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lunedì 18 luglio 2016
Queen of the desert (W.Herzog, 2015)
Queen of the desert
Le prime immagini sono delle affascinanti panoramiche del deserto; e proprio la resa del deserto, del suo fascino silenzioso, del suo mistero, è forse la parte migliore di questo film. Queen of the desert, di Werner Herzog, con Nicole Kidman nel ruolo della protagonista, traccia la vicenda della esploratrice, archeologa, storica (e un'altra marea di cose) Gertrude Bell, la "Lawrence d'Arabia al femminile", pure britannica, che negli anni immediatamente precedenti e successivi alla I Guerra Mondiale, svolse un impareggiabile lavoro di ricerca e approfondimento della realtà medio-orientale sul terreno, con risvolti anche diplomatici (tracciò i confini dell'Irak sulla base della sua approfondita conoscenza della tribù locali e fu consulente per la risistemazione del Medio Oriente voluta da Churchill). E' da notare che il lato più "femminista" della vicenda è stato giudiziosamente lasciato un po' da parte (ma era perfettamente giusto rilevare, come avviene nell'esordio, che la vita femminile all'epoca della regina Vittoria doveva essere una noia mortale!).
La vicenda riferisce le due storie d'amore della protagonista: quella con Henry Cadogan (interpretato con sensibilità da James Franco), in servizio all'ambasciata britannica di Teheran, poi interrotta dalla morte di lui; quindi quella, a distanza, con il console di Damasco, Charles Doughty - Wylie (qui ho apprezzato Damian Lewis: la quintessenza del console britannico). La Kidman ha fatto come sempre un lavoro molto professionale: tra l'altro pronunciava l'arabo con naturalezza, cosa che non tutti gli attori riescono a fare con lingue molto diverse dalla propria (vedere ad es. come gestiva l'aramaico la Bellucci in The passion); invece non ho ben capito che cosa ci facesse Robert Pattinson nel ruolo di Lawrence d'Arabia da giovane: forse ho agganciato eccessivamente Pattinson al ruolo del vampiro di Twilight, e sono troppo affezionata a Peter O'Toole nel celeberrimo Lawrence d'Arabia di D.Lean; ma, onestamente, Pattinson non solo non assomiglia per niente a T.E.Lawrence e O'Toole sì (anche se O'Toole era molto più alto; Lawrence era piuttosto bassino), ma non ho neanche ben chiaro se la sua recitazione corrisponda al vero Lawrence.
Comunque: il film è discretamente bello, vale la pena e ha un che di poetico. Il suo intento però non è tanto storico (anche se il quadro iniziale pare rinviare all'attualità con la rapida presentazione delle difficoltà medio-orientali): non solo la storia appare sfasata rispetto alla cronologia reale (Gertrude ci viene presentata all'inizio come più giovane che nella realtà, e giunse in Persia nel 1892, non nel 1902), ma, da questo punto di vista, esso è molto diverso dal già citato Lawrence d'Arabia, epico, sostanzialmente un film di guerra, anche se sui generis; qui il tono è decisamente più meditativo, interiorizzato, quasi esistenziale. Forse è più adatto a una donna, ma, secondo me, è anche sottilmente più affascinante. E' vero che, alle volte, la sceneggiatura, di Herzog, pare sfilacciarsi e dilatarsi e fatica a offrire un percorso esistenziale della protagonista verso una meta ben definita; però non è male che sia lenta (ciò corrisponde bene all'ambientazione del deserto e del Medio Oriente) ed è una costruzione molto letteraria, accattivante, con le citazioni di Omar Khayyam e di poesia persiana nella prima parte e, nella seconda, quelle tratte dalle lettere e dai diari di lei (spero che siano citazioni autentiche, non ho modo di controllarle).
A questo tono di ricerca quasi del senso della propria esistenza e di se stessi coopera la bella fotografia, suggestiva per la cura degli effetti di luce e per la resa dei paesaggi, non solo quando si tratta del deserto o delle distese di sale, ma anche della campagna britannica intorno alla casa dei Bell (credo di avere riconosciuto il parco di Stourton); quindi anche la colonna sonora, specie nelle melodie orientaleggianti (firmata da Klaus Badelt, abituale collaboratore di Hans Ziemmer). Forse, con una sceneggiatura più rigorosamente orientata, si poteva conferire maggiore intensità proprio a questo lato letterario, meditativo, di riflessione sulla propria esistenza a confronto col deserto, col pensiero di popoli lontani, con la cultura medio-orientale. Il deserto è un profondo rivelatore del profondo della nostra anima: perciò ritengo che le parti più belle del film siano quelle in cui la voce fuori campo della protagonista riporta le sue meditazioni su quell'ambiente silenzioso e desolato, oppure i versi d'amore che esprimono il suo profondo dolore dopo la morte di Henry, mentre fuori incombe l'inverno inglese; sono molto belli gl'incontri con lo sceicco dei Drusi e con il secondo sceicco nel deserto, scambi di rispetto, ospitalità, saggezza e, infine, il dipanarsi, quasi in sordina, ma efficace, dell'amicizia con Fattuh, la guida della Bell, espressione di una sapienza e di una fedeltà che appaiono quasi come un augurio per il difficile dialogo tra culture odierno.
