martedì 23 aprile 2019

La Passione (3)



La Passione (3)

Dopo il processo notturno alla dimora di Caifa, probabilmente Gesù è stato brevemente recluso nei sotterranei del palazzo. Così è del tutto sensata la scena del film di Mel Gibson in cui Gesù è rappresentato imprigionato e incatenato in una cella sotto il livello del suolo mentre la Madre lo cerca.


Sempre durante il processo notturno da Caifa avviene la scena del rinnegamento di Pietro. Gli studiosi sono concordi nel credere che sia storica - nessun cristiano sarebbe stato così masochista da inventarsi un episodio del genere a danno del Capo della Chiesa nascente, così come nessuno può essersi inventato che gli apostoli si sono dati alla fuga dopo l'arresto di  Gesù. Ovviamente, i servi in casa di Caifa riconobbero Pietro dall'accento galileo: è stato ipotizzato che lui e Giovanni (il discepolo menzionato in Gv. 18,15) siano potuti entrare lì perché la famiglia di Giovanni (di solito identificato con questo discepolo anonimo) conosceva Caifa per affari - magari gli fornivano il pesce. In questa maniera, il discepolo anonimo qui menzionato poté accedere alla ricca dimora del sommo sacerdote, situata nell'elegante quartiere del Sisto, presso il Tempio. Un tempo, il padre Lagrange, il fondatore dell'Ecole Biblique di Gerusalemme, si alzava la notte per aspettare il primo canto del gallo e collocare così l'ora del rinnegamento petrino. Il gallo non era certo più lo stesso - del resto, ultimamente, i galli hanno preso strane abitudini e ne ho sentiti cantare persino alle 5.00 del pomeriggio. Tuttavia, il gallo udito dal padre Lagrange cantava a un'ora compatibile con i fatti narrati dai Vangeli - Pietro che per ben tre volte mentisce rifiutando di conoscere il Nazareno. Erano le 2.00 di notte.

                                                Modellino della Fortezza Antonia

I sinedristi sapevano bene che la loro condanna a morte non aveva alcun valore a fronte delle autorità romane occupanti: perciò, non appena sorge il sole, inizio ufficiale dell'attività lavorativa e giudiziaria, essi si spostano presso la sede del prefetto romano di stanza in Palestina, Ponzio Pilato. Il Vangelo di Giovanni registra un dettaglio fondamentale, di vita vissuta, cui gli storici hanno prestato sempre più credito: a 18,28 l'evangelista afferma che i sinedristi non vollero entrare nel pretorio per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Infatti, era il giorno della Parasceve, cioè della preparazione per la festa (cfr. Gv. 19,14). E' allora Pilato - già in piedi e in servizio, dato che la festa non lo riguarda - che esce incontro a loro, diplomaticamente. Ciò significa che la Pasqua non era stata ancora celebrata, perché l'agnello non era stato ancora sacrificato nel Tempio. In passato, si tendeva a scorgere in questo dettaglio la volontà di far coincidere la morte di Gesù con il sacrificio degli agnelli pasquali; ma in seguito, questo particolare così spiccato ha convinto gli studiosi, che hanno sempre di più preferito la cronologia giovannea a quella degli altri Vangeli, da cui tale coincidenza è assente. Contaminarsi...Non è certo il contatto con il prefetto pagano a contaminare gli accusatori di Gesù. Nel primo confronto che segue, i sinedristi dichiarano infatti espressamente che Gesù è da mettere a morte, anche se Pilato - che doveva avere sentito odore di grane in arrivo - non vuole saperne.


E Pilato? Chi era costui? Nel 1961 gli archeologi dell'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere di Milano, sotto la guida del prof.Antonio Frova, hanno rinvenuto nel teatro di Cesarea Marittima una lapide di cm 82 X 68 X 20, che recita:

Prima riga:       S TIBERIÉUM
Seconda riga:  TIUS PILATUS
Terza riga:  ECTUS    IUDA     E

Le ultime due righe sono da integrare così:

Seconda riga:  [PON]TIUS PILATUS
Terza riga:  [PRAEF]ECTUS IUDA[EA]E

Il tiberieum era certamente un tempio o monumento eretto da Pilato in onore del regnante imperatore Tiberio. La lapide fu usata anni dopo come materiale di recupero nel probabile restauro del teatro della città, eretto tempo prima da Erode il Grande.

