La storia d'amore tra Montale e Mosca
Montale compone e pubblica “Satura” negli anni ’70, in memoria della moglie, Drusilla Tanzi, detta “Mosca”, morta nel 1963. Il soprannome di lei era dovuto al fatto che era tremendamente miope, per cui indossava degli occhiali molto spessi, che la facevano parere una “mosca”. Mosca è stata una delle grandi figure - guida del poeta:e in Satura Montale insiste molto sul fatto che, paradossalmente, Mosca, per quanto fosse quasi cieca, "vedeva più in là", grazie alla sua perspicacia e intelligenza. Per questo, nel corso della raccolta, Montale insiste molto su un altro ambito sensoriale di Mosca: l'ascolto. Mosca sapeva ascoltare: e l'ascolto è una realtà più intima e profonda, che permette una conoscenza molto meno superficiale della realtà. In questo, Mosca era una guida.
Ovviamente, la poesia di Montale è profondamente filosofica ed esistenziale. Egli si pone continuamente la domanda, nei suoi versi, sul senso della vita e della realtà: non è raro anzi che parli di Dio e della Bibbia (come nella prima poesia qui citata), dell'esistenza dopo la morte, delle grandi questioni della vita.
Caro piccolo insetto
Che chiamavano mosca non so perché,
Stasera quasi al buio
Mentre leggevo il Deutero-isaia
sei ricomparsa accanto a me,
ma non avevi occhiali,
non potevi vedermi
né potevo io senza quel luccichio
riconoscere te nella foschia.
"Insetto": così era definita "Mosca": ma la sua piccolezza, paradossalmente, esalta la sua penetrazione, umana, psicologica, critica. Il poeta qui è rappresentato (è l'inizio di Xenia 1) mentre legge la Bibbia (il Deutero-isaia è la seconda parte, capitoli 40-55, del profeta Isaia): Montale amava leggere la Bibbia e porsi, così, quesiti esistenziali. A questo punto, egli immagina di vedersela accanto, come un fantasma, l'apparizione di una morta: ma a causa della mancanza di occhiali (un oggetto indispensabile per vedere), che, a loro volta, permettevano al poeta di riconoscere la moglie dal loro luccichio, egli non può entrare in comunicazione con lei. L'atmosfera tra i due sposi rimane quindi quella (dolorosamente) dell'incomunicabilità; parrebbe che ciò sia dovuto al fatto che lei è ormai morta; ma questo riguarda, in Montale, un po' tutti gli esseri umani.
Avevamo studiato per l'aldilà
un fischio, un segno di riconoscimento.
Mi provo a modularlo nella speranza
che siamo tutti già morti senza saperlo.
Uno dei temi portanti della poesia di Montale è l'inconsistenza dell'esistere, un senso dell'esistenza che pare svanire nel nulla, la realtà della nostra stessa vita che sembra mera apparenza (si pensi qui a Schopenauer e alla grande filosofia critica del dubbio). Nel tentativo estremo di collegarsi con la moglie morta. Montale conclude che forse, paradossalmente, lo siamo tutti.
Di qui alla critica delle vane apparenze, il passo è breve.
L'abbiamo rimpianto a lungo l'infilascarpe,
il cornetto di latta arrugginito ch'era
sempre con noi. Pareva un'indecenza portare
tra i similori e gli stucchi un tale orrore.
Dev'essere al Danieli che ho scordato
di riporlo in valigia o nel sacchetto.
Hedia la cameriera lo buttò certo
nel Canalazzo. E come avrei potuto
scrivere che cercassero quel pezzaccio di latta?
C'era un prestigio (il nostro) da salvare
e Hedia, la fedele, l'aveva fatto.
L'infilascarpe di latta diventa un umile simbolo della concretezza della coppia Montale: paradossalmente, i coniugi lo hanno forse perso al Danieli, il più esclusivo e lussuoso albergo di Venezia (quasi un ossimoro). Con ironia, Montale suppone che la cameriera lo abbia buttato nel canale: e, per mantenere le apparenze (il mondo applaudiva il poeta insigne), lui non ha potuto recuperare quell'umile pezzo della sua vita con la moglie. Forse, lo rimpiange ancora, perché possedeva un valore incomparabile a quello materiale, un valore affettivo.
Non hai pensato mai di lasciar traccia
di te scrivendo prosa o versi. E fu
il tuo incanto - e dopo la mia nausea di me.
