lunedì 9 aprile 2018

La Passione (2)

La Passione (2)

Il processo ebraico

Una delle scene più impressionanti della Passione di Mel Gibson è proprio quella del processo ebraico. Mattia Sbragia, il bravissimo attore che interpretava Caifa, disse che, al vederla, era rimasto "sconvolto". La scena tradisce infatti l'astio e la violenza che contraddistinsero il processo di Gesù, come spesso succede a tutti i processi capitali. Al termine della seduta, i presenti cominciano a picchiare Gesù e a sputargli addosso, per quanto Lui sia del tutto indifeso e legato (e i Vangeli riportano che aveva già ricevuto un pesante schiaffo da una guardia, cfr. Gv. 18,22, senza contare le botte già ricevute dagli sgherri del Tempio).



La gente ignora che cosa siano sul serio i processi capitali. Molti pensano che, durante un processo con eventuale condanna a morte, sia possibile godere della dovuta serenità e agire con distacco: non è affatto vero. L'atmosfera è consuetamente inquinata da odio e disprezzo crescenti per il condannato. Di solito, giurie e giudici si radunano con un forte pregiudizio negativo contro l'imputato e, troppo spesso, più o meno inconsapevolmente, fanno questo "ragionamento": "Abbiamo già deciso che dobbiamo condannarlo a morte, poi troveremo la motivazione". Nel caso di Gesù è andata evidentemente proprio così: prima Gesù è stato arrestato, poi gli astanti hanno cominciato a discutere sulle cause per ritenerlo reo di morte. Di qui l'affastellarsi di varie accuse, non ritenute però dal Sommo Sacerdote pienamente soddisfacenti. Erano accuse false (cioè prnunciate con cuore falso, pur utilizzando elementi di verità): un peccato gravissimo per Esodo 20,16. Ricordiamo che non tutti i reati passibili di morte nel diritto giudaico valevano per i Romani, gli unici che detenevano, essendo la Giudea occupata da loro, la giurisdizione per giustiziare qualcuno (cfr. Gv. 18,31). E i Romani erano, ovviamente, alieni alle sentenze per motivi religiosi.


Vale la pena allora ricordare brevemente la situazione politica della Giudea di allora. L'attuale Palestina era suddivisa in varie zone: la Galilea, ad esempio, era affidata al tetrarca (= re di una quarta parte del territorio) Erode Antipa, figlio di Erode il Grande. La Giudea, invece, era governata dai Romani, da un prefetto, quindi da un personaggio di rango equestre, un cavaliere, non un senatore, direttamente dipendente dall'imperatore (che, a quell'epoca, era Tiberio) e che risiedeva nella città costiera di Cesarea. Come vedremo, allora si trattava di Ponzio Pilato, che, per le feste, si recava a Gerusalemme. I Romani, come sempre, cooptavano le classi dirigenti dei popoli conquistati per governare la regione con la loro collaborazione: e, di regola, le élites avevano il loro tornaconto a cooperare. Nel caso della Palestina, i Romani avevano ottenuto la collaborazione dei sadducei, l'aristocrazia, soprattutto sacerdotale, ma anche laica, che possedeva buona parte delle terre e controllava il Sinedrio ("seduta"), cioè il consiglio di governo di 71 membri a capo della politica interna e più alto organo religioso e giudiziario di Israele. Il Sinedrio contava anche dei farisei ed è possibile che fosse diviso in commissioni minori: si riuniva quotidianamente e pubblicamente nella Sala delle Pietre Squadrate, presso il Cortile dei Sacerdoti nel Tempio. Tuttavia, all'epoca di Gesù era dominato dai sadducei. 

                                                               Trinità di Masaccio, 1428

Sono i sadducei (che poco compaiono nei Vangeli) i veri responsabili della morte di Gesù, più che i celebri farisei, i dottori della legge più simili a dei "borghesi", specialisti della Torah, la Legge d'Israele. Sono i farisei quelli che discutono perennemente di halakhah, applicazione della Legge, con Gesù e che nei Vangeli appaiono così rigidi; in realtà avevano molti meriti e sono loro che hanno letteralmente salvato il giudaismo dopo la catastrofe della distruzione di Gerusalemme da parte dei Romani nel 70. Il giudaismo focalizzato sulla sinagoga risale a loro e molto il cristianesimo ha in comune con loro, come la fede nell'immortalità dell'anima e nell'esistenza degli angeli. I sadducei, invece, che costituivano il grosso dei sacerdoti, sono scomparsi col Tempio. E sono proprio loro, quelli che non credevano nell'immortalità dell'anima perché si attenevano solo al Pentateuco - dove di questo non si parla - e che perciò rivolgono a Gesù una bizzarra domanda (cfr. Mt. 22,23-33), sono loro, i ricchi e i potenti, che hanno voluto Gesù morto. Lui ha turbato il Tempio cacciandone i venditori (cfr. Gv. 2,12-33), cioè i traffici che vi si svolgevano e da cui l'aristocrazia sacerdotale ricavava lauti guadagni. Inoltre, devono avere ritenuto Gesù un disturbo all'ordine costituito e a loro favorevole. L'azione dei sadducei, più discreta e surrettizia, è stata quindi tanto più micidiale.

