domenica 13 dicembre 2015

Una voce misteriosa dentro al cuore


Una voce misteriosa dentro al cuore
Assisi, 1205. Il giovane Francesco di Pietro di Bernardone, scavezzacollo proveniente da una ricca famiglia di mercanti e che, da ricco rampollo si è comportato per buona parte della sua esistenza, vaga per la campagna umbra. Da quando è tornato dalla lunga prigionia, un anno, presso la nemica città di Perugia, e a seguito di una malattia, è sprofondato in un umore più dimesso, forse malinconico. Non trova più divertimento nei suoi svaghi abituali con gli amici: piuttosto, legge il Vangelo, medita, aiuta i poveri, visita i lebbrosi. Nella campagna, gli si para innanzi una chiesetta diroccata - S.Damiano, dove non si celebra più da tempo. Il tetto è sfondato, i muri in rovina. Dall'arcone pende ancora un crocefisso dipinto su tavola. Francesco si fa strada a fatica fra le macerie, fissa il Crocefisso; poi s'inginocchia a pregare intensamente. Mentre prega, ode per ben tre volte una voce interna, maschile, che gli intima: " Francesco, va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina ". Questo è l'episodio fondamentale della vocazione di S.Francesco d'Assisi, una chiamata in piena regola ("vocazione" = "chiamata" in latino); il giovane crede di dovere riparare la piccola chiesetta diroccata, quando invece il significato dell'appello è ben altro: lo spiegano gli affreschi di Giotto, in cui papa Innocenzo III vede l'umile fraticello sostenere la pericolante basilica romana di S.Giovanni in Laterano, la "cattedrale di Roma", la  madre di tutte le chiese. Non è solo S.Damiano che Francesco deve riparare: è tutta la Chiesa che conta sulla sua chiamata.