Fu pure il mio terrore: di esser poi
ricacciato da te nel gracidante
limo dei neoteroi.
Nel rifiuto della realtà altisonante. Mosca comprendeva anche la poesia. La poesia del Novecento è in crisi: non pare più corrispondere alle tragedie del mondo, ma, soprattutto, sembra lontana, astratta, roboante, artificiale. Ecco perché Montale, in questa ultima fase della sua poesia, preferisce uno stile prosastico, da satura. E, difatti, qui la moglie pare aliena ai versi; questo fu il "suo incanto", il suo pregio; e poi (si noti il chiasmo, molto attento) ciò ha provocato nel poeta medesimo la nausea per se stesso. Ha percepito quindi tutto il lato artefatto de suoi versi, del suo ruolo di poeta. Il "dopo" in cui lui ancora vive si oppone, del resto, al "prima", quando viveva ancora lei. Il sicuro giudizio di Mosca potrebbe allora svelare l'inconsistenza del poeta: a appaiarlo alle rane che gracidano nel fango (metafora dei poeti pretenziosi attuali, tanti neoteroi, presuntuosi e pieni di boria, con il loro atteggiamento erudito, un po' come certi compagni di Catullo così definiti da Cicerone nel I sec.a.C.).
In Montale risiede questa ansia di vita semplice, per quanto acuita dal senso critico.
Al Saint James di Parigi dovrò chiedere
una camera "singola". (Non amano
i clienti spaiati). E così pure
nella falsa Bisanzio del tuo albergo
veneziano; per poi cercare subito
lo sgabuzzino delle telefoniste,
le tue amiche di sempre; e riportare,
esaurita la carica meccanica,
il desiderio di riaverti, fosse
pure in un solo gesto o un'abitudine.
All'altisonante nome dell'albergo parigino si lega, nel v.2 la definizione, quasi burocratica, della prenotazione; e quella parentesi (Non amano i clienti spaiati) è tremenda: come se gli anonimi impiegati della reception fossero perfettamente indifferenti alla solitudine del poeta. Segue la metonimia (falsa Bisanzio, immagine di sfarzo decadente), che indica il celebre hotel Danieli di Venezia, altro luogo di sosta della coppia; e qui emerge l'altra grande caratteristica di Mosca, assieme alla semplicità e all'autoironia: la sua capacità di ascolto. Non per nulla, era diventata amica delle umili telefoniste. Per riavere un poco di lei, il poeta deve andarle a trovare e così, reso ormai un automa dal dolore, "si ricarica" per un po'. Come una volta Petrarca rivedeva il volto di Laura in quello di altre donne, così ora Montale, più prosaicamente, ma intensamente, cerca Mosca "in un solo gesto o un'abitudine". Questo verso rinvia alla dimensione quotidiana del rapporto, pluri-decennale, con la moglie, ormai perduta: lei che non credeva allo sfarzo, alle realtà altisonanti, ma rimaneva coi piedi per terra.
Il riferimento alle telefoniste ci rinvia alla dimensione fondamentale di Mosca, l'ascolto:
Ascoltare era il tuo solo modo di vedere.
Il conto del telefono si è ridotto a ben poco.
Quante discussioni sulla bolletta del telefono paiono riemergere da questi umili due versi! Eppure, ne traspare anche tanto dolore. Molto volentieri, Montale pagherebbe ancora.
Riemersa da un'infinità di tempo
Celia la filippina ha telefonato
per aver tue notizie. Credo stia bene, dico,
forse meglio di prima. "Come, crede?
Non c'è più?". Forse più di prima, ma....
Celia, cerchi di intendere...
Di là dal filo,
da Manila o da altra
parola dell'atlante una balbuzie
impediva anche lei. E riagganciò di scatto.
Attraverso il telefono, Mosca si era creata un largo giro di amicizie: esercitava comprensione ed empatia, anche nei confronti di persone lontanissime. Un giorno, dagli antipodi, chiama Celia, un'amica filippina. Il poliptoto dei verbi ("Credo"..."Come, crede?"; "Non c'è più?"..."Forse più di prima....") allude alla drammatica differenza di prospettive tra Celia ignara e il poeta immerso nel suo dolore. E lui accenna lievemente alla morte della moglie, come se non osasse affermarla. "Celia, cerchi d'intendere...". A quel punto, smettono di parlare entrambi e la comunicazione viene interrotta. Bruscamente.
