lunedì 11 aprile 2016

Una passeggiata sotto la luna. Parte 1


Una passeggiata sotto la luna

Intorno al mito di Endimione; poesia, Luna e immortalità.

Narrano gli antichi che la Luna, la bellissima dea rivestita d'argento, colei che i Romani chiamano Diana, i Greci Artemide, ma che in greco si chiama anche Selene, si innamorò perdutamente di un giovane uomo bellissimo, di nome Endimione. Perciò la Luna chiese per lui al padre degli dei, Zeus, l'eterna giovinezza; e Zeus lo mantenne addormentato in una grotta della Caria, sul monte Latmo, così come quando la dea lo aveva scorto per la prima volta e se ne era innamorata. Così il giovane rimase in eterno e ogni notte, la Luna, coi suoi raggi argentei, scendeva a contemplare il suo amato nella grotta dove questi dormiva e a donargli il suo amore.
Questo incantevole mito cela il motivo dell'immortalità, possibile per gli astri e per gli dei, ma ignota agli esseri umani; l'amore però e la bellezza possono innalzare fino alla sfera degl'immortali. Ecco perché, nella tarda antichità, il mito di Endimione venne spesso rappresentato sui sarcofagi, come auspicio di sopravvivenza dell'anima; stranamente, però, in realtà, il nome deriva dal verbo greco enduo, che significa "tramonto". La bellezza celeste della luna collega questi due elementi, apparentemente antitetici.


Il mito di Endimione ha affascinato più di un poeta, così come la Luna. All'epoca di Shakespeare, nel 1588, uno dei  più applauditi intellettuali inglesi, quel John Lily autore del romanzo Euphues, da cui deriva il termine eufuismo (il marinismo in versione inglese, pieno di paradossi, figure retoriche ed espressioni lambiccate), rappresentò a corte Endimione o l'uomo della luna, in cui il giovane invecchia durante il suo sonno (opera però di una malia), ma recupera la giovinezza grazie al bacio della Luna. Lo stile della pièce pare sia pesantissimo, tuttavia sembra che essa fosse da leggere allegoricamente: la Luna sarebbe stata allora la "Regina vergine", cioè Elisabetta I, e Endimione il suo favorito, il conte di Leicester. Affascina l'idea che la Luna possa restituire col suo bacio l'eterna giovinezza al suo amato.


                                           Sarcofago col mito di Endimione
La luna e il mito di Endimione fanno da sfondo e da corollario a un altro mito d'amore dell'antichità, estremamente "romantico": la storia di Leandro ed Ero, secondo cui il giovane Leandro, tutte le notti, si tuffava nelle acque dell'Ellesponto per raggiungere la sua amata Ero, sull'altra sponda. Affascinante è la maniera in cui Ovidio, nelle Heroides (finte lettere di amanti del mito), intreccia lo splendido notturno, con  la Luna che risplende sul mare, al ricordo del suo amore per il giovane bellissimo e alla vicenda degli amanti separati dal mare stesso.

Calava la notte - è un piacere ricordarlo - quando, innamorato, uscivo dalla casa paterna; senza indugio, deposto il mio abito assieme al timore, muovevo le braccia con regolarità nelle fluide acque del mare. La luna quasi sempre mi offriva, mentre avanzavo, una luce palpitante, come una premurosa compagna del mio cammino. Io, scrutandola, dissi: "Assistimi, dea argentea, e affiori alla tua mente il ricordo delle rupi del Latmo! Endimione non ti permette di avere un cuore duro; volgi, ti prego, il tuo sguardo verso il mio amore segreto! Tu, una dea, discesa dal cielo cercavi l'amore di un mortale - mi sia concesso di dire la verità! -; quella che io cerco di raggiungere è lei stessa una dea. (...) E se non credi alle mie parole, guarda tu stessa! Come tutti gli astri scompaiono al confronto del tuo chiarore quando risplendi argentea con i tuoi raggi luminosi, così lei è la più bella fra tutte le belle: se non ci credi, Cinzia, la tua luce è cieca". Mentre dicevo queste parole, o parole certamente non dissimili, mi lasciavo trasportare di notte sulle acque, che non mi opponevano resistenza. L'onda luccicava per l'immagine della luna che vi si rifletteva e nella notte silenziosa c'era un chiarore come di giorno.

In questo caso, l'amore sfida ostacoli immani e la Luna funge da aiutante per gli amanti.


Il mito di Endimione ha continuato ad affascinare e ad evocare l'immortalità dell'amore e non soloin età moderna. Nel 1818, il poeta inglese romantico John Keats, che sarebbe poi morto di tisi giovanissimo, a Roma (accanto alla scalinata di Piazza di Spagna), nel 1821, pubblicò un meraviglioso poema, Endymion, di cui riporto qui l'esordio con la traduzione italiana:


A thing of beauty is a joy for ever:                          Una cosa bella è una gioia per sempre:
Its loveliness increases; it will never                       Si accresce il suo fascino; mai nel nulla
Pass into nothingness; but still will keep                 Si perderà; ma sempre per noi manterrà
A bower quiet for us, and a sleep                            un quieto  pergolato e un sonno
Full of sweet dreams, and health, and quiet breathing.
  pieno di dolci sogni, e salute, e quieto respiro.


Il mito di Endimione diviene qui simbolo, nel canto di alcuni pastori (come immagina Keats nel suo poema, 4 libri di 1000 versi ciascuno, in un ambiente bucolico), dell'eternità della bellezza e dell'aspirazione a questa eternità; perciò, essi proseguono, intrecciano corone nonostante giorni tristi e di buio, e un poco di bellezza si sprigiona comunque dalla cappa che pesa sui loro spiriti (la cappa è detta pall, cioè il drappo funebre). Queste forme di bellezza sono il sole, la luna, gli alberi che ombreggiano le pecore e i narcisi nel verde; e poi le sorgenti, i racconti, l'immortalità immaginata per i grandi e così via....

          Such the sun, the moon,

Trees old and young, sprouting a shady boon
For simple sheep; and such are daffodils
With the green world they live in...



                                          F.Trevisani, Endimione e la Luna

La luna è qui immagine di bellezza eterna, quasi speranza per gli umani che giacciono nell'ombra.
Altrettanto bella la poesia Endymion del tedesco Rainer Maria Rilke (in un empito di carità cristiana, vi risparmio il testo tedesco), in cui il cacciatore addormentato è inabitato ancora da un insieme confuso di sogni sulla caccia, l'eccitazione della battuta, i cani, le foreste; e la Luna è la dea eternamente vergine, mai sposa, che giunge alla pienezza in cielo senza l'aiuto di nessuno, e che eppure si sdraia al fianco del bellissimo giovane addormentato e risplende come i sogni di lui. L'eternità dei cieli che si piega dinnanzi alla bellezza e all'amore.


                                       Immagine del mito di Endimione a Palazzo Mazzetti

(continua)



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