sabato 24 marzo 2018

Pirandello e la psicologia

Pirandello e la psicologia

Ieri mattina stavo pacificamente interrogando Dario ed Aurora in 5O e, durante l'orale, abbiamo iniziato un'interessantissima discussione sul rapporto tra Pirandello e la psicologia. Pirandello, che come nessun altro ha scomposto la personalità umana, è forse anche l'autore contemporaneo che, più di ogni altro, riflette tematiche psicologiche o si potrebbe utilizzare per condurre riflessioni psicologiche.
Questo è vero innanzitutto perché Pirandello stesso si interessava alla psicologia: lesse per esempio Le alterazioni della personalità di Alfred Binet (l'inventore del QI, quoziente intellettivo), uno psicologo francese di origine italiana che si occupava dei vari livelli dell'Io. Pirandello si interessava anche di parapsicologia e spiritismo (pratica che induce facilmente a dissociazioni psichiche, come sanno certi medici del Pronto Soccorso che si vedono arrivare a volte come pazienti dei fanatici di queste sedute), ma questa è un'altra storia.



Poi, bisogna ricordare le sue vicende personali. La moglie Maria Antonietta, che lui aveva sposato per matrimonio combinato, come usava in Sicilia, ma di cui si era comunque innamorato, aveva delle latenze psicotiche (cioè era fragile a livello psicologico e poteva sviluppare una psicosi): era patologicamente gelosa del marito, tanto che lo andava a spiare all'uscita dalla Facoltà di Magistero a Roma (una Facoltà frequentata dalla future maestre, quindi quasi esclusivamente da ragazze), per osservare come lui, giovane docente ammirato ed attraente, si comportava con le sue studentesse. La follia però esplose nel 1903, quando si allagò la miniera di zolfo di famiglia, in cui era stata investita la dote di Antonietta, e la famiglia subì un tracollo economico. La donna non si riprese più, anzi, arrivò al punto di essere gelosa della figlia Lietta, accusandola d'incesto. La povera Lia tentò addirittura il suicidio. Pirandello (che era irreprensibile e non tradì mai la moglie, pur vivendo un matrimonio infernale) infine dovette convincersi a farla ricoverare in una clinica specializzata, perché non ne potevano più (1919).



La personalità di Pirandello appare come quella del tipico depressivo, che si rimette in questione senza posa, assumendosi le proprie responsabilità, senza rigettarle sugli altri: colto, distinto, di grande umanità e sensibilità, simpaticissimo, dotato di grande senso dell'humour, è dominato però dal pessimismo e da una specie di senso d'impotenza; sembra anzi depresso tout court. Inoltre, possiede una tendenza sicuramente ossessiva: molto esigente con se stesso, irreprensibile, fa pensare difatti al depressivo che sia stato vittima di violenza psicologica e di traumi senza averli elaborati e che, perciò, rimanga legato all'eterna ripetizione di atteggiamenti o gesti di fuga (si ripetono i traumi per sfuggirne). Il suo pensiero ci presenta infatti di continuo la vita come libero fluire di energia vitale, che però tanto libero non è: infatti, regolarmente, la vita rimane "incastrata" nella forma, cioè nei ruoli, nelle convenzioni, nelle etichette, imposti dalla società e dal contatto con gli altri. Nel teatro pirandelliano, queste si chiamano "maschere". 



Questo è quanto mai attuale: così osservavo con Dario che, quando lo chiamo alla lavagna a fare "il segretario" e a trascrivere in uno schema quello che sto spiegando, lui cerca di far ridere gli altri e assume, così, una forma, un ruolo, per suscitare la simpatia dei suoi compagni; io stessa, a volte, resto "imprigionata" nella "forma" di insegnante; oppure, Aurora ricordava, in fin dei conti un ragazzo si può presentare a casa con i genitori in una maniera e insieme agli amici in un'altra: assume allora varie maschere. Una personalità equilibrata, soggiungevo io, riesce comunque a trovare una sintesi e un'armonia tra le varie "forme", perché tutte, in fin dei conti, riportano alla stessa personalità.



