venerdì 4 dicembre 2015

John e la storia di un errore giudiziario (dal mio romanzo "I bimbi di ieri")



John e la storia di un errore giudiziario

(Antefatto: John Marshall è detenuto da anni nel carcere di massima sicurezza di Raiford, Florida, nel braccio della morte, anche se è innocente. E' noto tra i compagni di prigionia per la sua intelligenza e competenza in diritto, per cui aiuta spesso gli altri. Il suo nuovo vicino di cella è Tobias, la cui vicenda viene qui riportata: purtroppo, essa è basata su di una storia vera).

Nel nuovo corridoio, John si trovava bene. Era abitato da anziani, quindi tranquillo, e parecchi avevano l'aria di essere persone interessanti, da cui imparare qualcosa. La sua cella era l'ultima, quindi aveva un solo vicino: Tobias Keller, uno dei più attempati di tutto il death-row. John conosceva la sua storia, come quella di tanti altri: l'aveva letta nelle sentenze e la considerava ancora più raccapricciante della propria.

Era un pomeriggio tranquillo e sonnolento, dopo pranzo: faceva caldo e John era riverso sul suo letto a leggere l'ennesimo libro (un giallo di Dennis Lehane, un figlio di Irlandesi, come lui). Il caldo era tale che indossava solo i boxers e, sopra, dei pantaloncini corti: non udiva nulla dalla cella alla sua sinistra e supponeva che Tobias stesse dormendo. Verso le 3.00, invece, udì un fruscio e dei movimenti lenti, come se il suo vicino si stesse cautamente avvicinando alle sbarre. Il giovane lasciò aperto il libro sul petto, incrociò le braccia sotto il capo e cominciò a riflettere.

Keller (il cognome doveva essere tedesco), vissuto a Pensacola, era nel braccio della morte dal lontano 1977: quasi 30 anni. Ed era innocente. Chiunque se ne sarebbe accorto, leggendo le carte che lo riguardavano: ma, evidentemente ciò non bastava a chi lo aveva messo dentro. La sua vicenda era tanto assurda che lo stesso John, dopo tutto quello cui aveva assistito, stentava a crederci.
 
 

A Pensacola, Keller era stato un agiato commerciante di stoffe e abbigliamento, benvoluto nella comunità, e possedeva un ampio magazzino accanto a casa sua. Una sera di dicembre, la sera di S.Silvestro del 1976, per essere precisi, Tobias ritornava a casa dopo un breve viaggio d'affari e passò per prima cosa dal magazzino. Stando al suo racconto, una volta entrato al buio, mentre ancora cercava l'interruttore per accendere la luce, si era sentito piombare improvvisamente addosso qualcuno e si era difeso come poteva. Aveva udito uno sparo e lui stesso, in quel momento armato, aveva fatto fuoco alla cieca contro il suo aggressore; nel medesimo istante, aveva avvertito un dolore lancinante all'addome ed era svenuto, mentre il peso del suo assalitore gli cadeva addosso come un sacco.

Riavutosi dopo poco, aveva mosso la mano sul punto del dolore lancinante e le dita gli si erano bagnate di qualcosa di caldo. Con la forza della disperazione, si era allora trascinato faticosamente vicino al telefono, fortunatamente situato a un metro o due dall'entrata, al bancone: giacendo ancora sul pavimento, aveva tirato il filo e la cornetta gli era caduta sul capo. Era riuscito a comporre il 911 e aveva atteso, sentendosi perduto in un silenzio di morte. Quello che Tobias ignorava era che, nel retrobottega del negozio, giaceva pure il cadavere della moglie, Ava, della cognata, Laureen, e nella cucina, che era la prima stanza della casa prospiciente il negozio, quello della suocera Lisa: tutte freddate da una dozzina di colpi d'arma da fuoco. Scampato per miracolo alla morte, dopo due mesi trascorsi in terapia intensiva all'ospedale, Keller si era visto mettere sotto accusa per il quadruplice omicidio della moglie, della cognata, della suocera e del tizio che lo aveva aggredito, il quale risultò essere infine il fratello della sua commessa. A seguito quindi di quella che era, con ogni evidenza, una rapina finita tragicamente, Tobias era stato accusato di essere l'artefice, per non ben specificati motivi, della strage della propria famiglia, fratello della commessa compreso (il quale, non si capiva bene che cosa ci facesse lì la sera di S.Silvestro): nel giugno del 1977 era stato infine condannato. A morte. A parte un'associazione di volontariato che aveva preso a cuore il suo caso, non gli era rimasto nessuno.

