John e la storia di un errore giudiziario
Nel
nuovo corridoio, John si trovava bene. Era abitato da anziani, quindi
tranquillo, e parecchi avevano l'aria di essere persone interessanti, da cui
imparare qualcosa. La sua cella era l'ultima, quindi aveva un solo vicino:
Tobias Keller, uno dei più attempati di tutto il death-row. John conosceva la sua storia, come quella di tanti
altri: l'aveva letta nelle sentenze e la considerava ancora più raccapricciante
della propria.
Era
un pomeriggio tranquillo e sonnolento, dopo pranzo: faceva caldo e John era
riverso sul suo letto a leggere l'ennesimo libro (un giallo di Dennis Lehane,
un figlio di Irlandesi, come lui). Il caldo era tale che indossava solo i boxers e, sopra, dei pantaloncini corti:
non udiva nulla dalla cella alla sua sinistra e supponeva che Tobias stesse
dormendo. Verso le 3.00, invece, udì un fruscio e dei movimenti lenti, come se
il suo vicino si stesse cautamente avvicinando alle sbarre. Il giovane lasciò
aperto il libro sul petto, incrociò le braccia sotto il capo e cominciò a
riflettere.
Keller
(il cognome doveva essere tedesco), vissuto a Pensacola, era nel braccio della
morte dal lontano 1977: quasi 30 anni. Ed era innocente. Chiunque se ne sarebbe
accorto, leggendo le carte che lo riguardavano: ma, evidentemente ciò non
bastava a chi lo aveva messo dentro. La sua vicenda era tanto assurda che lo
stesso John, dopo tutto quello cui aveva assistito, stentava a crederci.
A
Pensacola, Keller era stato un agiato commerciante di stoffe e abbigliamento,
benvoluto nella comunità, e possedeva un ampio magazzino accanto a casa sua.
Una sera di dicembre, la sera di S.Silvestro del 1976, per essere precisi,
Tobias ritornava a casa dopo un breve viaggio d'affari e passò per prima cosa
dal magazzino. Stando al suo racconto, una volta entrato al buio, mentre ancora
cercava l'interruttore per accendere la luce, si era sentito piombare
improvvisamente addosso qualcuno e si era difeso come poteva. Aveva udito uno
sparo e lui stesso, in quel momento armato, aveva fatto fuoco alla cieca contro
il suo aggressore; nel medesimo istante, aveva avvertito un dolore lancinante
all'addome ed era svenuto, mentre il peso del suo assalitore gli cadeva addosso
come un sacco.
Riavutosi
dopo poco, aveva mosso la mano sul punto del dolore lancinante e le dita gli si
erano bagnate di qualcosa di caldo. Con la forza della disperazione, si era
allora trascinato faticosamente vicino al telefono, fortunatamente situato a un
metro o due dall'entrata, al bancone: giacendo ancora sul pavimento, aveva
tirato il filo e la cornetta gli era caduta sul capo. Era riuscito a comporre
il 911 e aveva atteso, sentendosi perduto in un silenzio di morte. Quello che
Tobias ignorava era che, nel retrobottega del negozio, giaceva pure il cadavere
della moglie, Ava, della cognata, Laureen, e nella cucina, che era la prima
stanza della casa prospiciente il negozio, quello della suocera Lisa: tutte
freddate da una dozzina di colpi d'arma da fuoco. Scampato per miracolo alla
morte, dopo due mesi trascorsi in terapia intensiva all'ospedale, Keller si era
visto mettere sotto accusa per il quadruplice omicidio della moglie, della
cognata, della suocera e del tizio che lo aveva aggredito, il quale risultò essere
infine il fratello della sua commessa. A seguito quindi di quella che era, con
ogni evidenza, una rapina finita tragicamente, Tobias era stato accusato di
essere l'artefice, per non ben specificati motivi, della strage della propria
famiglia, fratello della commessa compreso (il quale, non si capiva bene che
cosa ci facesse lì la sera di S.Silvestro): nel giugno del 1977 era stato
infine condannato. A morte. A parte un'associazione di volontariato che aveva
preso a cuore il suo caso, non gli era rimasto nessuno.
