sabato 23 gennaio 2016

The lady (L'amore per la libertà, L.Besson, 2011).


The lady

"C'era una volta un paese bellissimo, la Birmania....": così, con ritmo fiabesco ed alcune immagini di grande fascino poetico che rivelano un amore incondizionato per una terra bellissima, inizia il film biografico The lady, tradotto in italiano L'amore per la libertà, sulla vita della leader birmana Aung San Suu Kyi. Il regista è, insolitamente, Luc Besson, che ci ha abituato a ben altri film, quelli tipici d'azione o giù di lì (cito a caso: Nikita, Giovanna d'Arco, Il quinto elemento) e che, invece, con questa pellicola biografica ci offre un'opera di sensibilità ben diversa.
Infatti, la vicenda tende a sacrificare un po' i dati storici e politici, che, per questo, non sempre risultano ben chiari: per esempio, qualcuno dei miei allievi, come Tommaso, si è accorto che non è spiegata bene la successione dei doppi arresti domiciliari della protagonista, comminati nel 1989 e di nuovo nel 2005, dopo un periodo di semi-libertà. Infatti, la storia s'incentra più che altro sulla vita personale di Suu e su quello che la sua lotta politica per la libertà e la democrazia in Birmania ha comportato per lei e per la sua famiglia: separazione forzata dai suoi cari, soprattutto dall'amatissimo marito Micheal, che dovrà imparare a gestire la vita di famiglia da solo (dal ferro da stiro ai figli, al porridge), impossibilità di vedere i figli, neanche in visita (ai familiari veniva negato sistematicamente il visto) e, infine, la straziante morte di Micheal a causa di un tumore, senza che lei lo possa riabbracciare.


Ma forse, questa visione più intimistica e interiorizzata della protagonista, insolita per un regista come Besson, è più azzeccata e costituisce una sorpresa positiva. The lady, infatti, è dopotutto una magnifica storia d'amore, tra Suu e Micheal, interpretati magistralmente da Michelle Yeoh e da David Thewlis: due persone colte, unite da una grande sensibilità e dalla fede in ideali comuni e profondi, tali da spingerli su di una strada moto ardua, che costa loro la possibilità di vivere insieme, ma che, al tempo stesso, permette la redenzione di un popolo e un magistrale insegnamento per il mondo intero. The lady dimostra come l'individuo possa molto se ha dietro di sé rima di tutto la sua famiglia.
Michelle Yeoh, attrice malese di origine cinese, ma vissuta a lungo in Inghilterra, di grande professionalità, nota di solito per i film d'azione, dove interpreta lei stessa gli stunts (007 Il domani non muore mai, La tigre e il dragone, ma ha anche un ruolo ne Memorie di una geisha) sembra davvero Aung San Suu Kyi: anche se deve probabilmente il ruolo al fatto di essere legata al produttore del film, Jean Todt (sì! Quello della Ferrari!) è però la Suu ideale, non solo per la notevolissima somiglianza fisica, ma anche per una grazia dignitosa di eccezionale intensità: sul suo volto le emozioni vibrano con delicatezza eppure con veridicità rara, specie nei momenti più dolorosi del film. Quanto a David Thewlis (che compare spesso nei film di Harry Potter) dona grande spessore a Micheal Aris, un uomo, dopotutto, normale, profondo, scavato dalla separazione dalla donna della sua vita e che, con semplicità, affronta le corvées quotidiane che non può più adempiere lei, ma che agisce pure dietro le quinte per assicurare alla moglie il Nobel. Di solito si dice che dietro un grande uomo c'è una grande donna: ma, in questo caso, è anche vero il contrario, ovvero che dietro una grande donna c'è pure un grande uomo. Non a caso, nella pellicola prevalgono i mezzi busti e i primi piani, quasi a sottolineare come il punto di partenza dell'azione sia sempre l'umanità dei protagonisti.
Sull'altra sponda, i generali appaiono non caricaturali, ma meccanici come manichini, meschini, stupidi e, forse per questo, particolarmente veritieri.


