sabato 24 marzo 2018

Pirandello e la psicologia

Pirandello e la psicologia

Ieri mattina stavo pacificamente interrogando Dario ed Aurora in 5O e, durante l'orale, abbiamo iniziato un'interessantissima discussione sul rapporto tra Pirandello e la psicologia. Pirandello, che come nessun altro ha scomposto la personalità umana, è forse anche l'autore contemporaneo che, più di ogni altro, riflette tematiche psicologiche o si potrebbe utilizzare per condurre riflessioni psicologiche.
Questo è vero innanzitutto perché Pirandello stesso si interessava alla psicologia: lesse per esempio Le alterazioni della personalità di Alfred Binet (l'inventore del QI, quoziente intellettivo), uno psicologo francese di origine italiana che si occupava dei vari livelli dell'Io. Pirandello si interessava anche di parapsicologia e spiritismo (pratica che induce facilmente a dissociazioni psichiche, come sanno certi medici del Pronto Soccorso che si vedono arrivare a volte come pazienti dei fanatici di queste sedute), ma questa è un'altra storia.



Poi, bisogna ricordare le sue vicende personali. La moglie Maria Antonietta, che lui aveva sposato per matrimonio combinato, come usava in Sicilia, ma di cui si era comunque innamorato, aveva delle latenze psicotiche (cioè era fragile a livello psicologico e poteva sviluppare una psicosi): era patologicamente gelosa del marito, tanto che lo andava a spiare all'uscita dalla Facoltà di Magistero a Roma (una Facoltà frequentata dalla future maestre, quindi quasi esclusivamente da ragazze), per osservare come lui, giovane docente ammirato ed attraente, si comportava con le sue studentesse. La follia però esplose nel 1903, quando si allagò la miniera di zolfo di famiglia, in cui era stata investita la dote di Antonietta, e la famiglia subì un tracollo economico. La donna non si riprese più, anzi, arrivò al punto di essere gelosa della figlia Lietta, accusandola d'incesto. La povera Lia tentò addirittura il suicidio. Pirandello (che era irreprensibile e non tradì mai la moglie, pur vivendo un matrimonio infernale) infine dovette convincersi a farla ricoverare in una clinica specializzata, perché non ne potevano più (1919).



La personalità di Pirandello appare come quella del tipico depressivo, che si rimette in questione senza posa, assumendosi le proprie responsabilità, senza rigettarle sugli altri: colto, distinto, di grande umanità e sensibilità, simpaticissimo, dotato di grande senso dell'humour, è dominato però dal pessimismo e da una specie di senso d'impotenza; sembra anzi depresso tout court. Inoltre, possiede una tendenza sicuramente ossessiva: molto esigente con se stesso, irreprensibile, fa pensare difatti al depressivo che sia stato vittima di violenza psicologica e di traumi senza averli elaborati e che, perciò, rimanga legato all'eterna ripetizione di atteggiamenti o gesti di fuga (si ripetono i traumi per sfuggirne). Il suo pensiero ci presenta infatti di continuo la vita come libero fluire di energia vitale, che però tanto libero non è: infatti, regolarmente, la vita rimane "incastrata" nella forma, cioè nei ruoli, nelle convenzioni, nelle etichette, imposti dalla società e dal contatto con gli altri. Nel teatro pirandelliano, queste si chiamano "maschere". 



Questo è quanto mai attuale: così osservavo con Dario che, quando lo chiamo alla lavagna a fare "il segretario" e a trascrivere in uno schema quello che sto spiegando, lui cerca di far ridere gli altri e assume, così, una forma, un ruolo, per suscitare la simpatia dei suoi compagni; io stessa, a volte, resto "imprigionata" nella "forma" di insegnante; oppure, Aurora ricordava, in fin dei conti un ragazzo si può presentare a casa con i genitori in una maniera e insieme agli amici in un'altra: assume allora varie maschere. Una personalità equilibrata, soggiungevo io, riesce comunque a trovare una sintesi e un'armonia tra le varie "forme", perché tutte, in fin dei conti, riportano alla stessa personalità.



Il problema per Pirandello è però proprio se questa personalità esista. In Uno, nessuno, centomila, il protagonista Vitangelo Moscarda arriva alla conclusione che no: preso dalla frenesia di capire come appare agli altri, perde la percezione di se stesso e si dissolve nei centomila riflessi e immagini che gli altri hanno di lui. Ieri mattina osservavo che proprio le vittime di violenza e abusi finiscono per perdere il senso di quello che sono e vogliono autenticamente, perché hanno perso l'abitudine di esprimerlo, a causa delle continue costrizioni; e quello che dicono gli altri finisce per essere per loro come una continua imposizione. Questo, più l'ossessività con cui Pirandello si pone sempre gli stessi problemi e le stesse domande (il famoso "pirandellismo") ci lascia intravvedere come lui stesso fosse una vittima di oppressione, se non altro psicologica, un uomo molto sensibile e spesso incapace di manifestarsi fino in fondo; proprio per questo, continuava ossessivamente a porsi sempre gli stessi interrogativi ("pirandellismo" appunto).



                                             Edvard Munch, Sera al Karl Johan. 

A proposito: servirà un post specifico, ma proprio il capolavoro del teatro pirandelliano, I sei personaggi in cerca di autore, sembra il  tentativo disperato, da parte dei protagonisti, di elaborare un gigantesco trauma (sulla scena ne succedono di tutti i colori, dal tentato incesto, al suicidio di un ragazzino, alla morte per affogamento di una bambina): e loro ripetono, ripetono, ripetono i disastri successi, alla ricerca di una rappresentazione adeguata degli stessi, del loro dolore, che però nessuno sarà in grado di mettere in scena. Sembra la coazione a ripetere, fenomeno ben noto in psicologia e tipico di chi è rimasto incastrato in un trauma.



