Non sposate le mie figlie! (2014)
Tutto comincia al municipio di Chinon (non a caso: Chinon è un piccolo centro medievale di grande suggestione nel cuore della Loira e della Francia, già piazzaforte contesa durante la Guerra dei Cent'Anni e dove Carlo VII incontrò Giovanna d'Arco): si celebra il matrimonio tra una delle figlie del notaio Verneuil (difficilmente si sarebbe potuto trovare un cognome più ad hoc), Segolène, e il giovane cinese Chao Ling. Panoramica degl'invitati sorridenti, mentre al centro compaiono, con volto quasi impaurito, i genitori della sposa. La scena si ripete (ancora al municipio): questa volta è l'altra figlia Odile che sposa l'Ebreo David Benichou; nuova inquadratura dei genitori della sposa, sbigottiti. Infine (e sempre al municipio di Chinon), ecco il terzo matrimonio: la terza figlia Isabelle sposa l'avvocato algerino Rachid Ben Assem; e, ancora una volta, i genitori appaiono costernati. A questo punto, il fotografo che, prima della rituale foto di gruppo incoraggia tutti a sorridere, esorta: "Anche i genitori della sposa!".
Così inizia una delle commedie più divertenti e riuscite degli ultimi anni (non solo in Francia), Qu'est-ce qu'on a fait au bon Dieu? (alla lettera: "Che cosa abbiamo fatto al buon Dio?"), tradotto da noi come Non sposate le mie figlie, del regista, poco noto in Italia, Philippe de Chauveron. Non credo di sbagliare affermando che questo sia il suo primo film di largo successo: e si noti il cognome, che denota un'origine nobiliare, anche se minore. Forse non è un caso: l'aristocrazia francese, specie dopo i rivolgimenti degli ultimi due secoli, è attenta ai valori della tradizione e della religione, temi che qui vengono affrontati in rapporto a quello, centrale, dell'immigrazione, con vivacità, buon gusto e con brio. Difatti, il titolo originale non è che l'esclamazione costernata pronunciata dai protagonisti, i signori Vernueil, al costatare che tutte, ma proprio tutte, le loro figlie hanno scelto degli stranieri come mariti, invece che convolare a giuste nozze con il tipico rampollo di buona famiglia, agognato da ogni genitore borghese che si rispetti. Ma andiamo con ordine.
Claude e Marie Vernueil sono la classica coppia di benpensanti francesi alle soglie dell'età anziana, cattolici, benestanti, benvisti nella società circostante (lui è notaio); Claude non cela simpatie gaulliste e appartiene quindi alla destra moderata tradizionalista che, in Francia, caratterizza una parte della borghesia e difende i valori del buon tempo antico. Tutte e tre le prime figlie però, in contrasto col pio desiderio della mamma di vederle sposate in chiesa, hanno scelto, come visto, dei coniugi non cristiani: donde il rito in municipio. Quando l'ultimogenita, Laure, annuncia il suo prossimo matrimonio con Charles, un bravo ragazzo cattolico, i coniugi respirano di sollievo: finalmente! Senonché, all'appuntamento per fare conoscenza, Laure si presenta con un gradevolissimo giovanotto...di colore. Charles è infatti ivoriano. E' a questo punto che i poveri genitori esplodono e mamma Marie esclama appunto: Qu'est-ce qu'on a fait au bon Dieu?
L'idea fulcro della commedia è non solo originale, ma anche di grande attualità e foriera di una straordinaria comicità: perché, mentre la Francia (come il resto d'Europa) affronta il progressivo dilagare dell'immigrazione sul proprio suolo, dalla sceneggiatura emerge soprattutto che tutto il mondo è paese. In fin dei conti, come viene ripetuto spesso nei seminari sulla questione, siamo tutti razzisti: o meglio, tutti ci portiamo dentro delle potenzialità razziste, che esplodono in circostanze estreme. Ecco allora esplodere l'antipatia reciproca tra Rachid, Algerino, e David, Ebreo; oppure eccoli entrambi a farsi beffe del povero Chao e del suo atteggiamento così "cinese". Ma proprio quando i primi tre generi stanno trovando un terreno d'accordo, l'arrivo del quarto, Charles, rischia di destabilizzare il tutto: ed eccoli lì, come dei bambini, a tentare di boicottare il matrimonio. Al confronto, viene spontaneo comprendere invece i genitori Verneuil, le cui resistenze, lo si capisce bene nel corso della pellicola, non vengono tanto da pregiudizi, quanto dal fatto che tutto ha un limite: e questa "invasione" di persone così differenti, dalle culture più diverse, spaventerebbe, è umano, chiunque.
