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giovedì 21 luglio 2016
The Race (2016, S.Hopkins)
The Race
Olimpiadi del 1936, gare di atletica leggera: ben 4 medaglie d'oro vanno all'Afro-americano Jesse (cioè James Cleveland) Owens: corsa dei 100 metri, dei 200, salto in lungo e staffetta 4 x 100. Il campione realizza anche alcuni record mondiali, che rimarranno imbattuti per lungo tempo: questo il soggetto di The Race (gioco di parole tra "razza" e "corsa"). Chi ha ancora negli occhi il magnifico Momenti di gloria, di Hugh Hudson, anche se girato una trentina d'anni fa, si sarebbe aspettato da un soggetto così notevole qualcosa di più. Periodo dell'ascesa del nazismo, del dopo-'29, atletica, Olimpiadi, vittorie straordinarie, questione dei diritti umani, razzismo: uno Spielberg, oppure un Eastwood avrebbe realizzato un capolavoro (qualcuno di voi si ricorda Invictus?). Invece, ci siamo ritrovati Stephen Hopkins, che, a mio modesto avviso, non arriva a realizzare un film all'altezza del compito. Carino, discreto, ma non basta. Ma, soprattutto, qui ha fatto cilecca la sceneggiatura....
Partiamo prima dagli errori storici. Anche se varie cose sono vere (le gare, la vita personale di Owens, la sua amicizia col collega tedesco Luz, il rifiuto di Roosevelt di riconoscere le sue vittorie, persino il dirigibile Hindenburg che incrociava sopra Berlino!), tutta la vicenda è presentata in termini e con un linguaggio che sarebbero stati attuali al processo di Norimberga, non nel 1934-35. Ora, buona parte della prima metà della pellicola è consacrata alla discussione del boicottaggio dei Giochi Olimpici che sarebbero stati poi il trampolino di lancio della megalomania nazista. Molto è vero, ma non poco no. Vediamo.
La scelta di Berlino come città ospite risaliva al 1931, ma Hitler salì al potere nel 1933, suscitando quindi reazioni in alcuni paesi democratici, colpiti dalla politica razziale del Terzo Reich: il Völkischer Beobachter, il giornale di partito, aveva affermato che Ebrei e Neri avrebbero dovuto essere esclusi dalle competizioni. Il dibattito, effettivamente, ci fu, ma temo che la sceneggiatura usi in merito una terminologia troppo manichea, appunto degna del 1945. E sapete perché? Tra i leaders del movimento per il boicottaggio c'erano, ovviamente, molti Ebrei e...Cattolici. Per gli Ebrei, ricordiamo l'American Jewish Committee e il Jewish Labor Committee. Nel film vedrete però che l'oppositore di Avery Brundage (ottimamente interpretato da Jeremy Irons), il futuro presidente della IOC (International Olympic Committe) che va a ispezionare Berlino, è il giudice Jeremiah Mahoney (interpretato dal noto attore William Hurt). Mahoney, presidente dell'Unione Atleti Dilettanti, era cattolico, così come il sindaco di New York Fiorello La Guardia (Italiano!) e il giornale che si espresse per il boicottaggio l'8 novembre 1935, il Commonweal. Perché? Il nazismo, con la sua politica razzista, era anti-cristiano.
Il vero Jesse Owens
Ovviamente, si espressero per il boicottaggio anche altri, come gli ambasciatori americani a Berlino e a Vienna, il governatore liberale di New York, Al Smith, oppure socialisti e comunisti tedeschi in esilio, nonché sindacalisti americani delle trade unions e presidenti di college. Tuttavia, il dibattito sul boicottaggio fu notevolmente influenzato dall'adesione al credo ebraico o cristiano di vari che lo sostenevano; ma temo che nell'America WASP, dove l'antisemitismo era diffuso, il parere di Ebrei e Cattolici (o anche socialisti) non fosse maggioritario, anche se il fronte del boicottaggio perse di poco alla votazione dell'8 dicembre 1935. Non solo: Brundage, allo IOC, prese il posto di Ernst Lee Jahncke (Protestante, di origine tedesca), buttato fuori dall'organizzazione perché si era espresso con forza per il boicottaggio. Come sottolinea l'Enciclopedia dell'Olocausto, è l'unico membro dello IOC a essere stato espulso in decenni di vita dell'organizzazione!
Ovviamente, molti atleti di origine ebraica boicottarono i giochi a titolo personale, mentre altri venivano esclusi d'ufficio dalla squadra olimpica tedesca (molti dimenticano però che furono esclusi anche i Rom e Sinti, che anzi, questi furono segregati, all'occasione, in campo di concentramento; mai che si veda un Rom o un Sinti in questi film...). Un ultimo dettaglio interessante: le prime due atlete turche e musulmane della storia dei Giochi Olimpici, Halet Çambel e Suat Fetgeri Așani, fiorettiste, si rifiutarono di stringere la mano a Hitler per simpatia nei confronti delle vittime della persecuzione razziale.