Che la società ottocentesca fosse piuttosto rigida e oppressiva, lo sapevamo. Si noti che proprio  l'Ottocento ha sviluppato l'indagine (per non dire la fissazione) sull'isteria, ovvero, come lo definiremmo oggi, il disturbo borderline: e il suo primo sintomo è la mancanza di autocontrollo (vi ricordate che si parla di "pianto isterico", di "crisi isterica" ecc.?). Di solito, la definizione di "isterica" veniva sbolognata sulle donne (anzi, isteria deriva dal termine greco per "utero", perché si riteneva che l'insoddisfazione sessuale la provocasse...); mi sono chiesta più volte se l'isteria non fosse anche il riflesso di una società rigida che, iper-controllando, finiva per far "esplodere" alcuni suoi membri più fragili. 
                                                            Edvard Munch, Malinconia

E' sintomatico che fenomeni analoghi si registrassero nel Seicento, altro secolo molto rigido, con le famose "convulsionarie", donne che dicevano di avere esperienze mistiche e che finivano per mostrare atteggiamenti davvero "isterici"; ma, all'epoca, la cosa era trasversale, tanto che ciò succedeva anche ai "profeti" ugonotti dei camisards francesi o alle suore di Loudun (quelle che ritennero di essere tutte indemoniate a partire dalla superiora, neanche la possessione fosse contagiosa come la varicella...Richelieu utilizzò l'episodio per eliminare alcuni suoi oppositori politici, come un prete-intellettuale, accusato di avere indemoniato le suore). In definitiva, l'insistenza di Pirandello sulle "maschere" ci rinvia a una società che schiaccia il singolo e non lo comprende: basti pensare al povero Mattia Pascal, che cerca di inventarsi più identità sempre nella speranza di trovare il suo spazio nella vita, uno spazio autentico in cui essere se stesso; inutilmente.



Pirandello descrive così, come tanti altri della sua epoca, l'alienazione dell'individuo nella società: Freud, Marx, Tozzi, Rebora e tanti altri hanno descritto e motivato, in varia maniera, questo stato per cui la persona perde se stessa. Nella società borghese e sempre di più di massa, il singolo perde se stesso. In psichiatria si sa che il disturbo peggiore, da questo punto di vista, una vera e propria scissione della personalità, è la schizofrenia; del resto, come nel metateatro Pirandello scompone sulla scena gli elementi di cui consta il teatro e li mette sotto gli  occhi degli spettatori, così scompone la persona del singolo. D'altro lato, ieri mattina facevo notare ai miei ragazzi che i narcisisti (cioè, come abbiamo detto più volte, i manipolatori), assumono "maschere" diverse a seconda dei contesti: non ci pensano in modo specifico, ma agiscono "di pancia" adeguandosi al contesto, per manipolare gli altri. Ecco perché genitori che abusano dei figli sono spesso considerati i pilastri della comunità, mentre i serial killer sono buoni buoni in carcere. Poi c'è qualche psichiatra o giudice di sorveglianza che, magari, ci casca e li mette fuori (come successe nel caso di Angelo Izzo). Non si tratta di "doppie personalità" compiute, ma semplicemente di atteggiamenti incoerenti che il singolo assume via via per comodità. L'immaturità o la malvagità, in questo caso, alienano. La vittima di abusi, invece (alienazione al massimo livello), rischia davvero di cambiare personalità: paura, depressione, insicurezza, abulia, ne velano la personalità originaria, come uno strato di vernice nera un bel quadro. Anche queste sono maschere: e solo con la cura la persona si libera.


                                                     Pirandello coi De Filippo

Spesso, nell'opera di Pirandello, affiora il desiderio di un "oltre", una via di fuga (Montale la chiamerà "la maglia rotta nella rete / che ci stringe"), come l'immagine del treno e del suo fischio, ne Il treno ha fischiato, novella che evoca spazi di viaggio infinito al di là di una quotidianità opprimente; e spesso, la  via di fuga è la follia. Così succede a Vitangelo Moscarda al termine di Uno, nessuno, centomila: solo impazzendo egli smette di porsi interrogativi incessanti sulla propria identità perduta, e in manicomio finisce anche Belluca, il protagonista del Treno ha fischiato. Così succede ne Enrico IV, col  protagonista costretto a fingere per sempre di essere folle, per salvarsi dall'essere perseguito per l'omicidio del suo rivale. E sa di follia anche la situazione del Fu Mattia Pascal, intrappolato in vite non sue; come succede anche ai protagonisti di Così è (se vi pare), desunti dalla novella La signora Frola e il signor Ponza. Chi è il matto tra i due? 
Se la razionalità diventa ossessione, meglio allora la follia, sembra dire Pirandello. Forse dovremmo chiederci proprio che razza di razionalità e società abbiamo coltivato in questi ultimi due secoli, a partire dall'Illuminismo: e se essa non sia diventata un ruolo e, al tempo stesso, una prigione, che aliena chi ci entra.



                                         Evoco qui una forma più completa di razionalità
                                             nel San Gerolamo di Antonello da Messina

Si noti che ho inserito qui dei quadri di Edvard Munch, contemporaneo di Pirandello e che finì in clinica psichiatrica per un breve periodo.

Bibliografia
G.Ferroni, Storia della letteratura italiana, IV, Il Novecento, Milano, Einaudi, 1991.
M.Cappellini - E.Sada, I sogni e la ragione. 5 Tra Ottocento e Novecento, Milano, Mondadori, 2015.
S.Ferlita, Scrittori sull'orlo di una scelta spiritista, La Repubblica, 20 dicembre 2006. 
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/12/20/scrittori-sull-orlo-di-una-scelta-spiritista.html

Nessun commento:

Posta un commento