L'idea originale (anche se pare una riedizione comica del celebre Indovina chi viene a cena? del 1967, con Spencer Tracy e Katherine Hepburn, sul tema del razzismo) quindi ha dato il via a una sceneggiatura ottimamente strutturata, compatta e brillante, in cui le gag comiche fioriscono a iosa e non appaiono gratuite. Al tempo stesso, essa rende possibile uno spaccato della società: si pensi alla scena in cui il gendarme esterrefatto (i militari si posizionano di solito a destra, in Francia) butta fuori dalla gendarmeria i quattro genitori, venuti a salvare i consuoceri nei guai. Nel quadro stona solo la caricatura del prete, non perché sia la caricatura di un religioso, ma solo perché il giovane parroco appare insulso (cerca i paramenti sacri su Internet dal tablet mentre confessa).
Il film ha avuto un successo straordinario, in Francia e all'estero, del tutto meritato: e la "famiglia" di interpreti, affiatatissima, è guidata con vivacità dal comico Christian Clavier (noi lo ricordiamo soprattutto come Napoleone nello sceneggiato omonimo del 2002, o come Asterix), e da Chantal Lauby, anche lei umorista. Speriamo che arrivi presto il DVD, perché questa è una commedia assolutamente da vedere, specie in famiglia: e convoglia un messaggio importante. Infatti, se da un lato è comprensibile che l'immigrazione provochi scompensi, per cui c'è bisogno di tempo per metabolizzare i primi contatti e imparare a conoscere l'altro, d'altro lato è molto bello rendersi conto che, dall'altra parte, ci sono persone come noi, con valori, famiglia, principi solidi: ed è quello che imparano i Vernueil a contatto con la famiglia di Charles Koffi, del tutto analoga. In una delle scene più commoventi del film, le madri dei due sposi, nel preparare la cerimonia in chiesa, scoprono di preferire lo stesso brano del Vangelo. In fin dei conti, molti problemi potrebbero essere spazzati via grazie a correttezza, buon senso e rispetto reciproci; e, alla fine della pellicola, viene persino il dubbio che il bel finale sia la risposta provvidenziale all'angosciata domanda del titolo originale: così l'immigrazione da "castigo" si trasforma in opportunità, un po' come se il "buon Dio" avesse davvero mandato quei mariti stranieri...
Serial (Bad) Weddings, 2014.
Everything begins at the town hall of Chinon (in fact: Chinon is a small medieval town of great charm in the heart of the Loire and France, already a disputed fortress during the Hundred Years War and where Joan of Arc met Charles VII): there is the wedding of a daughter of the notary Verneuil (one could hardly find a name more ad hoc), Ségolène, and the young Chinese Chao Ling. Overview of the smiling guests, while in the center the bride's parents appear, with an almost frightened. The scene repeats itself (again at the town hall): this time it's the other daughter Odile who marries the Jew Benichou David; new shot of the bride's parents, stunned. Finally (and always at the city hall of Chinon) there is the third marriage: the third daughter, Isabelle, marries Algerian lawyer Rachid Ben Assem; and, once again, the parents look like in consternation. At this point, the photographer who, before the ritual group photo, encourages everyone to smile, says: "Also the parents of the bride!"
So begins one of the funniest and most successful comedies of recent years (not only in France), Qu'est-ce qu'on a fait au bon Dieu? (literally: "What have we done to God?"), translated in English more flatly Serial (Bad) Weddings, by director, not well known outside of France, Philippe de Chauveron. I suppose I am correct in saying that this is his first film of great success: and note the name, denoting a noble origin, although of minor importance. Perhaps it is no coincidence: the French aristocracy, especially after the upheavals of the last two centuries, is attentive to the values of tradition and religion, issues being faced here in relation to the central one of immigration, with vivacity, good taste and cheerfulness. In fact, the original title is the dismayed exclamation uttered by the protagonists, the Vernueil, seeing that all, absolutely all, of their daughters chose foreigners as husbands, rather than tie an important marriage with the typical scion of good family, a wedding coveted by every respectable, bourgeois parent. But let's go in order.
