mercoledì 1 maggio 2019

Il mistero del caso Galileo



Il mistero del caso Galileo

Il caso Galileo è uno dei tornanti più spinosi della storia, non tanto per quello che avvenne, l'abiura di Galileo, quanto per la complessità di quello che avvenne e delle valutazioni da fare in merito. Una certa vulgata propone abitualmente una visione con l'accetta della questione: Galileo il "buono" che difendeva la "verità",  ovvero la teoria copernicana eliocentrica; l'Inquisizione "cattiva" che lo obbliga ad abiurare - oppure, c'è chi sostiene il contrario, con Galileo "cattivo" e l'Inquisizione "buona", che difende la tradizione ecc. Visioni unilaterali si sono diffuse, per esempio, all'epoca del positivismo, che svalutava la metafisica a vantaggio della scienza (no, dello scientismo, cioè dell'idolatria della scienza); l'Illuminismo vedeva in Galileo il difensore della  ragione contro la superstizione; e così via. Insomma, ogni epoca ha fatto il suo "processo", al processo Galileo. A prescindere dalla versione preferita, in realtà, tutte queste prospettive sono difettose, perché riducono al bianco e nero una questione molto, ma molto complessa, piena di sfumature di ogni genere. Provo a sintetizzare qui - a beneficio della mia 4M - alcuni punti di riflessione in merito (e sottolineo "punti di riflessione", per niente esaustivi).


I fatti basilari sono noti: nel 1616 Galileo ricevette dall'Inquisizione il decreto con ordine di non propagare la teoria copernicana, che era da intendere solo come ipotesi; ingiunzione che egli violò con la pubblicazione, nel 1632, del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, tolemaico e copernicano. A quel punto, Galileo venne inquisito perché sospettato de vehementi (cioè in maniera forte, ma non al massimo grado) di una tesi ereticale, che però non aveva niente a che fare con dogmi e simili. Solo il decreto del 1616 definiva che l'oggetto di questa eresia era il credere che la Terra si muovesse invece del Sole. In tal senso, era un'eresia più "disciplinare" che teologica e l'unica condanna in merito era arrivata dal Sant'Uffizio appunto col decreto del 1616, mai prima. Nel 1633, l'Inquisizione condannò Galileo all'abiura e lui, da credente cattolico, abiurò il 25 giugno 1633. Ovviamente, sulla teoria copernicana aveva ragione lui e il 31 ottobre 1992, con uno storico discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze e a seguito dei lavoro di una commissione ad hoc presieduta dal cardinal Poupard, Giovanni Paolo II ammise che Galileo aveva molto sofferto a opera di uomini di Chiesa e riconobbe sostanzialmente l'errore commesso (ma già il papa si era espresso in tal maniera nel 1979). Tuttavia, dietro la condanna c'è un groviglio di circostanze storiche molto complicato.


Innanzitutto, il fascicolo oggi conservato negli Archivi Vaticani non è completo, ma è solo un estratto dell'intero incartamento. Quel che c'è è stato più volte messo a disposizione degli studiosi a partire dall'apertura degli Archivi Vaticani sotto Leone XIII nel 1880-81, quindi pubblicato ripetutamente e infine riedito dal Vaticano stesso nel 1984; ma il resto è andato perduto. Il problema è che il fascicolo (il numero 1181) fu fatto portare in Francia da Napoleone nel 1810, assieme a ceste e ceste di documenti del Sant'Uffizio; il Vaticano ne rientrò in possesso solo nel 1843, quando fu ceduto dalla vedova del duca di Blacas, che se l'era tenuto dopo la disfatta napoleonica. Nel frattempo, però, l'inviato vaticano a Parigi, mons.Marini, aveva fatto i salti mortali per cercarlo e rientrarne in possesso e il fascicolo aveva cambiato più volte padrone. Il risultato è che a leggerlo oggi, nasce la certezza che le questioni importanti lì dentro non ci sono (come ha dimostrato Giorgio De Santillana). Inoltre, il fascicolo presenta varie incongruenze: per esempio, fu osservato che il Dialogo ottenne l'imprimatur dall'Inquisitore di Firenze, per cui, perché a Roma se la presero con lo scienziato e non con il collega di Firenze? Insomma, l'incartamento stesso, con le sue lacune e incoerenze, comunica una sensazione di stranezza del processo intero.


