Guarire l’autostima e i traumi…in modo inatteso
Tutti noi abbiamo dei problemi di autostima: e ci sono delle mattine in cui, invece di alzarci, preferiremmo piuttosto sprofondare sotto al piumone. Del resto, traumi e disgrazie varie non aiutano certo a tirarci su di morale, anzi: spesso e volentieri le nostre frustrazioni quotidiane vanno a pungere vecchi punti dolenti, con l'effetto del sale sulle ferite. Si sa, la lingua batte dove il dente duole: quindi spesso il nocciolo del problema non sono i guai del presente, bensì i ricordi traumatici del passato. Ebbene, sfogliando la letteratura spirituale di qualche secolo fa, ho scoperto una cura paradossale ed efficacissima per l'autostima ferita: le mortificazioni. Mi immagino qui che i miei lettori sbraneranno tanto d'occhi a questa notizia, ma è proprio vero: proprio le mortificazioni, quelle che più ci affanniamo ad evitare, se impiegate in maniera adeguata costituiscono un grosso aiuto, anzi sono quelle pietre che sembrano sbarrarci il cammino, mentre invece, ci spianano la strada. Ça va sans dire, questo discorso può essere compreso meglio in un'ottica di fede e deve essere attuato senza eccessi: tuttavia, può sicuramente aiutare chiunque, agnostico o credente che sia.
Tutto comincia alcuni mesi fa, quando ho rispolverato alcuni consigli che la famosa mistica Santa Faustina Kowalska aveva ricevuto niente meno che dallo stesso Gesù misericordioso. È noto come le apparizioni a Santa Faustina siano state riconosciute ufficialmente dalla Chiesa, come siano all'origine della festa della Santissima Misericordia la prima domenica dopo Pasqua, festa inaugurata da San Giovanni Paolo II, ed è altrettanto noto come a Cracovia sorga un magnifico santuario dedicato proprio alla Divina Misericordia. Ebbene Gesù dava spesso a Santa Faustina dei consigli su come lottare contro il male, contro il peccato e contro il diavolo: tra questi ricordava molto la necessità di combattere contro il nostro orgoglio e il nostro egoismo e raccomandava, tra l’altro le mortificazioni.
Immaginiamo uno screzio a un incrocio dopo che due macchine si sono scontrate. Uno dei due automobilisti provoca l'altro con delle parole poco lusinghiere e il secondo si sente ferito e insultato. Se però reagisce anche lui con gli insulti (grossa tentazione), non la si finisce più e si entra in un circolo vizioso: anzi, gli psicologi spiegano molto chiaramente che se sfoghiamo la rabbia, questa aumenta e la stessa cosa succede con le altre emozioni negative. Quindi va a finire che, se lasciamo loro spazio, esse ci trascinano dove non vogliamo. Ma noi possiamo governare le nostre emozioni: come? Usandole a fin di bene.
Del resto, non si tratta assolutamente di fare gli zerbini o di subire ingiustizie in maniera masochistica, tutt'altro (e questo va sottolineato): noi possiamo e dobbiamo difendere i nostri diritti in maniera ferma e composta, assertiva; quello che rifiutiamo è la violenza, la prepotenza, l'arroganza, il puntiglio, il rancore, la mancanza di rispetto, la rabbia fine a se stessa. Piuttosto che indulgere a questi atteggiamenti negativi noi abbiamo di fronte un'altra strada: accettare la frustrazione che ci si presenta davanti e offrirla al Capo a fin di bene per migliorare noi stessi e per aiutare gli altri.
I risultati di questi esercizi sono
veramente notevoli: lo ribadisco, ho notato che la mia autostima si è
rafforzata e che non avevo più paura di situazioni incresciose, che certi
ricordi spiacevoli non mi ferivano più e, soprattutto, che alcuni traumi il cui
ricordo era rimasto latente nel mio subconscio avevano smesso di tormentarmi.
Infatti, l'accettazione li aveva rielaborati: quello che vi sto suggerendo (se
eseguito in maniera proporzionata e con calma) funziona ottimamente anche dal
punto di vista psicologico per la rielaborazione graduale dei traumi. Perché?
La maggior parte di noi soffre a vari livelli di qualche problema
postraumatico: un trauma irrisolto non è stato rielaborato dalla parte del
cervello che è deputata a ciò, l'amigdala; in tal caso, il soggetto continua a
soffrirne tutte le volte che incrocia qualcosa che gli ricorda quel trauma e lo
fa riemergere. Semplicemente, la povera amigdala è andata in tilt perché il
trauma era troppo grosso da digerire: e l'effetto è un po’ quello del disco
rotto. Tuttavia, per rielaborare un trauma è fondamentale l'accettazione: eppure,
la maggior parte di noi non riesce ad accettare i propri traumi e le loro
conseguenze negative, quindi rimaniamo bloccati. Allora il trucco consiste proprio
nel trovare un senso positivo ai nostri traumi e una maniera per usarli a fin
di bene. Solo così il male diventa accettabile: a quel punto l' amigdala è in
grado di metabolizzare il trauma, lo stocca ed esso smette di tormentare il
nostro intimo.
Faccio un altro esempio più impegnativo dei precedenti perché il processo sia più chiaro.
