lunedì 5 febbraio 2018

L'ora più buia - The darkest hour (Joe Wright, 2017)



L'ora più buia

9 maggio1940: una panoramica di file di soldati della Wehrmacht, immobili come automi, e poi di armamenti tedeschi in riprese d'epoca in bianco e nero; la sinistra fissità delle immagini evoca un'atmosfera cupa, mortuaria. E poi, subito dopo, una ripresa dall'alto del Parlamento inglese, con i deputati in subbuglio e il capo dell'opposizione che, davanti a un pallido Neville Chamberlain, pronuncia un furibondo discorso contro la fallimentare politica del premier inglese (aveva letteralmente ceduto la Cecoslovacchia a Hitler a Monaco nel 1938, per vederlo invadere, nell'ordine, Polonia, Danimarca, Norvegia). Questo il potente incipit de L'ora più buia, magnifico film inglese che, come gli antichi racconti epici, si focalizza su di un momento chiave della carriera di Winston Churchill e della Seconda Guerra Mondiale: il maggio del 1940, quando ormai Belgio e Olanda erano in procinto di cadere vittime della Blitzkrieg tedesca, la Francia stava per capitolare, ben 300.000 soldati inglesi erano intrappolati sul continente, tra Dunkerque e Calais, gli Usa rimanevano isolazionisti e latitanti e la Gran Bretagna era rimasta sola davanti alla furia di Hitler. Chiamato a sostituire Chamberlain al governo, fra la diffidenza degli altri conservatori, Churchill si trovò a dover decidere se continuare la guerra o prendere una decisione che, all'epoca, appariva molto, ma molto sensata: trattare con Hitler. 


Diretto da Joe Wright (un regista dal solido curriculum, che ha già firmato Orgoglio e pregiudizio e Anna Karenina), L'ora più buia è un film potente, dal ritmo serrato (a parte qualche punto nella seconda parte, quando prevalgono i dubbi di Churchill): guardandolo, ho avuto la sensazione che ogni scelta e dettaglio avesse senso nell'organica costruzione del risultato finale. E il risultato è un film storico dal respiro veramente epico, anche se asciutto, sobrio, privo delle banalizzazioni, ovvietà e semplificazioni tipiche oggi del genere (per es., Into the Storm, prodotto nel 2009 da HBO, non è male, ma non regge proprio il confronto). Soprattutto, già la sceneggiatura rende bene l'idea dei dubbi e delle incertezze di quel momento estremo, in una progressione e suspence, anche intellettuale, che è di per sé emozionante. 


Di certo, buona parte del film ruota intorno alla straordinaria interpretazione di Gary Oldman: reso molto simile a Churchill dal formidabile make-up (anche se, a mio avviso, gli manca un poco del tipico corruccio burbero di sir Winston), si muove, agita e cammina proprio come lo statista, offrendone un ritratto tridimensionale; gli scatti d'ira, il lato burbero eppure cordiale, l'eterno scotch (che Churchill annnacquava col succo di frutta), gli orari impossibili (Churchill lavorava spesso a letto), la magnifica intesa con la "mitica" Lady Clementine, compagna di una vita. Kristin Scott Thomas è splendida come pendant di sir Winston, tra eleganza, ironia e decisione. Tra gli altri interpreti ho poi apprezzato particolarmente Ben Mendelssohn, nei panni di un somigliantissimo Giorgio VI (perfetto: con la distinzione regale, i tic, la balbuzie ecc.) e Ronald Pickup, che dona spessore a Chamberlain (sarebbe poi morto di cancro nel novembre 1940 e il film lo mostra alle prese con la morfina e piuttosto tormentato). Invece, sir Edward Halifax, il ministro degli Esteri che voleva trattare con Hitler e sosteneva la politica di Chamberlain, fa troppo la figura del "cattivo", con una faccia smorta e un po' subdola: il suo personaggio andava sfumato meglio.


A livello storico, il film è preciso, ma si prende alcune libertà, specie per motivi di sintesi. Per esempio, lo scontro tra Churchill, da un lato, e Halifax e Chamberlain dall'altro viene enfatizzato e schematizzato; e non è vero che, nel momento di maggiore dubbio, Churchill sia disceso nella metropolitana di Londra, per incontrare alcuni membri del suo popolo e chiedere loro consiglio. Eppure, quest'ultima libertà ha senso ed è molto efficace. Lo storico John Broich, che insegna proprio la storia della Seconda Guerra Mondiale alla Case Western Reserve University, ricorda che la popolazione inglese subiva le decisioni delle élites, quindi che era ben lontana dall'entusiasmo e dalla pugnace volontà di resistenza mostrata nel film. Orwell temeva che il popolo avrebbe ben potuto accettare anche la pace col nemico e ben altro. Inoltre, i discorsi di Churchill, che infiammano le platee nel film, con uno straordinario effetto trascinante, non suscitavano poi tutto questo entusiasmo nella realtà (il film sembra riprendere...l'opinione di Churchill stesso sul successo dei suoi discorsi). Eppure...A mio avviso, quella scena è davvero bella. Perché se la popolazione di Londra non ha mostrato a parole questo entusiasmo, come nella metro, ha sostenuto però tenacemente la guerra coi fatti e a denti stretti: e la scena, a mio avviso, allude al fatto che, durante la terrificante battaglia d'Inghilterra, quando le bombe tedesche riducevano in cenere tutto il quartiere di St.Paul e buona parte di Londra, la popolazione si assiepava in metropolitana. E resisteva. 