Il problema per Pirandello è però proprio se questa personalità esista. In Uno, nessuno, centomila, il protagonista Vitangelo Moscarda arriva alla conclusione che no: preso dalla frenesia di capire come appare agli altri, perde la percezione di se stesso e si dissolve nei centomila riflessi e immagini che gli altri hanno di lui. Ieri mattina osservavo che proprio le vittime di violenza e abusi finiscono per perdere il senso di quello che sono e vogliono autenticamente, perché hanno perso l'abitudine di esprimerlo, a causa delle continue costrizioni; e quello che dicono gli altri finisce per essere per loro come una continua imposizione. Questo, più l'ossessività con cui Pirandello si pone sempre gli stessi problemi e le stesse domande (il famoso "pirandellismo") ci lascia intravvedere come lui stesso fosse una vittima di oppressione, se non altro psicologica, un uomo molto sensibile e spesso incapace di manifestarsi fino in fondo; proprio per questo, continuava ossessivamente a porsi sempre gli stessi interrogativi ("pirandellismo" appunto).



                                             Edvard Munch, Sera al Karl Johan. 

A proposito: servirà un post specifico, ma proprio il capolavoro del teatro pirandelliano, I sei personaggi in cerca di autore, sembra il  tentativo disperato, da parte dei protagonisti, di elaborare un gigantesco trauma (sulla scena ne succedono di tutti i colori, dal tentato incesto, al suicidio di un ragazzino, alla morte per affogamento di una bambina): e loro ripetono, ripetono, ripetono i disastri successi, alla ricerca di una rappresentazione adeguata degli stessi, del loro dolore, che però nessuno sarà in grado di mettere in scena. Sembra la coazione a ripetere, fenomeno ben noto in psicologia e tipico di chi è rimasto incastrato in un trauma.



Che la società ottocentesca fosse piuttosto rigida e oppressiva, lo sapevamo. Si noti che proprio  l'Ottocento ha sviluppato l'indagine (per non dire la fissazione) sull'isteria, ovvero, come lo definiremmo oggi, il disturbo borderline: e il suo primo sintomo è la mancanza di autocontrollo (vi ricordate che si parla di "pianto isterico", di "crisi isterica" ecc.?). Di solito, la definizione di "isterica" veniva sbolognata sulle donne (anzi, isteria deriva dal termine greco per "utero", perché si riteneva che l'insoddisfazione sessuale la provocasse...); mi sono chiesta più volte se l'isteria non fosse anche il riflesso di una società rigida che, iper-controllando, finiva per far "esplodere" alcuni suoi membri più fragili. 
                                                            Edvard Munch, Malinconia

E' sintomatico che fenomeni analoghi si registrassero nel Seicento, altro secolo molto rigido, con le famose "convulsionarie", donne che dicevano di avere esperienze mistiche e che finivano per mostrare atteggiamenti davvero "isterici"; ma, all'epoca, la cosa era trasversale, tanto che ciò succedeva anche ai "profeti" ugonotti dei camisards francesi o alle suore di Loudun (quelle che ritennero di essere tutte indemoniate a partire dalla superiora, neanche la possessione fosse contagiosa come la varicella...Richelieu utilizzò l'episodio per eliminare alcuni suoi oppositori politici, come un prete-intellettuale, accusato di avere indemoniato le suore). In definitiva, l'insistenza di Pirandello sulle "maschere" ci rinvia a una società che schiaccia il singolo e non lo comprende: basti pensare al povero Mattia Pascal, che cerca di inventarsi più identità sempre nella speranza di trovare il suo spazio nella vita, uno spazio autentico in cui essere se stesso; inutilmente.



Pirandello descrive così, come tanti altri della sua epoca, l'alienazione dell'individuo nella società: Freud, Marx, Tozzi, Rebora e tanti altri hanno descritto e motivato, in varia maniera, questo stato per cui la persona perde se stessa. Nella società borghese e sempre di più di massa, il singolo perde se stesso. In psichiatria si sa che il disturbo peggiore, da questo punto di vista, una vera e propria scissione della personalità, è la schizofrenia; del resto, come nel metateatro Pirandello scompone sulla scena gli elementi di cui consta il teatro e li mette sotto gli  occhi degli spettatori, così scompone la persona del singolo. D'altro lato, ieri mattina facevo notare ai miei ragazzi che i narcisisti (cioè, come abbiamo detto più volte, i manipolatori), assumono "maschere" diverse a seconda dei contesti: non ci pensano in modo specifico, ma agiscono "di pancia" adeguandosi al contesto, per manipolare gli altri. Ecco perché genitori che abusano dei figli sono spesso considerati i pilastri della comunità, mentre i serial killer sono buoni buoni in carcere. Poi c'è qualche psichiatra o giudice di sorveglianza che, magari, ci casca e li mette fuori (come successe nel caso di Angelo Izzo). Non si tratta di "doppie personalità" compiute, ma semplicemente di atteggiamenti incoerenti che il singolo assume via via per comodità. L'immaturità o la malvagità, in questo caso, alienano. La vittima di abusi, invece (alienazione al massimo livello), rischia davvero di cambiare personalità: paura, depressione, insicurezza, abulia, ne velano la personalità originaria, come uno strato di vernice nera un bel quadro. Anche queste sono maschere: e solo con la cura la persona si libera.


