giovedì 22 febbraio 2018

Vesuvio

Vesuvio


Una nube di fumo la cui altezza è stata calcolata tra i 18 e 26 km; uno strato di una decina di metri di cenere al di sopra di Pompei; una nube ardente, che ha spazzato via gli ultimi resti della città, di 700 - 800 gradi, con una velocità di 100-110 kmh; forse più di 2.000 vittime; un miliardo di metri cubi di materiale eiettato; ma, soprattutto, la cenere, che ha congelato la città e i suoi abitanti negli attimi finali della loro agonia, per cui gli edifici sono stati ritrovati quasi come erano e i calchi di gesso, prodotti riempiendo le cavità dove si erano decomposti i corpi, ci hanno restituito la posizione delle vittime mentre stavano morendo. Questo è stata la "formidabile" (cioè terrificante) eruzione del Vesuvio del 79 d.C., eruzione di cui ha parlato anche Leopardi. Partiamo dalla sua Ginestra o il fiore del deserto, poemetto del 1836, per poi avventurarci nella storia del vulcano, dell'eruzione e nelle testimonianze antiche, in primis quella di Plinio il Giovane.


                                        Il Vesuvio al cinema (come era, prima che il cono esplodesse)


La ginestra

Qui su l'arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null'altro allegra arbor né fiore, 
tuoi cespi soltari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti....

Così, con l'impressionante mole del Vesuvio, inizia La ginestra di Giacomo Leopardi, composta a Torre del Greco nel 1836, poco prima che il poeta morisse a Napoli, dove si era trasferito con il fedele amico Antonio Ranieri. I manoscritti sono tutti opera di Ranieri: e fu lui a pubblicarla nell'edizione dell'opera omnia del poeta, nel 1845, in chiusura dei Canti, quale testamento spirituale di Leopardi (e pensate che lui intendeva scrivere una Lettera ad un giovane del ventesimo secolo...per noi!). Chi ha visitato il Vesuvio, ricorderà che le sue pendici sono coperte da questi cespugli di fiori gialli, non bellissimi, ma profumati; e la ginestra, che resiste in un ambiente ostile, è simbolo di un'umanità positiva, che non si fa illusioni arroganti sulla sorte umana, guarda in faccia alla "natura matrigna" e resiste umilmente, ma saldamente; inoltre, qui, per la prima volta Leopardi prospetta una risposta positiva alla "natura matrigna": la solidarietà. Il testo, in lasse di endecasillabi e settenari (317, per la precisione), si divide in queste sezioni:


1) Versi 1-37: il poeta si rivolge alla ginestra, che abita queste zone desolate dalle eruzioni vulcaniche, quasi mostrasse pietà (quasi i danni altrui commiserando, v.35). Alla descrizione del paesaggio vesuviano lunare, si unisce, con notevole effetto poetico, l'evocazione delle città sepolte dal Vesuvio e della loro opulenza svanita.
2) Vv.37-86: lunga sezione polemica contro le ideologie progressiste e ottimiste coeve al Leopardi: la desolazione prodotta dal Vesuvio dimostra quanto siano fallaci tutte quelle credenze nelle magnifiche sorti e progressive (v.51) dell'umanità, in realtà alla mercé della natura matrigna, che ci può cancellare con lieve moto (v.45: l'espressione del v.51 deriva dagl'Inni sacri del poeta cattolico-liberale Terenzio Mamiani, cugino di Leopardi stesso). Così il poeta dichiara tutto il suo disprezzo per il secol superbo e sciocco (v. 53), che evita il vero, dimentica il pensiero razionalistico che additava nella sventura la sostanza della condizione umana e ritorna alla schiavitù, piuttosto che alla libertà.