Il film, una coproduzione franco-britannica, è stato girato in Thailandia, ma la ricostruzione appare molto attenta e, a tratti, documentaristica; la scelta d'intonazione della vicenda rende il ritmo della sceneggiatura talora un poco più lento, ma non è un male: splendida è la fotografia, che carezza il paesaggio birmano spesso immerso in una luce dorata e rivela l'amore straordinario per una terra meravigliosa. La colonna sonora possiede momenti di grande intensità, grazie anche all'utilizzo di strumenti locali; tutte queste qualità mi rendono scettica sulle riserve che il film ha suscitato in Occidente (ma non in Oriente). Mi sono convinta però di una cosa: siamo talmente bombardati da pellicole, immagini e prodotti mediatici, che forse, non siamo più tanto in grado di apprezzarne il valore con la dovuta serenità. Mi viene in mente uno dei protagonisti del racconto di Cechov, Il monaco nero, che leggeva freneticamente libri in francese, inglese e russo, uno dietro l'altro, ma senza apprezzarli davvero in profondità e, forse, senza capirli. E' il pericolo in cui è incorsa l'immagine di Aung San Suu Kyi stessa: in Occidente, parecchi ne avevano fatto oggetto di interesse intellettuale salottiero, ma effimero. Qualcosa di lontanissimo dalla protagonista di questo film davvero bello, una donna che ha pagato letteralmente con la vita le sue scelte e i suoi ideali di pace, democrazia, uguaglianza.


The lady
 
"There was once a beautiful country, Burma ....": so, with a magic rhythm and some fabulous images of great, poetic charm, revealing an unconditional love for a beautiful land, begins the biopic The Lady, translated into Italian The love of freedom, about the life of Burmese leader Aung San Suu Kyi. The director is, unusually, Luc Besson, who has accustomed us to films of a different kind, the typical action movies or so (I quote at random: Nikita, Joan of Arc, The Fifth Element) and that, instead, with this
biopic, offers us a quite different work.
In fact, the story tends to sacrifice some historical and political data, which are not always very clear: for example, some of my students, like Tommaso, have noticed that the movie does not explain well the sequence of double arrests of the protagonist, sentenced in 1989 and again in 2005, after a period of semi-freedom. Actually the story focuses mostly on the personal life of Suu and on what her political struggle for freedom and democracy in Burma has led her and her family too: a forced separation from her loved ones, especially from her beloved husband Michael, who had to learn how to manage family life alone (from the ironing board to the children, to porridge), her inability to see her children, even on visit (family members were systematically denied the visa) and, finally, the heartbreaking death of Michael because of a tumor, without her being able to embrace him again.
 

But perhaps this intimate perspective on the protagonist, unusual for a director like Besson, is more fitting and represents a positive surprise. The lady, in fact, is after all a wonderful love story, between Suu and Michael, played masterfully by Michelle Yeoh and David Thewlis: two well-educated people, united by great sensitivity and deep faith in ideals, which motivate them to a hard way, costing them the chance to live together, but, at the same time, allowing the redemption of a people and giving a masterful lesson for the whole world. The lady shows how much the individual can do with a strong family behind.
Michelle Yeoh, a Malaysian actress of Chinese origin, but who lived long in England, highly professional, usually known for action films, where she plays the stunts herself (007 Tomorrow Never Dies, Crouching Tiger, Hidden Dragon, but she has also a role in Memoirs of a Geisha) looks really like Aung San Suu Kyi: although she probably owes her role to her connection to the producer of the film, Jean Todt (yes! The one of the Ferrari!), however, she is the ideal Suu, not only because of her remarkable physical resemblance, but also thanks to her dignified grace and exceptional intensity: on her face emotions vibrate gently, yet with rare authenticity, especially in the most painful moments of the film. As for David Thewlis (who often appears in Harry Potter's movies), he gives great depth to Michael Aris, after all, a normal, deep man, exhausted by the separation from the love of his life and who simply performs the daily cores his wife can no longer perform, but who also acts behind the scenes to ensure her the Nobel. Usually it is said that behind every great man there is a great woman, but, in this case, the opposite is also true: namely that there is a great man behind a great woman. Not surprisingly, in the film there are many close-ups, as to emphasize that the starting point of the action is always the human side of characters. On the other side, the generals appear not caricatured, but like mechanical dummies, petty, stupid and, perhaps for this reason, particularly truthful.


The film, a Franco-British co-production, was shot in Thailand, but the reconstruction looks very careful and, at times, almost fitting a documentary; the intonation of the story sometimes makes the pace of the script a little slow, but that's not a bad thing: the photography is splendid, caressing the Burmese landscape often bathed in golden light, and revealing the extraordinary love for a beautiful land. The soundtrack has moments of great intensity, also thanks to the use of local instruments; all of these qualities make me skeptical about the reserve that the film has aroused in the West (but not in the East). I am convinced, however, of one thing: we are so bombarded with films, pictures and media, that perhaps we are not so able to appreciate them with the necessary serenity. I am reminded of one of the protagonists of a story by Chekhov, The black monk, reading frantically books in French, English and Russian, one behind the other, but not really appreciating them deeply and perhaps not even understanding them. And that's the danger for the image of Aung San Suu Kyi herself: in the West, many have made her the object of intellectual, but ephemeral interest. Something far from the protagonist of this beautiful movie, a woman who has literally paid with her life her choices and ideals of peace, democracy, equality.

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