                                                     Pirandello coi De Filippo

Spesso, nell'opera di Pirandello, affiora il desiderio di un "oltre", una via di fuga (Montale la chiamerà "la maglia rotta nella rete / che ci stringe"), come l'immagine del treno e del suo fischio, ne Il treno ha fischiato, novella che evoca spazi di viaggio infinito al di là di una quotidianità opprimente; e spesso, la  via di fuga è la follia. Così succede a Vitangelo Moscarda al termine di Uno, nessuno, centomila: solo impazzendo egli smette di porsi interrogativi incessanti sulla propria identità perduta, e in manicomio finisce anche Belluca, il protagonista del Treno ha fischiato. Così succede ne Enrico IV, col  protagonista costretto a fingere per sempre di essere folle, per salvarsi dall'essere perseguito per l'omicidio del suo rivale. E sa di follia anche la situazione del Fu Mattia Pascal, intrappolato in vite non sue; come succede anche ai protagonisti di Così è (se vi pare), desunti dalla novella La signora Frola e il signor Ponza. Chi è il matto tra i due? 
Se la razionalità diventa ossessione, meglio allora la follia, sembra dire Pirandello. Forse dovremmo chiederci proprio che razza di razionalità e società abbiamo coltivato in questi ultimi due secoli, a partire dall'Illuminismo: e se essa non sia diventata un ruolo e, al tempo stesso, una prigione, che aliena chi ci entra.



                                         Evoco qui una forma più completa di razionalità
                                             nel San Gerolamo di Antonello da Messina

Si noti che ho inserito qui dei quadri di Edvard Munch, contemporaneo di Pirandello e che finì in clinica psichiatrica per un breve periodo.

Bibliografia
G.Ferroni, Storia della letteratura italiana, IV, Il Novecento, Milano, Einaudi, 1991.
M.Cappellini - E.Sada, I sogni e la ragione. 5 Tra Ottocento e Novecento, Milano, Mondadori, 2015.
S.Ferlita, Scrittori sull'orlo di una scelta spiritista, La Repubblica, 20 dicembre 2006. 
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/12/20/scrittori-sull-orlo-di-una-scelta-spiritista.html

domenica 18 marzo 2018

Dolcetti di cioccolata e frutti di bosco


Dolcetti di cioccolata e frutti di bosco


Ingredienti

250 gr. di pasta sfoglia
Farina 
Cioccolato al latte qb
Frutti di bosco
Zucchero qb

Stendere la pasta sfoglia sul tavolo infarinato, quindi ritagliare dei rettangoli di 5 x 10 cm. Inserire su ogni rettangolo un pezzetto di cioccolata e qualche bacca di frutti di bosco, quindi richiudere il dolcetto a libro e spolverare di zucchero. Mettere a cuocere su una placca imburrata in forno a 150 gradi per 15-20 minuti. Sono davvero deliziosi. 


Pastries with chocolate and raspberries

Ingredients
250 gr. of puff pastry
Flour
Milk chocolate to taste
Raspberries
Sugar to taste

Roll out the puff pastry on the floured table, then cut out rectangles of 5 x 10 cm. Place a piece of chocolate and a few raspberries on each rectangle, then close the pastry as a book and sprinkle it with sugar. Put the pastries to cook on a greased plate in oven at 150 degrees for 15-20 minutes. They are really delicious!


domenica 4 marzo 2018

Focus positivo!



Focus positivo!

Quanto è importante, nelle difficoltà, focalizzarsi sul positivo, sul mezzo bicchiere pieno? Per es., siamo al secondo quadrimestre e ormai è chiaro che alcuni ragazzi possono essere a rischio bocciatura. Come affrontare questa difficoltà, apparentemente insormontabile? Focalizzarsi sul positivo, concentrarsi sulle possibilità di riuscita è il primo passo da fare per vincere le difficoltà: ed è fondamentale. Vediamo ora una serie di consigli e osservazioni (con esempi).

