domenica 3 aprile 2016

L'enigma di Griselda in Boccaccio. Parte 3


L'enigma di Griselda in Boccaccio. 3

Boccaccio e il mondo delle fiabe

Ma prima di proseguire sulla storia di Griselda, sorge un altro interrogativo: qual è il rapporto di Boccaccio col mondo della fiaba? Intendo qui parlare ovviamente delle fiabe come serbatoio di temi narrativi, la culla della narrazione e di ogni racconto. Ecco, a dire il vero, dai pochi spunti che offrirò nel seguito, appare subito che l'autore certaldese ha un rapporto molto complesso con le sue fonti e con i motivi fiabeschi in genere. Vediamo un po'.


La prova

Il tema fiabesco forse più ricorrente nelle novelle del Decameron è quello delle prove (spesso nel canonico numero di tre). Abbiamo già visto il caso di Griselda, in cui troviamo una progressione di prove sempre più crudeli; una celebre novella in cui le tre prove ricorrono, per di più con retroscena mitici, è Andreuccio da Perugia. Andreuccio si allontana dalla sua città natale, Perugia (funzione 1), e si reca nella grande metropoli, in questo caso il porto di Napoli; qui, la sua formazione (da stupido e ottuso diventa sempre più accorto, come un mercante dovrebbe essere) avviene proprio attraverso tre prove e tre "catabasi" (discese nel mondo infero). La prima volta, fallisce e si ritrova nella latrina, a causa degl'inganni della prostituta Fiordaliso; la seconda volta, entra in contatto con i ladri e viene catapultato nel pozzo per lavarsi; la terza volta, viene addirittura introdotto nel  mondo dei morti, in un sarcofago, dove dovrebbe rubare il prezioso anello del vescovo appena tumulatovi. Se la cava con la sua furbizia e riesce a uscire dal sarcofago con l'anello, dopo aver spaventato al momento giusto una seconda squadra di ladri. E' vero che la novella appartiene alla giornata dedicata alle vicissitudini capricciose della Fortuna; ma, in qualche maniera, Andreuccio ha superato (funzioni 25 e 26) tre prove, che lo hanno messo a contatto col mondo degl'inferi: quello dell'oscura fecondità (la latrina), quello di una specie di purificazione originaria (il pozzo) e il regno dei morti (il sarcofago). Lui ne esce sempre vittorioso.


Tuttavia, in fin dei conti, il tema delle prove può essere connesso anche con quelle novelle in cui brilla l'ingegno del protagonista. Pensiamo a quella più celebre, Chichibio e la gru: Corrado Gianfigliazzi, il padrone dello sventato cuoco, lo mette alla prova quando gli intima di giustificare come mai lui ha messo in tavola una gru senza una coscia. Al momento in cui Chichibio rivela di avere la risposta pronta, supera la prova e riceve l'indulgenza del padrone. E' vero che il motore delle novelle della sesta giornata è l'acume di risposte ingegnose, particolare manifestazione di intelligenza, in linea con una tradizione già classica; tuttavia, spesso l'eroe della vicenda supera una vera e propria prova con la sua intelligenza.
Così, in VI,7, madonna Filippa da Prato, sorpresa dal marito Rinaldo de'Pugliesi con l'amante Lazzarino Guazzagliotri (i cognomi corrispondono a quelli reali di nobili famiglie pratesi; l'amore tra i due viene caratterizzato come passione nobile, in linea con l'adulterio cortese) viene portata in tribunale per essere processata e condannata al rogo in quanto adultera; lei fa osservare al giudice, con una specie di femminismo ante litteram, che la legge è ingiusta perché nessuno ha chiesto il parere delle donne cui viene applicata; poi obietta: avendo lei sempre accontentato i desideri del marito, che deve fare lei di quel che le avanza di passione? Non è forse meglio donarlo a un uomo nobile, piuttosto che gettarlo ai cani? In questa maniera, senza negare la sua colpa, si salva la vita: Monna Filippa ha superato la prova del tribunale pratese.


