mercoledì 24 maggio 2017

"La madre" di Giuseppe Ungaretti



Lettura de "La madre" Di G.Ungaretti

E il cuore quando d'un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d'ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come  una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
sarai una statua davanti all'eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d'avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi  un rapido sospiro. 



Mia mamma mi raccontava che la maggior parte delle persone, poco prima di spirare, pronuncia come ultime parole "Dio, mamma!". Sono gli amori più grandi: Dio, la mamma. Forse questo incipit è il commento migliore per la poesia che Giuseppe Ungaretti compose nel 1930, dopo che la madre era morta, nel 1926. Se non ci fosse stata la signora Maria Lunardini, non avremmo neanche Ungaretti, non solo il poeta in carne ed ossa, ma anche le sue poesie: difatti, quando lei rimase vedova e il bambino aveva solo 2 anni, nel 1890 (il marito Antonio era  morto di una malattia professionale, contratta mentre lavorava a Suez), la signora Maria continuò strenuamente a lavorare al forno di famiglia, per garantire al figlio degli ottimi studi. E, difatti, Giuseppe poté frequentare ad Alessandria la scuola svizzera Jacot: da lì poi il salto per Parigi e la sua cultura cosmopolita.


La poesia riecheggia anche la recente conversione di Ungaretti al cattolicesimo: come tanti intellettuali del Primo Dopoguerra, anche lui visse il cosiddetto "ritorno all'ordine", l'abbandono delle provocazioni d'avanguardia, dell'estremismo politico, per posizioni più conservatrici e rispettose della tradizione, anche a livello di stile. Non pochi (come Marinetti) riscoprirono pure la fede. Di quella fede ritrovata è permeata la raccolta Sentimento del tempo, del 1933, che indugia spesso sul senso dello scorrere del tempo, la dimensione interiore dell'esistenza: il tempo misura l'interiorità, come diceva S.Agostino, il tempo è durata in quanto dimensione dell'inarrestabile vicenda interiore, come sosteneva Henri Bergson, le cui lezioni Ungaretti seguì alla Sorbona; e il tempo, il suo fluire inarrestabile, dal passato al futuro e viceversa, è protagonista anche in questa poesia.

La conversione di Ungaretti affonda le sue radici nel passato di trincea, quando, sperduto di fronte all'immenso dolore cui assisteva, il poeta si chiedeva (cfr. Dannazione, 1916, poesia dell'Allegria):

Chiuso tra cose mortali
(anche il cielo stellato finirà)
perché bramo Dio?



Pare di avvertire un'eco di Kant, che amava  pensare al cielo stellato sopra di lui e alla morale dentro di sé. Durante la Belle Epoque, Ungaretti conobbe l'anarchia e il socialismo, il fascino del (falso) messianismo dei movimenti politici, convinti di spazzare via le ingiustizie con mezzi umani; ma si accorse che non bastava. E poi venne la guerra, la guerra da lui, come da tanti altri, voluta, convinti com'erano che sarebbe stata l'ultima: e, invece, fu l'orrore. Dalle ceneri della disillusione e dell'orrore, nacque un nuovo anelito; dai travagli e peccati di gioventù, una nuova consapevolezza. E ora, nel 1930, ecco che quella consapevolezza affiora nel ricordo commosso della madre ormai morta.

La poesia comincia con la congiunzione "e", come se proseguisse un discorso già avviato: è la vita, che non finisce al momento in cui si spira: viene in mente che le persone sopravvissute a un arresto cardiaco, affermano di non avere avuto coscienza di alcun "trapasso", di essere morte. L'ultimo battito del cuore pare abbattere, come per una metafora insolita, il "muro d'ombra" (analogia) che separa la vita dall'aldilà: davanti agli occhi del lettore si spalanca uno spazio immenso e misterioso, soffuso di luce (per antifrasi con il muro d'ombra) dove il poeta è atteso dalla madre e dall'Eterno (come sarà di ognuno di noi).


La mamma di Ungaretti allora lo prende per mano: il gesto più bello, più dolce che tutti ricordano di una madre, il gesto di colei che sostiene, che avvia verso la vita. Questa volta, la mamma di Ungaretti lo sostiene per avviarlo verso la vita che non finisce. Una sottile similitudine introduce al lettore il ricordo di quando la signora Maria prendeva, una volta, la mano del piccolo Giuseppe per sorreggerlo nei suoi primi passi. La poesia, difatti, è costruita su di una serie di similitudini temporali, per cui l'atteggiamento che, in futuro, avrebbe avuto sicuramente la mamma di Ungaretti al momento del trapasso del poeta, rievoca momenti della sua vita, con un effetto solenne: un giorno gli darà la mano, come faceva quando lui era bambino (che tenerezza!); lei rimarrà in ginocchio davanti a Dio, a intercedere per il figlio, come faceva da viva; alzerà le braccia in gesto di supplica, come quando è morta. La coscienza del poeta pare "danzare" liberamente, soavemente, attraverso il tempo, avanti e indietro, secondo i meandri della memoria e della coscienza, esaltando la dimensione temporale e interiore che è propria giusto della raccolta Sentimento del tempo. 