Il sogno di Innocenzo III

Molti si chiedono (anche tra i miei studenti) se Dio parla al cuore degli esseri umani. La risposta, a mio avviso, è sì: ma bisogna essere pronti ad ascoltare. In occasione dell'inizio del giubileo della Misericordia, vi voglio regalare una meditazione proprio su questo. Quando ero ragazza, il mio parroco (morto, benché giovane, da alcuni anni) mi diceva che Dio parla attraverso i nostri pensieri. E' vero: ce ne sono alle volte alcuni, che ci colgono alla sprovvista e non possono essere assolutamente farina del nostro sacco (vuoi perché molto più speranzosi e ottimisti, vuoi perché opposti alla nostra indole, vuoi perché al di là della nostra portata), ma che ci aprono nuovi orizzonti: soprattutto, ci illuminano la verità in maniera inattesa. Sembra allora che ce li suggerisca qualcuno (Qualcuno). Ho in seguito dovuto riconoscere che il mio parroco di allora, don Massimo, aveva ragione: ho fatto esperienze del genere centinaia di volte, in maniera del tutto quotidiana e senza alcuna velleità mistica; e, come me, la fanno migliaia di altri cristiani. Ma succede anche che, proprio come S.Francesco, persone normalissime percepiscano in fondo al loro cuore una voce misteriosa (di solito maschile), ferma, autorevole, che illumina la realtà in maniera inattesa e indica cosa fare. Di solito, si tratta di una chiamata. Io amo dire che è il Capo.
10 settembre 1946. Madre Teresa, allora suora della congregazione di Loreto, ha preso il treno alla volta di Darjeeling, in India, per un corso di esercizi spirituali. Da tempo medita sulla miseria che vede nelle strade di Calcutta, dove in quei giorni è in corso una rivolta. Quella notte, lei percepisce quella che chiamerà la "chiamata nella chiamata":
"Sentivo che il Signore mi chiedeva di rinunciare alla vita tranquilla all'interno della mia congregazione religiosa per uscire nelle strade a servire i poveri. Era un ordine. Non era un suggerimento, un invito o una proposta". "Era un ordine": sembra di capire che anche madre Teresa abbia udito quella stessa voce, autorevole e ferma, che le ordinava di dedicare la propria vita ai più poveri tra i poveri. Non si tratta di una generica ispirazione, ma di un ordine preciso. La voce misteriosa. Il Capo.
Quando il Capo ordina, non si può dire di no. Teresa Tomeo, una giornalista convertita e piuttosto nota nei media US, racconta (traduzione mia):
"L'esperienza di trasformazione che ho fatto quando mi sono finalmente ridotta al silenzio, quando ho smesso di parlare e ho ascoltato quel che Dio stava cercando di dirmi sul mio futuro vale la pena di essere ripetuta. E' stato verso la fine della mia carriera televisiva secolare. Avevo accumulato molte frustrazioni nell'ambiente dell'informazione. Dato che ero tornata con passione alla Chiesa, ritenevo che il Signore avrebbe continuato a servirsi di me come cristiana nei media secolari. La mia chiamata, così pensavo all'epoca, consisteva nel far risplendere la luce di Cristo nell'ambiente dell'informazione. Ma ciò non stava funzionando tanto bene, perché il mondo dell'informazione stava diventando sempre più animato da sensazionalismo e pregiudizi; i capi redazione non compravano quel che vendevo ed ero confusa. Una sera, mentre stavo preparando la cena, invocai Dio e gli chiesi di mostrarmi che cosa dovevo fare della mia vita. E' importante sottolineare che Tv e radio erano spente in quel momento. C'ero solo io, i miei singhiozzi, e Dio. Dopo essermi fatta un buon pianto, mi tranquillizzai e continuai a cucinare. Allora fui raggiunta dalle parole: "Non mi posso più servire di te nei media secolari". Le parole erano così chiare che parevano provenire da una voce udibile nella stanza".
Non si tratta di allucinazioni (cioè percezioni senza un oggetto esterno), anche se, non essendo una psichiatra, non sono in grado di dimostrarlo. Le allucinazioni, che, a dire il vero, possono verificarsi sporadicamente pure in soggetti sani, sono normalmente legate a psicopatologie (una fra tutte: la schizofrenia, ma non solo) o a forti stress (come la privazione prolungata di sonno): ma io insisterei su di un altro fatto. La percezione di questa voce misteriosa possiede, per chi la riceve, una potenza motivazionale, una pienezza di senso, una verità e una corrispondenza al contesto reale che vanno ben al di là delle allucinazioni (normalmente avulse dalla realtà). Questa voce mostra una strada, una strada che rimane ancora oltre il singolo, ma comunque realistica e possibile. Chi ode questa voce è invitato a capire il nocciolo della propria esistenza e a rimetterla in gioco per andare oltre: per raggiungere nuovi, più ampi orizzonti. Del resto, rimane la domanda, la cui risposta è avvolta nel mistero: chi o cosa suscita questa "voce"? Una semplice condizione patologica o piuttosto "Qualcuno"?

Fine aprile del 1858, Alençon, cittadina della Normandia. La giovane merlettaia Zélie Guérin sta passando sul ponte di S.Leonardo. Da tempo medita sulla sua vocazione: avrebbe desiderato farsi religiosa, ma è stata rifiutata dal convento. Poco per volta si avvicina alla possibilità della vocazione matrimoniale. Sul ponte, la ragazza incrocia un elegante orologiaio del vicinato, Luigi Martin. Subito le pare di udire una voce: "E' questo che ti ho preparato". I due giovani si conoscono: "L'intesa è subitanea e totale, come se si conoscessero da tempo"; dopo tre mesi si sposano. Sono i genitori di S.Teresa del Bambin Gesù. Anche in questo caso, la voce ha parlato in maniera straordinariamente consona a una realtà di cui Zélie non poteva essere ancora a conoscenza.

