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domenica 16 ottobre 2016
Cafe society (W.Allen, 2016)
Cafe society
La prima cosa che colpisce di questo film è, a mio avviso, la fotografia: la cura per le immagini è un classico dei film di Woody Allen, che si avvale qui dell'aiuto del prezioso (e grande) Vittorio Sturaro; ma questa volta, l'avvicendarsi dei colori, la costruzione dei singoli fotogrammi è da manuale, come per sottolineare il cuore del film: il confronto con il fantastico (eppure deludente) mondo di Hollywood; e anche con la vita. Ma andiamo con ordine.
Bobby Dorfman è un simpatico imbranato di famiglia ebraica (l''"autosatira" di Allen sugli ambienti ebraici è graffiante), l'ovvio alter ego dell'artista: è interpretato da Jesse Eisenberg, che, tra l'altro, è veramente Ebreo (Eisenberg è noto come protagonista di The Social Network). Siccome non riesce a combinare nulla a casa, a New York, viene spedito dalla mamma dallo zio, a Hollywood, perché lo zio gli trovi una sistemazione. Lo zio Phil Stern (l'attore comico Steve Carrell), un agente cinematografico, a dire il vero, non ha molta voglia di occuparsi del nipote; alla fine, tra un incontro con Ginger Rogers e una discussione con la Paramount, gli rimedia dei lavoretti nella sua agenzia.
Ma, soprattutto, lo affida alla sua segretaria, Veronica, detta Vonnie (Kirsten Stewart, nota come Bella in Twilight), che comincia a uscire regolarmente con Bobby. Bobby rimane affascinato da questa ragazza acqua e sapone, che preferisce non essere banale e si rende conto del lato artificiale della vita di Hollywood; però lei è già "fidanzata". Quello che Bobby non sa è che Vonnie ha una storia nientedimeno che con suo zio, il quale ne è innamoratissimo; Vonnie si trova così indecisa tra i due, il maturo e determinato uomo d'affari e il giovane ingenuo, dall'aspetto gentile...Chi si vedrà il film, capirà che questa indecisione è uno dei temi portanti della pellicola.
Il nuovo film di Woody Allen è carino, vivace, ma, per quanto sia stato molto lodato, non è tra i suoi migliori: soprattutto la sceneggiatura non è all'altezza, ad esempio, di The irrational man o di Magic in the moonlight (per citare qualcuno dei film più recenti). Va da sé che la comicità di Allen qui non è al livello dei suoi grandi classici ed è affidata principalmente alle imprese del fratello gangster di Bobby, Ben, che non fa altro che seppellire cadaveri nel cemento; oppure a battute come "Vivi come se fosse l'ultimo giorno; e un giorno ci azzeccherai" (!). Però è una pellicola veramente gradevole, un omaggio a un'epoca molto amata da Allen, quella del jazz, ai suoi tratti tipici (Hollywood, il jazz, i gangsters, le star, i locali di terza categoria ecc. ecc.), una festa per gli occhi a livello di scenografia e fotografia, ma anche una riflessione non scontata. Per capirlo, partirei proprio dalla fotografia.
Sturaro (tre volte Oscar e fotografo preferito di Bertolucci) costruisce le immagini usando i colori con valore significativo a seconda degli ambienti: da un lato il grigio o il giallo smorto dei quartieri popolari dove vive la famiglia Dorfman; dall'altro il blu, il giallo squillante, l'arancio o i colori delle ville, dei ristoranti, dei night club di Hollywood, così tape à l'oeil. La luce poi avvolge tutto con calore e con sfumature magnifiche. Sono due diversi modi di vivere e, inevitabilmente, i protagonisti ambiscono al secondo modello per uscire dal primo; eppure, aspirerebbero entrambi anche a una vita semplice, un po' "nel mezzo", senza artifici, ma più vera (come la piccola bettola marrone dove mangiano insieme o il nido che sognano di allestire a New York).
Da questo punto di vista è centrale il personaggio di Vonnie: se il maturo Phil ne è attratto, come Bobby, è perché lei è la ragazza pulita vagheggiata in tanti film di Allen, fin da Manhattan; un rifugio fresco e autentico in mezzo al sofisticato mondo della cultura, del cinema, o dell'intellighenzia (e allora non dovrebbe stupire per niente che Allen abbia sposato Soon Yi: il grande intellettuale vive continuamente la nostalgia per il candore). Temo però che qui Kirsten Stewart, per quanto reciti bene, non sia adatta al ruolo: con le sue occhiaie, ha un'aria da fanciulla vampirizzata che può andare bene per Twilight, ma non qui (e, a mio avviso, non è neanche bella, anzi: è un modello di bellezza da non proporre ai giovani, perché sa di anoressia).