Il tutto per esaltare la figura della madre. In epoca fascista la madre veniva molto celebrata, spesso in maniera retorica e artificiosa, oppure melensa, secondo i programmi delle autorità, volti a incoraggiare la ripresa demografica: ma qui ci troviamo di fronte a qualcosa di molto diverso, di più intimo e sostanziale. La mamma di Ungaretti intercederà per il figlio immobile davanti a Dio come una statua: la similitudine sottolinea l'inamovibilità della donna, che non smetterà mai di intercedere per il figlio, finché non otterrà da Dio misericordia. Viene in mente Mosé, che rimaneva sulla breccia a intercedere per il popolo ebraico (spesso fedifrago: vedi Sal. 106,23); viene in mente soprattutto, la Madonna. Anche nel seguito, la vecchia madre di Ungaretti viene descritta mentre innalza le braccia verso Dio, nell'atto che l'arte cristiana antica conosceva come la figura dell'"orante". E' la posa dell'intercessione: in un passo della Bibbia, Mosé la mantiene per garantire la vittoria degli Ebrei contro il re Amalek e, quando abbassa le braccia, Israele rischia la sconfitta (cfr.Es. 17,8-13). Allora Giosuè e Nun si appostano vicino a lui e gli sostengono le braccia. Ma è soprattutto Maria che viene ritratta spesso nella tipica posa dell'orante. Del resto è sempre Maria a essere richiamata con quell'eccomi, come all'Annunciazione (cfr.Lc.1,37); anche Samuele aveva risposto alla chiamata notturna di Dio "eccomi" (cfr. 1Sam. 3,3-10): ma la Madonna è sicuramente un parallelo ancora più persuasivo per la madre del poeta .


Le madri attendono, attendono tanto. L'attesa è sinonimo di amore che non si arrende, amore senza limiti. Mi viene in mente un racconto di mia mamma. Al suo paese una signora aveva perduto il figlio, disperso, nella campagna di Russia. Non si sapeva che fine avesse fatto il ragazzo. Eppure sua madre ne udiva i passi tutte le notti: e, nel buio, ad ogni passo pareva accendersi un lumicino. La madre, annientata dal dolore, lo attendeva sempre, tutte le sere. Anche qui Ungaretti è stato tanto atteso dalla madre: c'è l'eco dell'innocenza perduta qui, tanto frequente in Ungaretti, della nostalgia per l'innocenza perduta; il poeta è un umile peccatore che arriva, appesantito dal male commesso, alle soglie dell'eterno. Spera di purificarsi a contatto con la fede intrepida della madre. Quando lei lo vede, infine, le passa negli occhi un rapido sospiro: la sinestesia finale evoca il dolore dell'attesa, del sapere che il figlio si stava traviando, ma anche la percezione che ormai è salvo, finalmente. La madre tanto ha sospirato, ma ora è finita e di quel dolore è rimasto solo un evanescente barlume.

E solo quando m'avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.
Commentando in classe questa poesia mi sono chiesta se non vi fosse qui un'eco della vicenda di Orfeo. Secondo i miei ragazzi forse. In Virgilio e Ovidio il poeta mitico ritorna nell'Ade per ritrovare la sposa e ricondurla alla vita: ma, dopo aver ottenuto con le sue melodie il permesso degli dei inferi, alla condizione di non voltarsi a guardarla prima di essere giunto nel mondo terreno, egli non sa resistere e la perde per sempre. L'atto caratteristico è quello di voltarsi a guardare la persona amata: e qui è praticamente quel che fa la madre del poeta dopo aver vista esaudita la  propria preghiera. Ma la vicenda è rovesciata rispetto ad quella di Orfeo: è lei, nell'aldilà, che si volta a guardare il figlio che l'ha raggiunta: e la vita vera è là, al cospetto dell'Eterno. Inoltre, la preghiera di lei è stata esaudita. Non siamo più al cospetto dei crudeli dei inferi pagani: qui domina un Dio di misericordia, evocato dalla tenerezza materna. Una tenerezza che non passa, neanche con la morte.

Cfr. M.Cappellini - E.Sada, I sogni e la ragione 6, pp.137-38.
Quando Ungaretti credette, Aleteia, https://it.aleteia.org/2015/03/06/quando-ungaretti-credette/


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