                                                 Le ginestre sul Vesuvio

3) Vv.87-119: in tono più filosofico-morale, egli afferma che un animo veramente nobile guarda in faccia alla realtà e non si inventa una felicità fasulla (Nobil natura è quella / che a sollevar s'ardisce / gli occhi mortali incontra / al comun fato, e che con franca lingua, / nulla al ver detraendo, / confessa il mal che ci fu dato in sorte, / e il basso stato e frale... vv.111-17).
4) Vv. 119 - 57: l'unica colpevole dell'infelicità umana è la natura, madre di parto e di voler matrigna (v. 125; si noti l'efficace chiasmo): contro di lei tutti gli esseri umani si devono unire (e non combattere fra di loro), radice saggia di ogni forma e valore sociale.
5) Vv.158-201: in una pagina estremamente poetica, memore dell'Infinito, il poeta ricorda come ama contemplare il cielo stellato dalle pendici del Vesuvio; e qui si stupisce alla grandezza dell'universo, al confronto del quale la Terra è un punto...oscuro/ granel di sabbia (vv.170 e 191). Le pretese dell'essere umano, al confronto, paiono proprio favole.
6) Vv.202- 36: il genere umano, spazzato via dall'eruzione del Vesuvio (immagine della natura matrigna) è paragonato ad un formicaio schiacciato da un pomo caduto dall'albero. Il brano contiene un'impressionante descrizione dell'eruzione vulcanica.


7) Vv. 237-68: descrizione del contadino campano (il "villanello"), che sorveglia il Vesuvio con timore e fugge alle prime avvisaglie dell'eruzione.
8) Vv. 269-96: evocazione degli scavi della morta Pompei e della furia del Vesuvio, la cui lava risplende sinistra la notte tra le rovine (splendido notturno: E nell'orror della secreta notte / per li vacui teatri, / per li templi deformi e per le rotte / case, ove i parti il pipistrello asconde, / come sinistra face / che per voti palagi atra s'aggiri, / corre il baglio della funerea lava...vv. 280-86): esso è simbolo della natura che non si arresta mai, mentre, suggestivamente, caggiono i regni intanto, passan genti e linguaggi...(vv. 294-95).
9) Vv.297-317: ultima apostrofe alla ginestra, umile modello per gli umani, priva di arroganza o di servilismo, che sta per soccombere alla furia del vulcano.


In definitiva, Leopardi si appoggia al pensiero materialistico ed illuminista per svelare l'"arido vero" della infelice condizione umana, provocata dalla "natura matrigna": contro di essa gli uomini devono unirsi nella solidarietà che sola può mitigare i rigori dell'esistenza. La splendida strofa sul "villanello" che veglia il Vesuvio minaccioso e fugge alle prime avvisaglie di eruzione (come l'acqua che bolle nei pozzi) indica quanto la sorte dei più deboli stesse a cuore al poeta. E debole è la ginestra, simbolo non solo di umiltà e dignità di fronte al dolore, ma anche di razionalità e del dolce profumo che la poesia può spandere sulle rovine umane. Nella sua fragile delicatezza, la ginestra appare un modello quasi eroico di resistenza al male.

Il Vesuvio, uno dei vulcani più pericolosi al mondo

                                              Una volta, il Vesuvio era così (da Cioni, 1999)

Leopardi considerava il Vesuvio un simbolo del male che affligge la natura umana: ma, a dire il vero, la sua visione materialistica gli faceva dimenticare realtà ben più pericolose. Amo ripetere che, secondo i calcoli degli studiosi, negli ultimi due secoli ci sono state più o meno 200.000 vittime delle eruzioni vulcaniche su tutta la superficie del globo (dati offerti da A.Rittmann): secondo dati statistici pubblicati nel 2013 dall'Università  di Bristol sul Journal of Applied Vulcanology, a partire dal 1.600 fino ad oggi, ci sarebbero state 278.880 vittime in totale, provocate da 533 eruzioni. Sono molte, ma, onestamente, molte meno dei 20 milioni di morti causati dalla I Guerra Mondiale, dei 55-60 milioni conseguenza della Seconda, dei 60 - 70 milioni di cui è responsabile Mao Tze Dong in Cina (secondo stime cinesi al ribasso) o dei 200 milioni provocati, ad esempio, dal comunismo in 80 anni di attività; e si potrebbe continuare di questo passo.

