sabato 5 settembre 2020

Il caso Paradine (The Paradine case, Alfred Hitchcock, 1947)

Il caso Paradine (The Paradine Case)

Ci sono autori che dovrebbero servire in pianta stabile ai corsi prematrimoniali. Uno, sicuramente, è Tolstoj; l'altro, anche se cinematografico, è Alfred Hitchcock. Non conosco approfonditamente la sua biografia, ma sospetto che abbia vissuto un'infanzia particolarmente dura; forse anche questo potrebbe avere sviluppato in lui un'attenzione inusitata ai problemi di coppia e di famiglia, che affronta in modo magistrale. In questo film, ingiustamente post-posto ad altri più noti dello stesso autore, la vita di coppia gioca un ruolo fondamentale: specie quando cominciano i guai. E i guai sono impersonati dalla nostra straordinaria Alida Valli.

Un quartiere elegante del West End di Londra. In una dimora raffinata, un sussiegoso cameriere avvicina la padrona di casa, una splendida Alida Valli (Mrs.Maddalena Anna Paradine), mentre questa sta suonando il piano (è proprio lei che suona: la Valli era di origine aristocratica e aveva ricevuto un'educazione consona; inoltre era poliglotta). L'atmosfera è soffusa e ricercata, dominata da un enorme ritratto del marito defunto della donna, il colonnello Paradine, che lei aveva sposato ormai cieco (i ritratti sono frequenti nei film hitchcockiani e possiedono una notevole pregnanza espressiva). Pochi istanti e il solito cameriere introduce presso la gentildonna un commissario di polizia e il suo aggiunto, che devono trarla in arresto proprio per l'omicidio del colonnello. Allora Maddalena si alza con grazia ad accoglierli, li intrattiene con l'eleganza di una vera signora e, sempre con la suprema compostezza e padronanza di un'autentica nobildonna, fa avvisare la servitù che non tornerà a casa per la cena e indossa la pelliccia per uscire dietro i poliziotti alla volta del carcere e, forse, del patibolo. 

Questo incipit straordinario, che per i fan di Alida Valli è diventato leggendario, apre un film che invece Hitchcock non amò molto e che, eppure, diresse benissimo. Non lo amò perché si ritrovò perennemente il produttore tra i piedi, David Selznick (sì, Selznick, quello di Via col vento; anzi, il Caso Paradine divenne un problema per gli studios perché era constato incredibilmente tanto quanto l'altro kolossal: pensate che venne costruita ex novo una replica del tribunale di Old Bailey di Londra). Selznick si era affezionato molto a questo progetto, anzi, troppo, tanto che la sceneggiatura la finì lui, dopo che ci avevano messo le mani vari altri, tra cui Alma Reville, la moglie di Hitchcock che lavorava regolarmente per lui come sceneggiatrice e non solo. E, finendo il copione, Selznick pensò bene anche a tagliare delle scene senza il consenso di Hitchcock. Ora, se pensiamo che, secondo il grande Alfred il film era già quasi fatto se la sceneggiatura era stata preparata a dovere, credo che il produttore non avesse trovato modo migliore per farsi odiare dal suo regista (che, difatti, lasciò poi la casa di produzione). In effetti, la sceneggiatura è buona, con numerosi colpi di scena e aperta ad approfondimenti psicologici, ma, a mio modesto avviso, non ha lo smalto di altre (ad esempio, Il sospetto oppure La finestra sul cortile, i cui primi minuti sono un capolavoro). Innanzitutto, il caso è fin troppo semplice: se il padrone di casa viene avvelenato e poco prima della sua morte è stato avvicinato solo dalla moglie e dal fidato cameriere, ammetteremo che, a meno di attribuire la colpa alle tappezzerie, non ci siano molte alternative per l'esito dell'indagine. Il finale, così, nonostante i colpi di scena (neanche tanto imprevedibili, però) risulta scontato. Anche sotto altri punti di vista, lo sviluppo della storia appare talora ovvio. Forse per questo, durante le riprese Hitchcock apparve a Gregory Peck, "annoiato" (bored). 

Ciononostante, le performances degli attori sono in gran parte ottime, alcune addirittura eccezionali, il che implica che furono eccellentemente diretti. Il protagonista, Gregory Peck, interpreta l'avvocato londinese Anthony Keane, chiamato a difendere la signora Paradine: Gregory Peck non ha molto dell'Inglese, è vero (sembra uscito dritto dritto da un college per giovani di buona famiglia del Nord Est USA, tutto sport e parrocchia), però trasmette egregiamente il ritratto di un uomo onesto, travolto da un'irrefrenabile attrazione per la sua cliente, attrazione che risulterà  fatale sia per il processo che per la sua lucidità di giudizio. Il cuore del dramma anzi risiede proprio qui: da un lato la faccia onesta e la buona volontà dell'avvocato, che si ostina a vedere quel che pensa lui, e la fresca sensibilità di sua moglie, magnificamente interpretata da Ann Todd; dall'altro, il fascino sofisticato ed enigmatico di Maddalena, algida e altera, elegantissima e regale come solo la Valli sapeva essere, e che, nonostante la purezza di linee del suo viso (cui sono dedicati dei primi piani mozzafiato) trasmette continuamente una sensazione di scarsa trasparenza, come se emanasse un ambiguo incantesimo e attirasse il povero Anthony con sé nelle sabbie mobili. Maddalena ha infatti un passato equivoco. La Valli fu bravissima a recitare, tanto più che arrivò sul set all'ultimo momento, non poté imparare la parte e le battute le venivano suggerite all'ultimo momento. Si noti un dettaglio: le scollature della Valli sono regolarmente asimmetriche: segno di qualcosa "che non quadra". 