John lo udì respirare affannosamente. Sapeva che Tobias, oltre a soffrire particolarmente il caldo e ad avere il cuore debole, era affetto da asma. Si alzò dal letto e si avvicinò alle sbarre per controllare se stesse bene.

- Hi, Toby. Tutto OK?

Affacciandosi sulle sbarre, di lato, intravide il profilo emaciato del suo compagno di prigionia e il ritmico, affannoso sollevarsi del suo mento. John stimava molto Tobias: era un uomo fine, silenzioso, colto. Ogni volta che aveva avuto a che fare con lui, aveva appreso qualcosa di utile e interessante. E poi, provava per lui una profonda compassione: in fin dei conti, si sentiva quasi più fortunato di lui, perché era più giovane e aveva ancora sua moglie, la sua splendida Ada. Lui invece era completamente solo.

- Sì, Double-u, grazie. Tutto OK -. La risposta era pacata, ma affannosa e il contenuto non pareva proprio corrispondere alla situazione. Certo non si trattava di un attacco di asma vero e proprio: in quel caso, John si sarebbe avvinghiato alle sbarre e avrebbe iniziato a urlare o a sbattere un oggetto metallico contro le stesse. Si trattava però di una di quelle circostanze in cui si percepisce il disagio dell'altro, un disagio reale, ma esso non è tale da suscitare un vero e proprio allarme e, quindi, è destinato a non essere preso in considerazione. Se Keller avesse avuto un vero attacco d'asma, le guardie avrebbero chiamato un'infermiera; ma la sofferenza di Tobias derivava in gran parte dal caldo soffocante e dal fatto che aveva il cuore debole. Non era ancora abbastanza per ricevere aiuto. John si sentiva impotente: avrebbe voluto aiutare il compagno, ma non sapeva come. Dovette rimanere lì, immobile e in silenzio, senza avere la benché minima idea di cosa fare. A un certo punto, si sorprese a pensare:

- Signore, aiutalo...Ti prego di aiutarlo. Questo pover'uomo ha bisogno del tuo aiuto. Abbine pietà. Non ha niente...- e rimase così, in semplice ascolto, sentendosi vuoto. John era credente e proveniva da una famiglia cattolica, come Ada: ma da ragazzo, durante la sua tumultuosa adolescenza, aveva perso le fila dei suoi contatti col trascendente. Del resto, in passato, anche quando quel pensiero si insinuava nella sua mente, cercava di non badarci. Fin da quando erano iniziati i suoi problemi a scuola, alle medie, e poi via via durante tutta la propria adolescenza, quando fronteggiava un'immagine sacra - specie del Cristo, ma anche della Vergine - si sentiva solo meritevole di rimproveri. Da anni conosceva la sua Ada e lei, così solare, affettuosa, amorevole, trasmetteva spontaneamente un'immagine molto diversa della fede; per lei e, sicuramente, anche per altri, Dio era misericordia, tenerezza. E lei glielo dimostrava di continuo. Ma John, anche se si aggrappava all'amore della sua ragazza con tutte le proprie forze, non riusciva a percepire per sé altre possibilità di affetto al di là di lei. E quando lei condivideva con lui la sua esperienza di fede, così luminosa e piena di speranza, anche se non immune da difficoltà o momenti aridi, lui avvertiva il desiderio e la nostalgia cocente di quella tenerezza, ma anche quanto essa fosse distante da lui. Se ne sentiva indegno: come un bambino troppo povero che contempla dall'esterno la vetrina di un negozio di dolci, ben sapendo che non gli è permesso entrare.