Anzi: leggendo le carte, gli storici hanno nutrito spesso l'impressione che sotto ci fosse qualcosa di ben più grave. Ad esempio, Urbano VIII fece un brusco voltafaccia nel 1632, proprio lui che aveva ritenuto la dottrina copernicana temeraria, ma non eretica e che, aveva dichiarato, non avrebbe mai emanato il decreto del 1616; e parlò in seguito con l'ambasciatore fiorentino di una dottrina perversa in massimo grado...La teoria copernicana? Mah. Lo storico Redondi ha individuato in passato tra le carte dell'Inquisizione una denuncia anonima contro Galileo del 1624, motivata dal Saggiatore e da cui si evincerebbe che la vera dottrina eretica sostenuta da Galileo e che preoccupava l'Inquisizione sarebbe stata un'errata interpretazione della dottrina della transustanziazione dell'Eucarestia.


Galileo disponeva di notevoli entrature in Curia: conosceva addirittura Urbano VIII, papa Barberini, che si fregiava dapprincipio di essere suo protettore. Al momento della pubblicazione del suo Dialogo lo scienziato, forse con eccessiva sicurezza, confidava soprattutto in questo fattore, dato che aveva saputo raccogliere il favore di vari ecclesiastici con una sagace opera, per così dire, pubblicitaria. Non tutti ricordano però, che Galileo, nonostante varie quérelles scientifiche con il gesuita Orazio Grassi, incontrava in genere il favore dei Gesuiti (almeno agl'inizi), mentre invece era avversato dai più tradizionali Domenicani (difatti, nel 1613 la sua lettera a Castelli fu inviata a Roma da un domenicano): e Gesuiti e Domenicani, fra loro, non si possono vedere - neanche oggi...- tanto che la loro diatriba interna potrebbe avere avuto un peso non trascurabile nell'affaire. 



Un secondo aspetto della questione è quello, evidentemente, esegetico. Dietro il problema Galileo, si solleva innanzitutto il problema dell'interpretazione da dare alla Bibbia. Ora, onestamente, chi studia l'esegesi cristiana da anni - come la sottoscritta - sa perfettamente che l'interpretazione letterale della Scrittura non è assolutamente uniforme, anzi. La Bibbia non consiste solo di libri storici, bensì anche di testi profetici, poetici, apocalittici ecc., che necessitano di un'esegesi per nulla letterale. Ora, che vari passi della Bibbia possiedano un valore metaforico o allegorico, va da sé (chi ha mai preso sul serio la frase evidentemente paradossale di Gesù in Marco 9,47: "Se il tuo occhio ti è di scandalo, cavalo"?); inoltre, l'esegesi allegorica è un classico dell'interpretazione scritturistica, prima ebraica con Filone di Alessandria (I d.C.), poi cristiana. Un esempio che convincerà tutti: Dante propone l'interpretazione allegorica della Scrittura tra i quattro sensi possibili di essa in Convivio 2,1 (una veritade ascosa sotto una bella menzogna): e, come noto, applicherà questi medesimi sensi all'interpretazione del suo poema (letterale, allegorico, morale, anagogico). Ma l'esegesi allegorica della Bibbia, tra i cristiani, data almeno dal III sec. d.C. e dal celeberrimo testimone della fede Origene, che fu il più grande esegeta della Chiesa antica ed estese l'allegoria a tutta la Scrittura, producendo volumi su volumi di interpretazioni che di letterale hanno ben poco.


Ora, fin dall'epoca almeno di Senofane (VI a.C.) tra i Greci ci si lamentava che gli dei omerici facevano veramente una pessima figura, per cui l'allegoria si diffuse come mezzo d'interpretazione volto a ovviare al noto defectus litterae, cioè al problema presentato da passi letterari problematici e inadeguati alla  divinità. Il problema permaneva anche tra i cristiani, che con la Bibbia ebbero da risolvere problemi cospicui nel corso dei secoli, non meno di quello relativo all'orbita solare (un altro esempio: i passi biblici in cui Dio viene presentato in maniera antropomorfica). E allora: perché la Chiesa del 1600 non applicò lo stesso metodo al problema copernicano e passò letteralmente sopra secoli di esegesi cristiana allegorica?
Il nocciolo è che per Galileo la Bibbia non è affidabile a livello scientifico: a prescindere dal fatto che essa sostenga il sistema tolemaico o quello copernicano, usa espressioni che non possono concordare con la concatenazione meccanica e inesorabile dei fenomeni naturali. La Bibbia, dice Galileo, parla di questioni di fede e lì va creduta; ma si occupa della rivelazione, di realtà che oltrepassano la ragione umana. Invece, per quel che riguarda l'ambito razionale umano, la scienza, che può migliorare le proprie osservazioni sensoriali mediante strumentazioni adeguate (il cannocchiale ad es.), opera a tutt'altro livello: e qui si propone l'assunto principale di Galileo, cioè la separazione dei due ambiti. La differenza la fa il metodo scientifico deduttivo e sperimentale.


