martedì 23 ottobre 2018

Soldado (S.Sollima, 2018)



Soldado (2018)

Confine tra Texas e Messico. Gli elicotteri delle autorità americane setacciano il deserto: sugli schermi delle loro telecamere termiche appaiono alcune figure di immigrati irregolari che tentano la fuga nella notte. Gli agenti al suolo ne bloccano alcuni, mentre uno si inginocchia un po' in disparte e ripete febbrilmente delle parole in arabo. Non appena gli agenti si avvicinano, un'esplosione. E poi, le esplosioni si ripetono in un supermercato di Kansas City, ad opera di alcuni terroristi. Infine, Somalia: un commando di militari americani sequestra un pirata somalo, che poi confessa, sotto minaccia, di avere lasciato passare senza attaccarle delle navi su cui erano imbarcati dei terroristi con destinazione Messico.


Questo l'inizio di Soldado, il film che segna lo sbarco a Hollywood di Stefano Sollima (figlio di Sergio, famoso per la regia dello sceneggiato Sandokan, 1977: e chi se lo è scordato?). Il trailer non rende giustizia a questo thriller di classe, che sembra, dalle immagini selezionate, un'esagitata pellicola di azione, povera di contenuti: in realtà, è un ottimo film, che mescola al ritmo sostenuto, ma non frenetico, un realismo notevole, tematiche scottanti e spunti profondi di riflessione. La prova alla regia di S.Sollima è molto riuscita e si fonda sull'eccellente sceneggiatura di Taylor Sheridan: sequel di Sicario (2015), Soldado sviluppa, come il film precedente, il tema della lotta ai narcos sul filo della frontiera messicana e sulla base di materiali giornalistici. Come in Sicario (che non ho visto, ma molto acclamato), Soldado afferma che la lotta contro il narcotraffico viene portata avanti anche con metodi illegali; tuttavia, questo sfondo pare mutuato piuttosto da altre azioni illegali tipiche della CIA in altre zone del mondo. Come ha puntualizzato il giornalista Sebastian Rotella, specializzato sull'America Latina, la lotta statunitense contro i narcos mira a consegnarli alla giustizia e viene attuata mediante la polizia. In realtà, la sceneggiatura si focalizza sul chiaroscuro tra autorità americane e nemici, mostrando come il bene e il male non siano facilmente distinguibili come il bianco e il nero.


La storia è incentrata su Alejandro Gillick (Benicio del Toro), un avvocato la cui famiglia è stata sterminata dagli uomini del cartello dei Reyes. Dato che i narcos stanno cominciando a infiltrare terroristi attraverso il confine di Ciudad Juarez per il proprio tornaconto, le autorità statunitensi decidono di fomentare la guerra tra cartelli attraverso alcune azioni contro i Reyes, da attribuire alla famiglia rivale dei Matamoros: e di questo viene incaricato proprio Alejandro attraverso l'agente CIA Matt Graver  (Josh Brolin). Così viene ucciso l'avvocato dei Reyes e, soprattutto, viene rapita la figlia sedicenne del boss, Isabela (parentesi. Per un attimo sono stata d'accordo col rapimento, perché, non ci crederete, ma una delle scene più violente del film è quando Isabela, una vera peste che si approfitta della sua situazione, pesta a sangue una compagna di classe che l'ha chiamata t.....spacciatrice. A questo punto, il mio DNA di insegnante si è schierato dalla parte dei rapitori). La ragazza viene portata in Texas e quindi i militari americani fingono di liberarla. Ma quando il convoglio di Humvee e mezzi americani, autorizzato a entrare in Messico per consegnarla ai militari messicani, viene attaccato dalla polizia federale del luogo (corrotta dai Matamoros), il conflitto a fuoco che ne segue provoca un putiferio; Isabela scappa e Alejandro va a cercarla da solo, mentre gli altri rientrano di corsa in Texas. A quel punto, arriva l'ordine di eliminare entrambi, perché divenuti testimoni scomodi: ma Alejandro rifiuta. Così il film è dedicato proprio alla sua lotta solitaria per salvare la figlia di colui che ha fatto trucidare la sua.


La sceneggiatura è sobria, compatta, ottimamente costruita: la storia è davvero complessa e, a tratti, potrebbe apparire surreale, eppure l'azione scorre in maniera naturale e credibile anche nei momenti più difficili, tanto che lo spettatore la segue senza sforzo. Un altro aspetto che mi ha colpito favorevolmente è che, per quanto questo sia un film duro, con scene violente, tuttavia mantiene un equilibrio che parecchi film d'azione dimenticano: manca quell'esibizionismo della violenza tipico di certi thrillers iper-realistici (e, quindi, ben poco realistici). La fotografia dai toni cupi, in linea col deserto messicano e con i sobborghi fatiscenti di Ciudad Juarez, incrementa l'effetto realistico della pellicola che, anche se attraverso la finzione, tocca argomenti, lo ripeto, scottanti. Ecco allora una resa efficace e cruda del traffico di esseri umani al confine tra Messico e USA: ad es., il ragazzino figlio d'immigrati, ma cittadino americano, che è stato assoldato dai trafficanti per fare da scout, mentre guada il fiume con un gruppo di immigrati irregolari sente che una donna non riesce a resistere alla corrente e intima di lasciarla perdere. Efficacissima a sottolineare la durezza delle situazioni la musica della violoncellista islandese Hildur Gudnadottir. Benicio del Toro, infine, dona spessore a un personaggio che, coinvolto fino in fondo in una guerra sporca, mantiene un senso inatteso di dirittura morale. Questo rende il film riuscito in una maniera che non mi aspettavo: il finale è veramente bello.

Cfr. Sebastian Rotella, Sicario's Dirty War on Mexican Cartels is not yet Reality, Propublica 23 ottobre 2015, https://www.propublica.org/article/sicarios-dirty-war-on-mexican-cartels-is-not-yet-reality

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