Claude and Marie Vernueil are the classic pair of good-thinking French on the threshold of old age, Catholics, wealthy, well-appreciated in the surrounding society (he is a notary); Claude does not hide his gaulliste sympathies and thus belongs to the moderate, traditionalist right-wing which, in France, gathers a part of the bourgeoisie, and promotes the good old days. All of the three first daughters, however, contrary to the wishful thinking of their mother to see them married in the church, have chosen, as seen, non-Christian spouses: hence the ceremony in the town hall. When the youngest daughter, Laure, announces her next marriage with Charles, a good Catholic boy, the pair breathe of relief: at last! Except that Laure shows up with a very pleasant young ...black man. Charles is indeed Ivorian. At this point the poor parents explode and mother Marie exclaims precisely: Qu'est-ce qu'on fait au bon Dieu?
The core idea of the play is not only original but also very timely and heralding a very funny comedy: because, while France (like the rest of Europe) deals with the gradual spread of immigration on its soil (CIA figures), the script makes clear that we are all the same. After all, as it is often said in seminars on the matter, we are all racists, or rather, we all carry within us the potential for racism, exploding in extreme circumstances. Here then we find the mutual dislike between Rachid, Algerian, and David, Jew; or they both make fun of poor Chao and his "Chinese" attitude. But just when the three brothers-in-law are finding a common ground, the arrival of the fourth, Charles, risks destabilizing the whole: and there they are, like children, to boycott the last wedding. By comparison, it is natural to understand instead the parents Verneuil, whose resistance comes not so much from prejudices, but from the fact that everything has a limit, and this "invasion" of so different people from the most diverse cultures, scares, it's human, everyone.
The original idea (although apparently a remake of the famous comedy Guess Who's Coming to Dinner?, 1967, with Spencer Tracy and Katherine Hepburn, about racism) gives way to a well-structured script, compact and bright, were gags bloom at galore. At the same time, it makes possible a cross section of society: think of the scene where the shocked gendarme (the military are usually right-wing, in France) throws out of the gendarmerie the four sons-in-law, come to save the in-laws in trouble. Only the caricature of the priest jars with the context, not because it is the caricature of a priest, but because the young pastor looks silly and insipid (looking for garments on the Internet from the tablet while he confesses).
The original idea (although apparently a remake of the famous comedy Guess Who's Coming to Dinner?, 1967, with Spencer Tracy and Katherine Hepburn, about racism) gives way to a well-structured script, compact and bright, were gags bloom at galore. At the same time, it makes possible a cross section of society: think of the scene where the shocked gendarme (the military are usually right-wing, in France) throws out of the gendarmerie the four sons-in-law, come to save the in-laws in trouble. Only the caricature of the priest jars with the context, not because it is the caricature of a priest, but because the young pastor looks silly and insipid (looking for garments on the Internet from the tablet while he confesses).
The film has become hugely successful, in France and abroad (figures), and this success is entirely deserved: and the "family" of interpreters, getting along very well, is led in a living way by comedian Christian Clavier (we remember him especially as Napoleon in the 2002 drama of the same title, or as Asterix), and Chantal Lauby, herself a comedian. We hope it arrives on DVD soon, because this is a must to see, especially in family, and conveys an important message. In fact, while it is understandable that immigration causes problems, so that we need time to process the first contacts and get to know each other, on the other hand it's very nice to realize that, on the other side, there are people like us, with values, family, solid principles: and that's what the Vernueils learn in contact with the family of Charles Koffi, quite similar to them. In one of the most moving scenes of the film, the mothers of the couple, while preparing the church ceremony, discover they prefer the same Gospel passage. After all, many problems could be wiped out by fairness, common sense and mutual respect; and, at the end of the film, one may even doubt that the great finale is the providential response to the anguished question of the title: as immigration could be transformed from "punishment" into an opportunity, a bit as if the "good Lord" had really sent those foreign husbands ...
Nessun commento:
Posta un commento