kondo, Il magico potere del riordino, che spiega come riordinare la
propria casa in maniera definitiva. E' un libro straordinario, che ha anche
delle profonde valenze spirituali: riordinare significa infatti anche e
soprattutto sbarazzarsi del superfluo, rimettere in ordine la propria vita e le
proprie priorità, purificarsi. L'autrice racconta che, a un certo punto della
sua esperienza non era ancora riuscita a trovare il metodo giusto per liberarsi
degli oggetti superflui:
"In tre anni di riordino
compulsivo sarei dovuta riuscire a liberarmi di tutti gli oggetti superflui,
invece in quella stanza mi trovavo più a disagio che mai. Mi lasciai cadere a
terra e, seduta a gambe incrociate sul pavimento con un braccio ripiegato sopra
la testa, mi misi a pensare: "Qualcuno mi dica dove ho sbagliato! Mi sono
impegnata così tanto...Perché la mia stanza è ancora in disordine?". Pur
non avendo mai pronunciato queste parole ad alta voce, il mio cuore - attaccato
a un filo di speranza - urlava. In quel momento, ebbi l'impressione che nella
stanza echeggiasse una voce che diceva: "Guarda meglio le tue cose".
Dopo essersi addormentata
e risvegliata, Marie comprese che, per riordinare davvero, doveva scegliere di
tenere le cose che per lei erano davvero preziose, importanti. Insomma, anche
in questo caso la voce si era fatta sentire in un momento cruciale, per
indicare la strada giusta. La Kondo è giapponese, molto lontana dalla cultura
europea o giudaico-cristiana (dovrebbe essere shintoista): eppure questa esperienza
fondamentale è capitata anche a lei. Credo che nessuno l'attribuirebbe a
un'allucinazione, dato che la sua opera è fuori dal comune e l'autrice è stata
compresa dal Time Magazine tra le 100 persone più influenti del pianeta.
E' un'esperienza che ho
fatto anch'io, per due volte: la prima nel marzo 2001, la seconda nell'aprile
2014 (nel mio caso, però, si è trattato di "grappoli" di percezioni,
cioè la voce si è fatta viva due o tre volte in un lasso di tempo di alcune
settimane in cui io meditavo a fondo sulla mia vita). Avendo vissuto quest'esperienza
dall'interno, posso confermare che non ha assolutamente l'aspetto di
un'allucinazione. Si è perfettamente consapevoli che l'idea non viene da noi: è
come se un input esterno ci fosse rispettosamente
suggerito da fuori e si trasformasse in una frase precisa nella nostra mente. La
meccanica di formazione è molto chiara, trasparente e non induce alcuna
confusione.
Nonostante la curiosità
del mio allievo di 3O Dario (!), non posso ancora riferire del 2014; tuttavia, il
24 marzo 2001, mi stavo recando a una riunione sulla corrispondenza coi
condannati a morte. Ma ero in ritardo (di 45 minuti!), ero stanca, mi sentivo
poco bene, faceva freddo (era una brutta giornata, umida e ventosa) e dovevo
raggiungere a piedi il luogo d'incontro, in un paesino fuori Friburgo in cima a
una salita che non finiva più: insomma, a un certo punto, scorgendo tra i rami
spogli degli alberi la torre della Cattedrale di Friburgo, decisi tra me e me:
"Io vado a casa". A quel punto, una voce interna (ferma, autorevole)
obiettò: "No, tu vai avanti". "Ma no, io vado a casa"
obiettai. Di nuovo, la voce ribadì: "No, tu vai avanti". Non potei
disobbedire. Sospirai e andai avanti: dopo poco trovai l'istituto della
riunione. Quel giorno decisi di aderire al programma di corrispondenza ed è una
delle migliori decisioni che abbia mai preso. In quel volontariato ho fatto
un'esperienza splendida, che mi ha aperto nuove dimensioni, anche creative.
Saint-Roche, la chiesa della conversione di A.Manzoni
A supporto di quanto ho
raccontato finora vorrei infine inserire due testimonianze molto affascinanti,
provenienti dal mondo della letteratura. La prima ci viene da Alessandro Manzoni,
il nostro autore nazionale. Pochi hanno osservato che una simile "locuzione interiore"
viene vissuta anche dall'Innominato al cuore dei Promessi sposi. Quando infatti Lucia, appena fatta rapire da lui
per conto del malvagio Don Rodrigo, sta per giungere al suo castello,
l'Innominato, questo signorotto prepotente, che organizza malefatte continue,
ma che, ben presto, si convertirà, osserva con
un'agitazione insolita da una finestra del castello la carrozza che si
avvicina e vive quanto segue.
