sabato 6 aprile 2019

Il male di vivere in Montale



Il male di vivere in Montale

Questo post, come altri passati e futuri, è dedicato alla mia 5M, che, a furia di attività extra-scolastiche è rimasta indietro e che devo portare comunque decentemente all'esame: di qui l'idea di questi approfondimenti.

Montale è il poeta del "male di vivere". L'espressione deriva da questa poesia, molto suggestiva nella sua brevità, che appartiene agli Ossi di seppia, sezione dallo stesso titolo. Montale è infatti un filosofo autentico, che si è posto le grande questioni esistenziali cioè:
1) A livello della conoscenza: che cos'è la verità? Questa è una domanda che mi piace particolarmente perché risale fin agli antichi Greci: ora che arriviamo a Pasqua, non dimentichiamo che è la domanda fondamentale che Pilato pone a Gesù (e poi se ne va, senza aspettare la risposta).
2) Qual è il senso dell'esistenza? questa è la domanda che ci poniamo su basi etiche, per capire come orientare la nostra vita.
3) Dove possiamo trovare la felicità?


Montale non offre una risposta: sostanzialmente è uno scettico, anche se nutrito dalla grande cultura liberale e ottocentesca. Ma è uno scettico che ha letto Nietzsche, Leopardi, Schopenauer: cioè si pone da un punto di vista filosofico "negativo" - nel senso che vuole spazzare via le false sicurezze. Al tempo stesso, è affascinato dalla fede. La sorella Marianna, che lo adorava e condivideva con lui letture e studi del Liceo classico (poi di Lettere), dato che lui era perennemente malato e a casa, aveva provato a fargli conoscere anche i suoi punti di riferimento spirituali, due sacerdoti modernisti - cioè di quelli che volevano il rinnovamento della Chiesa, talora in modo anche un po' incongruo. Pare che la loro visione spirituale inquieta si sia comunicata in qualche modo non solo alla sorella, ma anche al giovane "Genio". Ma vediamo la poesia, due semplici quartine quasi tradizionali:

                                         

Spesso il male di vivere ho incontrato,
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato. 

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato. 


Montale ha completamente saltato la fase delle avanguardie, quindi rimane ancorato a una lirica ancora abbastanza tradizionale, specie nella metrica, pure se più libera. Attraverso la prima quartina, egli presenta una serie di quelli che poi, dalle Occasioni, avrebbe chiamato "correlativi oggettivi" (termine desunto da Thomas Eliot). Non sono propriamente né metafore, né allegorie, ma oggetti che suscitano l'emozione correlata al soggetto, al fulcro della poesia: e, nella prima quartina, riguardano la sofferenza esistenziale. Che cosa vediamo? Immagini di vita troncata, anche brutalmente: un ruscello senz'acqua, strozzato dalle strettoie delle pietre (con l'attuale coscienza ecologista, si può pensare alla siccità indotta dal mutamento climatico; e se l'acqua è sinonimo di vita...); la foglia accartocciata, anch'essa per mancanza d'acqua in un paesaggio riarso, quello delle Cinque Terre (e si noti l'aggettivo riarsa, posto in evidenza dall'enjambement all'inizio dell'ultimo verso); e infine la peggiore, un cavallo stramazzato al suolo. Viene da pensare che qualcuno, sadicamente, abbia ridotto l'animale apposta in questo stato. Non è solo una visione di sofferenza, è una visione crudele e suggerisce che gli esseri umani collaborano spesso a creare il "male di vivere". Vi tornerò tra breve. 


La seconda quartina parla invece del rovescio della medaglia del "male di vivere": la "divina Indifferenza". Viene in mente il credo epicureo, secondo cui gli dei esistevano, ma negli intermundia, luoghi tra i mondi, in cui era sconosciuto il dolore ed essi vivevano perfettamente indifferenti agli esseri umani. Dio non è indifferente, ma, quando si soffre, purtroppo lo sembra: e con un'altra efficacissima anastrofe, accompagnata da litote, il poeta dichiara "bene non seppi": del bene rimane solo un'immagine vaga, introdotta da altri correlativi oggettivi: una statua (statue erano gl'idoli antichi, falsi dei), l'afa del pomeriggio che induce all'apatia e alla sonnolenza, il falco che vola oltre ogni debolezza umana, lontanissimo. Quindi, le due quartine esprimono, lo ripeto, due facce della stessa medaglia: la sofferenza umana e l'assenza divina. In effetti, le tre domande sopra citate e in cui, a mio avviso, si può riassumere la poesia di Montale, rinviano al profondo bisogno che l'essere umano prova di:
  1. Verità.
  2. Bontà.
  3. Bellezza.
Ovvero, Dio. Ma, cercandolo da quaggiù, talora è molto difficile da trovare. Paradossalmente, però, spesso lo possiamo trovare vicino a noi proprio nel buio, nella sofferenza, nel "male di vivere".