I due protagonisti finiranno per farsi strada nel bel mondo, ma a scapito dei loro sogni più genuini: e, anche se meno profondo di altri film, Cafe society pone un interrogativo tipico dell'età matura, quando cominciano i rimpianti (anche nel bel mezzo del successo) e ci si accorge di essere quasi divisi in due metà, di averne abbandonata una e di non essere davvero realizzati. Per questo, come sempre in Allen, il senso del film diventa chiaro nel finale: e fa riflettere su quello che ciascuno di noi dà alla sua vita.
Cafe society
The first thing that strikes you about this movie is, in my opinion, its cinematography: the cure for images is a classic in Woody Allen's movies, who is helped here by great Vittorio Sturaro; but this time, the colours, the construction of individual shots is worth a handbook, as to emphasize the heart of the film: the fantastic (but disappointing) Hollywood world; and also life in comparison with it. But first things first.
Bobby Dorfman is a cute "nerdy" from a Jewish family (Allen's satire on Jewish environments is scratchy), the obvious alter ego of the artist: he is played by Jesse Eisenberg, who, by the way, is really Jew (Eisenberg is known as the star of the Social Network). Since he can't do anything good at home, in New York, he is shipped by mom to his uncle, in Hollywood, so that his uncle can find an accommodation for him. His uncle, Phil Stern (comic actor Steve Carrell), a theatrical agent, to be honest, doesn't really want to take care of his nephew; at the end, among a meeting with Ginger Rogers and a discussion with Paramount, he finds him odd jobs in his agency.
But, above all, he entrusts him with his secretary, Veronica, Vonnie (Kirsten Stewart, known as Bella in Twilight), who begins to regularly go out with Bobby. Bobby is charmed by this fresh girl, who prefers to not be trivial, and realizes the artificial side of Hollywood life; but she is already "engaged". What Bobby doesn't know is that Vonnie has a story with none else than his uncle, who is greatly in love with her; so Vonnie is torn between the two, the mature and determined businessman and the naive young man, looking nice ... Those who see the film will understand that this indecision is one of the main themes of the film.
The new Woody Allen's movie is cute, lively, but, even if it has been highly praised, is not among his best: above all, the script is not up, for example, The irrational man or Magic in the Moonlight ( to name some of his most recent films). It goes without saying that the comic side here is not up the level of his great classics and is mainly entrusted to Bobby's gangster brother, Ben, who does nothing but burying corpses in the concrete; or to lines like "Live as if it were your last day, and one day you'll guess it" (!). But it's a really enjoyable film, a tribute by Allen to a beloved era, that of jazz, to its typical features (Hollywood, jazz, gangsters, celebrities, third-rate premises etc. etc..), A feast for the eyes thanks to set design and cinematography, but also a not obvious meditation. To understand it, I would start just from cinematography.
Sturaro (three-time Oscar winner and favorite cinematographer by Bertolucci) constructs images using colors with meaningful value for different environments: on the one hand the gray or pale yellow of the neighborhoods where the Dorfmans live; on the other, the blue, bright yellow, orange or the colors of the villas, restaurants, night clubs in Hollywood, so tape à l'oeil. The light wraps everything with warmth and with magnificent hues. They are two different ways of living and, inevitably, the protagonists aspire to the second model and to come out from the first; yet, both also aspire to a simple life, a little "in the middle", without artifice, but more real (as the little brown tavern where they eat together or the nest they dream of setting up in New York).
From this point of view the central character is Vonnie: if the mature Phil is attracted, like Bobby, by her, it is because she is the clean girl courted in many of Allen's films, since Manhattan; a fresh and authentic retreat in the middle of the sophisticated world of culture, cinema, or of the intelligentsia (and then it should not be surprising at all that Allen has married Soon Yi: the great intellectual continually lives nostalgia for innocence). I fear that here Kirsten Stewart, even if she acts well, is not suited to the role: with her dark circles, she looks like a vampirised girl, may be fine for Twilight, but not here (and, in my opinion, she is not even beautiful, indeed: she is a model of beauty not to propose to young people, because she reminds anorexia).
The two protagonists will eventually make their way into rich society, but at the expense of their most genuine dreams: and, although less deep than other movies, Cafe society poses a typical middle age question, when regrets begin (even in the middle of success) and you realize that you are almost divided into two halves, you have left one and you are not really accomplished. For this, as usual in Allen, the film meaning becomes clear in the final: and it makes us think about what meaning each of us gives to his/her life.
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