sabato 2 aprile 2016

L'enigma di Griselda in Boccaccio. Parte 2


L'enigma di Griselda in Boccaccio. 2

Quindi, come abbiamo visto, Boccaccio segue le sequenze di Propp (che per lui erano ovviamente dei motivi narrativi tradizionali) in modo ambiguo, eliminando le categorie rigide tipiche delle fiabe e ricavandone significati complessi e prospettive sfumate, inquietanti: il cattivo è la stessa cosa del "principe azzurro", la figlia potrebbe essere una rivale, la posizione stessa di Griselda è ambigua.

In questa maniera, tutto è possibile, qualsiasi interpretazione diviene un'opportunità: Boccaccio riutilizza uno scenario feudale finemente caratterizzato, in cui Gualtieri si comporta nel modo  arbitrario di un signorotto (anche quando fa spogliare Griselda prima del matrimonio per prenderne possesso) e Griselda continua a chiamarlo "signore", ribadendo il fossato incolmabile tra i due (viene anzi quasi da pensare che Boccaccio stesso intendesse questo divario incolmabile come una spiegazione al famoso "vuoto" di cui parliamo). Quindi, Boccaccio punta il dito contro una certa concezione cortese, nel momento stesso in cui, paradossalmente la esalta; ma la esalta attraverso Griselda, cosicché l'autore dimostra, come voleva, che la nobiltà d'animo si può trovare in ogni classe sociale.


Perciò, una lettura "agiografica" della novella si coniuga perfettamente con la fiaba; ed è al tempo stesso perfettamente vero che Boccaccio, come intende Branca, pone al termine del Decameron il vertice della virtù, che può benissimo rimandare alla Madonna (si pensi alla risposta di Griselda al marito "fa di me quello che tu credi", che riecheggia il fiat della Vergine), o al Cristo, o anche alla stoica resistenza contro la fortuna; e anche se, di primo acchito, Dioneo, il narratore impertinente, parrebbe incapace di comprendere la virtù di Griselda, è anche vero che la sua ironia ci lascia capire che i "vuoti" del testo rimandano ad altro: alle ambiguità della vita? Forse (per noi) a una lettura psicanalitica del Decameron e al dramma dell'autore stesso?

L'ambivalenza di Boccaccio nei confronti delle donne è cosa troppo evidente per essere negata; ed è forte la tentazione di indovinarne l'origine nell'infanzia dell'autore, forzatamente abbandonato, per quel che si sa, dalla madre. Di qui, anche il rapporto ambiguo che Boccaccio intrattiene con la sublimazione della donna e lo Stilnovismo; del resto, lo stesso Gualtieri rivela, alla fine, alla moglie, che il matrimonio gli aveva messo paura, per cui era stato spinto a metterla alla prova in ogni modo, perché lei potesse dimostrare di essere degna del suo nuovo ruolo. Gualtieri dà quindi espressione, come indica l'autore, di "matta bestialità", quasi una definizione da Inferno dantesco della sua aberrazione morale: Gualtieri è veramente il "cattivo", oltre che lo sposo, e pare condensare in sé tutte le ambiguità della figura maschile, che stima la moglie in modo eccezionale, proprio mentre la mette alla prova crudelmente. In ogni caso, è anche perfettamente vero che qui Boccaccio gioca molto con dei miti letterari. Insomma: Griselda è un prisma, che può riflettere la luce che le si proietta contro. Però, la natura fiabesca del racconto ha fatto il suo corso....


Griselda e le altre versioni della storia

Non è un caso se la storia di Griselda ha fatto il giro d'Europa ed è stato il tronco da cui si sono dipartite molteplici ramificazioni. Come sappiamo, già Petrarca ne fu affascinato, tanto che la tradusse nelle Seniles XVII,3, in latino: la ritenne quindi degna dell'estrema nobilitazione (tra l'altro, come ha dimostrato M.Bevilacqua, nella sua epistola Petrarca fa finta di essere venuto a conoscenza del Decameron solo nel 1373 - !- e di averlo scorso cursoriamente....). Petrarca la considerava la novella migliore del suo amico, tanto più che, con astuzia retorica, essa era posta al termine dell'opera. In linea con la sua visione cristiana tormentata, il poeta considerò Griselda un esempio di pazienza femminile (intitolò la sua traduzione, infatti, De insigni obedientia et fide uxoria), anzi, allegoricamente, un modello di pazienza per il cristiano in genere e per l'anima contro le avversità, che mettono alla prova l'individuo per tirarne fuori il meglio (quella del cristianesimo un po' masochistico è una fissa di Petrarca: com'è noioso quando fa il moralista...).


                         Illustrazione di Anne Anderson al matrimonio  di Griselda in Chaucer

Da Petrarca (e anche dall'analoga traduzione in francese di Philippe de Mézières) prese spunto Geoffrey Chaucer per il suo Canterbury Tales (The Clerk's Tale è praticamente la traduzione del latino di Petrarca: anzi, il narratore dice di averla udita dalle labbra stesse del poeta italiano): Olsen ha riassunto le varie letture che i critici ne hanno dato, ma, nonostante le divergenze infinite, anche qui prevale l'elemento moralizzante e allegorico; obbedienza, pazienza, rispetto delle regole e dell'ordine creato sono ingredienti comuni nelle interpretazioni  di queste pagine di Chaucer. Non a caso, il parallelo più insistito è quello col libro biblico di Giobbe, il giusto perseguitato dalla sventura, quello che perde tutto, beni, salute e figli e non si ribella, nonostante tutto, a Dio. In effetti, fiaba e versione biblica possono andare a braccetto: già il racconto dell'AT intende essere un exemplum estremo (perché esiste il male del mondo e questo colpisce proprio gl'innocenti?). Anche in Boccaccio, Griselda potrebbe apparire come la quintessenza della donna messa alla prova e che, con la sua virtù, trionfa. Questa è, a ben vedere, l'interpretazione prevalsa poi in Europa, spesso a esclusivo "vantaggio" delle donne: lo dimostra il fatto che, come attestano le illustrazioni in queste pagine, Griselda sia un soggetto prediletto per i cassoni di nozze quattrocenteschi, quelli che i pittori dipingevano in Toscana per il corredo delle spose. Partendo però da Petrarca, non c'era molta speranza di alternative....


Difatti Bevilacqua, all'opposto, non crede alla versione moralizzatrice di Petrarca, divenuta poi stereotipa, perché edificante: per lui la novella boccacciana sarebbe una parodia, tanto più che viene narrata da Dioneo, specializzato in beffe e adulteri; e il soggetto sarebbe la "matta bestialità", non di Gualtieri, ma di Griselda, che rimane passiva come un pezzo di legno davanti a tutte queste crudeltà. Forse: in fin dei conti, anche questa lettura è possibile, come segnalato sopra.

Però, Griselda ha dato frutti soprattutto sul versante delle fiabe. Mentre, stranamente, non sono riuscita a trovare una possibile fonte fiabesca dello stesso Boccaccio, la novella di Griselda si è trasformata in fiaba in vari contesti: l'ha accolta Charles Perrault nei suoi Racconti di Mamma l'Oca; ha dato lo spunto a una fiaba danese identica; persino nell'Ottocento, è stata materia di due drammi di taglio fiabesco e ambientati, non a caso, alla corte di re Artù e Ginevra....(continua)






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