giovedì 19 gennaio 2017

L'arte e la bellezza nella società odierna (di Mario Ballardini)


L’arte e la bellezza nella società odierna
(saggio di Mario Ballardini)

Sono realmente importanti l’arte e la bellezza nella vita odierna? O, per meglio dire, nell’occidente odierno? Io personalmente penso di no e credo di avere buoni elementi per poterlo affermare. Accendendo la televisione, ascoltando la radio, guardando i film più quotati al cinema, leggendo alcuni dei libri presenti nelle risonanti classifiche, osservando le opere nei musei di arte moderna quasi mai scorgo elementi di vera e propria bellezza. 


Io non so chi sia concretamente il colpevole di questo omicidio estetico, non so neppure se esista un vero e proprio colpevole. Quello che so con certezza è che negli ultimi anni si è compiuto un processo di livellamento estetico e che a trarne vantaggio sono stati, come sempre, i mercati e le grandi aziende. Infatti, con il progressivo esaurirsi del senso estetico, è andata scemando anche l’importanza della qualità nell’immaginario comune. Così, ora come ora, si preferisce acquistare da “Zara”, pur sapendo che la settimana dopo ci si dovrà tornare per sostituire il capo che nel frattempo si è rotto, piuttosto che recarsi da un bottegaio, di certo più caro, ma che può garantirti un prodotto più bello e di maggior qualità. 


Con la fine del senso estetico si è esaurita negli animi quella felicità semplice ed umile che contraddistingueva le classi meno agiate paleoconsumiste per lasciar posto ad una felicità drogata, artificiale ed ansiolitica la quale, per essere innescata, necessita obbligatoriamente del consumo fine a se stesso: un operaio ben al di sotto della soglia di povertà, ma ancora in possesso di gusto estetico, poteva finire il turno in fabbrica, recarsi in un prato con la propria compagna, osservare un tramonto ed essere comunque felice ma soprattutto libero. Invece, oggigiorno, i dipendenti (e non solo) staccano dal lavoro ed emigrano in massa nei supermercati per dar sfogo alla propria alienazione prodotta dal lavoro senza però accorgersi di immergersi in un’altra alienazione ben peggiore, cioè l’alienazione del consumo.


In questo contesto l’arte (in senso lato) o, per meglio dire, i produttori dell’arte, come hanno reagito? ribellandosi e proponendo opere estetiche di spessore? assolutamente no, anzi, si sono appiattiti sulle richieste del pubblico. Non metto in dubbio il fatto che tutt’ora vi siano artisti di qualità ma sono completamente oscurati dai nomi altisonanti pompati dal mercato. Invito chiunque ad aprire le attuali classifiche musicali e ad analizzare i testi delle prime dieci canzoni che vi trovate davanti. Io l’ho fatto e sono stato pervaso da vuoto cosmico, dal nichilismo assoluto. E pensare che negli anni 70’ del secolo scorso i grandi cantautori stavano componendo i loro capolavori e pure loro cavalcavano le classifiche. 

Il cambiamento epocale che ha segnato la fine di quella che i sociologi chiamano “società dei produttori” e l’inizio della “società dei consumatori” ha pervaso e sgretolato anche l’estetica, relativizzandola, esattamente come è avvenuto per molti altri ambiti della conoscenza. Di fronte a questo passaggio è necessario sottolineare che ciò che è ritenuto “bello” non è più il bene duraturo, tutt’altro: quella cosa che appaga il gusto comune non è forse più neanche un oggetto bensì un flusso di beni di consumo. Mentre nella società dei produttori il bene che si conservava nel tempo era ritenuto bello (o per lo meno fonte di prestigio) poiché emanava un senso di stabilità, caratteristica necessario per una società con radici ben salde nelle propria cultura, nella nostra “società liquida” (cito il grande sociologo Baumann), in cui tutto è precario e tutto è relativo, a soddisfare le masse è il continuo fluire di beni di scarso valore pronti ad essere gettati per lasciare spazio al bene successivo. 


Di conseguenza il vettore dell'estetizzazione del mondo non è più l'arte, ma il consumo.Un’altra caratteristica dei nostri tempi è l’omologazione estetica globale: la moda è la stessa da Hong Kong a Berlino, la cultura culinaria è la stessa da Milano a New York, le canzoni che sento in radio a Londra sono le stesse che sento a Sydney e radio Tirana non trasmette più musiche balcaniche (semi cit.). Anche questo aspetto sta all’interno dell’etica dei consumi: il consumatore medio deve essere il medesimo in tutto il globo in modo tale da avvantaggiare i Re dei mercati che possono così ideare un unico prodotto da vendere ovunque. Quell’ingombrante fardello chiamato “individualità” è stato dunque fatto fuori come ogni tipo di folklore e la conseguente arte che portava con sé. 


Viviamo così in un mondo sempre all’ultimo grido: una novità al giorno, un problema risolto a settimana, una nuova sensazione al secondo ed un immenso, risonante, senso di vuoto dentro…un vuoto partorito dall’ansia del consumo che ci offusca lo sguardo e dalla smania del progresso che ci tappa le orecchie: dal cartellone pubblicitario che deturpa il paesaggio e dalla musica elettronica che copre quella classica.A mio avviso da due elementi dobbiamo partire per fondare un sistema di valori che vada a sostituire quello senz'anima del consumismo: la bellezza e la passione. 


Bisogna educarsi alla bellezza per non rassegnarsi alle brutture che ci vengono ormai da decenni somministrate. A partire dai palazzoni grigi delle periferie fino ai grattacieli disumanamente super-lusso di Dubai o Milano. A partire dalle baraccopoli fino ai resort completamente finti in cui benestanti annoiati si coprono gli occhi davanti alla crudeltà del mondo. Ripartiamo dalla natura e dall'arte, dalla ricerca del particolare e del bello fine a se stesso. 


Di pari passo deve andare la passione. Sia nei rapporti umani che nelle piccole cose serve quel tanto di pathos che ci permetta di fare nostro ciò in cui ci stiamo immergendo. Bisogna vivere le esperienze e non sopportarle. Necessitiamo di riacquisire il coraggio che ci permetta di abbandonare il nostro grigio arrivismo per incamminarci verso mete piú elevate. Quando bellezza e passione saranno sedimentati all'interno della nostra società allora potremo definirci progrediti e felici. Prima di allora rimaniamo solo tristi consumatori fieri di esserlo proprio perché troviamo nel consumo quegli svaghi effimeri in grado di nascondere la nostra bruttezza e il nostro passivo nichilismo. La bellezza ci salverà tutti, come sosteneva Dostoevskij. Diamole spazio.


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