Episodi del genere sono però narrati anche da persone di culture molto diverse. Nelle ultime settimane sto leggendo il bel libro della giapponese Marie Kondo, Il magico potere del riordino, che spiega come riordinare la propria casa in maniera definitiva. E' un libro straordinario, che ha anche delle profonde valenze spirituali: riordinare significa infatti anche e soprattutto sbarazzarsi del superfluo, rimettere in ordine la propria vita e le proprie priorità, purificarsi. L'autrice racconta che, a un certo punto della sua esperienza non era ancora riuscita a trovare il metodo giusto per liberarsi degli oggetti superflui:
"In tre anni di riordino compulsivo sarei dovuta riuscire a liberarmi di tutti gli oggetti superflui, invece in quella stanza mi trovavo più a disagio che mai. Mi lasciai cadere a terra e, seduta a gambe incrociate sul pavimento con un braccio ripiegato sopra la testa, mi misi a pensare: "Qualcuno mi dica dove ho sbagliato! Mi sono impegnata così tanto...Perché la mia stanza è ancora in disordine?". Pur non avendo mai pronunciato queste parole ad alta voce, il mio cuore - attaccato a un filo di speranza - urlava. In quel momento, ebbi l'impressione che nella stanza echeggiasse una voce che diceva: "Guarda meglio le tue cose".
Dopo essersi addormentata e risvegliata, Marie comprese che, per riordinare davvero, doveva scegliere di tenere le cose che per lei erano davvero preziose, importanti. Insomma, anche in questo caso la voce si era fatta sentire in un momento cruciale, per indicare la strada giusta. La Kondo è giapponese, molto lontana dalla cultura europea o giudaico-cristiana (dovrebbe essere shintoista): eppure questa esperienza fondamentale è capitata anche a lei. Credo che nessuno l'attribuirebbe a un'allucinazione, dato che la sua opera è fuori dal comune e l'autrice è stata compresa dal Time Magazine tra le 100 persone più influenti del pianeta.
E' un'esperienza che ho fatto anch'io, per due volte: la prima nel marzo 2001, la seconda nell'aprile 2014 (nel mio caso, però, si è trattato di "grappoli" di percezioni, cioè la voce si è fatta viva due o tre volte in un lasso di tempo di alcune settimane in cui io meditavo a fondo sulla mia vita). Avendo vissuto quest'esperienza dall'interno, posso confermare che non ha assolutamente l'aspetto di un'allucinazione. Si è perfettamente consapevoli che l'idea non viene da noi: è come se un input esterno ci fosse rispettosamente suggerito da fuori e si trasformasse in una frase precisa nella nostra mente. La meccanica di formazione è molto chiara, trasparente e non induce alcuna confusione.
Nonostante la curiosità del mio allievo di 3O Dario (!), non posso ancora riferire del 2014; tuttavia, il 24 marzo 2001, mi stavo recando a una riunione sulla corrispondenza coi condannati a morte. Ma ero in ritardo (di 45 minuti!), ero stanca, mi sentivo poco bene, faceva freddo (era una brutta giornata, umida e ventosa) e dovevo raggiungere a piedi il luogo d'incontro, in un paesino fuori Friburgo in cima a una salita che non finiva più: insomma, a un certo punto, scorgendo tra i rami spogli degli alberi la torre della Cattedrale di Friburgo, decisi tra me e me: "Io vado a casa". A quel punto, una voce interna (ferma, autorevole) obiettò: "No, tu vai avanti". "Ma no, io vado a casa" obiettai. Di nuovo, la voce ribadì: "No, tu vai avanti". Non potei disobbedire. Sospirai e andai avanti: dopo poco trovai l'istituto della riunione. Quel giorno decisi di aderire al programma di corrispondenza ed è una delle migliori decisioni che abbia mai preso. In quel volontariato ho fatto un'esperienza splendida, che mi ha aperto nuove dimensioni, anche creative.