  • Buona parte delle nostre difficoltà non sono né bianche, né nere, ma di una sfumatura intermedia, diciamo grigio andante. Cosa significa? Che ci sono possibilità di sconfitta, ma anche (magari in minoranza) possibilità di vittoria. Nella vita quotidiana, sono rare le situazioni senza speranza. Quindi c'è sempre un margine per cui possiamo provare a migliorare e darci da fare. Concentrarci su quello aumenta concretamente le nostre chances
  • Ovviamente, dopo avere deciso di focalizzarmi sul positivo, mi servono altre due cose: gli strumenti per vincere e la costanza per lavorarci su  (uno studente dovrà mettersi a studiare regolarmente, ad esempio). Se  mi concentro sulle possibilità positive, mi aumentano la forza e il coraggio di combattere per farcela e metterò più facilmente in atto gli strumenti per affrontare il problema. La focalizzazione positiva mi permette di coltivare la mia motivazione
  • Da notare anche che molte situazioni migliorano, ma lentamente (la natura ha sempre tempi lenti, ma stabili, come quando crescono gli alberi). Ecco perché è così importante la costanza: ed ecco perché è assurdo che certi ragazzi pensino di migliorare tutto d'un colpo: bisogna darsi il tempo per farlo (almeno qualche mese).
  • Concentrarsi sul positivo non significa fare gli illusi e ignorare ingenuamente i problemi, anzi: proprio perché prendo sul serio i miei problemi, mi concentro su come superarli e sulla possibilità di farcela. Altrimenti, ci resto dentro. Ad es.: se so che rischio la bocciatura perché ho 5-6 materie insufficienti, mi focalizzo su quello che posso rimediare per rialzare le mie chances. Può essere molto difficile in certi momenti, ma la costanza sulla focalizzazione positiva è ineludibile per la salvezza: sennò, mi mancherà la motivazione per andare avanti, finanche per partire.
  • Diceva Nietszche che "se guardi l'abisso, l'abisso ti guarda a sua volta". Il negativo è come un buco nero: ti risucchia. Se io mi dico: "Tanto, non posso farci niente" e mi arresto al negativo, la mia prospettiva resta senza alternative e mi condanno da sola alla disfatta. Mi tiro la zappa sui piedi. 
  • Concentrarsi sul negativo è una grossa tentazione per due motivi: primo, così almeno abbiamo una sicurezza (il disastro); secondo, possiamo fare le vittime e rimanere al fondo della nostra cunetta piena zeppa di lacrime. Ma così non si va da nessuna parte. 
  • Il mondo appartiene a chi sa prendersi dei rischi. Mi spiace, ma la ricetta magica per essere sicuri al 100% di farcela non esiste. E forse è anche un bene: quando siamo troppo sicuri di noi, perdiamo l'umiltà, diventiamo strafottenti e ci viene la mania di controllo. Ci fa bene non essere in grado di controllare tutto. 
  • Bisogna quindi accettare che possiamo farcela, ma che esistono anche delle possibilità negative (in proporzione a seconda dei casi). Posso sforzarmi finché voglio, ma la possibilità di bocciatura rimane. Tuttavia, anche le sconfitte successive a un sano sforzo, per quanto dure da accettare, portano sempre qualche risultato positivo: invariabilmente, ci trovano maturati. La prossima volta, sarà più facile. 

Vi racconto qualche piccolo esempio. Alcuni anni fa, ero in vacanza per il I dell'anno in Svizzera assieme a un'amica. Siamo andate a visitare Montreux, graziosissima città sul Lago Lemano. A un certo punto il GPS (della mia amica) ha cominciato a fare i capricci e mentre io stavo cercando disperatamente l'accesso all'autostrada, mi ha spedito su di una viuzza di campagna stretta, ghiacciata, in salita, con nebbia, in una fredda sera d'inverno. A un certo punto fa la mia amica: "Guarda laggiù! Il lago!" Cioè, alla nostra destra si apriva la china che, varie decine di metri più sotto, arrivava al lago. E io pronta: "No, non voglio guardare!". Mi sono detta: "Annarita, se ti lasci prendere dalla paura, qui è la fine, per te e per lei". Quindi, HO RESETTATO L'IMMAGINE DELLO STRAPIOMBO e sono andata avanti mantenendo la calma. Difatti, ne siamo uscite intere, sia io che lei. E' un po' come per S.Pietro quando voleva raggiungere Gesù camminando sulle acque: finché fissava Lui, camminava sull'acqua, appena ha guardato in giù, ha cominciato a colare a picco.

