I tappa: Monaco di Baviera e l'Isola dei Morti.
A Monaco, come dicevamo, la famiglia De Chirico si trasferisce dopo la morte del padre, nel 1905, e il giovane artista prosegue gli studi all'Accademia. L'atmosfera artistica qui è dominata dal decadentismo e dal simbolismo: due movimenti culturali che s'intersecano, incrociano, talora divergono, ma che esprimono l'uno il senso della decadenza del mondo occidentale, l'altro l'attrazione per il simbolo, l'intuizione, l'irrazionale che va al di là dei limiti della nostra consapevolezza.
Il maestro del simbolismo pittorico in terra tedesca è Arnold Böcklin: uno svizzero di Basilea, nato nel 1827 e affascinato dall'Italia e dalla classicità, che in Italia passò molta parte della sua vita, tanto che morì a S.Domenico di Fiesole, nella sua villa presso Firenze, nel 1901.
Un altro tema che ricorre molto spesso in Böcklin è la morte. A dire il vero, essa attirava l'interesse anche di simbolisti e decadentisti (basti leggere certe poesie di Pascoli oppure i romanzi di Thomas Mann, per capirlo): era un po' l'atmosfera dell'epoca, che dietro i fulgori della Belle Époque e l'ottimismo indefesso della Seconda Rivoluzione Industriale, coi suoi miti del progresso tecnologico e della crescita economica, si trascinava però dietro la percezione della fine, una malinconia intramontabile e il senso dell'incombere della morte. La stessa cultura occidentale era percepita come in fase di decadenza (e, di lì a poco, ci sarebbe stato l'immane bagno di sangue della Prima Guerra Mondiale). La vita restava spesso dura, la morte in agguato: un certo masochismo morboso pervadeva un po' tutte le opere dell'epoca (basti pensare alla fine miseranda di tutte le eroine di Puccini, chi morta di tisi, chi suicida dietro al paravento, chi precipitata da Castel Sant'Angelo) e la morte incombeva. Ovunque.
Così deve avere pensato anche il pittore svizzero quando, negli anni successivi al 1874, andava a visitare la tomba della figlioletta Mary al Cimitero degl'Inglesi di Firenze.
Ecco, da qui si vede proprio bene come è fatto il Cimitero, una specie di isola ovale in mezzo ai viali di circonvallazione di Firenze (ci ho girato intorno in auto varie volte), progettata dal celebre architetto Giuseppe Poggi quando Firenze divenne capitale d'Italia (1865), fu costruita, appunto, la circonvallazione al posto delle abbattute antiche mura e venne ideata questa specie di isola sopraelevata dove seppellire i non cattolici (per larga parte Inglesi). Dal 1877 non ci si seppellisce più nessuno, perché ormai il cimitero è in città: ma il suo sapore ottocentesco è rimasto intatto, tanto che ci hanno girato vari film.
Come è evidente, questa è la fonte d'ispirazione del più celebre dipinto di Böcklin, un vero caposaldo della cultura simbolista europea: l'Isola dei morti, ripetuto in ben cinque versioni (qui la seconda).
Il pittore aveva lo studio praticamente di fronte al Cimitero (dove, tra l'altro, sono sepolti gli ultimi discendenti di Shakespeare e la poetessa Elizabeth Barrett Browning): c'è chi sostiene che egli si sia ispirato anche all'isola di Capri, o a un'isoletta presso Corfù, o, addirittura, a un'isola già veneziana, nei pressi delle Bocche di Cattaro. In fin dei conti, la fonte d'ispirazione potrebbe essere una qualsiasi tra queste località o nessuna, o tutte insieme: il pittore, giustamente, non ne fece mai motto, perché il regno della fantasia ha leggi proprie. Tuttavia, l'isolotto roccioso, ricoperto di cipressi, alberi funebri, e di monumenti sepolcrali, emerge dall'acqua scura (l'Acheronte?) e sembra spalancare le braccia per ricevere una barchetta, su cui sta in piedi, immota, una figura bianca, affiancata da una bara (un morto? un fantasma?), mentre un'altra più scura sta vogando (Caronte?). Böcklin stesso affermava che il quadro doveva far sprofondare lo spettatore nel silenzio e nella meditazione, in un'atmosfera quasi onirica.
L'opera ebbe un successo enorme. Tralascio il fatto che uno dei suoi più noti estimatori fu Hitler in persona, che possedeva nel suo studio la terza versione (fotografata assieme a lui, Ribbentrop e Molotov dopo che era stato siglato il patto di non aggressione tra URSS e Germania nell'agosto del 1939); ricordo solo che il grande musicista Sergej Rachmaninov dedicò a quest'opera un poema sinfonico omonimo.
Qui v'inserisco il link alla versione diretta da A.Davis su Youtube: ne vale la pena (il lento crescendo rende molto bene l'avvicinarsi inesorabile della barca di Caronte alla riva dell'Acheronte).
https://www.youtube.com/watch?v=dbbtmskCRUY
Bene, perché questo lungo giro da Bocklin e l'Isola dei Morti? Perché non solo il tema era nell'aria che respirava De Chirico, ma anche perché il giovane, negli anni successivi al suo arrivo a Monaco, dovette metabolizzare il lutto della perdita del padre e confrontarsi in profondità con la morte. Ancora quando arrivò a Firenze, nel 1910, la sua salute ne soffriva. L'influsso di Bocklin è innegabile nella prima produzione di De Chirico per vari motivi:
1) Il fascino della classicità.
2) Il fascino del mito.
3) Il tema della morte.
4) Il tema dell'"oltre".
Beninteso: De Chirico non è né masochista, né morboso, né ossessionato dal tema della morte, anzi: ma si è confrontato con esso e con lo stile che pervadeva l'Europa durante la Belle Époque. Oso pensare che il suo sia stato anche un percorso esistenziale. Chissà quante domande si deve essere posto in quegli anni e come la sua arte lo avrà aiutato ad andare avanti e a trovare un senso tra le difficoltà. Guardate qui le due opere più vicine a quella di Böcklin, dipinte nel 1909: Prometeo e la Sfinge (visibile nella roccia nell'angolo in alto a sinistra), con questi paesaggi rocciosi, scabri, che danno allo spettatore la sensazione di essere perso in mezzo al nulla, impotente e in balia delle forze della natura. Probabilmente, questo era un passaggio, anzi "il" passaggio che De Chirico doveva compiere per poi avanzare, sicuro di sé, nel suo percorso. Chiedo spesso ai miei studenti se Dante aveva proprio bisogno di immaginare il suo viaggio all'Inferno: non bastavano Purgatorio e Paradiso? Ebbene no, non bastavano, perché, come dice il nostro cantante Battiato, non si riesce a risorgere se non si muore. Di quel periodo, non a caso, De Chirico si porterà dietro un forte senso del mistero e dell'enigma, approfondito grazie anche alla lettura di filosofi come Nietzsche e Schopenauer.
E qui, come pure nel modello, l'Isola dei Morti, abbiamo in nuce già la prossima tappa, ineludibile per un artista: Firenze, dove nasce la vera pittura metafisica.
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