La commozione che s'indovina da questi umili versi mi ricorda quella di cui la grande attrice Virna Lisi diede prova poco prima di morire: durante un'intervista per la Pasqua 2014, le fu chiesto come stesse dopo la morte recente del marito, cui lei era legatissima: e lei, soffocando a stento le lacrime e ingoiandole, rispose: "Non me lo dire!". Non si può dire il dolore provato quando si perde la vita della propria vita.
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell'alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere il tuo zimbello:
di essere visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, dal tuo
radar di pipistrello.
Le metafore animali si moltiplicano qui (come in A mia moglie di Umberto Saba): non è ancora chiaro chi guidasse chi, nella coppia: il poeta la moglie (quasi cieca, per cui gli fungeva da cane) o lei lui? Gli altri, superficiali, la consideravano una realtà da nulla, un "insetto", miope, per di più (ritorna il motivo del senhal Mosca). Ma questi personaggi erano caratterizzati (onomatopea) da un inutile blabla: vuoti e tronfi, vengono invece reperiti subito da Mosca, che qui viene paragonata a un altro animale, infallibile: il pipistrello.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
L'iperbole iniziale ci rivela tutta la lunghezza e l'intensità del rapporto tra Montale e la moglie: lui le ha fatto da guida per decenni: e ora, si trova il vuoto davanti a sé. Con un ossimoro egli osserva che il loro viaggio, metafora della vita, anche se lungo, è stato breve: e seguono delle metafore desunte dal linguaggio ferroviario, per indicare che il percorso di Montale prosegue ancora: ma lui non crede più alle apparenze. Sembrava che lui la guidasse: invece era il contrario: lei, benché miope, guidava lui.
L'infilascarpe di latta diventa un umile simbolo della concretezza della coppia Montale: paradossalmente, i coniugi lo hanno forse perso al Danieli, il più esclusivo e lussuoso albergo di Venezia (quasi un ossimoro). Con ironia, Montale suppone che la cameriera lo abbia buttato nel canale: e, per mantenere le apparenze (il mondo applaudiva il poeta insigne), lui non ha potuto recuperare quell'umile pezzo della sua vita con la moglie. Forse, lo rimpiange ancora, perché possedeva un valore incomparabile a quello materiale, un valore affettivo.
Non hai pensato mai di lasciar traccia
di te scrivendo prosa o versi. E fu
il tuo incanto - e dopo la mia nausea di me.
Fu pure il mio terrore: di esser poi
ricacciato da te nel gracidante
limo dei neoteroi.
Nel rifiuto della realtà altisonante. Mosca comprendeva anche la poesia. La poesia del Novecento è in crisi: non pare più corrispondere alle tragedie del mondo, ma, soprattutto, sembra lontana, astratta, roboante, artificiale. Ecco perché Montale, in questa ultima fase della sua poesia, preferisce uno stile prosastico, da satura. E, difatti, qui la moglie pare aliena ai versi; questo fu il "suo incanto", il suo pregio; e poi (si noti il chiasmo, molto attento) ciò ha provocato nel poeta medesimo la nausea per se stesso. Ha percepito quindi tutto il lato artefatto de suoi versi, del suo ruolo di poeta. Il "dopo" in cui lui ancora vive si oppone, del resto, al "prima", quando viveva ancora lei. Il sicuro giudizio di Mosca potrebbe allora svelare l'inconsistenza del poeta: a appaiarlo alle rane che gracidano nel fango (metafora dei poeti pretenziosi attuali, tanti neoteroi, presuntuosi e pieni di boria, con il loro atteggiamento erudito, un po' come certi compagni di Catullo così definiti da Cicerone nel I sec.a.C.).
In Montale risiede questa ansia di vita semplice, per quanto acuita dal senso critico.
Al Saint James di Parigi dovrò chiedere
una camera "singola". (Non amano
i clienti spaiati). E così pure
nella falsa Bisanzio del tuo albergo
veneziano; per poi cercare subito
lo sgabuzzino delle telefoniste,
le tue amiche di sempre; e riportare,
esaurita la carica meccanica,
il desiderio di riaverti, fosse
pure in un solo gesto o un'abitudine.
