Saggio (tipologia B), istruzioni per l’uso
1)
Leggere
attentamente e comprendere i testi ed il titolo = uno degli errori più frequenti nei temi di maturità è quello di comprensione dei testi offerti (che, spesso, non sono per niente facili!); quindi la traccia e i testi stessi vanno riletti più volte e capiti a fondo.
2)
Brain-storming = questa è la fase di partenza, la raccolta delle idee. Come sempre suggerisco, vanno buttate giù rapidamente e senza un ordine, come vengono vengono, per evitare di dimenticarle.
3)
Scaletta ben
strutturata = l'ordine viene imposto ora, con la scaletta.
4)
Fornire ogni
idea generale e concetto di prove ed esempi a sostegno = non smetterò mai di ricordare che ogni concetto generale deve essere sempre comprovato con un esempio specifico, sennò si passeggia sulle nubi. Nel saggio, di solito, si usano come prove i testi. Se per esempio devo redigere un saggio sull'amor cortese e mi è stato offerto un passo tratto da un poeta dell'epoca (che so, Guglielmo d'Aquitania), lo userò come esemplificazione di quanto intendo dimostrare.
5) Mantenere
una struttura ed uno stile argomentativi = appunto. Alcuni ragazzi scrivono in maniera narrativa (c'è chi mi ha redatto un racconto e si è beccato un 4), oppure con uno stile poetico o impressionistico degno del Fuoco di D'Annunzio. Il saggio è e deve rimanere una dimostrazione. Altri esperimenti non rientrano negli scopi della maturità e delle nostre attività usuali.
6) Inserire un’introduzione ed una conclusione
che riassumono rapidamente la vostra argomentazione per entrare ed uscire
dall’argomento = anche questo è un errore frequente. L'introduzione (breve, poche righe) e la conclusione (altrettanto breve) devono sempre esserci, sennò il saggio sembra monco. Entrambe servono a dare un'idea e a riepilogare il contenuto della vostra dimostrazione, in modo da preparare il lettore.
7) Attenzione alle citazioni ed a come i
testi forniti vengono reimpiegati nel vostro (passaggio dal discorso diretto
all’indiretto, cambio di tempi verbali, di pronomi, passaggio da un genere
letterario diverso al vostro, un saggio) = nei saggi, i problemi sintattici maggiori riguardano le citazioni. Se infatti riporto una citazione in modo diretto (con tanto di virgolette a caporale) non succede niente, ma in stile indiretto sono possibili vari pasticci: si intricano i tempi verbali (per cui si veda la tabella della "Terapia d'urto 2"), mutano i pronomi, i possessivi, cambia l'impostazione del discorso, mutano i soggetti, spesso anche lo stile: magari dovete citare una narrazione entro un'argomentazione e...v'inceppate. A questo punto, ricorrete ai consigli degli altri post oppure, se avete dubbi, alla citazione diretta. Cercate però di evitare l'effetto "collage": le fonti vanno interpretate e spiegate, non semplicemente scopiazzate una dietro l'altra.
8) Impiegare sempre
almeno la maggior parte dei testi forniti = in alcune classi, i ragazzi prendono la pessima abitudine di ignorare i testi forniti. Questo è equivalente a un fuori-tema. Più della metà dei testi forniti deve essere citata, perché è la traccia. Ogni aggiunta è benvenuta, ma si deve muovere nel raggio del materiale fornito.
9) Se
possibile, aggiungere materiale vostro personale = insisto sul fatto che non basta citare le fonti: bisogna anche interpretarle, commentarle, spiegarle. Cioè devono essere rielaborate dal vostro cervello. A questo si possono aggiungere materiali introdotto dai voi.