John
lo udì respirare affannosamente. Sapeva che Tobias, oltre a soffrire
particolarmente il caldo e ad avere il cuore debole, era affetto da asma. Si
alzò dal letto e si avvicinò alle sbarre per controllare se stesse bene.
-
Hi, Toby. Tutto OK?
Affacciandosi
sulle sbarre, di lato, intravide il profilo emaciato del suo compagno di
prigionia e il ritmico, affannoso sollevarsi del suo mento. John stimava molto
Tobias: era un uomo fine, silenzioso, colto. Ogni volta che aveva avuto a che
fare con lui, aveva appreso qualcosa di utile e interessante. E poi, provava
per lui una profonda compassione: in fin dei conti, si sentiva quasi più
fortunato di lui, perché era più giovane e aveva ancora sua moglie, la sua
splendida Ada. Lui invece era completamente solo.
-
Sì, Double-u, grazie. Tutto OK -. La
risposta era pacata, ma affannosa e il contenuto non pareva proprio
corrispondere alla situazione. Certo non si trattava di un attacco di asma vero
e proprio: in quel caso, John si sarebbe avvinghiato alle sbarre e avrebbe
iniziato a urlare o a sbattere un oggetto metallico contro le stesse. Si
trattava però di una di quelle circostanze in cui si percepisce il disagio
dell'altro, un disagio reale, ma esso non è tale da suscitare un vero e proprio
allarme e, quindi, è destinato a non essere preso in considerazione. Se Keller
avesse avuto un vero attacco d'asma, le guardie avrebbero chiamato
un'infermiera; ma la sofferenza di Tobias derivava in gran parte dal caldo
soffocante e dal fatto che aveva il cuore debole. Non era ancora abbastanza per
ricevere aiuto. John si sentiva impotente: avrebbe voluto aiutare il compagno,
ma non sapeva come. Dovette rimanere lì, immobile e in silenzio, senza avere la
benché minima idea di cosa fare. A un certo punto, si sorprese a pensare:
-
Signore, aiutalo...Ti prego di aiutarlo. Questo pover'uomo ha bisogno del tuo
aiuto. Abbine pietà. Non ha niente...- e rimase così, in semplice ascolto,
sentendosi vuoto. John era credente e proveniva da una famiglia cattolica, come
Ada: ma da ragazzo, durante la sua tumultuosa adolescenza, aveva perso le fila
dei suoi contatti col trascendente. Del resto, in passato, anche quando quel
pensiero si insinuava nella sua mente, cercava di non badarci. Fin da quando
erano iniziati i suoi problemi a scuola, alle medie, e poi via via durante
tutta la propria adolescenza, quando fronteggiava un'immagine sacra - specie
del Cristo, ma anche della Vergine - si sentiva solo meritevole di rimproveri.
Da anni conosceva la sua Ada e lei, così solare, affettuosa, amorevole,
trasmetteva spontaneamente un'immagine molto diversa della fede; per lei e,
sicuramente, anche per altri, Dio era misericordia, tenerezza. E lei glielo
dimostrava di continuo. Ma John, anche se si aggrappava all'amore della sua
ragazza con tutte le proprie forze, non riusciva a percepire per sé altre
possibilità di affetto al di là di lei. E quando lei condivideva con lui la sua
esperienza di fede, così luminosa e piena di speranza, anche se non immune da
difficoltà o momenti aridi, lui avvertiva il desiderio e la nostalgia cocente
di quella tenerezza, ma anche quanto essa fosse distante da lui. Se ne sentiva
indegno: come un bambino troppo povero che contempla dall'esterno la vetrina di
un negozio di dolci, ben sapendo che non gli è permesso entrare.
