venerdì 13 marzo 2020

Ci rialzeremo



Ci rialzeremo - e ne usciremo migliori

Tra le mie scene di film preferite ce ne sono due. Una è tratta dal film L’ultimo samurai, di E.Zwick, con Tom Cruise e Ken Watanabe. Siamo nel Giappone dell’era Meiji (intorno al 1870), quando il Mikado, l’imperatore, decise di modernizzare il paese a tappe forzate e, allo scopo, chiamò degli esperti stranieri. Come sapete, Tom Cruise interpreta uno di questi esperti, per la precisione un Americano, alcoolizzato, distrutto dai traumi subiti durante le guerre indiane e dal fatto di avere testimoniato a troppi massacri. Quando arriva in Giappone, nonostante la competenza, è un relitto umano: beve, non si controlla e, per dirla francamente, si comporta davanti ai Nipponici, imbevuti di una cultura antichissima, da autentico cafone. Eppure…eppure, quando, durante la rivolta dei samurai, viene fatto da loro prigioniero, comincia ad apprenderne gli usi e costumi, la lingua, lo zen, il codice d’onore di samurai e l’arte bellica. La mia scena preferita avviene proprio quando lui cerca di imparare a combattere con la katana, la spada da samurai e, prudenzialmente, si allena con bastoni di legno. Inutile dire che il suo avversario, espertissimo, lo butta ripetutamente per terra, in mezzo al fango e alla pioggia. Eppure, ogni volta, faticosamente, l’Americano si rialza. I Giapponesi non credono ai loro occhi (loro che sono abituati a praticare il seppoku, cioè il suicidio rituale, alla sconfitta), non riescono a concepire che questo Occidentale grezzo, anche se intelligente, si rialzi: eppure lui si rialza. Sempre.


L’altra scena che volevo ricordare viene dal film Momenti di gloria, di sir H.Hudson, la storia vera degli atleti della squadra olimpica inglese che affrontarono (e spesso vinsero) le Olimpiadi di Parigi, 1924. Tra di essi eccelle Eric Liddell, un pastore presbiteriano scozzese, velocissimo nella corsa.  Liddell divenne famoso perché, per rispetto al Decalogo, rifiutò di correre la domenica, per cui fu eliminato da una gara. Si rifece però, vincendo la medaglia d'oro nei 400 metri. Tutte le scene atletiche del film sono esaltanti, ma ce n’è una che mi fa venire i brividi. Durante una corsa locale, Eric viene, molto scorrettamente, spinto fuori dal campo da un concorrente. Ma non si perde d’animo: la camera cattura il momento straordinario in cui il suo sguardo, dal basso del terreno su cui è caduto, si alza, abbraccia la pista e, con gesto si sfida, lui si risolleva e riprende a correre come una freccia: tanto che vince. Devono praticamente rianimarlo al traguardo, ma ce l’ha fatta: ha vinto.


Anche noi ce la faremo. Ci rialzeremo, ne sono sicura. Noi Italiani, dobbiamo ammetterlo, ci portiamo sulle spalle il peso di tante tragedie del passato, in cui abbiamo regolarmente rivestito il ruolo dei “perdenti”. Fin dal ‘500 Machiavelli e Guicciardini soffrivano al vederci preda degli stranieri (che miravano allo splendore delle nostre città, si badi bene, ed approfittavano delle nostre divisioni); ed è andata avanti così per secoli. Ci hanno portato la guerra in casa e ci rapinavano. Persino l’unificazione, di per sé qualcosa di bello, l’abbiamo vissuta come una conquista. E poi, nel consesso delle nazioni, sembravamo (o ci sentivamo) regolarmente il fanalino di coda, tanto che dopo la Prima Guerra Mondiale fummo trattati come vincitori di serie B; poi il fascismo, poi abbiamo perso la guerra...E ci guardavano (ingiustamente) dall’alto in basso: a tal punto che, quando ci hanno speronato il transatlantico Andrea Doria, nel 1956, hanno dato iniquamente la colpa agl’Italiani! Quando invece, il comandante Calamai era una gran persona. Ma ora basta. Siamo coscienti che, come nazione, valiamo tanto: solo i traumi del passato ci inducono al pessimismo al riguardo.


E infatti…la nostra Italia ha delle energie straordinarie. Ce la faremo. Come le persone che hanno sofferto, nelle emergenze, come in questa epidemia, tiriamo fuori il nostro lato migliore: non è un caso se la nostra Protezione Civile è tra le migliori al mondo (se non la migliore). Abbiamo tante ricchezze dentro di noi: amore per la bellezza, umanità, cultura, capacità nel lavoro, cura del dettaglio, creatività…Certo, abbiamo anche le nostre debolezze, i nostri difetti, le nostre colpe. Crediamo che gli altri non ce le abbiano? Anzi. E stanno, umanamente, anche venendo fuori. Ma non critichiamo, pensiamo a quello che possiamo fare, a come essere uniti. Abbiamo tanto da dare: e credo che da questa prova ne usciremo migliori, a tutti i livelli, da quello organizzativo a quello umano. Senza nulla togliere agli altri, anzi, in una relazione di amicizia e parità con gli altri Paesi, possiamo essere davvero i migliori. Da come reagiamo a quest’emergenza, possiamo diventare un esempio. Noi ci portiamo dentro un virus positivo: quello della resurrezione. Questo ci viene dalla nostra cultura, in particolare da quella giudaico-cristiana e da quella classica, che sono ancora vive, anche per chi ci ha meno a che fare. Ed è grazie a questa cultura, che ha prosperato per secoli e tanto dà ancora nel volontariato, che i nostri medici, infermieri/e e personale paramedico stanno dando il 100 per 1. Come non possiamo risorgere con dei medici così? A loro e a tutti quelli che si impegnano in questo dramma, va il mio più sincero ringraziamento, così come, a un altro livello, alle nostre autorità, in primis al Presidente Conte. Ognuno di noi farà la sua (anche piccola) parte. E ci rialzeremo. Dovremo aspettare alcune settimane, ma potremo, presto, riabbracciarci sotto il sole di primavera.

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