Tuttavia, il Vesuvio è uno dei vulcani più pericolosi al mondo: forse il secondo, dopo la gigantesca caldera di Yellowstone, che potrebbe spazzare via buona parte degli USA occidentali. La pericolosità dei vulcani, del resto, viene determinata sempre di più dalla densità della popolazione circostante: e, intorno al Vesuvio vivono più di 3 milioni di persone, forse la zona vulcanologica più densamente popolata al mondo, con almeno mezzo milione inquadrato dalla nostra Protezione Civile nella cosiddetta "zona rossa", quella a più immediato rischio. Bisogna ricordare, innanzitutto, che il Vesuvio è un vulcano esplosivo, non effusivo: cioè, il suo magma siliceo è più viscoso di quello basaltico e fluido dell'Etna; mentre questo rifluisce via, si solidifica e basta, quello del  Vesuvio tappa il condotto vulcanico e, a causa della pressione dei gas, lo può far esplodere: con conseguenze devastanti. Si è osservato che, nei giorni precedenti l'esplosione, i vulcani esplosivi sembrano "gonfiarsi": le loro pendici si arrotondano, perché c'è qualcosa sotto che preme.

                 
                            Il cono del Vesuvio; dietro si vede molto bene la caldera del monte Somma

In realtà, come afferma il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo sulla base delle ultime, accurate ricerche, condotte assieme alla collega Lucia Pappalardo, il Vesuvio ha la stessa camera magmatica della amplissima caldera dei Campi Flegrei, quella dove le solfatare sbuffano i loro soffi di zolfo; una camera magmatica situata a 8 km di profondità sotto il Vesuvio e a 6 sotto i Campi Flegrei. In sostanza, da Posillipo fino a Procida, per 12 km di estensione, è tutta una successione di vulcani, che potrebbero esplodere in qualsiasi momento con possibilità di previsione pressoché nulle ("è una roulette russa", afferma lo studioso in un'intervista recente al Corriere della sera). Il problema è che col bradisismo recente (movimenti tellurici più lenti), il terreno si è sollevato, ma diventa sempre più fragile, per cui ovunque si potrebbe aprire una frattura che innescherebbe un'eruzione.

Storia del Vesuvio

Quello che vediamo oggi non è il Vesuvio come lo videro gli antichi la mattina del 24 agosto (o ottobre) del 79: era molto più alto, perché l'eruzione ha fatto esplodere il cono vulcanico. Oltre il cono attuale si vedono ancora molto bene i resti dell'antica caldera, il Monte Somma.
Gli antichi Romani non sapevano che il Vesuvio fosse un vulcano. In generale, dei vulcani conoscevano solo la pericolosità: e che fosse necessario starne alla larga. Lo storico e geografo del I sec. a.C. Strabone, autore della Geografia, fu forse l'unico a rendersi conto che il Vesuvio (Mons Vesbius) era un vulcano: notò infatti le rocce bruciate sulle pendici, anche se esse erano coltivate, grazie alla loro fertilità, e coperte di vigneti. In realtà, già nella preistoria, le numerose esplosioni avevano creato una vasta caldera....(continua)


Bibliografia

M.R.Auker, R.S.J.Sparks, L.Siebert, H.Sian Crosweller, J.Ewert, A Statistical Analysis of the Global Historical Volcanic Fatalities Record, Journal of Applied Vulcanology 2,2, 14 febbbraio  2013,
https://appliedvolc.springeropen.com/articles/10.1186/2191-5040-2-2
M.M.Cappellini, E.Sada, I sogni e la ragione. Tra Ottocento e Novecento, vol. 5, Milano, Mondadori, 2015.
A.De Simone, Le  solfatare dei Campi Flegrei, uno dei vulcani più pericolosi al mondo, Corriere della sera, 4 luglio 2017,
http://www.corriere.it/cronache/17_luglio_04/solfatare-campi-flegrei-dei-vulcani-piu-pericolosi-mondo-0a2560ba-609e-11e7-b845-9e35989ae7e4.shtml?refresh_ce-cp
G.Ferroni, Storia della letteratura italiana, 3 vol., Milano, Elemond, Einaudi, 1991.
A. e L.Rittmann, I vulcani, Novara, De Agostini, 1976.

Sintesi sui fatti dell'eruzione (in inglese):
https://www.youtube.com/watch?v=N-upaByYclM
Breve documentario su Pompei (con immagini tratte dal film omonimo del 2014):
https://www.youtube.com/watch?v=CxHQVGsqfFk

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