lunedì 3 ottobre 2016

La fissazione ottocentesca per i cimiteri...2


La fissazione ottocentesca per i cimiteri 2


Questi autori insistono a oltranza (secondo un protestantesimo moralistico e lugubre) sul motivo che "questa vita è un valle di lacrime": anche il terzo della schiera, Robert Blair, era un ministro e pubblicò nel 1743 il poema in 767 versi The Grave (La tomba). Almeno, qui alla fine prevale la Resurrezione. Il poemetto è noto per essere stato illustrato da William Blake con una serie di stampe e disegni; vi risparmio la lettura: basti pensare che il poeta rivendica il "compito" di descrivere "i cupi orrori della tomba". Lasciamolo al suo destino.


Il migliore è senza dubbio Thomas Gray, coltissimo, autore dell'Elegia scritta in un cimitero di campagna, poeta che ebbe anche il buon senso di scrivere molto poco in vita; ma la sua Elegia vale la pena e non è lugubre come le altre. Essa fu tradotta dal nostro Cesarotti (che aveva tradotto anche l'Ossian, di MacPherson e doveva avere un debole per i toni cupi): la traduzione di Cesarotti è un po' antiquata per il nostro gusto, per cui sono ricorsa a un'altra, di D.Caminita, 1976.

I rintocchi della campana salutano il giorno che muore,
l'armento si disperde muggendo per i pascoli,
il contadino volge i passi affaticati verso casa,
e lascia il mondo alle tenebre e a me.


Ora impallidisce la luce fioca del paesaggio,
e una quiete solenne regna nell'aria.
Si ode solo il ronzio di uno scarabeo che vola intorno
e tintinnii sonnolenti che cullano gli ovili lontani.

Dalla torre ammantata d'edera, laggiù,
il mesto gufo si lamenta, con la luna,
di coloro che, vagando presso la sua segreta dimora,
disturbano il suo antico regno solitario.

Sotto quegli olmi dalla ruvida scorza e all'ombra dei tassi
dove la zolla si gonfia in tumuli polverosi,
steso, ciascuno, per sempre, nella sua angusta cella,
dormono i rudi antenati del villaggio.


Mai più li desterà dal loro umile giaciglio
il profumo della brezza mattutina,
il cinguettio della rondine dalla capanna di strame,
il canto acuto del gallo o il corno echeggiante dei cacciatori.

Non brucerà più per loro la fiamma del focolare,
e la massaia non accudirà più alle faccende serali:
né i bimbi correranno ad annunziare balbettando il ritorno del padre
né più si arrampicheranno sulle sue ginocchia per contendersi il bacio.

Spesso la messe si arrese alla loro falce,
spesso il loro aratro infranse le dure zolle:
con quanta gaiezza spinsero i buoi aggiogati sui campi!
Come si piegarono i tronchi sotto i loro colpi vigorosi!


Non lasciate che l'Ambizione disprezzi la loro umile fatica,
le loro gioie semplici e il loro destino oscuro;
né lasciate che la Grandezza ascolti con sorriso altezzoso
i brevi e semplici annali dei poveri.

Un'ora inevitabile attende egualmente la gloria del blasone,
la pompa del potere, e quanto mai
abbiano donato la bellezza e la ricchezza:
i sentieri della gloria non conducono che alla tomba.

Il seguito prosegue con un elogio della vita degli umili, tra cui potrebbe essersi nascosto un genio, un grand'uomo, ma che sono morti dimenticati; al termine del carme, Gray compone il proprio epitaffio. A parte il gufo e questa epigrafe tombale finale, la poesia è molto bella, specie questa prima parte che ritrae con semplicità e malinconia la vita dei poveri; ed è impressionante trovarvi vari passi paralleli ai nostri autori italiani, che, sicuramente, hanno conosciuto e apprezzato Gray.


Per esempio, nel seguito:

Possono un'urna istoriata o un busto animato richiamare
alla sua dimora il respiro che fugge? Può la voce dell'Onore
richiamare in vita la polvere silenziosa? O la lusinga
blandire le deboli, fredde orecchie della morte?

ricorda l'incipit dei Sepolcri:

All'ombra de'cipressi e dentro l'urne
Confortate di pianto è forse il sonno
Della morte men duro?

Oppure:

Le scure, inesplorate cavità dell'oceano
contengono gran quantità di gemme di purissima luce serena:
molti fiori nascono per imporporarsi mai visti
e sciupare la loro dolcezza nell'aria deserta.


 Ricorda un carme incompiuto e bellissimo di Manzoni, Ognissanti:

A Quello domanda, o sdegnoso,
Perché sull'inospite piagge,
All'alito d'aure selvagge,
Fa sorgere il tremulo fior; 

Che spiega dinanzi a Lui solo
La pompa del candido velo,
Che spande ai deserti del cielo
Gli olezzi del calice e muor. 

"Quello" è Dio. L'immagine del fiore solitario, che sparge i suoi profumi  nell'aria deserta deriva da Thomas Gray. (continua). 

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