Queen of the desert (English version)
The first images are a fascinating panorama of the desert; and just this featuring the desert, its quiet charm, its mystery, is perhaps the best part of this film. Queen of the desert, by Werner Herzog, starring Nicole Kidman, tells the story of British explorer, archaeologist, historian (and another bunch of things) Gertrude Bell, a womanly "Lawrence of Arabia", that in the years immediately before and after the First World War, performed an unparalleled research of middle East realities on the ground, even with diplomatic implications (she drew Iraq's borders on the basis of her in-depth knowledge of the local tribes and she was a consultant for the Middle East resettlement by Churchill). It 's worth noting that the "feminist" side of the story has been judiciously left a little by side (but it was rightly pointed out, at the beginning, that women's lives at the time of Queen Victoria were to be very boring !).
The story relates the two love stories experienced by the protagonist: one with Henry Cadogan (played sensitively by James Franco), on duty at the British Embassy in Tehran, a story interrupted by his death; later, with the consul of Damascus Charles Doughty - Wylie (here I liked Damian Lewis: the quintessential British consul). Kidman has done a very professional job, as usual: among other things, she spoke Arabic with ease, something that not all actors can do with a language very different from their own (see eg. Bellucci speaking Aramaic in The passion). However I did not understand what Robert Pattinson was doing in the role of Lawrence of Arabia as a young man; perhaps I "hooked" Pattinson to the role of the Twilight vampire, and I'm too fond of Peter O'Toole in super-famous Lawrence of Arabia by D.Lean; but, honestly, Pattinson does not look anything like T.E.Lawrence while O'Toole did (although O'Toole was much taller; Lawrence was quite short), and I have not even realized whether his acting corresponds to real Lawrence .
However, the film is fairly good, worthwhile and shows something poetic. But its intent is not so much a historical one (even if the initial framework seems to make reference to current events with the rapid presentation of Middle East problems): not only the story seems out of phase with the real history (at the beginning, Gertrude is presented to us younger than in reality, as she arrived in Persia in 1892, not in 1902), but, from this point of view, it is very different from the aforementioned Lawrence of Arabia, epic, essentially a war movie, although sui generis; here the tone is definitely more meditative, internalized, almost existential. Perhaps it is more suitable to a woman, but, to me, it's also subtly more fascinating. It's true that, at times, the script, by Herzog, seems not very compact and does not offer a definite, existential journey of the protagonist towards a precise goal; but it's not bad it is a little slow (this corresponds well to the setting of the desert and of the Middle East) and a very literary construction, captivating, with quotes of Omar Khayyam and Persian poetry in the first half, and, in the second, of sections from the her letters and diaries (I hope they are authentic quotations, I have no way to control them).
This research of the meaning of existence and of our self is highlighted by the beautiful photography, impressive for the lighting effects and the landscapes. It is impressive not only when it comes to the desert, but also about the British countryside around the Bells' home (I think I have recognized the Stourton park); so does even the soundtrack, especially by its oriental melodies (signed by Klaus Badelt, regular collaborator of Hans Ziemmer). Perhaps, a more strict script could give greater strength to this literary side, to the meditative reflection on existence in the frame of the desert, to the comparison with distant peoples, with Middle East culture. The desert reveals deeply the depths of our souls: so I think the most beautiful parts of the film are those where the voice of the protagonist expresses her meditations on that quiet and desolate environment, or the love verses voicing her deep grief after the death of Henry, while the English winter hangs around. The meetings with the Sheikh of the Druze and with the second sheikh in the desert are really fine: an exchange of respect, hospitality, wisdom; and, finally, I'd like to underline the almost unnoticed, but effective, friendship with Fattouh, her guide: a sign of wisdom and fidelity that appears almost like an omen for the current, difficult dialogue between cultures.
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