E
voleva chiamare uno de’ suoi sgherri, e spedirlo subito incontro alla carrozza,
a ordinare al Nibbio che voltasse, e conducesse colei al palazzo di don
Rodrigo. Ma un no imperioso che risonò
nella sua mente, fece svanire quel disegno.
(cap.
20)
Quando poco dopo
l'Innominato riceve il capo dei suoi bravi, il Nibbio, che è stato preso dalla
compassione per Lucia, egli vorrebbe ancora disfarsi subito della ragazza e
mandarla a Don Rodrigo: non sa ancora che la giovane, con la sua fede umile,
sarà il mezzo della sua conversione. Allora:
E alzando la testa, in
atto di comando, verso il Nibbio, - ora, - gli disse, - metti da parte la
compassione: monta a cavallo, prendi un compagno, due se vuoi; e va’ di corsa a
casa di quel don Rodrigo che tu sai. Digli che mandi... ma subito subito,
perché altrimenti...
Ma
un altro no interno più imperioso del primo gli proibì di finire. - No, - disse con voce risoluta,
quasi per esprimere a se stesso il comando di quella voce segreta, - no: va’ a
riposarti; e domattina... farai quello che ti dirò!
(cap.21; il grassetto è mio).
Siamo al centro del
romanzo, che racconta come due poveri giovani della Lombardia del 1600, Renzo e
Lucia, non possano sposarsi per la persecuzione dei potenti, primo tra tutti il
signorotto del loro paese, don Rodrigo: e questi ha fatto rapire Lucia
dall'Innominato, un principe (nella realtà era un Visconti) che vive da fuori
legge ed è tanto potente e temuto che l'autore non ne fa il vero nome. Ma la
conversione dell'Innominato è il punto chiave del romanzo, il momento in cui la vicenda trova il suo
rivolgimento: da allora, il principe diventa un aiuto per Lucia. Pochi l'hanno
notato, ma quel "no" imperioso è il fulcro della vicenda, quello che
genera il rivolgimento: è il Capo che parla.
Secondo testimonianze
(che devo ripescare, ma di cui sono sicura) contemporanee a Manzoni, egli
avrebbe affermato che l'Innominato era il personaggio ispirato più da vicino
alla propria personalità: e, senza dubbio, lo scrittore ha fatto riferimento
alla propria conversione per descrivere quella tormentata del suo personaggio.
Come è noto, il momento fondamentale della conversione di Manzoni sarebbe
avvenuto il 2 aprile 1810, durante le celebrazioni parigine per il matrimonio
tra Napoleone e Maria Luisa d'Austria; Manzoni avrebbe perso la moglie
Enrichetta tra la folla e, in preda al panico, si sarebbe rifugiato nella
chiesa di Saint-Roche, vicina alle Tuiléries: qui sarebbe avvenuto qualcosa che
lo avrebbe definitivamente avvicinato a Dio. Che cosa sia stato rimane un
mistero e, del resto, tutti i biografi si affrettano a spiegare che il processo
di ritorno alla fede dell'autore deve essere stato lungo, frutto di prolungate
meditazioni: eppure, qualcosa di specifico che ha rappresentato il punto di
svolta deve essere successo. Il parallelo con l'Innominato mi spinge a credere
che anche lo scrittore abbia udito una voce imperiosa, come quella che tuonava
nell'animo dell'Innominato il suo "no"; quella che, durante la sua
vita dissoluta, talvolta pareva sussurrargli "Io sono, però".
Quel
Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava di
negare né di riconoscere, occupato soltanto a vivere come se non ci fosse, ora,
in certi momenti d’abbattimento senza motivo, di terrore senza pericolo, gli
pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però (cap. 20).
"Io sono": il
nome del Dio biblico.
