Alcune riflessioni per i miei ragazzi dopo l'attentato di Dacca
Quando un attentato molto grave avviene durante l'anno scolastico, di solito, oltre al minuto di silenzio, in classe discutiamo anche sull'attualità. I miei ragazzi si sentono particolarmente smarriti dopo fatti del genere - il mondo al di fuori del loro, piccolo, fatto di famiglia, amici, scuola, gruppo sportivo, diventa allora particolarmente minaccioso - e aspettano risposte da noi adulti. Anche se adesso siamo in vacanza, penso allora che sia giusto proporre qualche spunto di riflessione a loro; e anche a noi.
I fatti di Dacca, Bangladesh, con l'assassinio di una ventina di persone, di cui 9 italiane, da parte di alcuni giovani fanatici islamisti bengalesi, ci ripresenta il solito scenario: giovani, giovanissimi, che si armano per fare strage di persone comuni; vittime che loro ritengono "persone di serie B" - infedeli (harbi, in arabo), per loro indegni di vivere -. Ma come si arriva a questo?
- Per me che insegno, vedere dei ragazzi di 22 anni circa, sorridenti davanti alla bandiera nera dell'IS e in procinto di sgozzare degli altri esseri umani e di farsi ammazzare è sconvolgente. Sono coetanei dei miei ex-allievi, che solo 2 o 3 anni fa avevo davanti a me in classe; se non compissero delle atrocità, verrebbe voglia di prenderli a sberle e rispedirli sui banchi di scuola.
S.Giovanni degli Eremiti, Palermo, in stile arabo
- Difatti: ma non erano figli di buona famiglia? (e in Bangladesh, appartenere al ceto medio vale molto di più che esserlo da noi) Non frequentavano le scuole migliori? Uno era addirittura il figlio di un politico molto noto e di un'insegnante di matematica....Erano scomparsi da un anno circa per andare a farsi addestrare in Malaysia e pare che centinaia di ragazzi degli stessi atenei del Bangladesh stiano sparendo alla stessa maniera: ma perché? Come si può perdere la testa così?
- Prima spiegazione. Qualche sera fa, lo psichiatra Paolo Cianconi negava al TG2 delle 20.30 del 3 luglio che gli attentatori fossero casi patologici: forse hanno qualche sfumatura paranoica, ma sono prevalentemente immaturi, facilmente manipolabili. Quando lo studioso si riferiva alle sfumature paranoiche, era perché questi ragazzi sono psico-rigidi: cioè pensano con l'accetta, in bianco e in nero, in maniera manichea. Quando uno rimane così (cioè non matura), non vede le sfumature, non capisce chi ha di fronte, ed è facilmente manipolabile, questo sì. Si lascia illudere dalle grandi parole, piene di vento, da una gloria di carta, senza badare alla sostanza; anzi, la sostanza - come la vita di altri esseri umani - diventa allora trascurabile.
Pavimento dell'Alhambra di Granada
- Seconda spiegazione. Le ultime ondate di terroristi islamisti appartengono sempre di meno ai ceti poveri; secondo uno studio, molti di loro, in Oriente, sono laureati, specie in materie scientifiche; tanto che qualcuno ha fatto la seguente ipotesi: i paesi medio-orientali (salvo l'Arabia Saudita) possono fornire di recente sempre meno impiego a queste élites intellettuali, la cui frustrazione, poi, li porterebbe al terrorismo. Al ceto modesto apparterrebbero di più invece i terroristi cresciuti in Europa e Occidente, magari immigrati di II o III generazione, di cultura non elevata. Parrebbe quindi che si tratti, per vari motivi, di persone che non trovano un loro posto ben definito nella vita. Ma spesso, sono persone "istruite" (almeno sulla carta). E allora?
Moschea di Omar, Gerusalemme
- Basta la frustrazione per arrivare a questo? Sicuramente, sotto c'è anche un vuoto notevole. Di educazione e di valori stabili. Saranno anche preparati, ma i terroristi che cultura hanno? Scientifica: informatici, tecnici, ingegneri ecc., cui si aggiunge la ripetizione a memoria di decine di sure del Corano (capiranno quel che ripetono? Boh!). Ma questa non è la formazione che dà senso critico e che rende autenticamente intelligenti: il senso critico che permette di distinguere il bene dal male e che permetterebbe a lor signori di capire che stanno rovinando la loro vita e quella degli altri (altroché morire da martiri ed eroi!). Ebbene, quel senso critico, con tutti i meriti delle materie scientifiche, si impara grazie alle materie umanistiche: letteratura, arti, filosofia e, soprattutto, storia. Ci avete mai pensato che Galileo era un maestro di prosa italiana e si interessava ad Ariosto? Che molti grandi scienziati coltivano interessi letterari? Sorge allora una domanda scomoda: queste materie vengono davvero apprezzate nella nostra società (e, di conseguenza, in quelle che sulla nostra si modellano)? Oppure non vengono regolarmente squalificate, perché "non producono"? Soprattutto la storia: negli ultimi anni ho visto ridursi lo spazio a sua disposizione come una tovaglia in lavatrice. Dubito che gli attentatori di Dacca l'abbiano imparata davvero, sennò si sarebbero resi conto che le loro azioni assomigliavano pericolosamente a quelle di altri poco raccomandabili (nazisti? gulag? khmer rossi? ecc.ecc.ecc.)....
Condivido che se avessero una formazione umanistica superiore non si infatuerebbero in questo modo. Anche Osama Bin Laden era un ingegnere meccanico. Noi operatori delle discipline umanistiche più che mai dobbiamo far proselitismo dell'Illuminismo
RispondiEliminaAppunto. Dobbiamo sempre ricordare che le scienze si occupano di oggetti, quindi danno l'illusione del dominio, mentre le materie umanistiche portano l'essere umano a confrontarsi con se stesso: ecco perché oggi fanno paura.
Elimina