Eppure: sorpresa! A un certo punto, per salvare la Bibbia, anche Galileo si appella al metodo antico, ma entro un contesto nuovo. Infatti, egli parla di un senso letterale del testo biblico scientificamente insoddisfacente, ma di un altro senso recondito da scoprire che salva il principio secondo cui la Bibbia non può mentire. Quindi, basterebbe risalire a questo senso recondito, per salvare il valore genuino dei passi scritturistici. Senonché, il decreto del 1616 consacrava, come ha dimostrato Mauro Pesce, il concordismo: cioè la tesi che la Bibbia non errava nella lettera neanche nella sua formulazione letterale, per cui era scientifica (concordismo tra valore scientifico e testo biblico), il che andava al di là di quanto mai predicato nella Chiesa cattolica in ambito di esegesi biblica. Secondo Pesce, è proprio la condanna del copernicanesimo del 1616 che ha guastato i rapporti tra scienza e fede perché, parafraso io, in quel caso la Chiesa è andata oltre un certo limite: ha vincolato la ricerca scientifica alla lettera del testo biblico valutando i due ambiti sullo stesso piano. In effetti, dal punto di vista dello storico dell'esegesi, è questo concordismo che appare una novità e che fa problema. Solo con l'enciclica Divino Afflante Spiritu emanata da Pio XII nel 1943, si riconobbe che la Bibbia si esprime secondo i generi letterari dell'antico Oriente, per cui questo concordismo non vale ed i testi biblici non possono avere valore scientifico.


Perché allora uno "sfondone" di tal fatta? Semplice. Il problema, dopo la Riforma protestante e l'affermarsi del principio del sola Scriptura fu l'irrigidimento dell'esegesi biblica, prima tra i protestanti, poi, di riflesso, anche tra i cattolici. La Chiesa cattolica si basa su due pilastri: la Bibbia e la Tradizione. La Tradizione non è un'inutile aggiunta: è l'alveo in cui scorre il fiume della Bibbia e della sua interpretazione, è l'ancoraggio storico di essa. Se però essa viene eliminata come base delle verità ecclesiali -  come noto, Lutero aveva una pessima idea di certi Padri della Chiesa - la Bibbia viene assolutizzata in un modo ingestibile e diventa una nuvola sconnessa alla terra: perciò ancora adesso ci troviamo certi evangelici statunitensi che fanno il conto delle ere geologiche sulla base delle tavole cronologiche bibliche ridotte a poco più di 6.000 anni. Per questo, l'esegesi letterale divenne un must all'epoca e neppure i cattolici ressero alla pressione di dovere seguire la tendenza, imposta da parte protestante.
Come del resto ha dimostrato un grande teologo domenicano inglese, padre Timothy Radcliffe, l'interpretazione letterale cinque-seicentesca della Bibbia la tratta come cronaca, basata su di una concezione moderna del tempo e dello spazio: il tempo e lo spazio neutri, indispensabili per misurazioni scientifiche, non quelli simbolici del testo biblico o delle epoche precedenti (ad esempio, i "giorni" di cui si parla in Genesi 1 non sono assolutamente da prendere a livello quantitativo, bensì simbolico - liturgico). Quindi, una lettura della Bibbia compiuta secondo una concezione moderna, neutra, meccanica del tempo e dello spazio, la distorce. Il problema è quindi che la Bibbia veniva letta in modo unilaterale, con occhiali che non si adeguavano più alle esigenze della fede, ma che erano dettati da tendenze culturali dell'epoca. Difatti, come vedremo nel seguito, la concezione copernicana e galileiana ebbe dei problemi anche nella tollerante - e calvinista - Olanda. (continua).


Bibliografia

Il processo Galileo: copernicanesimo o eresia?, in A.Camera - R.Fabietti, Elementi di storia. L'età moderna 2, Bologna, Zanichelli, 1987 (3), pp.407-10.
M.M.Cappellini - E.Sada, I sogni e la ragione. Il Seicento e il Settecento, Milano, Signorelli, 2015.
A.Grafton, What was History? The Art of History in early modern Europe, Cambridge University Press 2007.
M.Pesce, Gli ingegni senza limiti e il pericolo per la fede, http://www.fundacionorotava.org/media/web/files/page145__cap_05_02_Pesce.pdf
T.Radcliffe, Temps et récit. Comment lire les récits bibliques, in Que votre joie soit parfaite (trad.fr.), Paris, Cerf, 2002, pp.267-80.

Nessun commento:

Posta un commento