10) Evitare l’uso della prima persona: le idee
presentate saranno sempre vostre, ma devono mantenere una validità oggettiva ed
universale = quando i ragazzi iniziano a scrivere mi chiedono sempre: "Prof, posso inserire le mie idee personali?". Ragazzi, tutto quello che scrivete è vostra idea personale, semplicemente perché viene dalla vostra penna e filtrato dal vostro cervello. Tuttavia, le idee personali interessano quando sono di rilievo anche per gli altri: inoltre, essere devono essere oggettive, cioè collegate alla realtà. Le vostre personali allucinazioni non interessano nessuno, ma se avete una buona idea, quella è valida anche per gli altri. Ecco perché bisogna rifuggire dal narcisistico "io penso, io credo, io dico..." ed esprimersi in maniera oggettiva, impersonale, ma non per questo meno vostra.
A questo punto, inserisco un modello di saggio, sviluppato da me: l'ho suddiviso in sezioni mediante una tabella, in maniera tale che sia facilmente visibile l'articolazione dell'argomentazione. Nella prima parte ho indicato i testi proposti: poi segue lo sviluppo, con, a fianco, i testi impiegati come prova. La tematica generale era la solitudine. Ricordate che l'argomentazione è il genere letterario che molto spesso vi viene richiesto sul lavoro anche fuori dalla scuola: in relazioni o dimostrazioni, all'università, in un'impresa, ufficio e simili. Per questo è importante imparare a svolgerlo bene.
La solitudine come problema e come opportunità costruttiva (saggio
breve)
“Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli
sia simile” (Gn. 2,18).
Perché la solitudine è così
terribile? Perché noi, come individui isolati, non esistiamo. La nostra lingua,
le nostre emozioni, il modo di comportarci, le mete, le speranze le prendiamo
dai genitori, dai maestri, dagli amici, dagli altri. Viviamo nella nostra
comunità come il bambino nel ventre della madre, fuori c'è il deserto,
l'esilio: trovarsi fra gente che non conosci e che non ti conosce, che non ami
e che non ti ama, a cui non sai cosa dire e che non ha nulla da dirti.
(F. Alberoni, Corriere della sera, 1 nov. 2010).
(F. Alberoni, Corriere della sera, 1 nov. 2010).
Si resiste a stare soli finché qualcuno
soffre di non averci con sé, mentre la vera solitudine è una cella
intollerabile.
(C. Pavese)
Che molti muoiono senza aver conosciuto -
Non è una mancanza di amici a causarla
O la sorte di Lot
E chiunque ne è colpito
È più ricco di quanto possano rivelare
I numeri mortali -.
(E. Dickinson)
E se non puoi la vita che desideri
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
cerca almeno questo
per quanto sta in te: non sciuparla
nel troppo commercio con la gente
con troppe parole in un viavai frenetico.
Non sciuparla portandola in giro
in balía del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
(C. Kavafis, Cinquantacinque poesie)
in balía del quotidiano
gioco balordo degli incontri
e degli inviti,
fino a farne una stucchevole estranea.
(C. Kavafis, Cinquantacinque poesie)
Tutti coloro che prendono
seriamente se stessi e la vita, vogliono stare soli, ogni tanto. La nostra
civiltà ci ha così coinvolti negli aspetti esteriori della vita, che poco ci
rendiamo conto di questo bisogno, eppure la possibilità che offre, per una
completa realizzazione individuale, sono state messe in rilievo dalle filosofie
e dalle religioni di tutti i tempi. Il desiderio di una solitudine
significativa non è in alcun modo nevrotico; al contrario, la maggior parte dei
nevrotici rifugge dalle proprie profondità interiori, ed anzi, l'incapacità di
una solitudine costruttiva è per se stessa un segno di nevrosi. Il desiderio di
star soli è un sintomo di distacco nevrotico soltanto quando l'associarsi alla
gente richiede uno sforzo insopportabile, per evitare il quale la solitudine
diviene l'unico mezzo valido.
(K. Horney, I nostri conflitti interni.
La solitudine è una realtà universale, con
cui ognuno di noi è obbligato a confrontarsi; esiste una solitudine sinonimo
di vuoto e sofferenza, di cui ci si sente vittime, ma ne esiste pure una
costruttiva ed utile.
