lunedì 3 ottobre 2016

La fissazione ottocentesca per i cimiteri....


La fissazione ottocentesca per i cimiteri...

Cerchiamo di prenderla in ridere, sennò l'argomento rischia di essere davvero pesantuccio. Tra seconda metà del Settecento e Ottocento si sviluppa, a partire dall'Inghilterra, una corrente di poesia sepolcrale (cioè ispirata a tombe e cimiteri), che ha alimentato il pre-romanticismo e il Romanticismo vero e proprio: per cui, a partire da Thomas Parnell, Night piece on death (1712-13), sulle pagine letterarie di mezza Europa è stato tutto un dilagare di lapidi, sepolcri, fantasmi ecc.ecc.ecc. Un tema molto allegro, senza dubbio. Di qui alla riflessione sulla fugacità della vita e la morte il passo è breve; ma il patetismo insistito del tema ha finito spesso per ottenere (involontariamente) effetti comici. Almeno ai nostri occhi.  


Vediamo innanzitutto il gruppo degli Inglesi, per capire le origini del fenomeno. In Inghilterra hanno sempre avuto, fin dall'epoca dei druidi, una fissazione per tombe e fantasmi: ne rigurgitano ancor oggi persino i film TV della BBC. A parte il clima nordico, che certo non incoraggia, un certo immaginario sepolcrale ha ovvie origini germaniche e celtiche; temo però che la scomparsa della preghiera per i defunti dopo lo Scisma Anglicano abbia giocato il suo ruolo (quel che si getta dalla porta rientra dalla finestra...).
Un grande cultore italiano della poesia sepolcrale era, lo sappiamo, Ugo Foscolo, che, secondo una mia idea personale, deve essere rimasto affascinato dai praticelli ben tenuti dei cimiteri inglesi:

Pietosa insania che fa cari gli orti
De'  suburbani avelli alle britanne
Vergini, dove le conduce amore
Della perduta madre....
                               (Dei Sepolcri, 130-34)

La "pietosa insania" è la follia intrisa di pietà, l'"illusione", con termine foscoliano, la "corrispondenza d'amorosi sensi" che induce le signorine inglesi ("britanne vergini") a frequentare i cimiteri dove sono sepolti i loro familiari (specie la madre: avrete notato quante volte nei romanzi inglesi la madre lascia orfani i figli); e il passo rievoca poi anche Horatio Nelson. Notate che i cimiteri però sono descritti come "orti", cioè (latinismo: horti) come giardini; e, difatti, i sepolcreti inglesi vengono rievocati di seguito a quelli classici greci, descritti con dovizia di immagini solari (fiori, libagioni, alberi ecc.) e di una natura gentile. Certo, osserverei io perfidamente, ci vuol poco ad avere un bel praticello in Inghilterra: con tutta quell'acqua (in zona, "tra due temporali piove")....Provate a Canicattì.


Dicevo che il primo poeta sepolcrale fu Thomas Parnell (1679-1718), un Irlandese, amico di Alexander Pope e di Jonathan Swift (quello di Gulliver). Con loro redigeva a Londra l'altra passione inglese del periodo, il noto giornale The Spectator. La sua poesia sepolcrale è Night-piece on death (Brano notturno sulla morte), che, manco a dirlo, fu pubblicata postuma (!) da Pope nel 1721. La riassumo qui brevemente.

Al cadere della notte, il poeta rinuncia a inseguire la via della sapienza sui libri antichi e cerca un cammino più rapido: quale via più immediata per la saggezza che la riflessione sulla morte? Poi viene introdotta la descrizione di un paesaggio veramente bello: l'azzurro del cielo che muore lentamente tra la luce dorata, la luna che sorge lenta, il campanile, un lago quieto e le sue acque...lambiscono il muro del cimitero. A quel punto la riflessione si indirizza verso i "venerabili morti", che una volta erano vivi come l'io lirico; e il poeta sarà un giorno morto anche lui (qui viene da fare gli scongiuri). La descrizione delle varie parti del cimitero (pietre, lapidi, iscrizioni, marmi, sculture, arche, epitaffi ecc.) rinvia a defunti di varia fama in vita, ma accomunati dall'oblio in morte; e qui il poeta, tra le ombre, viene colto da visioni di morti nel sudario che gli ricordano che la vita passa; inoltre, una voce pare innalzarsi di tra le ossa: è la Morte stessa, che disapprova la insensata paura nutrita dagli uomini per lei, perché, in realtà, essa porta alla pace vera, porto tranquillo dopo i flutti rabbiosi della vita. Il carme si chiude con una serie di immagini platoniche cristianizzate: non ha senso piangere i morti perché, come i prigionieri liberati rivedono con gioia la luce del sole, così i defunti volano verso il fulgore del giorno vero (un cristiano genuino mai considererà il corpo come un carcere, ma tant'è...).
E' chiaro l'orientamento protestante del carme: pietà cristiana e disprezzo della vita si fondono in una visione però ancora ispirata al classicismo. Ho ricordato il carme in maniera estesa per far capire l'andazzo del genere.


Segue poi Edward Young, un canonico, che nel 1742 pubblicò i Night thoughts (Pensieri notturni, ma il titolo completo è molto allegro: The Complaint: or Night-Thoughts on Life, Death & Immortality). Oggi è stato praticamente dimenticato, ma all'epoca ebbe un successo enorme: ed era molto celebrata la terza "notte", in cui egli parla della figlia morta, poeticamente chiamata Narcisa (la materia autobiografica è preponderante e, nei ben 10.000 versi (!) di Young abbondano le disgrazie). I poeti di mezza Europa impazzivano per l'opera e anche il nostro Foscolo si cimentò nella sua imitazione nei suoi esperimenti giovanili. Magari Young non era molto originale (pare che non fosse neanche molto abile nel trovarsi i mecenati, che fallivano rapidamente...); ma componeva bene e divenne tanto celebre che a qualcuno venne persino la (malsana) idea di augurarsi divenisse arcivescovo di Canterbury (il che non avvenne, fortunatamente). Negli anni successivi alla sua morte, la sua poesia assurse al ruolo (per esempio per il preromantico E.Burke) di modello di "sublime".

Di certo, diffuse per l'Europa la mania dei cimiteri a gogò; inoltre, fu proprio Young, in un suo saggio, a lanciare l'idea del "genio", superiore all'imitazione dei classici (quindi la moda anti-classica preromantica), idea per cui gli autori tedeschi dello Sturm und Drang impazzirono. Lo stesso Goethe imparava l'Inglese sull'opera di Young (così diceva) e pare si sia ispirato a lui per l'atmosfera del suo Werther (difatti, al confronto, il nostro Ortis è molto più allegro...). Young era un predicatore, ma un predicatore edificante e piuttosto cupo. Forse sono irriverente, però, leggendo alcuni suoi versi, mi viene in mente un quadro che Hogarth, il grande pittore inglese, compose esattamente in quel periodo, con un'intera parrocchia addormentata mentre il predicatore tuona dall'ambone...
Vediamo alcune citazioni:

                                                 

Tutti gli uomini credono tutti gli uomini mortali, tranne se stessi.
Batte un'ora...Non contiamo le ore se non dopo che sono perdute.
La nostra nascita non è altro che l'inizio della nostra morte. 
La vita è deserto, la vita è solitudine, la morte ci unisce alla grande maggioranza. 
Un Dio tutto misericordia è un Dio ingiusto (!!!!!)

Non è un caso se il nostro Carducci parlava di "gufaggine sepolcrale" di Young. Per una volta, gli do ragione da vendere. (continua).

Nessun commento:

Posta un commento