mercoledì 6 febbraio 2019

Senso (di Camillo Boito)


Senso

Dallo scartafaccio della contessa Livia...


Così, col consueto escamotage del documento originale, inizia la più affascinante novella che sia stata scritta da un appartenente della Scapigliatura, il movimento letterario ed artistico che fiorì nell'Italia appena unita, tra Milano e Torino, sul modello della bohème parigina (di cui "Scapigliatura" è un tentativo di traduzione). Il racconto fa parte della raccolta Senso. Nuove storielle vane, pubblicata da Camillo Boito nel 1883: Boito, fratello del più famoso Arrigo (l'autore del libretto dei verdiani Otello e Falstaff, per intenderci), era scrittore e architetto, tanto che curò un controverso restauro dell'altare di Donatello al Santo di Padova e progettò la casa di riposo degli artisti voluta da G.Verdi. Senso è un po' il suo capolavoro letterario, forse passato in sordina all'epoca, ma divenuto celebre grazie alla sontuosa trasposizione cinematografica di Luchino Visconti del 1954: Senso, con Alida Valli nel ruolo della protagonista e Fairly Granger in quello dell'odioso ufficiale austriaco di cui lei si innamora (Granger ha lavorato in quegli anni con Hitchcock). Il film, però, è piuttosto diverso dall'originale: infatti, se avessero mantenuto una protagonista cinica come quella della novella, o Alida Valli si sarebbe rifiutata di recitare, o l'avrebbero lapidata per strada.


Infatti, come di norma nella migliore tradizione scapigliata, il soggetto è scandaloso e "maledetto": gli Scapigliati avevano un debole per temi grotteschi, orrendi, surreali, peccaminosi e simili, un po' come nel Romanticismo tedesco - ricordo al mio pubblico che il Romanticismo vero è quello tedesco e inglese, cupo, condito di creature mostruose come Frankenstein, di fantasmi come in Coleridge, di fanciulle morte anzi-tempo, come la fidanzata di Novalis, e di poeti folli quali Hoelderlin; il nostro, con Manzoni buon padre di famiglia e Leopardi scettico razionalista che si limita a sognare l'infinito da dietro una siepe, è una versione addomesticata. Dicevamo, il soggetto è "maledetto": e sembra quasi che il buon Camillo Boito si sia piccato di rendere la coppia protagonista il più spregevole possibile. Una coppia esteticamente splendida (alto, biondo e roseo lui, snella e dai lunghi capelli scuri lei), ma in cui si gareggia in egoismo.


Lei, la contessa trentina Livia, bellissima e cinica, si è sposata volontariamente per interesse con un conte vecchio e incapace, che lei tradisce a gogò; in quest'epoca, iniziata con le sofferenze di Jacopo Ortis che non poteva sposare la sua Teresa e in cui, a ogni spron battuto, romanze e novelle tiravano fuori le ingiustizie dei matrimoni combinati e infuriava il mito di Paolo e Francesca, Livia fa di tutto per sposarsi per soldi e poi divertirsi alle spalle del marito (addirittura, sono i suoi che non vogliono che si sposi con lui!).

I miei erano contrarii ad un matrimonio così male assortito; né, bisogna dire la verità, il pover'uomo ardiva di chiedere la mia mano. Ma io mi sentivo stufa della mia qualità di zitella: volevo avere carrozze mie, brillanti, abiti di velluto, un titolo, e sopra tutto, la mia libertà. Ce ne vollero delle occhiate per accendere il cuore nel gran ventre del conte; ma, una volta acceso, non provò pace finché non m'ebbe, né badò alla piccola dote, né pensò all'avvenire. Io, innanzi al prete, risposi un Sì fermo e sonoro.


Le prime pagine la mostrano fredda e insensibile alle lusinghe dell'amore: quasi  un'innaturale preminenza di raziocinio e di forza. Questa non è una donna: è una virago. Provoca la morte di un giovane ufficiale innamorato pazzo di lei, senza rimpianti. E' tutta presa dalla sua vanità, dal "trionfo" della sua bellezza, con cui attira tutti gli sguardi. E, dato che "Dio li fa e poi li accoppia", si innamora infine di un bellissimo tenente austriaco, Remigio Ruz, che fa il paio con lei:

Forte, bello, perverso, vile, mi piacque.

Tanto statuario e simile a un Adone o a Ercole, quanto vile e spregevole: a tal punto che un giorno, lui nuotatore provetto, si rifiuta di salvare un bambino caduto in una canale. Difatti, la storia d'amore è ambientata sullo sfondo magico di Venezia, evocata con una raffinata sensualità e alchimia cromatica, in pagine suggestive e intensamente pittoriche, molto vicine a quelle del successivo Fuoco di D'Annunzio. Del resto, Boito aveva studiato all'Accademia di Venezia e aveva un debole per questa città e la sua pittura, qui rievocata con maestria. C'è un sardonico compiacimento nell'atteggiamento di lei, sprezzante nei confronti delle convenzioni morali e sociali: quasi un movimento da donna molto intelligente, capace di una prospettiva distaccata e superiore a quella degli altri, ma che se ne serve per scopi infami. Inutile poi che si lamenti del finale.