Potete controllare online:
Cfr. The Movement to Boycott Berin Olympics in 1936, Holocaust Encyclopaedia,
https://web.archive.org/web/20140202095138/http://www.ushmm.org/wlc/en/article.php?ModuleId=10007087
The Nazy Pary: The Nazy Olympics, Jewish Virtual Library,
https://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/Holocaust/olympics.html
http://www.historyplace.com/worldwar2/triumph/tr-olympics.htm
Jeremiah Mahoney
Alla fine, gli sforzi di Mahoney persero, perché Brundage insistette a oltranza, affermando che non si poteva mescolare la politica allo sport: così gli USA parteciparono e si trascinarono dietro tutti gli altri Paesi, 49, mai così tanti in un'Olimpiade.
Però, è bene ricordare che nessuno si sognò mai di chiedere a Owens di boicottare i Giochi Olimpici, nessuno in particolare della comunità di colore: la sua partecipazione veniva vista anzi come una possibilità di combattere il razzismo. La comunità nera vedeva anzi il dibattito sul boicottaggio come ipocrita: perché gli Americani non si occupavano prima del razzismo a casa loro? Ecco perché tutto il dibattito sul boicottaggio da parte di Owens è un grave falso.
Del resto, questo falso ha provocato un corto circuito assurdo nella pellicola. Infatti: è arcinoto che Owens partecipò alle Olimpiadi di Berlino: ma i "buoni" avrebbero dovuto boicottare i nazisti, quindi si crea la strana anomalia per cui, alla fine, gli sceneggiatori devono dare per "buona" l'azione eticamente meno valida. Insomma, un pasticcio incoerente. Dato che siamo sulla sceneggiatura, trovo inoltre che essa non lasci emergere sufficientemente i personaggi: per esempio, l'allenatore Snyder avrebbe potuto essere meglio scolpito (molto del suo dramma è lasciato implicito: lo vediamo bere per tutto il film e non capiamo perché), così come le potenzialità del bel rapporto tra lui e Owens. La stessa questione razziale emerge in modo stereotipato (confrontate invece la maldicenza sottile e subdola con cui si scontra Harold Abrahams in Momenti di gloria, molto più realistica). Il film decolla in occasione delle gare (e qui fioccano le citazioni da Momenti di gloria), ma questo è un effetto abbastanza agevole da raggiungere.
Halet Çambel, l'atleta turca che non volle stringere la mano a Hitler
Torniamo infine ad altri errori storici. L'attore che impersona Goebbels, Barnaby Metschurat (il cognome è ebraico...), non solo non gli assomiglia per niente, ma non rende minimamente il lato mefistofelico del Ministro della Propaganda di Hitler, detto "nano malefico"; piuttosto sembra un sopravvissuto ai gulag staliniani. Hitler stesso è caricaturale (ben altro era Bruno Ganz nella Caduta), così come Hermann Goehring. Infine, Leni Riefenstahl è presentata come la "buona" del gruppo nazista, il che lascia molti dubbi, dato che era compromessa col nazismo e la sua propaganda (cambiò idea, quando perse un fratello al fronte). Rimane il fatto che le sue riprese autentiche di Olympia rimangono tra le parti migliori del film. Lo stesso attore che interpreta Owens, Stephan James, non gli assomiglia per niente, mentre invece gli è molto simile quello che impersona il padre....Infine, rieccoci con lo stereotipo che Hitler non strinse la mano a Owens: l'atleta ha sempre detto il contrario. Io tendo a credergli.
Per quanto riguarda la recitazione, mi ha colpito Jeremy Irons, di solito avvezzo a tutt'altri ruoli, ma qui perfetto in quello dell'affarista americano senza scrupoli; con un copione migliore sarebbe emerso ancora di più anche Jason Sudaikis nel ruolo di Snyder. Per il resto, il film riesce, sorprendentemente, a sottolineare l'imponenza dei monumenti nazisti (Speer ringrazierà), così come la musica appare non di rado interessante. In definitiva, anche se ho usato questo film in classe e può essere discreto ed esplicativo, rimane un kolossal mancato. Preferisco però ricordare una scena bella e riuscita: quella dello spogliatoio, in cui Snyder, per far capire ai suoi atleti che non devono lasciarsi distrarre da insulti o beffe del pubblico, continua testardamente a parlare, mentre il suo collega vuole cacciarlo. Questa è una scena davvero riuscita, potente e intensa: è una lezione di vita.
Ma la tendenza allo stereotipo annacqua e guasta il messaggio, che è troppo compromesso dal politically correct attuale e dai suoi manicheismi: ovvero: facciamo parlare la gente non come parlava davvero, ma come noi pensiamo che dovesse parlare. Tra l'altro: a un certo punto, Luz, discorrendo con Owens, racconta con costernazione come gli fosse stata inviata una ragazza, che intendeva farsi mettere incinta da lui per motivi eugenetici. Mi spiace, ma l'effetto è paradossale, se non rischiasse di apparire ipocrita. Oggi l'eugenetica sta tornando alla ribalta in maniera sempre più sfacciata (e non certo con metodi "naturali"), così come, all'epoca, la esaltavano quasi tutte le èlites nei paesi nordici e protestanti, Stati Uniti compresi: quindi, sarebbe forse più dignitoso tacere sull'argomento. La nostra generazione politically correct è troppo arrogante nel confronto con le altre culture, presenti o passate, e ipocrita. Attenersi alla verità storica ci salverebbe.
A proposito: sull'eugenetica,
Eugenetica, Museo Virtuale delle intolleranze e degli stermini, http://www.akra.it/amis/ric.asp?id=6
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