Saint-Roche, la chiesa della conversione di A.Manzoni

A supporto di quanto ho raccontato finora vorrei infine inserire due testimonianze molto affascinanti, provenienti dal mondo della letteratura. La prima ci viene da Alessandro Manzoni, il nostro autore nazionale. Pochi hanno osservato che  una simile "locuzione interiore" viene vissuta anche dall'Innominato al cuore dei Promessi sposi. Quando infatti Lucia, appena fatta rapire da lui per conto del malvagio Don Rodrigo, sta per giungere al suo castello, l'Innominato, questo signorotto prepotente, che organizza malefatte continue, ma che, ben presto, si convertirà, osserva con  un'agitazione insolita da una finestra del castello la carrozza che si avvicina e vive quanto segue.
E voleva chiamare uno de’ suoi sgherri, e spedirlo subito incontro alla carrozza, a ordinare al Nibbio che voltasse, e conducesse colei al palazzo di don Rodrigo. Ma un no imperioso che risonò nella sua mente, fece svanire quel disegno. (cap. 20)
Quando poco dopo l'Innominato riceve il capo dei suoi bravi, il Nibbio, che è stato preso dalla compassione per Lucia, egli vorrebbe ancora disfarsi subito della ragazza e mandarla a Don Rodrigo: non sa ancora che la giovane, con la sua fede umile, sarà il mezzo della sua conversione. Allora:
E alzando la testa, in atto di comando, verso il Nibbio, - ora, - gli disse, - metti da parte la compassione: monta a cavallo, prendi un compagno, due se vuoi; e va’ di corsa a casa di quel don Rodrigo che tu sai. Digli che mandi... ma subito subito, perché altrimenti...

Ma un altro no interno più imperioso del primo gli proibì di finire. - No, - disse con voce risoluta, quasi per esprimere a se stesso il comando di quella voce segreta, - no: va’ a riposarti; e domattina... farai quello che ti dirò! (cap.21; il grassetto è mio).

Siamo al centro del romanzo, che racconta come due poveri giovani della Lombardia del 1600, Renzo e Lucia, non possano sposarsi per la persecuzione dei potenti, primo tra tutti il signorotto del loro paese, don Rodrigo: e questi ha fatto rapire Lucia dall'Innominato, un principe (nella realtà era un Visconti) che vive da fuori legge ed è tanto potente e temuto che l'autore non ne fa il vero nome. Ma la conversione dell'Innominato è il punto chiave del romanzo, il momento in cui la vicenda trova il suo rivolgimento: da allora, il principe diventa un aiuto per Lucia. Pochi l'hanno notato, ma quel "no" imperioso è il fulcro della vicenda, quello che genera il rivolgimento: è il Capo che parla.
Secondo testimonianze (che devo ripescare, ma di cui sono sicura) contemporanee a Manzoni, egli avrebbe affermato che l'Innominato era il personaggio ispirato più da vicino alla propria personalità: e, senza dubbio, lo scrittore ha fatto riferimento alla propria conversione per descrivere quella tormentata del suo personaggio. Come è noto, il momento fondamentale della conversione di Manzoni sarebbe avvenuto il 2 aprile 1810, durante le celebrazioni parigine per il matrimonio tra Napoleone e Maria Luisa d'Austria; Manzoni avrebbe perso la moglie Enrichetta tra la folla e, in preda al panico, si sarebbe rifugiato nella chiesa di Saint-Roche, vicina alle Tuiléries: qui sarebbe avvenuto qualcosa che lo avrebbe definitivamente avvicinato a Dio. Che cosa sia stato rimane un mistero e, del resto, tutti i biografi si affrettano a spiegare che il processo di ritorno alla fede dell'autore deve essere stato lungo, frutto di prolungate meditazioni: eppure, qualcosa di specifico che ha rappresentato il punto di svolta deve essere successo. Il parallelo con l'Innominato mi spinge a credere che anche lo scrittore abbia udito una voce imperiosa, come quella che tuonava nell'animo dell'Innominato il suo "no"; quella che, durante la sua vita dissoluta, talvolta pareva sussurrargli "Io sono, però".
Quel Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava di negare né di riconoscere, occupato soltanto a vivere come se non ci fosse, ora, in certi momenti d’abbattimento senza motivo, di terrore senza pericolo, gli pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però (cap. 20).
"Io sono": il nome del Dio biblico.
Il castello dell'Innominato nell'illustrazione di Gonin
L'altro esempio, straordinario, che ci viene dalla letteratura, proviene dal mondo degli ultimi, dalle "periferie", come direbbe Papa Francesco: è Filumena Marturano, di Eduardo De Filippo, una delle sue opere teatrali più belle, portata in scena per la prima volta nel 1946. E' la storia di una prostituta che, faticosamente, riesce a crescere dignitosamente i suoi tre figli e a farsi sposare da uno dei suoi clienti, dopo una vita di stenti, cominciata nei bassi napoletani, da dove i suoi genitori la spinsero sulla via della prostituzione quando aveva solo 17 anni. Lei racconta come decise di tenersi il suo primo bambino, quando le colleghe la consigliavano di abortire: è il celeberrimo monologo della "Madonna delle Rose", che bisogna assolutamente vedere nell'interpretazione di Mariangela Melato o, ancora meglio, in napoletano, in quella storica di Titina de' Filippo.
Erano le tre dopo mezzanotte.