John
si riscosse un attimo dalle sue riflessioni per interessarsi ancora al suo
vicino di cella. Poco per volta, il respiro di Tobias parve quietarsi; il
giovane provò un autentico sollievo. Ancora un poco e una lieve brezza, venuta
non si sa da dove, prese a spirare nel corridoio. Doveva essere una
coincidenza, pensò John: Dio non si occupa di preghiere tanto insignificanti
come la sua. Tuttavia, provò un certo ristoro a quell'inaspettato alito di
vento e un accenno di speranza.
-
Grazie, John - mormorò Tobias. Il giovane rimase stupito: perché il vicino lo
stava ringraziando? Non aveva fatto nulla di particolare. Inoltre, era sorpreso
al sentirsi chiamare per nome: ormai, solo Ada lo faceva.
-
Non hai niente di cui ringraziarmi. Va un po' meglio?
-
Sì, va meglio, grazie. - Tobias ammetteva allora di non essersi sentito bene, a
differenza di quanto aveva appena affermato. Rimasero in silenzio a lungo,
fissando lo squarcio di cielo chiaro attraverso i finestrini che si aprivano
nella parete di fronte. John sentiva che, con Tobias, non c'era bisogno di
parole: il semplice stare vicini in silenzio creava tra loro un clima di
prossimità umana quale il giovane non provava da tempo. Si accorse che, a
Keller, avrebbe accordato volentieri la propria fiducia: un sentimento che non
sperimentava seriamente da anni, con alcun altro detenuto.
Un
leggero frullo d'ali sbatté contro il finestrino di fronte e i due uomini
intravidero appena un passerotto giunto fino al vetro e poi involatosi
immediatamente. Il volto di Keller si addolcì in un mite sorriso.
-
Quando abitavo a Pensacola - iniziò - possedevo una barca. Il fine-settimana, a
partire da aprile, amavo molto uscire al largo e spesso Ava veniva con me. Il
mare era qualcosa di favoloso sotto il sole: pareva una distesa di scaglie
d'oro bianco. Talvolta avvistavamo dei delfini. Il loro dorso argenteo emergeva
all'improvviso sulla nostra scia e zac! quando allungavo la mano e mi pareva di
esser loro vicinissimo, quasi di toccarli, ecco che si immergevano e sparivano.
-
I delfini sono animali spettacolari - soggiunse John - arrivano a salvare dei
bagnanti in difficoltà.
-
Vero - annuì Tobias. Poi tacque. Altro silenzio, che John non osava
interrompere.
-
Sai - riprese l'altro all'improvviso - quando mi hanno arrestato, era da un po'
che vari vicini non mi salutavano più. Avevo difeso un nero, che stava cercando
di mettersi in proprio nel mio stesso settore, i tessuti. Voleva aprire un
negozietto vicino al centro. Io gli diedi una mano, dei consigli, e lo difesi contro
altri commercianti. Il negozio subì persino qualche atto di vandalismo; credo
però che ci sia ancora.
-
Ti hanno incastrato per quello?
-
Non lo so, forse. Ero noto in città e, dopo quei fatti, divenni scomodo. Mi
resi conto durante il processo che in parecchi mi guardavano storto e avrebbero
preferito tracciare su di me un tratto di penna. Non l'ho mai detto a nessuno.
John
rimase assorto, ma sorrise istintivamente. Era in grado di misurare tutta la
straordinarietà di quella confidenza: si sentì il cuore gonfio di improvvisa
gratitudine. Inoltre, anche lui non aveva mai provato alcuna simpatia per i
razzisti e simpatizzava istintivamente per i più poveri. Tuttavia, quasi
imbarazzato da quel momento d'inattesa confidenza, volle imprimere al discorso una
svolta e una nota di giovanile ottimismo.
-
Dai, Toby - rise - un giorno, se
usciamo, mia moglie ci preparerà le lasagne e l'arrosto. Che dici? Verresti
ospite a casa nostra?
Tobias
rise a sua volta. - Certo! Tua moglie, poi, deve essere un'ottima cuoca. E voi,
siete fin d'ora invitati sulla mia barca, anche se dovrò ricomprarla. A te non
piace il mare, Capitano? Le spiagge
della Contea di Escambia sono bianchissime ed è una meraviglia passeggiare
lungo di esse...
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