Le ambizioni soddisfatte

Molti personaggi del Decameron, proprio come nelle fiabe, ambiscono a qualcosa di speciale: una donna, un amore, denaro, passione, innalzamento sociale e così via. Perciò, s'ingegnano per ottenerlo. E' nota la storia di Cisti Fornaio: da artigiano arricchito, egli vuole chiaramente avvicinare le élites di Firenze, quell'aristocrazia nera rappresentata da Geri Spina e dagli ambasciatori di Bonifacio VIII da lui ospitati; perciò, esibisce con gusto i suoi vini, finché non desta la loro curiosità. Nel momento in cui, con un motto di spirito, egli rimette al suo posto il servitore e, indirettamente, Geri, che non ha saputo valutare con la dovuta raffinatezza il suo vino, egli "quasi" consegue il suo scopo: si pone allo stesso livello del nobile e lo raggiunge a livello sociale.
Spesso e volentieri, l'oggetto del desiderio è però l'amore. Esemplare, da questo punto di vista, la novella III,3, che riguarda alcuni anonimi fiorentini (per motivi di decoro, dice il narratore, è meglio lasciare i nomi nella penna). Una gentildonna di alto lignaggio s'innamora di un giovane, molto amico di un frate di santa vita, ma non particolarmente intelligente; non sapendo come fare ad attirare l'attenzione dell'uomo, la donna va a confidare al frate di essere insidiata da lui. L'uomo capisce l'antifona: subisce così senza fiatare il rimbrotto del frate, ma comincia ad osservare la bella donna e a interessarsi a lei. Con lo stesso sistema indiretto, lei riesce a far sapere al suo nuovo spasimante sia come contattarla, sia quando trovarla sola, perché il marito è partito. Così, alle spese della dabbenaggine del frate, i due si incontrato una prima volta e iniziano un'appassionata relazione.


Che cosa possiamo osservare riguardo a questo topos letterario? Conseguire quanto si brama è sicuramente un luogo comune, ma, nelle versioni del Certaldese brilla sempre e comunque la virtù del mercante per antonomasia: l'intelligenza. Un'intelligenza che, non di rado, si fa beffe della morale, ma che non possiamo non ammirare. Pensate ancora a Nastagio degli Onesti, che no brilla certo per cavalleria mentre cerca di conquistare la sua amata: praticamente la ricatta per conquistarla. In questo, Boccaccio va al di là del motivo fiabesco: innanzitutto, lui è collegato a un sistema sociale ben preciso, quello mercantile; in secondo luogo, la morale delle fiabe è più rigida di quella, problematica e duttile, boccacciana. In fin dei conti, Boccaccio avalla anche desideri non del tutto onesti, purché intelligenza e nobiltà d'animo forniscano una giustificazione all'eroe.

La beffa

L'estrema manifestazione dell'aggressività intellettuale degli eroi boccacciani è la beffa. Pensate alle giornate VII e VIII, che vi sono integralmente dedicate: l'intelligenza degli eroi si dispiega a danno di antagonisti spesso ottusi (pensate alla beffa dell'elitropia ordita da Buffalmacco e soci ai danni di Calandrino).
Il motivo del raggiro (funzione 6) rientra invece in una visione un po' più tradizionale in Andreuccio da Perugia: qui l'eroe è lo stupido di turno e il raggiro non è al servizio del protagonista, bensì dell'antagonista, donna Fiordaliso, la prostituta disonesta, che vuole truffare Andreuccio. Questi finisce per avvantaggiare il suo raggiro (funzione 7), ma poi, come sappiamo, si toglie d'impiccio. Si coglie un'eco di certe fiabe che hanno lo sciocco al loro centro (come Gianni dell'oca, dei fratelli Grimm):  però anche Andreuccio, se vuole sopravvivere nel mondo di Boccaccio, deve mettere giudizio. Possiamo allora affermare che, attraverso il motivo della beffa, Boccaccio di solito stravolge in modo ambiguo l'usuale rapporto tra protagonista e antagonista: non la morale comanda, bensì l'ingegno; ed "eroe" può essere anche chi si comporta disonestamente, purché dia prova d'intelligenza nel conseguire i suoi scopi. Questa è la rivoluzione della "morale laica" mercantile, a fronte del mondo conservatore e statico delle fiabe. (continua)








 
 

 

 

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