Molte ragazze faticano a trovare l'anima gemella (anche gli uomini a dire il vero), e di solito cadono tutte nel tranello di pensare che gli altri non le vogliono per colpa loro. Di solito, dietro questa idea cova qualche esperienza negativa fatta in famiglia e in passato: per come è strutturata la nostra famiglia occidentale è facile che le figlie femmine si sentano trascurate dal padre, anche senza colpa di quest’ultimo, per cui finiscono per trasferire questa loro impressione nel rapporto con gli altri uomini, continuando a soffrire di quel senso di abbandono primordiale. In questa maniera, possono gestire male il rapporto con gli uomini, rischiare di diventarne dipendenti, sentirsi abbandonate anche quando ciò non avviene, oppure subire un trattamento poco gentile anche quando dovrebbero staccare la spina, perdendo così la propria autostima. Purtroppo, gl’insuccessi nella vita sentimentale sono tra quelli che nella nostra società provocano in noi maggior dolore e maggiore vergogna, per cui tutto ciò risulta veramente difficile da metabolizzare.
Ma immaginiamo ora che una ragazza con questo problema accetti la frustrazione di essere in solitudine o di non aver trovato ancora l'uomo giusto, o altre frustrazioni del genere, con l'idea di prepararsi a una corretta vita di coppia, in cui le esigenze di entrambi si possano manifestare con armonia; immaginiamo che questa ragazza offra la sua delusione per chiedere al Capo di trovare la persona giusta e per aiutare altri a trovare la felicità; ebbene, dapprincipio potrà sembrare difficile accettare tutto questo, ma ben presto lei si renderà conto che la sua anima sta guarendo: sta guarendo dalle carenze di autostima, sta guarendo dalle ferite del passato, sta guarendo dal senso di abbandono che prova da così tanto tempo e sta guarendo dall’insicurezza, dal senso di dipendenza che prova nei confronti degli altri, dalla paura di stare da sola e da tutto ciò che la sminuisce davanti agli altri, dalla vergogna patologica, dal trauma, dal dolore. Parallelamente, guariscono anche i suoi rapporti con gli altri, rapporti che diventano così più sani e corretti, senza il masochismo di chi accetta l'inaccettabile pur di non rimanere da solo, senza arroganze inutili e controproducenti, senza disarmonie. Soprattutto si renderà conto come mai prima, che la sua sofferenza passata ha diritto di essere rispettata e riconosciuta: noi spesso e volentieri lottiamo con gli altri perché sentiamo che le nostre sofferenze non vengono riconosciute abbastanza; ma quando cominciamo ad adottare questo tipo di accettazione a fin di bene, siamo in grado di parlare delle nostre sofferenze a testa alta, con franchezza, con sicurezza di noi stessi. perché non abbiamo più bisogno del riconoscimento degli altri. Sappiamo nel profondo di noi stessi che è vero e ci basta. Quella ragazza si accorgerà infine che non è più sola: magari troverà la persona giusta, oppure il giovane che ama tornerà per sanare il rapporto con lei.
Tutti noi, chi più chi meno,
soffriamo di dipendenza dal giudizio degli altri e le piccole mortificazioni
usate a fin di bene ci aiutano ad assumere una maturità profonda e
l'indipendenza dal rispetto umano che ci paralizza con lo sguardo altrui.
Riceviamo allora quella che gli antichi cristiani consideravano una delle
qualità basilari dei convertiti: la parresia, la franchezza. Riceviamo
una rettitudine rinnovata; riscopriamo il coraggio; soprattutto, il coraggio di essere noi stessi.
Capisco allora infine perché, nonostante le mortificazioni, i santi sono così equilibrati, sereni e privi di quella frenesia per il giudizio altrui di cui siamo pieni noi. Loro sono diventati veramente meno vulnerabili alle frustrazioni: di solito hanno veramente guarito le loro ferite a furia di lottare con l'egoismo.
Lottare contro il nostro egoismo rafforza la nostra autostima perché non è altro che vivere l'amore in atto per imparare a uscire da noi stessi e a fare del bene con quello che abbiamo. Del resto, dal concime nascono i fiori: e non c'è meraviglia che non possa avvenire quando riusciamo a usare a fin di bene qualcosa che ci ha fatto soffrire. Viktor Frankl, il grande fondatore della logoterapia, curava i suoi pazienti proprio così, facendo loro scoprire il senso e l'utilità delle loro sofferenze: e diceva che l'uomo non è terrorizzato tanto dal dolore, quanto dal dolore senza senso. Lui uscì da Auschwitz dopo tre anni di prigionia e dopo aver perso nel lager tutta la sua famiglia; ma nel lager aveva imparato a curare in questa maniera i suoi compagni di prigionia, prezioso insegnamento che poi mise a frutto. Era pieno di vita, faceva del bene ai suoi pazienti in maniera meravigliosa e aveva una tale sete di vivere da imparare a gettarsi col paracadute a 80 anni!
Del resto, questa è la logica della
Croce: è un atteggiamento molto diverso dal masochismo, è la volontà di usare
al meglio quello che la vita ci pone davanti, così che la croce si trasforma
con la resurrezione in albero fiorito. E dove non arriviamo noi, agisce il
Cristo con la sua potenza di vita.
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