E' l'epoca della Terza Guerra d'Indipendenza e in Veneto, ancora sotto egida austriaca, si combatte contro gl'Italiani che intendono recuperare questi territori grazie all'alleanza coi Prussiani. Ma a Livia questo non interessa: le interessa solo che il suo Remigio non venga minimamente scalfito dal conflitto in corso, affinché resti il suo oggetto di piacere personale. In modo molto diverso, Alida Valli, nel film, viene coinvolta dalle trame dei patrioti attraverso un eroico cugino, interpretato da un indimenticabile Massimo Girotti (lui sì che è molto più bello di Fairly Granger; ma era stato un nuotatore, prima di essere attore). Nella novella, quando Remigio le chiede del denaro per corrompere i medici che potranno firmargli un falso certificato di congedo, Livia non esita un attimo. Ma lui è a Verona, presso il comando, e lei a Trento: e, preoccupatissima, ma pure incapace di controllarlo, decide di avventurarsi in carrozza fino a Verona. E qui, in un crescendo di disagio, scopre la verità: ode le allusioni di alcuni commilitoni di lui in un'osteria, comincia a nutrire dei sospetti, quindi, arriva in punti di piedi al suo appartamento e sbircia dalla porta socchiusa: così lo sorprende con un'altra. Allora, zitta, zitta, si allontana, quindi si reca dal generale Hauptmann al comando, a Castel San Pietro. Qui, senza aggiungere nulla, gli consegna la lettera di Remigio da cui emerge chiaramente che lui ha disertato.


Nel film, Alida Valli appare quasi ingenua e viene praticamente "tirata a cimento" da Farley Granger (chiamato con nome tedesco Franz, non a caso) e quasi trascinata all'irreparabile; invece, la vicenda del libro è molto più sordida. Il generale (dipinto come un buon padre di famiglia) comprende ed è disgustato:

Signora, ci pensi: la delazione è un'infamia e l'opera sua è un assassinio.

Fredda, insensibile, Livia, che ha rifiutato il bacio delle bambine del generale e si disinteressa della sorte dei medici complici, si limita a ribattere: "Compia il suo dovere". Sembra una dea pagana in attesa di un sacrificio umano. Poche ore dopo, ella assiste alla fucilazione di Remigio e di uno dei medici collusi. Ma ecco la vera conclusione che fa ingrassare di soddisfazione tutti i lettori: un sergente boemo l'aveva riconosciuta perché lei aveva dimenticato il suo borsellino nell'osteria frequentata dai militari e lui l'aveva seguita per restituirglielo; riconoscendola, capisce tutto; e vedendola sul luogo dell'esecuzione, le strappa il velo e sputa in faccia. A lei, chiusa nel suo narcisismo e nella sua meschinità, alla fine del racconto non resta altro che accettare la corte di un avvocatucolo, Gino, già menzionato nell'esordio della novella e oggetto del suo altero disprezzo, ma cui lei fa abbandonare la fidanzata. Ovvero: ormai sua signoria deve imparare ad accontentarsi, ma rimane la stessa spaventosa egoista, arida come una selce e pronta a sacrificare gli altri al proprio narcisismo.


Senso viene composta agli esordi del Decadentismo, quindi al termine della parabola del Romanticismo, così pervaso di sentimenti ed entusiasmi. Del Romanticismo, il Decadentismo estenua l'ardore e il sentimentalismo in forme languide e sensualità; ma vi sopravvivono anche le tendenze "maledette" e oscure del Romanticismo più genuino, quello nordico. Il Romanticismo, a sua volta, aveva esaltato passione e sentimenti al massimo, in reazione all'"arido" razionalismo illuminista. Ma esaltare troppo i sentimenti come contraltare ad altre facoltà umane è pericoloso. Quando i ragazzi mi scrivono nei temi che l'amore è un sentimento, io sottolineo in rosso la frase, come se fosse un errore. E aggiungo: l'amore non è solo sentimento; è qualcosa di più, perché include volontà, intelligenza, ragione. Però le facoltà umane devono essere unite e in armonia tra loro: non distaccate e contrapposte, come se il sentimento potesse funzionare senza la ragione e viceversa. Così si mutila l'essere umano.


L'esito di tanto sentimentalismo - a volte stucchevole - romantico, ce lo indica Senso: dai sentimenti si passa alla sensualità, da questa al piacere nudo e crudo e da quest'ultimo all'egoismo. Una volta che il divertimento è finito o che l'ego è stato soddisfatto o offeso, l'oggetto del piacere può essere buttato via senza rimorsi e senza preoccuparsi neanche delle conseguenze per gli altri. Livia fa così: e temo che, pur senza arrivare all'estremo di mandare alla fucilazione un amante fedifrago, non poche persone - pure non poche donne - oggi si comportino altrattanto. Il significato del racconto di Camillo Boito è molto più profondo di un'idea originale resa in un linguaggio raffinato e sensuale: mostra la spaccatura antropologica cui è arrivato l'essere umano già nell'Ottocento e che si è perpetuata anche in seguito. L'amore cantato nelle canzonette ed esaltato in certi film oggi non è amore: è l'egoismo arido della contessa Livia.

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