Torno un attimo al "cavallo stramazzato". Ho trovato in un blog letterario cui rinvio, Asterismi letterari, una splendida riflessione nutrita di alcuni suggestivi paralleli a questa immagine. Parto dall'ultimo. Vari tra i miei studenti avranno letto la straordinaria (e terrificante) allegoria della Fattoria degli animali di George Orwell. Orwell era un socialista onesto e intelligente, quindi denunciò dagli albori lo stalinismo e i suoi orrori: e la scena più  raccapricciante del racconto è quella citata in questa pagina. Il cavallo Gondrano, con fede indefessa negl'ideali sbandierati dai maiali che reggono la fattoria al posto degli umani, lavora con tutte le sue forze obbedendo loro ciecamente. Lavora e lavora fino allo sfinimento. Quando ormai non riesce più a lavorare, viene venduto dai maiali al macello, il cui proprietario lo porta via con un furgone fra l'impotenza generale degli altri animali, atterriti. Lui stesso, ormai sfinito, non riesce a opporre resistenza e a fuggire dal furgone e va così verso la morte. Anche se è un'allegoria, fa male allo stomaco. 


Il blog succitato rinvia anche a un'altra opera, che non conoscevo, ma che deve essere bellissima, dati gli stralci che ne ho letto: A Oriente del giardino dell'Eden di Israel Singer. Ambientato tra Polonia e Russia nel Primo Dopoguerra, il romanzo parla di un giovane ebreo povero, Nachman, abituato ai soprusi per la propria miseria; lascia la fede del padre e comincia a credere fanaticamente nell'incipiente comunismo. Addirittura, fugge in URSS, dove partecipa, lavorando come un cavallo, appunto, ai piani quinquennali, in condizioni di totale miseria. Per tutto ringraziamento, viene coinvolto nelle purghe contro i "sabotatori", organizzate dall'élite stalinista per stornare le disfunzioni del sistema contro opportuni capri espiatori. Allora Nachman fugge e trova, al confine con la Polonia, un cavallo stramazzato, in cui legge un simbolo del proprio destino. Riporto qui la citazione, magnifica:


Nachman guardò lo sventurato animale che avevano lasciato lì a morire. Era incredibilmente magro; le costole sporgevano come creste sotto la pelle. Il dorso era stato ridotto dalla stanga a un ammasso di lividi, i fianchi erano carne viva, scorticata dai finimenti di corda. Il posteriore scarno e triangolare era coperto di segni freschi di frustate. Nachman guardò e rifletté. Qualcuno aveva condotto in quella radura l'animale che dopo aver portato il giogo tutta la vita ora non era più in grado di trainare quel peso. Nachman fu travolto da uno strano, appassionato senso di vicinanza all'animale morente, e gli accarezzò la pelle scorticata e ferita. In quell'animale abbandonato, sfinito, sfruttato, che ansimava nell'agonia, vide se stesso, vide tutta la propria vita.  

Viene in mente anche l'asino che muore dallo sfinimento nella splendida novella Rosso Malpelo e che diviene un amaro simbolo di quello che il piccolo protagonista vive ed è destinato a sopportare: maltrattamenti e soprusi. 
Montale non poteva conoscere queste due opere, ma conosceva Verga, evidentemente, e lo spirito della sua poesia corrisponde. Probabilmente, conosceva invece il quadro sotto, E ora? del macchiaiolo Giovanni Fattori, un dipinto del 1903 che, fin dall'ironica domanda posta nel titolo pare porre il problema delle responsabilità etiche di chi fa soffrire un altro essere vivente. 


Il blog letterario che mi è servito da fonte: 

Le foto, onde evitare un eccessivo "male di vivere", ritraggono le Cinque Terre e la casa di Montale a Monterosso. 


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