All'altisonante nome dell'albergo parigino si lega, nel v.2 la definizione, quasi burocratica, della prenotazione; e quella parentesi (Non amano i clienti spaiati) è tremenda: come se gli anonimi impiegati della reception fossero perfettamente indifferenti alla solitudine del poeta. Segue la metonimia (falsa Bisanzio, immagine di sfarzo decadente), che indica il celebre hotel Danieli di Venezia, altro luogo di sosta della coppia; e qui emerge l'altra grande caratteristica di Mosca, assieme alla semplicità e all'autoironia: la sua capacità di ascolto. Non per nulla, era diventata amica delle umili telefoniste. Per riavere un poco di lei, il poeta deve andarle a trovare e così, reso ormai un automa dal dolore, "si ricarica" per un po'. Come una volta Petrarca rivedeva il volto di Laura in quello di altre donne, così ora Montale, più prosaicamente, ma intensamente, cerca Mosca "in un solo gesto o un'abitudine". Questo verso rinvia alla dimensione quotidiana del rapporto, pluri-decennale, con la moglie, ormai perduta: lei che non credeva allo sfarzo, alle realtà altisonanti, ma rimaneva coi piedi per terra.
Il riferimento alle telefoniste ci rinvia alla dimensione fondamentale di Mosca, l'ascolto:
Ascoltare era il tuo solo modo di vedere.
Il conto del telefono si è ridotto a ben poco.
Quante discussioni sulla bolletta del telefono paiono riemergere da questi umili due versi! Eppure, ne traspare anche tanto dolore. Molto volentieri, Montale pagherebbe ancora.
Riemersa da un'infinità di tempo
Celia la filippina ha telefonato
per aver tue notizie. Credo stia bene, dico,
forse meglio di prima. "Come, crede?
Non c'è più?". Forse più di prima, ma....
Celia, cerchi di intendere...
Di là dal filo,
da Manila o da altra
parola dell'atlante una balbuzie
impediva anche lei. E riagganciò di scatto.
Attraverso il telefono, Mosca si era creata un largo giro di amicizie: esercitava comprensione ed empatia, anche nei confronti di persone lontanissime. Un giorno, dagli antipodi, chiama Celia, un'amica filippina. Il poliptoto dei verbi ("Credo"..."Come, crede?"; "Non c'è più?"..."Forse più di prima....") allude alla drammatica differenza di prospettive tra Celia ignara e il poeta immerso nel suo dolore. E lui accenna lievemente alla morte della moglie, come se non osasse affermarla. "Celia, cerchi d'intendere...". A quel punto, smettono di parlare entrambi e la comunicazione viene interrotta. Bruscamente.
La commozione che s'indovina da questi umili versi mi ricorda quella di cui la grande attrice Virna Lisi diede prova poco prima di morire: durante un'intervista per la Pasqua 2014, le fu chiesto come stesse dopo la morte recente del marito, cui lei era legatissima: e lei, soffocando a stento le lacrime e ingoiandole, rispose: "Non me lo dire!". Non si può dire il dolore provato quando si perde la vita della propria vita.
Non ho mai capito se io fossi
il tuo cane fedele e incimurrito
o tu lo fossi per me.
Per gli altri no, eri un insetto miope
smarrito nel blabla
dell'alta società. Erano ingenui
quei furbi e non sapevano
di essere il tuo zimbello:
di essere visti anche al buio e smascherati
da un tuo senso infallibile, dal tuo
radar di pipistrello.
Le metafore animali si moltiplicano qui (come in A mia moglie di Umberto Saba): non è ancora chiaro chi guidasse chi, nella coppia: il poeta la moglie (quasi cieca, per cui gli fungeva da cane) o lei lui? Gli altri, superficiali, la consideravano una realtà da nulla, un "insetto", miope, per di più (ritorna il motivo del senhal Mosca). Ma questi personaggi erano caratterizzati (onomatopea) da un inutile blabla: vuoti e tronfi, vengono invece reperiti subito da Mosca, che qui viene paragonata a un altro animale, infallibile: il pipistrello.
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
L'iperbole iniziale ci rivela tutta la lunghezza e l'intensità del rapporto tra Montale e la moglie: lui le ha fatto da guida per decenni: e ora, si trova il vuoto davanti a sé. Con un ossimoro egli osserva che il loro viaggio, metafora della vita, anche se lungo, è stato breve: e seguono delle metafore desunte dal linguaggio ferroviario, per indicare che il percorso di Montale prosegue ancora: ma lui non crede più alle apparenze. Sembrava che lui la guidasse: invece era il contrario: lei, benché miope, guidava lui.
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