sabato 4 maggio 2019

Il mistero del caso Galileo 2



Il mistero del caso Galileo 2

L'eliocentrismo, difatti, ebbe dei problemi anche in Olanda: i filosofi olandesi cartesiani, intorno agli anni '50 del Seicento, si ritrovarono in lizza con i teologi calvinisti che leggevano la Bibbia in maniera letterale. Fu in gran parte una discussione tra teologi e docenti universitari, quindi, apparentemente, meno pericolosa a livello politico: tuttavia, anche qui il problema era la gerarchia dei saperi. Ci torneremo tra breve.

Se continuiamo la nostra analisi della vicenda Galileo, salta all'occhio che lo scienziato non ebbe problemi solo per il copernicanesimo: nel 1624 fu denunciato anche perché avrebbe seguito delle opinioni eretiche in fatto di Eucarestia. Lo studioso spagnolo Lucas Mateo - Seco ha analizzato la cosa in modo esemplare, il che si può sintetizzare come segue: la transustanziazione trasforma integralmente il pane e il vino in corpo di Cristo, ma esso permane sotto le specie eucaristiche; queste ultime (colore, forma, gusto ecc.; si ricordi che specie significa "apparenza") sono reali, ma sono un segno del corpo di Cristo in cui si è mutato il pane; ora, all'epoca si tendeva, aristotelicamente, a vedere nelle specie la forma e nel pane la sostanza. Galileo pareva non volere distinguere tra forma e sostanza, per cui l'inquisitore non riusciva più a dar conto della distinzione tra la sostanza (il corpo di Cristo) e la forma (le specie dell'Eucarestia, cioè l'apparenza di pane). La denuncia cadde, anche perché l'Inquisitore si rese conto che questa era solo una delle tante versioni delle discussioni del tempo tra teologi sull'Eucarestia, per cui Galileo non era arrivato veramente all'eresia; ma, incredibilmente, qualche decennio dopo, proprio seguendo lo stesso argomento, Cartesio "sforò" (per sua fortuna, la cosa fu denunciata solo dopo la sua morte).


Perché ricordare tutto questo almanaccare teologico? Ma perché è assurdo stare a spiegare un dogma come la transustanziazione con le formule filosofico - scientifiche del tempo, che fossero aristoteliche o meno. Mateo - Seco infatti lo sottolinea:

Dopo tanti secoli, al teologo sembra strano questo desiderio di unire le ipotesi scientifiche con le semplici affermazioni della fede cristiana, come se non appartenesse alla fede che....la presenza sacramentale del suo (sc.di Cristo) corpo....sia al di là delle nostre analisi e delle nostre ipotesi. 

Appunto. Se facciamo attenzione, ci rendiamo conto che è lo stesso pasticcio avvenuto per l'esegesi: fare equivalere la Bibbia alla scienza. La scienza si appropria della teologia e la teologia tenta di appropriarsi della scienza. Si ha la sensazione che l'aspirazione alla scientificità avesse infervorato tutti un po' troppo, da Galileo, agl'Inquisitori, ai teologi.


Ora, sicuramente quella è stata un'epoca di grande fioritura del genio scientifico, come mai prima; e ancora oggi, la scienza, di per sé una realtà splendida, continua ad abbagliare. Sembra che i suoi successi, basati su metodi rigorosi, non si fermino mai. Eppure, bisogna fare attenzione. Mi è capitato che alcuni miei allievi mi dicessero (ingenuamente) che la scienza dice la "verità": quando invece la scienza osserva e documenta una parte della realtà, ma è perennemente perfettibile. E lo fa con mezzi diversi da altri ambiti dello scibile. Ripeto per l'ennesima volta: anche la poesia si avvicina alla sua maniera alla verità, ma non con il linguaggio del calcolo esatto. E' perciò meno vera? Assolutamente no. Ora, il punto focale del problema è proprio qui: la scienza ha dei limiti? Deve essere considerata al di sopra di altre forme di sapere? Chi la giudica? Non è un problema da poco, perché ancora nel 2005 la geografa Doreen Massey, nel suo saggio For Space lamentava che gli ambiti del sapere vengono giudicati sulla base della loro prossimità alla fisica: quindi la biologia sarebbe un po' meno "scientifica" della fisica, presa come paradigma, le scienze umane ancora meno e così via.