                                           Modellino della parte alta di Gerusalemme, zona Sisto

Pilato (ricordato anche da Tacito negli Annales come il procuratore che mise a morte Gesù) era un funzionario del ceto equestre, il secondo ceto, dopo quello senatorio, per disponibilità economica e importanza sociale entro la società romana: sotto Augusto i cavalieri si erano specializzati nell'attività burocratica a servizio dell'Impero e la loro carriera poteva portarli anche a cariche prefettizie molto elevate, come quella di prefetto d'Egitto. Pilato (che secondo notizie difficilmente verificabili, aveva sposato una donna di nome Claudia, imparentata addirittura con la famiglia imperiale) era verosimilmente di origine italica, come buona parte dell'élite dei cavalieri della prima età imperiale; forse, stando al cognomen, proveniva dal Sannio e doveva essere piuttosto ambizioso. Di certo, servire lo Stato sotto l'imperatore Tiberio, sotto il quale si erano moltiplicati i processi per lesa maestà e che aveva un carattere abbastanza paranoico, doveva essere piuttosto scomodo. Vari studiosi hanno commentato che la paura dimostrata da Pilato in più momenti del processo a Gesù non sarebbe credibile e si dovrebbe invece al tentativo, da parte cristiana, di scagionare i Romani e di aggravare le responsabilità giudaiche: tuttavia, ho dei seri dubbi.

                                                 Modellino del Tempio

Il racconto più dettagliato del processo al Pretorio romano è riportato sempre da Giovanni, un Vangelo nato in un ambiente, la Chiesa efesina giovannea, piuttosto avverso al mondo pagano, come dimostrano Apolicasse e le epistole di Giovanni (anche se gli autori di questi scritti sono visibilmente diversi, i tratti in comune a livello di pensiero sono notevoli e denotano un ambiente ben preciso). A proposito del Pretorio: gli studiosi si dividono quanto alla dimora precisa del prefetto nei giorni in cui doveva presenziare a Gerusalemme, perché la città raddoppiava di numero per l'afflusso dei pellegrini e i Romani dovevano prevenire qualsiasi problema possibile di ordine pubblico. C'è chi parla del Palazzo di Erode, situato nella sezione occidentale della città e dominato da tre torri; e chi propende per la Fortezza Antonia, fatta erigere da Erode sul luogo dell'antica roccaforte dei principi Asmonei, in posizione strategica sul monte Sion e dedicata a Marc'Antonio (lui, quello di Cleopatra: all'epoca, nel 37, era ancora vivo e regnante sulla metà orientale dell'Impero). Era una vera e propria cittadella di 7.000 mq, dotata di alloggiamenti per i militari (probabilmente una coorte romana), ma anche di appartamenti e bagni per i suoi residenti più in vista. Dalle sue mura, i soldati romani potevano sorvegliare il cortile del Tempio e intervenire se necessario - come avviene quando salvano Paolo da un tumulto, in At. 21,32-40.


Alcuni studiosi hanno messo in dubbio che i Romani si azzardassero ad entrare nel Tempio, dato che il cortile era diviso da un recinto murario sul quale facevano bella mostra di sé varie lapidi che intimavano l'alt a qualsiasi pagano pena la vita. Perciò, ai pagani era concesso l'ingresso solo fino al cosiddetto cortile dei Gentili; del resto, come abbiamo già visto, il Tempio disponeva di guardie proprie (però inefficienti e poco popolari). Io però ribatterei: voglio proprio vedere se gli Ebrei in loco avrebbero osato reagire a una coorte romana che fosse arrivata, armata di tutto punto, per sedare una rivolta...Nell'Evangelo come mi è stato rivelato, scritto da Maria Valtorta sulla base di visioni che la mistica avrebbe avuto sulla vita di Gesù, a un certo punto un graduato romano si trova confrontato a una guardia del Tempio in pompa magna e la apostrofa così: "Ma vai a fare la guerra agli scarafaggi, guerriero da cantina!". Lo so che non è una fonte propriamente storica, ma questa scena rende bene l'idea della considerazione tributata agli ufficiali del Tempio...Comunque, tornando alla Fortezza Antonia, credo che sia da collocare qui il Litostroto (in ebraico Gabbatà), cioè il lastricato in pietra dove Pilato tiene il suo tribunale e giudica Gesù (cfr. Gv. 19,13).


Pilato non si trova davanti un cittadino romano, quindi non lo deve giudicare secondo tutti i crismi del diritto: la procedura si dice allora extra ordinem (ovvero, piuttosto sbrigativa). Vero però che Pilato ci perde alcune ore. Come ho già osservato prima, Pilato viene mostrato particolarmente titubante e vari studiosi hanno ipotizzato che ciò fosse un estremo tentativo, da parte cristiana, di presentare i Romani dalla parte dei "buoni" per ingraziarseli in tempo di persecuzioni. Addirittura, Giovanni asserisce che Pilato aveva paura (cfr.19,8). Vero? Secondo me sì. Il punto è che gli studiosi badano alla carta e non alla vita vera. Vediamo i dettagli. Filone ci descrive Pilato come un disgraziato, reo di corruzione, furti, violenza, maltrattamenti, esecuzioni senza processo e così via. Difficilmente il povero Pilato sarebbe rimasto in carica per 10 anni se fosse stato davvero così. Di certo, reagiva con durezza se necessario. Senonché, Filone sta dipingendo così Pilato nel corso della sua Legatio ad Gaium, cioè il discorso d'ambasceria da lui preparato per la legazione ebraica inviata da Caligola, il successore di Tiberio, nel gennaio del 41 d.C. Motivazione dell'ambasceria: difendere la numerosa popolazione ebraica di Alessandria d'Egitto dai pogrom provocati dai Greci, che odiavano gli Ebrei. Ma siamo nel 41, poco tempo dopo la fine dell'incarico di Pilato (26-36); ed è chiaro che qui Filone sta dando torto a un assente.