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Introduzione
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Come sosteneva Aristotele, “l’uomo è un
animale politico”: dato che il termine “politico” proviene dal greco “polis”,
“città”, in realtà il grande filosofo greco intendeva definire l’essere umano
come un essere sociale. Infatti, già l’esordio della Bibbia, in Gn. 2,18, fa esclamare addirittura a
Dio, la celebre frase: “Non è bene che l’uomo sia solo”: la solitudine, pur
nel mitico e meraviglioso giardino dell’Eden, sarebbe un peso se l’essere
umano non avesse un suo simile da amare.
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1) La natura sociale umana.
·
Gn.2,18
·
Arist.
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Ogni persona, infatti, necessita di un
largo cerchio di altre per poter, semplicemente, sopravvivere. Come sostiene
il noto psicologo F.Alberoni, editorialista per il Corriere della sera, il processo di apprendimento, attraverso cui
ogni bambino impara a vivere, non può avvenire che in compagnia di altri:
nozioni, comportamenti e valori non possono che essere trasmessi in una
catena continua che non si spezza fin dalle origini della cultura umana. La
stessa parola “cultura” implica l’idea di “coltivare”, che ogni persona debba
essere “coltivata”, come un giardino, per dare il meglio di sé: la cultura è
quindi un processo plurale. Non stupisce allora che un bambino poco accudito
nei primi anni di età possa sviluppare patologie mentali e affettive
importanti: gli psicopatici sono, di solito, adulti la cui infanzia non ha
conosciuto una reale tenerezza materna, ma che si sono ritrovati a piangere
per ore, da neonati, senza che nessuno li soccorresse.
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2) Le ragioni della socialità.
·
Alberoni.
·
Cultura.
·
Psicopatici.
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Del resto, anche le operazioni più semplici
della vita quotidiana necessitano il supporto di altri, come il procurarsi il
cibo o il disporre di un’abitazione, di vesti e cure: ecco perchè il primo
male di tanti clochards consiste in
realtà proprio nella solitudine, nel fatto che essi sono stati abbandonati a
loro stessi e sono rimasti privi di aiuto. Le nostre città, spesso anonime,
rigurgitano di persone sole, come gli anziani, o i deboli in genere, dai
malati, ai detenuti nelle loro celle a tutti coloro che sperimentano la
marginalità. Da soli non potranno mai riemergere dalle loro difficoltà: come
afferma Pavese, la solitudine intesa come mancanza di amore è una “cella
insopportabile” ed è questa la solitudine cui faceva allusione
|
3) Effetti della solitudine.
·
Clochards.
·
Anziani.
·
Marginali
e deboli.
·
Pavese.
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Tuttavia, può esistere anche un genere
positivo di solitudine, una solitudine che non è mancanza, bensì pienezza di
amore. Già
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4) La solitudine come pienezza.
·
Profeti.
·
E.Dickinson.
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La poetessa sembra parlare proprio per la nostra
frenetica età contemporanea, in cui il silenzio appare sempre più difficile:
e questo è un male. Come infatti l’essere umano possiede una natura sociale,
egli necessita anche di momenti di quiete e silenzio, non solo per riposare,
ma anche per riflettere sulla propria esistenza. La solitudine diventa allora
un’indispensabile fonte di ricchezza interiore, tanto che il poeta greco
Kavafis raccomanda di non sciuparla con il “troppo commercio con la gente / con
troppe parole in un viavai frenetico”. La vita rumorosa delle agglomerazioni
urbane contemporanee rischia di compromettere, con l’assenza continua di
silenzio, la salute psico-fisica dei suoi abitanti: nelle parole di Kavafis,
la pace interiore appare l’unico rimedio alla mancanza di felicità che spesso
opprime i nostri contemporanei.
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5) La solitudine come ricchezza interiore.
6) Il bisogno salutare di solitudine.
·
Kavafis
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7) Perchè la solitudine è necessaria.
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