E questo ha portato sia a una gerarchia immaginaria tra le scienze (con la fisica a un estremo e la cultura umanistica all'altro) e a un fenomeno di invidia fra una serie di pratiche scientifiche che mirano a scimmiottare, ma non possono, i protocolli della fisica. I geografi fisici pensano (talvolta) di essere più scientifici dei cultori di geografia umana; l'economia classica si è sforzata di distinguersi dalle altre scienze sociali...I geologi soffrono di invidia nei confronti della fisica...e così i biologi....Ma la cosa più evidente è che lo stato della fisica, della sua metodologia e delle sue pretese di verità, è basato su di un'immagine di questa disciplina che è ora sorpassata. Anche la fisica è cambiata (...) non si adegua per nulla al modello newtoniano-meccanicistico (...) Di più (...) quel che intriga è che alcune delle domande più serie (...) sono state sollevate dai filosofi. 

Mettere la scienza al di sopra di tutto, però, è una forma di idolatria ed è pericoloso. Si chiama scientismo. Qualcuno può arrivare ad ammazzare per questo. Anzi, è già successo: con l'eugenetica e nei lager nazisti, dove, con la scusa della scientificità, si compivano orrori.


Ma ritorniamo un attimo indietro a Galileo. Come ha dimostrato Mauro Pesce nei suoi studi sull'affaire, fin dalle lettere a Cristina di Lorena lo scienziato toscano rivendica l'autonomia della ricerca scientifica in naturalibus rispetto all'autorità religiosa che invece, come sosteneva il cardinal Roberto Bellarmino, non poteva accettarla a causa della diffusione della Riforma protestante (ci tengo anche a sottolineare che, durante l'ancien régime, la religione era una questione politica, per cui i governanti sarebbero spesso stati d'accordo). Cioè: la teoria copernicana poteva essere insegnata come mera ipotesi, perché la sua definitiva accettazione sarebbe dipesa dall'autorità religiosa, che rivendicava una potestas indirecta anche su campi non suoi allo scopo di difendere la fede.

Il sistema galileiano...richiedeva una libertà illimitata alla ricerca scientifica nel rispetto della libertà del potere illimitato delle istituzioni ecclesiastiche ufficiali in materia religiosa. 

A livello epistemologico (cioè di conoscenza) la teoria copernicana poteva anche essere quel che era, cioè una teoria: ma il problema era l'autonomia della ricerca scientifica. Valore sacrosanto, diremmo noi: vero, ma prima o poi anche la ricerca scientifica ha bisogno di un limite, come tutte le cose umane; dove lo mettiamo?


Come sottolinea lo storico della scienza Ludovico Geymonat, proprio la distinzione tra il linguaggio comune impiegato dalla Bibbia e in cui vengono rivelate le verità di fede altrimenti inaccessibili alla ragione e quello rigoroso e razionale del metodo scientifico crea una discrasia. E questa discrasia finisce per svalutare il linguaggio biblico. In effetti, esso non possiede il rigore del linguaggio matematico adottato dallo scienziato come fondamento del suo ragionamento sperimentale; gl'inquisitori se ne accorsero: la Bibbia ne usciva diminuita. Personalmente aggiungerei: pare anzi dalle espressioni di Galilei che il rigore e la ragione siano esclusi dalla riflessione biblica perché essa, nella lettera, non fa ricorso a un linguaggio esatto.

Aggiunge il filosofo Giulio Preti:

Nel linguaggio matematica la certezza umana adegua la certezza dell'intelletto divino; quando l'intelletto umano è giunto a capire la dimostrazione di un teorema, la sua conoscenza -  rispetto a quel dato teorema - è pari a quella che ne ha Dio.

Questa perfezione è garantita dal fatto che la conoscenza matematica è finita e, in quello spazio finito, può garantire un rigore paragonabile a quello del discorso divino.  Ma qui casca l'asino. Perché, se il linguaggio matematico raggiunge il livello dell'assoluto, chi lo ferma più? 