Il castello dell'Innominato nell'illustrazione di Gonin
L'altro esempio,
straordinario, che ci viene dalla letteratura, proviene dal mondo degli ultimi,
dalle "periferie", come direbbe Papa Francesco: è Filumena Marturano, di Eduardo De
Filippo, una delle sue opere teatrali più belle, portata in scena per la prima
volta nel 1946. E' la storia di una prostituta che, faticosamente, riesce a crescere
dignitosamente i suoi tre figli e a farsi sposare da uno dei suoi clienti, dopo
una vita di stenti, cominciata nei bassi napoletani, da dove i suoi genitori la
spinsero sulla via della prostituzione quando aveva solo 17 anni. Lei racconta
come decise di tenersi il suo primo bambino, quando le colleghe la
consigliavano di abortire: è il celeberrimo monologo della "Madonna delle
Rose", che bisogna assolutamente vedere nell'interpretazione di Mariangela
Melato o, ancora meglio, in napoletano, in quella storica di Titina de' Filippo.
Erano le
tre dopo mezzanotte.
Camminavo
da sola per la strada. Ero già andata via da casa da sei mesi.
(Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era la prima volta. E che faccio? A chi chiedo un consiglio? Mi tornavano in mente i consigli delle mie amiche: "Cosa aspetti! Ti togli il pensiero! Io conosco uno molto bravo..."
(Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era la prima volta. E che faccio? A chi chiedo un consiglio? Mi tornavano in mente i consigli delle mie amiche: "Cosa aspetti! Ti togli il pensiero! Io conosco uno molto bravo..."
Per
combinazione, camminando camminando, mi ritrovai nel mio vicolo, davanti all'altarino
della Madonna delle rose. L'affrontai così (Punta i pugni sui fianchi e
solleva lo sguardo verso una immaginaria effige, come per parlare alla
Vergine da donna a donna):
"Cosa
devo fare? Tu sai tutto...Sai pure perché ho peccato. Cosa devo fare?". Ma
Lei zitta, non rispondeva.
(Eccitata) "Tu fai così, è vero? Più non parli e
più la gente ti crede?...Sto parlando con te! (Con arroganza vibrante) Rispondi!".
(Rifacendo
macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel
momento, parlò da ignota provenienza) «'E
figlie so' ffiglie!».
Mi bloccai.
Rimasi così, ferma.
(S'irrigidisce
fissando l'effige immaginaria) Forse se
mi giravo avrei visto o capito da dove veniva la voce: da una casa con un
balcone lasciato aperto, dal vicolo vicino, da una finestra...Ma pensai:
"E perchè proprio in questo momento? Che ne sa la gente dei miei problemi?
E'stata Lei, allora...E'stata la Madonna! Si è vista affrontata di faccia e ha
voluto parlare...Ma, allora, la Madonna per parlare si serve di noi...E quando
qualcuno mi ha detto: "Ti togli il pensiero!", era sempre lei a
parlare, per mettermi alla prova! ...E non so se fui io o la Madonna delle rose
a fare così con la testa! (Fa un cenno col capo come dire: "Si, hai
compreso") 'E figlie so' ffiglie!» E
giurai solennemente.
Qui il link al monologo nella versione di Regina Bianchi.
Qui invece l'interpretazione in italiano di Mariangela Melato.
Questo monologo venne recitato da Titina de' Filippo
davanti a Pio XII. Eduardo, uno dei più grandi uomini di teatro del '900, non può
che avere tratto l'argomento dalla strada di Napoli, quella che lui conosceva
tanto bene: dietro questo monologo si sente un fatto vero. Ma anche se non fosse,
questa è la verità dell'arte, quella che parla della vita vera: e fa venire i
brividi. Come fa venire i brividi il fatto che, nelle nostre notti, si faccia
all'improvviso sentire, preziosa, ferma, sicura, autorevole, una voce dentro al
cuore: "Io sono".
R.Allegri, Madre Teresa mi ha detto, Ancora Editrice, 2010.
S.Bonaventura da Bagnoregio, Legenda
Maior. E.De Filippo, Filumena Marturano, in Eduardo De Filippo, Teatro (Volume secondo) - Cantata dei giorni dispari (Tomo primo), Mondadori, 2005.
A.Manzoni, Promessi sposi, cap. XX-XXI.
M.Kondo, Il magico potere del riordino. Il metodo giapponese che trasforma i vostri spazi e la vostra vita, Vallardi, 2014, cit. pp.59-60.
G.Pesenti, I Beati coniugi Luigi Martin e Zelia Guérin, Velar, 2014, cit. p.22.
T.Tomeo, Extreme Makeover, Ignatius Press, 2011, cit. p.143-44.
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