Il film ha tanti meriti. Ha raccolto una selva di premi e di candidature all'Oscar: miglior film (io avrei aggiunto anche miglior regia, perché Wright fa davvero un ottimo lavoro), miglior protagonista maschile, miglior fotografia per il francese Bruno Delbonnel (plurinominato: osservate gli splendidi chiaroscuri e l'atmosfera soffusa di molte scene, che rende bene l'illuminazione dell'epoca, ma sottolinea anche drammaticamente i personaggi e il loro confrontarsi), miglior scenografia, trucco e costumi (meritatissimi: ai costumi troviamo Jacqueline Durran, che ha lavorato spesso con Wright; si noti anche la perfetta ricostruzione dei War Cabinet, il bunker sotto Westminster, che ho visitato l'anno scorso). Notevole pure la colonna sonora del nostro Dario Marianelli (Oscar nel 2008 per le musiche di Espiazione, altro film di Wright), che impressiona, specie nella prima parte del film. In questa pellicola, in cui, come ho già detto, viene curato ogni dettaglio, si sente la presenza di una squadra di lavoro solida, che compie un'opera riuscita a livello complessivo, come nei vecchi kolossal dell'epoca di D.Lean (Lawrence d'Arabia, Il Dottor Zivago ecc.). Varie scelte concorrono a una grande efficacia: per esempio, le panoramiche dall'alto degli scenari di guerra, come per sottolineare le immani sofferenze causate dal conflitto (in una, il paesaggio in fiamme sfuma nel volto di un soldato morto); oppure, le carrellate sulla gente comune, che tradiscono la  preoccupazione dello statista per la sua nazione. 


                                           Giorgio VI e il suo interprete, B.Mendelssohn
Varie volte mi sono commossa. Non è un caso se il film inizia con il Parlamento inglese e finisce in Parlamento. Credo che ogni nazione abbia una sua missione, radicata nella sua storia e nelle sue caratteristiche; e, al di là di tanti limiti, Brexit o no, la Gran Bretagna è più volte intervenuta per "salvare" il continente, come una vedetta esterna. Quando vado a Londra, mi sento grata nei confronti degli Inglesi e nei confronti di Churchill in particolare: perché se non fosse stato per lui e per i Britannici che sopportavano i bombardamenti rifugiandosi in metropolitana, oppure per quelli che sono morti un po' ovunque, anche da noi, in guerra, noi, forse, avremmo ancora le SS che girano indisturbate per la strada. E quando Churchill decise di rifiutare la trattativa, aveva ragione a pensare che, se avesse trattato con Hitler, si sarebbe ritrovato con la bandiera della svastica a svolazzare su Buckingham Palace: Hitler, del resto, aveva già pronto il  re adatto (Edoardo VIII, filo-nazista sia per scarsa intelligenza politica, sia perché aizzato da quella strega di Wally Simpson, che venerava Hitler perché la chiamava "Altezza reale" e che, negl'intermezzi del suo matrimonio principesco, andava probabilmente a letto con Ribbentropp, passandogli informazioni; altroché "amore del secolo"). Non è esagerato pensare che, a un certo punto, Churchill abbia portato quasi da solo il peso dell'umanità intera sulle spalle. 


                                              N.Chamberlain e il suo interprete, R.Pickup

C'è stato un momento in cui la Gran Bretagna era sola contro la Germania nazista; e, in Gran Bretagna, Churchill era solo. Anche se sir Winston era un tipo con la mentalità delle forze speciali, mi chiedo a volte come abbia fatto a non essere schiacciato da questa responsabilità. Per mesi. Per anni. Ripeto: se non avesse tenuto duro, da solo, noi avremmo ancora i nazisti in casa. Grazie, sir Winston. 

Per i fatti storici del film, cfr. J.Broich, What's Fact and what's Fiction in Darkest hour, Browbeat. Slate Culture Blog, 8 dicembre 2017, http://www.slate.com/culture/2018/02/fact-vs-fiction-in-the-assassination-of-gianni-versace-episode-3.html. 

Qui il sito dei Churchill's War Rooms, il museo ricavato dal bunker di Churchill:
https://www.winstonchurchill.org/visit/churchill-war-rooms/

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