La calata dei Tedeschi...(al "Roiti"). 2 parte
Dicevo che zuppa inglese fu. Ma qui, dato che la zuppa inglese è un dolce tipicamente ferrarese, ci vuole una digressione, per non dire un flash-back. Il punto è che la zuppa inglese è veramente inglese: i Britannici lo chiamano "trifle", ma in realtà si tratta di un prodotto delle sontuose cucine dei Tudor, approdato qui a Ferrara nel 1500, all'epoca in cui le corti si scambiavano idee per le feste, ricette e cuochi, e quando a tenere le fila dei fastosi banchetti degli Estensi c'era il nostro celeberrimo Cristoforo da Messisbugo (l'ente turismo, però, potrebbe infine apprezzare tutti i miei sforzi pubblicitari...).
Soltanto che, da quell'epoca, in Inghilterra si sono succeduti, nell'ordine, lo scisma anglicano, Oliver Cromwell, la Rivoluzione industriale e l'era vittoriana, tutte circostanze che avrebbero ridotto in polpette anche la cucina più pretenziosa; per cui oggi i Britannici in genere (e con lodevoli e resistenti eccezioni) cucinano, come è noto, da fare schifo, ma non bisognerebbe scandalizzarsene: bisognerebbe invece essere comprensivi e mandar loro uno stuolo di cuochi nostrani in soccorso, come la Croce Rossa o la Protezione Civile. In fin dei conti, considerati tutti questi disastri, hanno resistito anche tanto (se qualcuno si chiede come mai ho inserito tra i disastri pure lo scisma anglicano, è perché io ho una teoria personalissima, degna di un'ex-assistente pastorale, secondo cui la versione del cristianesimo più propizia alla cucina resta il cattolicesimo, specie quello mediterraneo; infatti, gli ecclesiastici del 1500 saranno stati anche corrotti, ma sapevano godersi la vita, amavano i buoni piatti e i conventi delle suore hanno inventato dei dolci stupendi! Basti pensare che l'altro dolce nostrano, il salame di cioccolato, si chiama in realtà "salame del papa").
Bene, allora la domenica preparai la mia zuppa inglese, quindi, il lunedì mattina, mi recai a scuola in auto e lasciai il dolce dentro l'abitacolo (una ghiacciaia ideale, dato il clima invernale), quindi andai a recuperarlo di corsa all'ora della ricreazione. Appena in tempo: verso le 11.00 comparvero i Tedeschi.
Si trattava in realtà del classico tipo di persone colte e cortesi, che si incontrano così di frequente nei contatti con la terra teutonica: vedemmo il gruppetto aggirarsi per i corridoi della scuola sotto la guida del preside; infine, alla quarta ora, giunsero da noi le nostre visitatrici, due professoresse, una signora più matura, che seppi poi essere una docente di Italiano (e che quindi riusciva a seguire la nostra lezione), mentre l'altra, più giovane e bionda, doveva fare affidamento sulle traduzioni della collega.
La lezione fu un successo. I miei ragazzi erano letteralmente "gasati" e ravvivarono l'ambiente con un mucchio di domande: e ce n'era materia. La vita di D'Annunzio, come ho anticipato, è uno spasso, per cui la curiosità regnava. A parte il fatto che il "Vate" si chiamava non D'Annunzio, bensì, in realtà, Rapagnetta, ho ricordato di quella volta che fuggì con quella che sarebbe divenuta sua moglie, la duchessina Maria di Gallese, una fuga d'amore volta a evitare lo scandalo (lei era già incinta) e a preparare il terreno del matrimonio riparatore: solo che siccome lei aveva già compiuto 21 anni, mentre a lui mancava ancora qualche mese per la maggiore età, quando i carabinieri li acciuffarono, fu lei che dovette garantire per lui....Poi ci fu la burrascosa storia d'amore con Barbara Leoni, modello della protagonista del romanzo Il piacere: la coppia ci ha lasciato il più infuocato (e scandaloso) carteggio d'amore della nostra letteratura italiana. Ricordai le sue eroiche, come il volo su Vienna, dell'agosto del 1918, quando il poeta sorvolò in aereo la capitale austriaca e lasciò cadere migliaia di volantini patriottici italiani; o come quando egli fece parte, nel febbraio del 1918, del commando dei MAS (motoscafi anti-sommergibile) della Beffa di Buccari (i motoscafi entrarono di notte nella rada di Buccari, per sorprendere le unità della marina austriaca). E poi, saltò fuori anche il fatto che, probabilmente, D'Annunzio faceva uso di cocaina (durante la conquista di Fiume, dopo la Grande Guerra, tra i "legionari" la cocaina girava, non è un gioco di parole, a fiumi).
- Ma quella cocaina...da dove veniva? - ricordo che chiese Alex, che, essendo di origine colombiana, doveva sentirsi vagamente toccato dall'argomento.