                                        L'esterno della tomba di Anna, il sommo sacerdote

Da anni, la carica di Sommo Sacerdote era appannaggio della famiglia di Anna, nominato nel 5 e deposto nel 15 d.C., ma ancora potente; ed era passata, di volta in volta, ai suoi 5 figli alternativamente. Anna non doveva tuttavia essere molto soddisfatto dei figli, perché il membro della famiglia che resistette più a lungo in carica fu l'astuto Caifa, il genero, dal 18 al 37 d.C. Tutti costoro avevano praticamente comprato la carica dai Romani, che trattenevano anche la preziosissima veste del Sommo Sacerdote, adorna di pietre preziose. Quando Gesù fu arrestato al Monte degli Ulivi, le guardie del Tempio (che godevano pessima fama presso la popolazione ed erano considerati dei veri e propri sbirri senza scrupoli) lo trasportarono alla dimora di Caifa, nel quartiere elegante del Sisto, presso il Santuario; si tratta della Città Alta, dove gli archeologi hanno ritrovato dimore decorate da mosaici ed affreschi, ampie cantine dove veniva ammassato il cibo e ricco vasellame in ceramica; numerose anche le cisterne per l'acqua, indispensabile per le numerose abluzioni. Giovanni, però, registra anche un incontro preventivo di Gesù con Anna (cfr. Gv. 18,13 e 24). Nella parte meridionale della valle di Hinnom, che separa il Monte Sion dalla collina di Abu Tor, gli archeologi hanno ritrovato i resti della tomba del Sommo Sacerdote Anna, identificata grazie alla descrizione del sito lasciata da Flavio Giuseppe; 3 km più in là, nella foresta di Gerusalemme, è stata ritrovata anche la tomba di Caifa. La decorazione sontuosa rimasta in stile ellenistico, lascia capire che i resti odierni erano sovrastati da un imponente monumento in mattoni: e l'ingresso, non casualmente, ripeteva il modello del Triplo Ingresso al Tempio. 


                                                     Crocifisso di W.Congdon

A proposito delle norme sui processi celebrati dal Sinedrio, abbiamo il trattato del Talmud Sanhedrin, il cui contenuto è databile alla fine del I, inizio del II secolo d.C., dopo la caduta di Gerusalemme. Non possiamo essere sicuri che queste regole valessero anche all'epoca di Gesù, ma è probabile. Comunque, secondo il Sanhedrin, le adunanze notturne non erano valide, perché mancavano i requisiti ed era verosimile che non tutti i membri potessero essere raggiunti e convocati regolarmente; in effetti, Luca 22, 63-71 registra un prolungamento della seduta al mattino, come se essa fosse stata necessaria per convalidare il tutto. Il grosso della seduta è avvenuto però di notte e questo era probabilmente irregolare. Non solo: non si potevano tenere sedute nei giorni di festa e il sabato (!), nè condannare qualcuno dopo un solo giorno. Insomma, la  procedura è stata violata più volte nel caso di Gesù, per cui si può parlare a stento di un processo. Se ritorniamo alle accuse, si ricordi quella secondo cui Lui avrebbe promesso di distruggere il Tempio e di ricostruirlo in 3 giorni, un attacco gravissimo al Santuario, secondo gli Ebrei; oppure quella di magia. Nella tradizione ebraica già vista, riportata proprio dal Sanhedrin, Gesù infatti compiva dei miracoli grazie alla magia, proibita dal Levitico. 

                                                           Crocifissione di Giotto

L'accusa però che finisce per prevalere è quella di bestemmia "in flagranza". Stanco delle inutili discussioni degli astanti, discussioni che no portano a nulla, Caifa decide di chiedere a Gesù direttamente: "Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?" (Mc. 14,61: "Benedetto" è un termine che sostituisce il Nome di Dio, impronunciabile). In realtà, è una domanda a trabocchetto: Caifa è ben consapevole di come risponderà Gesù ed è intenzionato a non prendere seriamente in considerazione la Sua risposta affermativa. L'idea che il Messia sarebbe stato figlio di Dio era diffusa, ma intesa in senso generico: un po' come per tutto Israele, figlio di Dio per traslato. Qui invece, Gesù rivendica nientemeno che la divinità di persona, commettendo una blasfemia, cioè intaccando il dominio esclusivo di Dio (come quando perdona i peccati ai malati). Difatti, appena Gesù risponde: "Sono Io" (il Nome di Dio), Caifa si straccia le vesti (gesto di massima costernazione). A quel punto, il Sinedrio decreta che Gesù è reo di morte (continua). 


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