sabato 6 ottobre 2018

Il conte Ugolino e gli orrori della storia 2. La storia di S.Massimiliano Kolbe

Il conte Ugolino e gli orrori della storia 2. La storia di S.Massimiliano Kolbe

Dopo l'incubo della caccia infernale, Ugolino si risveglia e trova a circondarlo una realtà ancora più atroce: i suoi figli (Gaddo, Uguccione, e i nipoti Anselmuccio e Nino), dormendo, chiedono del cibo nel sonno. E lui, impotente, non può fare niente per aiutarli. Quando si svegliano, essi attendono con ansia l'arrivo del pasto: e, invece, come unica risposta alle loro invocazioni, odono che la porta della torre viene inchiavardata definitivamente: i colpi di martello sulla porta equivalgono ai colpi su di una bara (la chiave fu poi gettata da Ruggieri in Arno affinché non venisse più trovata; del resto, Ruggieri odiava Ugolino perché questi aveva fatto condannare a morte suo nipote). La risposta di Ugolino è l'implosione completa: guarda i figli senza essere in grado di replicare, tanto è lo smarrimento che prova, a tal punto che si sente divenire pietra (io non piangea, sì dentro impetrai, v.59).


C'è un verbo che ricorre spesso, nel racconto, in varie forme flesse (poliptoto): piangere. Ugolino non riesce a piangere, ma piangono i figli, per cui, egli, per non aggravare ulteriormente la loro situazione, tace; un silenzio tremendo, che dura tutto un giorno; il sole, la luna, le intemperie passano e Ugolino resta immobile, come se il dolore immane lo avesse trasformato in pietra. L'unico momento di cedimento è al v.57, quando il conte, per la disperazione, si morde le mani; ma i figli interpretano il suo gesto, di rabbia, di pena, come un gesto ispirato dalla fame. Allora i figli supplicano il padre di sopravvivere nutrendosi di loro (vv.61-63: si noti la metafora del rivestire le membra di carne e dello spogliarle). E' un disperato atto di amore, estremo come estrema è la situazione: qualcosa del genere avvenne nel famoso caso dei sopravvissuti delle Ande, i giovani della squadra di rugby uruguayana Old Christians Club, precipitati con un volo charter sulle Ande il 13 ottobre 1972 e che sopravvissero anche nutrendosi dei corpi dei compagni morti. Qualcuno dei morenti esortò infatti i sopravvissuti a nutrirsi di loro per sopravvivere. Vennero ritrovati in 16 il 23 dicembre successivo, dopo 71 giorni passati a più di 3.000 metri, tra il ghiaccio, a varie decine di gradi sottozero e in condizioni di denutrizione spaventose.
Ugolino e i suoi, invece, non furono salvati. Il conte rimane ancora impietrito nei giorni seguenti, finché non vede i suoi figli morirgli davanti uno ad uno: ultimo rimane lui, a brancolare, ormai accecato, sui cadaveri e a invocarne il nome disperatamente, perché non sa, nella sua cecità e disperazione, che sono già morti: questa è la scena immortalata dalla scultura di Rodin.

                                                Ricostruzione del volto del conte Ugolino 

L'ombra del cannibalismo aleggia su tutta la vicenda del conte Ugolino, non a caso: è logico che, tra l'odio e il ghiaccio infernali, al fondo degl'inferi, il sommo poeta situi come argomento portante l'ultimo confine dei tabù umani, lo sconvolgimento più totale dell'etica. Si tratta di un tabù tanto tremendo che i sopravvissuti delle Ande chiesero l'assoluzione a papa Paolo VI (per quanto difficilmente potessero essere considerati colpevoli). Il racconto di Dante si chiude con una celebre reticenza: poscia, più che 'l dolor, poté il digiuno, frase ambigua, che può significare sia la morte per fame, sia che Ugolino, per la disperazione, si diede al cannibalismo. Nel 2001 le ossa del conte e dei familiari sarebbero state ritrovate nella tomba situata nella chiesa di S.Francesco a Pisa, cappella dei Della Gherardesca; secondo il prof.F.Mallegni, direttore del laboratorio di Paleoantropologia umana dell'Università di Pisa, si trattava di 5 scheletri, uno, di un anziano sui 70-75 anni, privo di denti, due di quarantenni e infine altri due scheletri di ventenni (Ugolino, i figli e i nipoti; per le due coppie di scheletri il DNA può provare che erano fratelli). L'esame del DNA ha rivelato un genoma compatibile al 98% con quello dei discendenti Della Gherardesca, mentre analisi effettuate entro il 2002 avrebbero provato l'assenza dalle ossa di tracce di zinco, segno del consumo di carne nel periodo antecedente il decesso. Invece, le ossa rivelano un prevalere di magnesio, indice di un periodo di inedia a pane e acqua e di malnutrizione poco prima della morte. L'appartenenza delle ossa è stata messa in discussione nel 2008, ma i dati sono ragionevolmente sicuri.