                                                    Mappa di Gerusalemme all'epoca

Ovvero - e questo convergerebbe con altri indizi - Pilato sarebbe caduto in disgrazia proprio alla fine del regno di Tiberio. L'affaire è noto: nel 36 Pilato ebbe la cattiva idea di reprimere con la forza un raduno di Samaritani sul Monte Garizim, il loro monte sacro, per timore che esso avesse ricadute politiche; e ci furono vari morti. Ma i Samaritani erano in ottimi rapporti con Roma: per cui, quando andarono a lamentarsi del trattamento subito presso il legato di Siria (era Vitellio, il padre del futuro imperatore), questi, che, essendo di rango senatorio, era al di sopra di Pilato, lo spedì a Roma perché andasse a spiegarsi con Tiberio. Ma Tiberio morì proprio allora: e, quindi, il povero Pilato si deve essere trovato davanti a giudicarlo...quel pazzo di Caligola. Il quale doveva avercela con Pilato anche per altri motivi: pare infatti che questi fosse stato legato al partito di Seiano, il famoso prefetto del pretorio che aveva rovinato proprio la famiglia di Caligola; era la famiglia del principe Germanico, nipote dell'imperatore e designato suo erede, ma poi morto nel 19 d.C. e che aveva lasciato vedova la moglie Agrippina e vari figli, tra cui Gaio Caligola stesso. Le fonti non ci dicono come andò a finire, ma è facile immaginarlo.


Questo lungo excursus sul seguito della vita del prefetto di Giudea più noto della storia ci lascia capire che la sua posizione era quantomeno scomoda. A Roma regnava allora un altro pazzo - quell'imperatore Tiberio cui io stessa ho diagnosticato una sindrome paranoica di Kretschmer anni fa, in un congresso tenuto a Vilnius e negli atti usciti in seguito; di certo, anche se non si volesse credere alla mia diagnosi, è certo che i processi di lesa maestà a danno delle élites al governo erano diventati allora pericolosamente frequenti. La Palestina era il luogo più scomodo - a parte la frontiera del Reno o quella dell'Eufrate - in cui un magistrato romano potesse essere mandato a governare; e i Romani ne avevano abbastanza di questi Giudei che, ai loro occhi, seguivano, spesso fanaticamente, un culto diverso da quello di tutte le altre popolazioni della terra e con cui le cautele e la prudenza non bastavano mai, suscettibili com'erano. L'integralismo religioso non è un'invenzione dei nostri giorni, anzi: già all'epoca si distingueva il partito degli Zeloti, gli estremisti nazionalisti che avrebbero poi rovinato la Palestina con la guerra giudaica del 66-70. Un estremista di tal fatta era probabilmente Barabba, il carcerato liberato al posto di Gesù: il greco lo definisce lestes, "ladrone", ma questa è una definizione che i Romani davano ai ribelli (tutti i governi criminalizzano i loro oppositori politici).


Ora, Pilato sapeva certamente, mediante le informazioni che gli arrivavano copiose dai suoi centurioni smistati sul territorio, sapeva certamente che Gesù era pacifico: tentativi di alcuni anni fa per farlo passare per uno zelote e un ribelle al giogo romano sono semplicemente privi di fondamento. Ebbene, quella mattina Ponzio Pilato si trovò davanti una folla crescente assetata di sangue e che continuava ad ammassarsi presso il Tempio e la Fortezza in un momento delicato come la festa di Pasqua: si rasentava la rivolta. D'altra parte: che cosa sarebbe successo se lui avesse condannato a morte un Uomo visibilmente innocente? E noto in tutta la Palestina, per di più. Non avrebbe incoraggiato la sedizione? Lo stesso fatto che la folla preferisse Barabba gli diceva fin troppo chiaramente dove essa volesse andare a parare. No, Pilato aveva paura, perché aveva capito benissimo la questione: i sinedristi gli avevano consegnato Gesù per invidia, cioè per astio nei confronti di Qualcuno che non favoriva i loro disegni di potere. Erano ammanicati coi Romani solo per motivi di comodo: ma se ne sarebbero sbarazzati volentieri, e così gli altri, se avessero trovato un Messia o un ribelle convincente - non quell'avanzo di Barabba, finito in galera. E allora, falsi fino al midollo, gli hanno consegnato un Pacifico, l'unico cui non interessava un regno di questo mondo, per accusarlo precisamente di sedizione anti-romana. Gesù aveva perfettamente ragione: che regno era il suo, se nessuno lo difendeva in quel frangente? Comunque si fosse comportato, Pilato avrebbe favorito il sentimento e la ribellione anti-romana: ma lui capiva che, l'unica via per non fomentarla nella realtà, era difendere Gesù. Colpendolo, avrebbe fatto l'interesse degli Zeloti. Per forza che aveva paura....

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