Altri due esempi, più vicini alla vita degli studenti. Anni fa dovevo affrontare l'esame di Storia Romana, ma avevo poco tempo ancora a disposizione: non mi era chiaro se fosse sufficiente. Decisi però che potevo farcela E CONTINUAI A STUDIARE NON PENSANDOCI PIU'. Così, senza che perdessi tempo in lamentele, il mio lavoro proseguì spedito e arrivai in fondo in tempo.
Analogamente due classi allo stesso livello, alla fine dell'anno scolastico ebbero rendimenti nettamente diversi: quelli che erano stati ripresi regolarmente come se fossero dei buoni a nulla erano tracollati, mentre quelli incoraggiati e lodati come se fossero ottimi studenti, conclusero l'anno con successo. La prospettiva è importante.


Noi siamo quello che crediamo. Perché? Perché quello che crediamo costituisce il nostro fondamento. Oggi la nostra società crede principalmente al denaro e se ne vedono i risultati. Forme di religiosità dure, che dipingevano Dio come un giustiziere (si pensi al giansenismo o anche all'antropologia riformata, notoriamente pessimista, o anche a certe versioni autoritarie del cattolicesimo e ortodossia) hanno fatto sì che, adesso, meno persone nella nostra Europa sono disposte ad avvicinare un Dio che è, invece, amore. Noi siamo quello che crediamo. Se crediamo alla disfatta, precipiteremo. Se crediamo al bene, alla speranza, all'amore, miglioreremo: andremo su. 

Esiste un caso, però, molto frequente, in cui credere nella positività può essere davvero difficile. Si tratta del PTSD complesso ovvero Sindrome da Stress Post-traumatico complesso; succede alle persone che hanno subito non un solo evento traumatico (che so, un incidente aereo), ma una lunga serie di episodi traumatici che li hanno scavati come la proverbiale goccia (no, di più): abusi prolungati, specie in famiglia, violenza di coppia, situazioni di sequestro, schiavitù, campo di concentramento, bullismo, sette ecc. Uno dei sintomi tipici del PTSD complesso è la disperazione: uno non riesce  più a prendere l'iniziativa, si vergogna, prova senso di colpa e una lunga serie di sentimenti negativi che lo paralizzano. L'aggressore sembra inoltre onnipotente. Insomma, la persona in questa situazione si sente oppressa da un orizzonte negativo senza speranza. Peggio: a furia di subire, si porta "il leone (cioè gli abusi) dentro"; e fatica a liberarsene.


Allora, il focus positivo è fondamentale anche qui, ma parte dalla consapevolezza che la disperazione è indotta dalla situazione ed è un sintomo: oltre le nubi il sole c'è. In queste situazioni serve aiuto e un grosso aiuto può essere dato da una sana relazione affettiva (di ogni genere: anche con colleghi, amici ecc.) che ridona senso di sicurezza e fiducia (healing relationship). Poi è bene fare riferimento a un terapeuta e a vari approcci (il nemico si sconfigge meglio se attaccato da più parti). Però, più che mai, alle persone in questa situazione (ci sono passata) si può dire: potete farcela. Bisogna sforzarsi di mantenere una prospettiva di speranza, sennò si va a fondo. Tenere la testa fuori dall'acqua! Ripeto: oltre le nubi il sole c'è.

giovedì 1 marzo 2018

Pasta "impacchettata"



Pasta "impacchettata"

Questo piatto di pasta al forno è la mia versione personale della famosa "pasta 'ncasciata" siciliana (quella di Montalbano, per intenderci); solo che quella è un po' pesantina per me e quindi ho sostituito melanzane, caciocavallo e salame con zucchine, prosciutto e mozzarella. E' venuto un piatto del tutto diverso, però squisito...Il termine "ncasciata" significa "cotta sulla brace" nel dialetto di Messina; io invece penso a un vero pacchetto - regalo!

Ingredienti
250 gr. di pasta
4 zucchine
200 gr. di carne macinata
mezzo bicchiere di vino
passata di pomodoro qb.
2 mozzarelle


alcune fette di prosciutto
parmigiano grattugiato qb
una cipollina
due spicchi di aglio
olio
un poco di burro
sale

Fare un soffritto di zucchine con uno spicchio d'aglio e una cipollina pulita e sminuzzata; intanto, preparate il ragù: fate soffriggere molto brevemente l'aglio in olio abbondante, quindi aggiungete la carne macinata, infine il pomodoro e il vino; lasciate tutto sul fuoco per una ventina di minuti, finché il liquido non si è asciugato. Nel frattempo, cuocete la pasta. Quando è pronta, scolatela, quindi mescolatela con il ragù di carne; infine, versate la pasta al ragù in una pirofila imburrata, coprite con le zucchine, infine con le fette di prosciutto, le mozzarelle tagliate a fettine e, infine, con il parmigiano grattugiato. Cuocete in forno per 20 minuti a fuoco medio (180 gradi). Vi assicuro che è un piatto super: so io a chi lo farei assaggiare...



