La
fissazione ottocentesca per i cimiteri...
Cerchiamo di
prenderla in ridere, sennò l'argomento rischia di essere davvero pesantuccio.
Tra seconda metà del Settecento e Ottocento si sviluppa, a partire
dall'Inghilterra, una corrente di poesia sepolcrale (cioè ispirata a tombe e
cimiteri), che ha alimentato il pre-romanticismo e il Romanticismo vero e
proprio: per cui, a partire da Thomas Parnell, Night piece on death (1712-13), sulle pagine letterarie di mezza
Europa è stato tutto un dilagare
di lapidi, sepolcri, fantasmi ecc.ecc.ecc. Un tema molto allegro, senza dubbio.
Di qui alla riflessione sulla fugacità della vita e la morte il passo è breve;
ma il patetismo insistito del tema ha finito spesso per ottenere
(involontariamente) effetti comici. Almeno ai nostri occhi.
Vediamo innanzitutto il
gruppo degli Inglesi, per capire le origini del fenomeno. In Inghilterra hanno
sempre avuto, fin dall'epoca dei druidi, una fissazione per tombe e fantasmi:
ne rigurgitano ancor oggi persino i film TV della BBC. A parte il clima
nordico, che certo non incoraggia, un certo immaginario sepolcrale ha ovvie
origini germaniche e celtiche; temo però che la scomparsa della preghiera per i
defunti dopo lo Scisma Anglicano abbia giocato il suo ruolo (quel che si getta
dalla porta rientra dalla finestra...).
Un grande cultore italiano
della poesia sepolcrale era, lo sappiamo, Ugo Foscolo, che, secondo una mia
idea personale, deve essere rimasto affascinato dai praticelli ben tenuti dei
cimiteri inglesi:
Pietosa insania che fa cari gli orti
De' suburbani avelli alle britanne
Vergini, dove le conduce amore
Della perduta madre....
(Dei Sepolcri, 130-34)
Pietosa insania che fa cari gli orti
De' suburbani avelli alle britanne
Vergini, dove le conduce amore
Della perduta madre....
(Dei Sepolcri, 130-34)
La "pietosa
insania" è la follia intrisa di pietà, l'"illusione", con
termine foscoliano, la "corrispondenza d'amorosi sensi" che induce le
signorine inglesi ("britanne vergini") a frequentare i cimiteri dove
sono sepolti i loro familiari (specie la madre: avrete notato quante volte nei
romanzi inglesi la madre lascia orfani i figli); e il passo rievoca poi anche
Horatio Nelson. Notate che i cimiteri però sono descritti come
"orti", cioè (latinismo: horti)
come giardini; e, difatti, i sepolcreti inglesi vengono rievocati di seguito a
quelli classici greci, descritti con dovizia di immagini solari (fiori,
libagioni, alberi ecc.) e di una natura gentile. Certo, osserverei io
perfidamente, ci vuol poco ad avere un bel praticello in Inghilterra: con tutta
quell'acqua (in zona, "tra due temporali piove")....Provate a
Canicattì.
Dicevo che il primo poeta
sepolcrale fu Thomas Parnell (1679-1718), un Irlandese, amico di Alexander Pope
e di Jonathan Swift (quello di Gulliver).
Con loro redigeva a Londra l'altra passione inglese del periodo, il noto giornale
The Spectator. La sua poesia
sepolcrale è Night-piece on death (Brano notturno sulla morte), che, manco
a dirlo, fu pubblicata postuma (!) da Pope nel 1721. La riassumo qui
brevemente.
