giovedì 10 dicembre 2015

Terapia d'urto 2: parafrasi e commento di un testo poetico



Terapia d’urto II (la vendetta): parafrasi e commento di un testo poetico

  1. Innanzitutto, la contestualizzazione: deve essere illustrato il contesto della poesia = Molte volte, nel correggere un (tentativo) di parafrasi, il disgraziato insegnante si ritrova catapultato come un meteorite non si sa bene dove, a leggere non si sa bene di che cosa e di chi. Per capire di cosa sto parlando, ho bisogno del contesto. Se sto parafrasando l’esordio della Divina Commedia, è inutile che scriva: “Mi sono perso a metà strada in un bosco”, come se fossi io il poeta, quasi che mi fossi perduto durante una scampagnata sull’Appennino; verrebbe voglia di rispondere: “Chiama i carabinieri”. La contestualizzazione serve a riportarci nel contesto della poesia, un contesto del tutto diverso dal nostro. Allora: “Il poeta, all’inizio della Divina Commedia, immagina un percorso che rappresenta l’esistenza di ogni credente, in bilico tra peccato e redenzione. Descrive allora simbolicamente di essere ormai giunto a metà strada della sua vita e di perdersi in una foresta buia, che rappresenta il peccato....”.
  2. La parafrasi è preferibile in terza persona = vedi l’esempio sopra.
  3. Le parole del poeta vanno cambiate = (sennò non è più una parafrasi, ma una copiatura). La poesia ha come caratteristica precipua di parlare con un tono aulico ed elevato. La parafrasi invece ha lo scopo di rendere gli stessi contenuti in modo prosastico e più semplice, adatto alla vita di tutti i giorni: in fin dei conti, è una spiegazione della poesia. Tutto quanto pare perciò insolito e “poetico”, deve essere reso in stile adatto alla prosa e più semplice: le anastrofi vanno sciolte e così le metafore (non parlerò di “capelli d’oro”, bensì di capelli “biondi tanto da sembrare oro”); il discorso deve seguire l’ordine tipico della prosa, vanno eliminati i versi, le parole auliche devono essere sostituite con altre più “normali” (es.: “magione”, diventa “casa”, “brando” è, banalmente, la “spada”). In generale, però, è bene rendere il contenuto della poesia con parole proprie; quindi, è bene usare tanti sinonimi (questo rimanda all’uso del dizionario, vero?).
  4. Il discorso deve essere volto da diretto a indiretto = se parafraso l’epigrafe della porta dell’Inferno (Per me si va nella città dolente), è inutile che attacchi: “Attraverso di me si va nella città del dolore...”, come se IO fossi diventato la porta; piuttosto: “All’inizio del III canto dell’Inferno, Dante e Virgilio giungono all’entrata del regno infernale. Il protagonista allora vede un’epigrafe incisa sopra la porta e la legge. E’ la porta stessa che parla, affermando di essere il passaggio verso la città del dolore, ovvero l’Inferno stesso.....”. Si noti, per inciso, come i periodi siano brevi ed efficaci. Difatti:
  5. I periodi vanno spezzati = sennò si finisce fuoristrada. Esistono poesie (un esempio a caso: A Zacinto di U.Foscolo) che constano quasi di un unico periodo: seguirlo pedissequamente, in tutte le sue acrobatiche circonvoluzioni, è un suicidio. Il risultato è uno di quei periodi folli, a 45 subordinate, per cui vale quanto affermato nella “Terapia d’urto I”. Ricordate, modestamente, che non siete ancora Foscolo, né Leopardi, quindi che avete bisogno di quello di cui loro, con un’elaborazione magistrale della sintassi, necessitavano meno di voi: dei punti e dei punti e virgola.
  6. Attenzione all’accordo dei tempi! = parecchi allievi, oggidì, paiono ignorarlo, ma la distribuzione dei tempi dei verbi in italiano HA UNA LOGICA (detta concordatio temporum). Innanzitutto, devo decidere se mettere tutto al presente o al passato (e poi mantenermi in quei tempi!); quindi, accorderò i tempi secondo la tabella sotto. Ricordate inoltre: varie congiunzioni subordinanti (benchè, sebbene, affinché....) richiedono il congiuntivo (che esiste ancora, nonostante che sia stato abolito[1] in TV).
Vedi tabella.

Tempo reggente
Azione contemporanea alla reggente
Azione precedente
Azione successiva
Presente
presente
passato prossimo o altro
futuro
Passato remoto
passato remoto
trapassato prossimo
condizionale passato

  1. Va indicata quindi la struttura metrica della poesia. = così inizia la parte del commento: tipo di versi e strofe (endecasillabi, ottonari, settenari ecc.; terzine, quartine, ottave ecc.), struttura delle rime (ABBA, ABAB ecc.), genere del componimento (sonetto, ottave narrative, terzine incatenate di tipo dantesco ecc.). Per fortuna, di solito non sono molte le strutture possibili e gl’insegnanti hanno pietà di voi.
  2. Vanno indicate le figure foniche e sintattiche (allitterazioni, onomatopee, anastrofi, anafore, paronomasie, chiasmi, enjambements, enumerazioni, climax) = il poeta riesce a rendere i significati pure attraverso l’uso accorto di particolari suoni o la posizione delle parole. Ad es., Leopardi ama molto le “l” e le “r”, consonanti cosiddette liquide, perché sono più melodiche; altri poeti preferiscono le vocali; Dante, talora, impiega le rime “aspre”, piene di suoni duri (p, c, t ecc.), specie nei canti più drammatici dell’Inferno. Nulla è a caso in poesia. Idem con patatine per gli altri accorgimenti qui richiamati (gli enjambements hanno di solito lo scopo di sottolineare determinate parole, o di separarle in modo significativo; le anastrofi rendono il discorso più aulico; i chiasmi stabiliscono corrispondenze inaspettate ecc.).
  3. Bisogna indicare le figure retoriche = similitudini, metafore, metonimia (o sineddoche), ossimori, analogie, sinestesie, iperboli, litoti e chi più ne ha più ne metta.
  4. Infine, l’ideale sarebbe spiegare perché l’autore impiega queste figure e che effetto ne ottiene = ogni autore ha le sue figure retoriche preferite. Pascoli abbonda di analogie, tipiche di fine Ottocento e che associano immagini diverse; nella poesia epica prevalgono le similitudini, sul modello di Omero e Virgilio, ma anche di Dante; le iperboli sono tipiche della poesia comica, perché producono esagerazioni che fanno ridere, le litoti frequenti in Manzoni, che ama l’ironia ecc. Le metafore, infine, sono un po’ ovunque e permettono di associare concetti e immagini diverse (i famosi “capelli d’oro”).
  5. Non vi preoccupate: potete farcela! Buon lavoro!



[1] Congiuntivo passato.

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