John si riscosse un attimo dalle sue riflessioni per interessarsi ancora al suo vicino di cella. Poco per volta, il respiro di Tobias parve quietarsi; il giovane provò un autentico sollievo. Ancora un poco e una lieve brezza, venuta non si sa da dove, prese a spirare nel corridoio. Doveva essere una coincidenza, pensò John: Dio non si occupa di preghiere tanto insignificanti come la sua. Tuttavia, provò un certo ristoro a quell'inaspettato alito di vento e un accenno di speranza.

- Grazie, John - mormorò Tobias. Il giovane rimase stupito: perché il vicino lo stava ringraziando? Non aveva fatto nulla di particolare. Inoltre, era sorpreso al sentirsi chiamare per nome: ormai, solo Ada lo faceva.

- Non hai niente di cui ringraziarmi. Va un po' meglio?

- Sì, va meglio, grazie. - Tobias ammetteva allora di non essersi sentito bene, a differenza di quanto aveva appena affermato. Rimasero in silenzio a lungo, fissando lo squarcio di cielo chiaro attraverso i finestrini che si aprivano nella parete di fronte. John sentiva che, con Tobias, non c'era bisogno di parole: il semplice stare vicini in silenzio creava tra loro un clima di prossimità umana quale il giovane non provava da tempo. Si accorse che, a Keller, avrebbe accordato volentieri la propria fiducia: un sentimento che non sperimentava seriamente da anni, con alcun altro detenuto.

Un leggero frullo d'ali sbatté contro il finestrino di fronte e i due uomini intravidero appena un passerotto giunto fino al vetro e poi involatosi immediatamente. Il volto di Keller si addolcì in un mite sorriso.

- Quando abitavo a Pensacola - iniziò - possedevo una barca. Il fine-settimana, a partire da aprile, amavo molto uscire al largo e spesso Ava veniva con me. Il mare era qualcosa di favoloso sotto il sole: pareva una distesa di scaglie d'oro bianco. Talvolta avvistavamo dei delfini. Il loro dorso argenteo emergeva all'improvviso sulla nostra scia e zac! quando allungavo la mano e mi pareva di esser loro vicinissimo, quasi di toccarli, ecco che si immergevano e sparivano.

- I delfini sono animali spettacolari - soggiunse John - arrivano a salvare dei bagnanti in difficoltà.

- Vero - annuì Tobias. Poi tacque. Altro silenzio, che John non osava interrompere.

- Sai - riprese l'altro all'improvviso - quando mi hanno arrestato, era da un po' che vari vicini non mi salutavano più. Avevo difeso un nero, che stava cercando di mettersi in proprio nel mio stesso settore, i tessuti. Voleva aprire un negozietto vicino al centro. Io gli diedi una mano, dei consigli, e lo difesi contro altri commercianti. Il negozio subì persino qualche atto di vandalismo; credo però che ci sia ancora.

- Ti hanno incastrato per quello?

- Non lo so, forse. Ero noto in città e, dopo quei fatti, divenni scomodo. Mi resi conto durante il processo che in parecchi mi guardavano storto e avrebbero preferito tracciare su di me un tratto di penna. Non l'ho mai detto a nessuno.

John rimase assorto, ma sorrise istintivamente. Era in grado di misurare tutta la straordinarietà di quella confidenza: si sentì il cuore gonfio di improvvisa gratitudine. Inoltre, anche lui non aveva mai provato alcuna simpatia per i razzisti e simpatizzava istintivamente per i più poveri. Tuttavia, quasi imbarazzato da quel momento d'inattesa confidenza, volle imprimere al discorso una svolta e una nota di giovanile ottimismo.

- Dai, Toby - rise - un giorno, se usciamo, mia moglie ci preparerà le lasagne e l'arrosto. Che dici? Verresti ospite a casa nostra?

Tobias rise a sua volta. - Certo! Tua moglie, poi, deve essere un'ottima cuoca. E voi, siete fin d'ora invitati sulla mia barca, anche se dovrò ricomprarla. A te non piace il mare, Capitano? Le spiagge della Contea di Escambia sono bianchissime ed è una meraviglia passeggiare lungo di esse...

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