Al cadere della notte, il
poeta rinuncia a inseguire la via della sapienza sui libri antichi e cerca un
cammino più rapido: quale via più immediata per la saggezza che la riflessione
sulla morte? Poi viene introdotta la descrizione di un paesaggio veramente
bello: l'azzurro del cielo che muore lentamente tra la luce dorata, la luna che
sorge lenta, il campanile, un lago quieto e le sue acque...lambiscono il muro
del cimitero. A quel punto la riflessione si indirizza verso i "venerabili
morti", che una volta erano vivi come l'io lirico; e il poeta sarà un
giorno morto anche lui (qui viene da fare gli scongiuri). La descrizione delle
varie parti del cimitero (pietre, lapidi, iscrizioni, marmi, sculture, arche,
epitaffi ecc.) rinvia a defunti di varia fama in vita, ma accomunati dall'oblio
in morte; e qui il poeta, tra le ombre, viene colto da visioni di morti nel
sudario che gli ricordano che la vita passa; inoltre, una voce pare innalzarsi
di tra le ossa: è la Morte stessa, che disapprova la insensata paura nutrita
dagli uomini per lei, perché, in realtà, essa porta alla pace vera, porto
tranquillo dopo i flutti rabbiosi della vita. Il carme si chiude con una serie
di immagini platoniche cristianizzate: non ha senso piangere i morti perché,
come i prigionieri liberati rivedono con gioia la luce del sole, così i defunti
volano verso il fulgore del giorno vero (un cristiano genuino mai considererà
il corpo come un carcere, ma tant'è...).
E' chiaro l'orientamento
protestante del carme: pietà cristiana e disprezzo della vita si fondono in una
visione però ancora ispirata al classicismo. Ho ricordato il carme in maniera
estesa per far capire l'andazzo del genere.
Segue poi Edward Young, un
canonico, che nel 1742 pubblicò i Night
thoughts (Pensieri notturni, ma il
titolo completo è molto allegro: The Complaint: or Night-Thoughts on Life, Death & Immortality). Oggi è stato
praticamente dimenticato, ma all'epoca ebbe un successo enorme: ed era molto
celebrata la terza "notte", in cui egli parla della figlia morta,
poeticamente chiamata Narcisa (la materia autobiografica è preponderante e, nei ben 10.000 versi (!) di Young abbondano le disgrazie). I poeti di mezza Europa
impazzivano per l'opera e anche il nostro Foscolo si cimentò nella sua
imitazione nei suoi esperimenti giovanili. Magari Young non era molto originale
(pare che non fosse neanche molto abile nel trovarsi i mecenati, che fallivano
rapidamente...); ma componeva bene e divenne tanto celebre che a qualcuno venne
persino la (malsana) idea di augurarsi divenisse arcivescovo di Canterbury (il che non avvenne,
fortunatamente). Negli anni successivi alla sua morte, la sua poesia assurse al ruolo (per esempio per il preromantico E.Burke) di modello di "sublime".
Di certo, diffuse per
l'Europa la mania dei cimiteri a gogò; inoltre, fu proprio Young, in un suo
saggio, a lanciare l'idea del "genio", superiore all'imitazione dei
classici (quindi la moda anti-classica preromantica), idea per cui gli autori
tedeschi dello Sturm und Drang impazzirono.
Lo stesso Goethe imparava l'Inglese sull'opera di Young (così diceva) e pare si
sia ispirato a lui per l'atmosfera del suo Werther
(difatti, al confronto, il nostro Ortis è
molto più allegro...). Young era un predicatore, ma un predicatore edificante e
piuttosto cupo. Forse sono irriverente, però, leggendo alcuni suoi versi, mi
viene in mente un quadro che Hogarth, il grande pittore inglese, compose
esattamente in quel periodo, con un'intera parrocchia addormentata mentre il
predicatore tuona dall'ambone...
Vediamo alcune citazioni:
Tutti gli uomini credono tutti gli uomini mortali, tranne se stessi.
Batte un'ora...Non contiamo le ore se non dopo che sono perdute.
La nostra nascita non è altro che l'inizio della nostra morte.
La vita è deserto, la vita è solitudine, la morte ci unisce alla grande maggioranza.
Un Dio tutto misericordia è un Dio ingiusto (!!!!!)
Non è un caso se il nostro
Carducci parlava di "gufaggine sepolcrale" di Young. Per una volta,
gli do ragione da vendere. (continua).
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