"Packed" pasta

This dish of baked pasta is my personal version of the famous Sicilian "pasta 'ncasciata" (that of Montalbano, to be clear); only it is a little heavy to me, so I replaced aubergines, caciocavallo and salami with zucchini, ham and mozzarella. It became a totally different, but delicious course... The term "ncasciata" means "cooked on the grill" in the Messina dialect; I think instead of a real package - a gift!

Ingredients
250 gr. of pasta
4 zucchini
200 gr. of minced meat
half a glass of wine
tomato sauce to taste
2 mozzarella


some slices of ham
grated parmesan to taste
a small onion
two cloves of garlic
oil
a little butter
salt

Fry the zucchini with a clove of garlic and a cleaned and chopped spring onion; in the meantime, prepare the meat sauce: fry the garlic very briefly in abundant oil, then add the minced meat, the tomato sauce and the wine; leave everything on the stove for about twenty minutes, until the liquid has dried. Meanwhile, cook the pasta. When it is ready, drain it, then mix it with the meat sauce; finally, pour the pasta with the meat sauce in a buttered oven dish, cover with the zucchini, finally with the slices of ham, the mozzarella cut into slices and, at last, with the grated Parmesan. Bake for 20 minutes over medium heat (180 degrees). I assure you that it is a super dish: I know who I would like to let taste it ...


domenica 25 febbraio 2018

La gloriosa 4O in gita


                                                    Il famoso salone da ballo del palazzo

La gloriosa 4O...in gita (4 puntata)

Inserisco di nuovo i protagonisti: Bellu (Alessandro), Ari Bru (Arianna), Giuls (Giulia), Chiara (senza soprannome, apparentemente), Ferra (Andrea), Asia (anche lei senza soprannome), Francio (Mirko), Gruppio (Tommaso), Vero (Veronica), Guare (detto anche Guado o '99: anche lui si chiama Tommaso), Mia (Eufimia, la nostra Greca), Lafo (Nicola), Orla (Orlando, che io chiamo anche "Astro-Snoopy"), Michi (Michele), Mastro (Nicola), Erri (Enrico), Rivets (Niccolò), Zek (Tommaso).
Assenti (ci mancavano): Ballard (Mario), Bario (Massimo), Nas (Nassim), senza contare Edo (Edoardo) e Gila (Giacomo) allora negli States.

Partecipazione speciale: prof.sa Silvia Sansonetti; prof.Andrea Celeghini (Celego).
Comparse audio: Barbara (la mia amica); il tecnico del forno (che non posso citare per evitare pubblicità impropria). 


Ca'Rezzonico e i suoi tesori

Il Museo del Settecento veneziano (Ca' Rezzonico per gli amici) è un museo "incompreso": letteralmente il più bello e affascinante di Venezia, ricostruisce gl'interni di un palazzo signorile settecentesco dell'epoca di Casanova, con stucchi, mobili intarsiati, quadri sontuosi, soffitti a trompe l'oeil, porcellane, cristalli e quant'altro; ma non lo visita quasi nessuno. Io ci porto regolarmente i ragazzi di quarta, per aprire loro uno spaccato sulla vita e la cultura dell'età dell'Illuminismo a Venezia. All'epoca, la città era diventata un po' il parco di divertimenti degli aristocratici europei: tra il carnevale (sei mesi l'anno, tra novembre e marzo), i teatri (8, finanziati dalle varie famiglie patrizie della città), il casinò, le case di tolleranza (da sempre abbondanti a Venezia, che era, non dimentichiamolo, un porto), la città era divenuta una tappa imprescindibile del grand tour che i nobili dell'epoca intraprendevano immancabilmente verso l'Italia. Preferisco calare una trapunta pietosa sui trascorsi amorosi di Byron in laguna, per non parlare di Giacomino Casanova. Ricordiamo però che, in zona, era attivissimo come commediografo anche Goldoni, almeno fino al 1763. Comunque, tirem innanz'.