- Da dove vuoi che venisse, Alex? Dall'America Latina, ovvio! - risposi; e qui attaccai la solita digressione. Spiegai che nell'Ottocento la cocaina era vista come la medicina del futuro, piena di potenzialità, per cui i medici dell'epoca erano meno consapevoli dei suoi effetti devastanti; tato che la si usava con maggiore (eccessiva) disinvoltura. E, anzi, anche qui c'è una curiosità. Dovete sapere che all'epoca andava di moda il "vino di cocaina", un tonico (l'antenato della nostra Coca-cola). Si trattava in realtà di un distillato cui veniva aggiunta una quantità davvero infinitesimale di coca, ma talmente infinitesimale che dentro non c'era quasi niente; e la ditta che lo produceva lanciò la prima campagna pubblicitaria con testimonials della storia. Sapete chi c'era tra i testimonials? Non sto scherzando, è proprio vero: c'era anche...papa Leone XIII (va a finire che, prima o poi, mi becco una denuncia con 'sto blog).
Insomma, la lezione fu vivacissima (aggiungo che tutti questi aneddoti, in realtà, mi servono per ancorarci contenuti più seri), con i ragazzi entusiasti (mi ricordo in particolare Luca, che era su di giri, e Bernardo, che, essendo di origine tedesca, faceva la sua parte con autorevolezza, come da copione). Le uditrici, soprattutto la docente d'italiano, non stavano più nella pelle e si divertirono un mondo. Vedevo l'una che cercava di tradurre a velocità razzo alla collega, che, a sua volta, sgranava tanto d'occhi e voleva a tutti i costi sapere cosa stavo dicendo: tanto che, qualche volta, le aiutavo con una breve spiegazione in tedesco. L'insegnante d'italiano mi disse infine, tutta contenta, che aveva imparato un mucchio di cose nuove (lo credo...).
Infine, venne il momento del dolce. Qui mi assistette Tatiana e, con le ragazze, formammo un'autentica catena di montaggio: taglio dolce (io), preparazione dei piattini (Tatiana), distribuzione dei piattini e dei tovagliolini (Sara e qualcun'altra), mentre tutti gli altri erano seduti al banco, in religioso silenzio e attesa. Ricordo ancora il viso preoccupato di Tatiana, quando rovesciai la zuppa inglese sul piatto da portata e la bella cupolotta venata dal rosa dell'alkermes, inizialmente davvero carina, cominciò ad affondare: "Prof, sta implodendo!". In effetti, un dolce fatto con due tipi di crema e biscotti inzuppati nell'alkermes non può avere la statica granitica delle piramidi d'Egitto: per cui ci affrettammo a tagliarlo e a distribuirlo. Devo ammettere che era venuto bene: e qui fui soddisfatta anche perché potei rimediare al primo dolce che avevo portato alla classe, una specie di Pan di Spagna farcito di cioccolata che non era venuto un granché (e i ragazzi, magnanimi, erano stati contenti lo stesso...).
La giornata si chiuse così in bellezza: le ospiti quasi si commossero per le attenzioni, poi, alla fine dell'ora, ci salutarono con un largo sorriso, per seguire il preside e il resto del loro gruppo, dato che erano tutti attesi all'Orio Vergani, l'istituto alberghiero, per il pranzo. A onore di cronaca, però, va ricordato che, nonostante l'indubbio successo, quella giornata lasciò una vittima. Il preside.
Dovete sapere che il nostro preside è un esperto di gastronomia, molto di più di quanto lascio credere io, con le mie ricette da corsa, qui sul mio blog: ed è anche un'ottima forchetta. Potete immaginarvelo come il colonnello Sapt del famoso Prigioniero di Zenda: non molto alto, robusto, non esattamente dotato di chiome, con i baffi a spazzola e temperamento sanguigno; a Sapt bisogna però aggiungere un validissimo senso dell'humor. Ebbene, quel giorno, all'Orio Vergani, fecero le cose in grande: il menù, se non ricordo male, prevedeva la pasta all'Arrabbiata, le Mozzarelle in Carrozza e il Tiramisù; insomma, una cosetta leggera, che avrebbe steso anche uno stomaco d'acciaio.
Il preside andò letteralmente KO. Quel pomeriggio c'erano gli scrutini di fine quadrimestre, e il nostro dirigente aveva quindi una valanga di riunioni, in più classi, cui doveva per forza presenziare: per cui verso le due, alcune colleghe lo intravidero veleggiare pacatamente verso il vicino bar, per andare a prendere un liquore che gli rimettesse in sesto la digestione (grappa). Ma, forse, non sarebbe bastata una tanica di benzina: perché, quando me lo trovai accanto durante un consiglio di classe qualche ora dopo, mi accorsi che, almeno esteriormente, era quasi da rianimazione, non dava praticamente segni di vita, neanche nei momenti più "surriscaldati" della riunione (in realtà, come compresi in seguito, seguiva tutto, eccome, da sotto alle palpebre inesorabilmente a mezz'asta e con che attenzione: ma stava facendo uno sforzo erculeo, non c'erano dubbi). Non oso crederlo, ma che fosse un boicottaggio dell'alberghiero?
Ecco, vedete, questa è la parte della nostra "buona scuola": insegnanti con molta parlantina, ragazzi entusiasti e collaborativi, cuochi in erba di successo e presidi eroici...E tanta, ma tanta, fantasia italiana.
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sabato 12 dicembre 2015
La calata dei Tedeschi...(al "Roiti"). 2 parte
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