Raramente Hitchcock ha saputo rendere sullo schermo una coppia affiatata come quella formata qui da Gregory Peck e Ann Todd: tra loro si sprigiona una chimica riuscitissima. Ma raramente il contrasto tra la loro coppia e il pericolo che viene dall'esterno è stato più azzeccato: solo una Maddalena misteriosa e maliarda poteva irretire un Gregory Peck privo di adeguate difese a fronte di una seduzione così sottile e avvolgente. 

Ma Maddalena non è solo questo. Porta anche il nome della peccatrice per antonomasia, quella che la società non può accettare: non è un caso se si chiama così anche la protagonista del sesto film sui comandamenti (Decalogo 6) di Krzystov Kieslovski (1990). Maddalena è straniera e nel film si percepisce una notevole ventata di xenofobia (a proposito: non mi è mai piaciuto che, per quanto Alida Valli sia la protagonista, nei titoli d'inizio venga ricordata per ultima e semplicemente come "Valli"). Straordinarie sono le scene iniziali in cui, prima di entrare in cella, la donna viene privata di tutti i suoi abiti e beni, manifestazione programmatica della spersonalizzazione cui porta il carcere. Infine, lei è  sola e nessuno la comprende davvero, neanche il suo avvocato, che pure vuole salvarla. Molto bella e sfumata l'interpretazione di Ann Todd, che presa da mille dubbi e paure, cerca di salvare il rapporto col marito, senza però perdere l'umanità verso la rivale. 


Ma ci sono varie altre interpretazioni di spessore nel film. Guardate, per esempio, il teso interrogatorio di André, il giovane cameriere, interpretato magnificamente dal noto attore francese Louis Jourdan: a mio avviso, è il cuore della pellicola. Oppure, Ethel Barrymore guadagnò una candidatura all'Oscar per il miglior ruolo femminile da non protagonista con poche scene, tra cui una magistrale, verso la fine, in cui mostra tutta la sua pietà e misericordia per Maddalena: la vera morale del film. A fronte di lei, il marito, il giudice Horfield che presiede il processo ed è interpretato dal grande Charles Laughton: cinico, godereccio e spregevole, impersona il prototipo del giudice indifferente alle sorti umane che si dipanano in aula davanti ai suoi occhi. Di lì a qualche anno Laughton avrebbe diretto uno dei grandi capolavori degli anni '50, La morte corre sul fiume (1955), che riprende molte atmosfere del cinema tedesco espressionista degli anni precedenti. 


L'interpretazione conferisce quindi profondità psicologica a una pellicola che però ha anche altre frecce al suo arco. Ho notato soprattutto la fotografia. Hitchcock si cimentava spesso in modo sperimentale in riprese originali: ad esempio, quando Keane lascia definitivamente l'aula, quest'ultima viene ripresa dal soffitto a picco; oppure, la camera ruota intorno a Maddalena quando in aula entra André, che passa intorno al suo posto. Ma ci sono varie altre riprese molto interessanti: per esempio, il dialogo di chiarimento tra Anthony e sua moglie Gay viene ripreso davanti al loro letto nuziale; in alcuni dialoghi, l'immagine è tagliata in due metà, con una illuminata e l'altra più in ombra, in corrispondenza significativa coi personaggi; in altre immagini, Gregory Peck, ma anche altri attori, sono inquadrati significativamente dietro delle sbarre o delle grate o addirittura dietro la ringhiera delle scale: segno di qualcosa di strano e indefinibile che rischia di imprigionarli. Perciò, alla fine ci si chiede forzatamente: perché Maddalena è così pericolosa per i protagonisti? Non sarà che attraverso di lei, "la straniera", gli altri esorcizzano limiti propri? Dove sbaglia Anthony Keane? Solo per il fatto di sentirsi attratto dalla sua cliente? Oppure si sente attratto da lei per qualche altro motivo? E che cosa dovrebbe fare dal punto di vista etico? La moglie stessa, Gay, non vuole che lui lasci il caso, perché la  morte di Maddalena, oltre che moralmente inaccettabile, perpetuerebbe in lui un sogno non realizzato. E poi: come si fa a rimanere fedeli davanti a una tentazione del genere? Il film non dà risposte a questi quesiti: però introduce il dubbio che la facciata "liscia" della buona società, che rigetta quel che non si attaglia fino in fondo ad essa, non sia poi tanto "liscia". Anche se Anthony e Gay sono brave persone con normali debolezze umane, sembra dirci Hitchcock, non è che intorno a loro altri, pronti a giudicare, sono però "marci dentro", come si dice di Maddalena?


PS. Se cercate il cameo con Hitchcock, lo trovate, rotondo come al solito, alla stazione che gira con un violoncello. E' uno strumento con cui si mostra anche in altri film. 

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