                                             Il ridotto di Francesco Guardi

Si dice, Ca'Rezzonico, Ca'Rezzonico: però, il punto è arrivarci. Io, a Venezia, mi oriento abbastanza bene; o, almeno so (quasi) sempre, dove sono posizionata rispetto al Canal Grande. Il problema è quando sono in fase di avvicinamento alla meta: e qui mi riesplode la mia dislessia latente. In parole povere, con una carta davanti al naso vedo esattamente qual è il palazzo dove devo entrare, ma non riesco a capire se l'entrata è alla mia destra o alla mia sinistra: cioè, non riesco a rigirare la carta secondo il verso giusto. E così, quando siamo arrivati, la mattina poco dopo le 11.00, nei pressi del museo, puntualmente ho sbagliato il lato di avvicinamento ("Ragazzi, il museo è oltre quelle case!" "E come ci si arriva, prof?". Guardo la cartina: "Per di là!" "Ma, veramente, per di qua c'è un vicolo cieco e poi si cade in acqua...".). Mi viene in mente quello che è successo pochi giorni dopo a Torino (si noti, costruita a scacchiera). Ci passo alcuni giorni di vacanza per Capodanno con un'amica, che, un pomeriggio, rientra in albergo prima di me e si porta dietro la cartina: e io in Piazza Castello a rimirare dubbiosa la mappa esposta davanti al Comune (mappa che dice, magnanima: "voi siete qui") e a cercare disperatamente di capire come dovevo rigirare la cartina nella mia mente e per dove devo tornare in albergo (a due isolati di distanza): da destra o da sinistra? Da sotto o da sopra?

                               Il salottino delle lacche verdi, in mobili di stile orientaleggiante

Mentre facciamo il periplo dell'isolato, alla ricerca della calle giusta per entrare, ecco che si fa viva la mia amica Barbara da Ferrara. Antefatto: come tradizione vuole, gli elettrodomestici decidono di andare KO in occasione delle feste; e quindi, a pochi giorni dal Natale, che cos'è che ha stabilito di andare in tilt a casa mia? Il forno, ovviamente (si noti: sotto Natale, non a Ferragosto; esattamente come la caldaia). Mi rivolgo a una ditta nelle vicinanze per la riparazione, ma questa si dà alla macchia, senza spiegazioni; allora devo ricorrere a una seconda, che riesce a mandarmi un tecnico  in extremis solo il 23, cioè il giorno della gita (altrimenti, nisba). A casa, c'è solo la mia amica e vicina Barbara, disponibilissima a fare le mie veci, ma che attende notizie dal tecnico; e il tecnico non è raggiungibile sul cellulare, per cui, lei mi chiama per capire: verrà? Non verrà? Quando? L'appuntamento sarebbe per il primo pomeriggio (15.00, se non ricordo male): ma il tutto è avvolto dalla nebbia del mistero. Un mistero piuttosto inquietante, per qualcuno che programma di cucinare sotto Natale e per la sua spalla, che non può passare le giornata ad attendere un tecnico fantasma. 

                                                    Il Canal Grande secondo Canaletto

Infine, troviamo il Museo. A Ca'Rezzonico faccio invariabilmente da guida io, con i materiali messi a disposizione sul sito del museo stesso: ma, premetto un'avvertenza per i colleghi. Ca' Rezzonico, infatti, presenta un problema di non poco conto: la sua sala da ballo, la più ampia della città (doveva essere uno splendore illuminata a festa e con dame e cavalieri abbigliati secondo la moda settecentesca per un ballo di Carnevale), è anche la più ampia sala sospesa di Venezia; ragion per cui, appena ci si mette piede, si sente il rimbombo dell'androne sotto. E questo, per tutti, ma dico tutti gli studenti, porta a a una tentazione irrefrenabile: a tutti prudono i piedi e viene subito voglia di fare un saltino. Con le conseguenze che potete bene immaginare. Ecco perché, proprio mentre sto cercando di illuminare la mia squadriglia sugli splendidi affreschi del soffitto, che celebrano la famiglia Rezzonico e presentano il dio Apollo in un cielo dorato...noto che Gruppio e Ferra sono pronti per il misfatto e hanno assunto una tipica espressione con uno scintillio birichino negli occhi e una posa da molla pronta a scattare. E io, con un'occhiataccia: "Se ci provate, vi taglio a fettine". Non ci hanno provato. 