Tuttavia, il cannibalismo rimane il punto più basso della negazione della civiltà, la massima degradazione dell'essere umano, che, a quel punto, viola non soltanto la solidarietà elementare rispetto ai suoi simili, ma rende icasticamente anche la massima perversione e crudeltà: l'assenza totale di carità, per cui l'uomo divora il suo simile. Non è un caso se il cannibalismo fu una delle conseguenze dello stalinismo: a partire dal 1928, ma soprattutto nel 1931-32, il dittatore mise in pratica la sua "soluzione" al problema costante dell'approvvigionamento sulla base della convinzione che i contadini, infingardamente, nascondessero le granaglie; e, quindi, la "soluzione" significò inviare nelle campagne dei funzionari governativi che, come le cavallette, rapinavano ai contadini anche l'ultimo chicco di grano, anche le riserve contro la carestia conservate nello jam, la buca adibita a questo. La grande "carestia di Stalin", che provocò almeno 5 milioni di morti, è considerato il suo crimine più orrendo, perché lui, a differenza di altri dittatori che se la prendono con altri, annientò i suoi. Le regioni più colpite furono le terre nere delle fertilissime steppe del Sud della Russia e dell'Ucraina, dove, non a caso, si moltiplicarono gli episodi di cannibalismo. Ancora negli anni '90 fu giustiziato in Russia un serial -killer, colpevole di decine di delitti e che aveva compiuto anche questo: non sapeva che suo fratello era stato cannibalizzato dai vicini durante la carestia ed, evidentemente, riproduceva quanto la sua famiglia aveva subito. Non è un caso se il grande Aleksander Solzenitsyn, nel suo splendido romanzo Padiglione cancro, definisce Stalin "il Cannibale". Cannibalismo significa soprattutto che tra gli esseri umani non c'è più amore e che gli uni divorano gli altri: è su questa metafora che Truman Capote ha costruito il dramma Improvvisamente, l'estate scorsa, divenuto poi un celebre film di J.Mankiewicz con Elizaberh Taylor e Montgomery Clift.


In fin dei conti, da che mondo è mondo, cibo = amore. La prima cosa che desidero fare, per le persone che amo, è di solito cucinare per loro. A un livello molto più alto, c'è chi, anche in situazioni in cui ormai sembra che prevalga il "cannibalismo", sa farsi ostia e donare amore. E' il caso di padre Massimiliano Kolbe, la cui storia mi piace condividere con i miei studenti.
Padre Kolbe, francescano, era prigioniero ad Auschwitz nel 1941, quando il campo era ancora riservato ai Polacchi (gli Ebrei arrivarono alla fine dell'anno, in quello che poi divenne Auschwitz B; padre Kolbe era nella sezione A). Alla fine di luglio del 1941, nel blocco 14A fuggì un prigioniero e, immediatamente, gli aguzzini nazisti organizzarono una rappresaglia: dieci altri sarebbero morti al suo posto, nel bunker della fame (le esecuzioni non avvenivano più per fucilazione per non sprecare i proiettili). Costretti ad aspettare in piedi, sotto il cocente sole di luglio, la decisione del comandante, i prigionieri videro poi l'SS Fritzsch scegliere a caso dieci di loro: Dieser...dieser....dieser...L'ultimo condannato, Francesco Gajowniczek, si mise ai singhiozzare: - Mia moglie, i miei poveri bambini! Non li rivedrò più!- Allora, con calma, padre Massimiliano si fece avanti e, vincendo la paura della morte per fame, si offrì di prendere il suo posto; incredibilmente, Fritzsch accettò.
Fu così che Francesco fu salvo: nel 1982 era in piazza S.Pietro per la beatificazione di padre Kolbe; padre Massimiliano invece fu rinchiuso insieme agli altri nel bunker della fame, assistendoli uno per uno nella morte e rasserenandoli con la preghiera e con amore. Morì per ultimo, come aveva chiesto pregando, per una puntura di acido fenico il 14 agosto 1941, vigilia dell'Assunzione. Al posto della fame e dell'odio, per cui gli esseri umani si divorano gli uni gli altri, aveva vinto l'amore.


Bibliografia
Dante Alighieri, Divina Commedia. Inferno, cur. G.Giacalone, Roma, Signorelli, 1988.
O.Chlevnjuk, Stalin. Biografia d'un dittatore, Milano, Mondadori, 2016.
Padre L.Kluz, Kolbe e il comandante. Due uomini, due mondi, Bologna, Edizioni dell'Immacolata, 2001.

Qui il link del sito dedicato alla tragedia delle Ande
http://www.viven.com.uy/571/eng/default.asp

La storia come riportata (egregiamente) dalla Wikipedia italiana.
https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_aereo_delle_Ande

Il sito di S.Francesco di Pisa, con un'accurata relazione della storia del conte e delle indagini scientifiche sulla sua tomba:
http://www.sanfrancescopisa.it/la-tomba-del-conte-ugolino-della-gherardesca/

Articolo di Archeologia viva sui dubbi relativi all'appartenenza delle ossa presunte del conte Ugolino
http://www.archeologiaviva.it/2976/ugolino-della-gherardesca-cronaca-di-una-scoperta-annunciata/


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