D'altro canto, questa discrasia cela la lotta tra saperi diversi, quello religioso e quello laico. Quando sopra spiegavo che in Olanda, nella discussione sull'eliocentrismo entrò in gioco la questione della gerarchia dei saperi, indicavo il nocciolo del problema anche sul lato cattolico: il Medioevo ci aveva tramandato un sapere in cui la teologia prevaleva su tutto; ma filosofia e scienza (nonché la politica) non ne volevano più sapere di fare da ancelle alla teologia. E' il processo di laicizzazione del sapere e della politica, di per sé comprensibile e più che legittimo; ma, paradossalmente, si assiste proprio ora a una sorda lotta per il monopolio del sacro (Del Prete), perché in un momento in cui le lotte confessionali sono all'ordine del giorno, proprio i saperi che si laicizzano cercano, di ritorno, di dominare l'ambito del sacro; così va a finire che scienziati e filosofi come Cartesio e Galileo si lanciano in discussioni teologiche avventurose sull'Eucarestia, cercando di spiegarla in termini "scientifici" (?); le chiese cercano di mantenersi al passo con la scienza (di qui l'errore del caso Galileo) e il razionalismo per evitare la superstizione (all'epoca, questa era un'accusa ricorrente tra Cattolici e Protestanti); e infine, tutto questo razionalismo porta a quella che Antonella Del Prete chiama l'eterogenesi dei fini, cioè, paradossalmente, a scetticismo e ateismo. Una bella confusione, che però cela problematiche ancora molto vive. In sostanza: la laicizzazione dei saperi non si è fatta pacificamente, ma con tentativi di appropriazione e predominio da una parte e dall'altra e con esiti radicali. E tutto questo proprio mentre Galileo finiva, senza rendersene conto appieno, per svalutare il linguaggio biblico. Vediamo dunque come il problema dei limiti della scienza (e non solo) sia reale. 


Torno perciò alla domanda: chi giudica la scienza? Alcuni anni fa, lo studioso austriaco ateo (sottolineo "ateo") Paul K.Feyerabend, ne Contro il metodo (un titolo davvero evocativo), accusò Galileo di "macchinazioni propagandistiche" (non del tutto a torto, Galileo sapeva come vendersi), mise in dubbio l'oggettività del metodo scientifico e della Rivoluzione scientifica, diede ragione (immaginate...) all'Inquisizione. Perché? Perché, diceva, la Chiesa si pose anche il problema delle conseguenze etiche e sociali della teoria copernicana, perché le teorie scientifiche di Galileo contenevano un nocciolo duro di forte convinzione, per nulla oggettiva, e perché, in definitiva (e qui non ha per niente torto) la scienza non riesce ad avere regole assolute e invariabili per il suo sviluppo. La componente umana, irrazionale, variabile, vi è sempre presente. La scienza ha dei limiti. 


Feyerabend è un epistemologo provocatore e non lo si può seguire del tutto nella sua critica del metodo scientifico. Però, è sano che ci ricordi i suoi limiti. Del resto era un allievo di Karl Popper, quello del "tacchino induttivista". E' una storiella molto divertente, che Popper si era inventato per rendere l'idea dei limiti della scienza e, in particolare, del metodo induttivo (l'ho imparata dai miei studenti che la infilavano in tesina qualche anno fa). 
Un bravo tacchino, molto studioso, comincia a studiare scientificamente le razioni di mangime che gli danno. Prende appunti, fa i suoi calcoli, traccia dei diagrammi e almanacca così che le sue razioni sono tendenzialmente in aumento nei mesi autunnali. Quando, dopo alcuni mesi, ha raccolto una bella mole di dati, diagrammi e simili e sta per giungere alle conclusioni su questa tendenza...un bel mattino gli tirano il collo e lo fanno arrosto (sarebbe interessante sapere se l'hanno fatto arrosto per il Giorno del Ringraziamento...). L'allora cardinal Ratzinger citò Feyerabend in una conferenza del 1990, non per giustificare la condanna di Galileo, ma per ricordare che la scienza ha dei limiti e che ha bisogno di essere compresa entro una ragione, un Logos maggiore, aperto alla trascendenza. 
Quindi, attenzione allo scientismo. Cerchiamo di non fare la fine del tacchino induttivista. 


Bibliografia
Antonio Carioti, Quella citazione di Feyerabend, l'epistemologo che smitizzò Galileo, Corriere della sera 16 gennaio 2008.       
Antonella Del Prete, Scienze della natura e immaginazione teologica, in Vincenzo Lavenia (cur.), Storia del cristianesimo III. L'età moderna (secoli XVI - XVIII), Roma, Carocci, 2015, pp. 401-21.
Doreen Massey, For Space, London, SAGE, 2005. 
Lucas F. Mateo - Seco, Galileo e l'Eucarestia. La questione teologica dell'ACDF, Indez, Protocolli, EE, f.291r-v, Acta philosophica 10 (2001), pp.243-56. 
M.Pesce, Gli ingegni senza limiti e il pericolo per la fede, http://www.fundacionorotava.org/media/web/files/page145__cap_05_02_Pesce.pdf


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