Camminavo da sola per la strada. Ero già andata via da casa da sei mesi.
(Alludendo alla sua prima sensazione di maternità) Era la prima volta. E che faccio? A chi chiedo un consiglio? Mi tornavano in mente i consigli delle mie amiche: "Cosa aspetti! Ti togli il pensiero! Io conosco uno molto bravo..."

Per combinazione, camminando camminando, mi ritrovai nel mio vicolo, davanti all'altarino della Madonna delle rose. L'affrontai così (Punta i pugni sui fianchi e solleva lo sguardo verso  una immaginaria effige, come per parlare alla Vergine da donna a donna):

"Cosa devo fare? Tu sai tutto...Sai pure perché ho peccato. Cosa devo fare?". Ma Lei zitta, non rispondeva.

(Eccitata) "Tu fai così, è vero? Più non parli e più la gente ti crede?...Sto parlando con te! (Con arroganza vibrante) Rispondi!".

(Rifacendo macchinalmente il tono di voce di qualcuno a lei sconosciuto che, in quel momento, parlò da ignota provenienza) «'E figlie so' ffiglie!».

Mi bloccai. Rimasi così, ferma.

(S'irrigidisce fissando l'effige immaginaria) Forse se mi giravo avrei visto o capito da dove veniva la voce: da una casa con un balcone lasciato aperto, dal vicolo vicino, da una finestra...Ma pensai: "E perchè proprio in questo momento? Che ne sa la gente dei miei problemi? E'stata Lei, allora...E'stata la Madonna! Si è vista affrontata di faccia e ha voluto parlare...Ma, allora, la Madonna per parlare si serve di noi...E quando qualcuno mi ha detto: "Ti togli il pensiero!", era sempre lei a parlare, per mettermi alla prova! ...E non so se fui io o la Madonna delle rose a fare così con la testa! (Fa un cenno col capo come dire: "Si, hai compreso") 'E figlie so' ffiglie!» E giurai solennemente.
Qui il link al monologo nella versione di Regina Bianchi.
Qui invece l'interpretazione in italiano di Mariangela Melato.

Questo monologo venne recitato da Titina de' Filippo davanti a Pio XII. Eduardo, uno dei più grandi uomini di teatro del '900, non può che avere tratto l'argomento dalla strada di Napoli, quella che lui conosceva tanto bene: dietro questo monologo si sente un fatto vero. Ma anche se non fosse, questa è la verità dell'arte, quella che parla della vita vera: e fa venire i brividi. Come fa venire i brividi il fatto che, nelle nostre notti, si faccia all'improvviso sentire, preziosa, ferma, sicura, autorevole, una voce dentro al cuore: "Io sono".

R.Allegri, Madre Teresa mi ha detto, Ancora Editrice, 2010.
S.Bonaventura da Bagnoregio, Legenda Maior.
E.De Filippo, Filumena Marturano, in Eduardo De Filippo, Teatro (Volume secondo) - Cantata dei giorni dispari (Tomo primo), Mondadori, 2005.
A.Manzoni, Promessi sposi, cap. XX-XXI.
M.Kondo, Il magico potere del riordino. Il metodo giapponese che trasforma i vostri spazi e la vostra vita, Vallardi, 2014, cit. pp.59-60.
G.Pesenti, I Beati coniugi  Luigi Martin e Zelia Guérin, Velar, 2014, cit. p.22.
T.Tomeo, Extreme Makeover, Ignatius Press, 2011, cit. p.143-44.

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