                                                           Il salone del trono

Anni prima, era già successo. Prima che potessi fermarli, alcuni ragazzi di una seconda del 2009/10, peraltro molto educati, ahimé, non erano riusciti a contenersi e avevano fatto il tipico "saltino". Un salto nella sala da ballo di Ca'Rezzonico vi dà l'impressione di precipitare giù nell'atrio: ci eravamo così attirati un'occhiataccia dalle custodi, che ci avrebbero volentieri incenerito seduta stante, come Giove sul soffitto (sono custodi peraltro molto più moderate che in altri luoghi di Venezia, dove gli studenti sono visti letteralmente come il fumo negli occhi). Procedendo in quella visita, a un certo punto, mi ero ritrovata Riccardo, un giovanotto alto, come minimo, 15 cm più di me, che veniva ansiosamente a nascondersi dietro di me. "Prof, aiuto, mi difenda! Quella signora è cattiva!". Ce l'aveva con una custode che lo inseguiva, fulminandolo con gli occhi perché lui aveva compiuto la sciocchezza di toccare un mobile con un dito...

                                                      La farmacia

Abbiamo proseguito la visita e scoperto moltissime opere d'arte: ad esempio, in una sala ci sono vari pastelli, di una luminosità soffusa, opera di una delle migliori ritrattiste del Settecento, Rosalba Carriera; oppure, i quadretti di vita quotidiana di Pietro Longhi; o anche preziose collezioni di porcellane (che hanno affascinato la mia collega Silvia, come ho scoperto, un'appassionata del ramo). Vari soffitti sono stati affrescati da G.B.Tiepolo; al secondo piano, si trovano alcuni capolavori dei vedutisti (quelli che fungevano da fotografi del Settecento, dipingendo delle panoramiche precisissime della città grazie alla camera oscura), o anche alcuni quadri famosi di Francesco Guardi (come Il ridotto di S.Moisé, l'anticamera del casinò). Alcune opere, però, sono invariabilmente assenti; all'epoca, ricordo, mancava il ritratto di papa Rezzonico, Clemente XIII, l'unico appartenente alla casata e opera del famoso pittore neoclassico Anton Raphael Mengs. Ma regolarmente, qualcosa manca all'appello. Infine, all'ultimo piano, c'è la pinacoteca e una farmacia, con i vasi di maiolica bianchi e blu e che sembra uscita da un libro. Mantenere l'attenzione della squadriglia sala per sala non era facile, perché, a un certo punto, ci si stanca, ma, tutto sommato, è andata bene: specie quando ricordo che i ragazzi invariabilmente prendevano d'assalto tutti i divanetti e le sedie disponibili e che c'era in orbita libera intorno a me, come un elettrone, Astro-Snoopy...(continua)

                                                     Il ciarlatano di Pietro Longhi

giovedì 22 febbraio 2018

Vesuvio

Vesuvio


Una nube di fumo la cui altezza è stata calcolata tra i 18 e 26 km; uno strato di una decina di metri di cenere al di sopra di Pompei; una nube ardente, che ha spazzato via gli ultimi resti della città, di 700 - 800 gradi, con una velocità di 100-110 kmh; forse più di 2.000 vittime; un miliardo di metri cubi di materiale eiettato; ma, soprattutto, la cenere, che ha congelato la città e i suoi abitanti negli attimi finali della loro agonia, per cui gli edifici sono stati ritrovati quasi come erano e i calchi di gesso, prodotti riempiendo le cavità dove si erano decomposti i corpi, ci hanno restituito la posizione delle vittime mentre stavano morendo. Questo è stata la "formidabile" (cioè terrificante) eruzione del Vesuvio del 79 d.C., eruzione di cui ha parlato anche Leopardi. Partiamo dalla sua Ginestra o il fiore del deserto, poemetto del 1836, per poi avventurarci nella storia del vulcano, dell'eruzione e nelle testimonianze antiche, in primis quella di Plinio il Giovane.


                                        Il Vesuvio al cinema (come era, prima che il cono esplodesse)


La ginestra

Qui su l'arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null'altro allegra arbor né fiore, 
tuoi cespi soltari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti....

Così, con l'impressionante mole del Vesuvio, inizia La ginestra di Giacomo Leopardi, composta a Torre del Greco nel 1836, poco prima che il poeta morisse a Napoli, dove si era trasferito con il fedele amico Antonio Ranieri. I manoscritti sono tutti opera di Ranieri: e fu lui a pubblicarla nell'edizione dell'opera omnia del poeta, nel 1845, in chiusura dei Canti, quale testamento spirituale di Leopardi (e pensate che lui intendeva scrivere una Lettera ad un giovane del ventesimo secolo...per noi!). Chi ha visitato il Vesuvio, ricorderà che le sue pendici sono coperte da questi cespugli di fiori gialli, non bellissimi, ma profumati; e la ginestra, che resiste in un ambiente ostile, è simbolo di un'umanità positiva, che non si fa illusioni arroganti sulla sorte umana, guarda in faccia alla "natura matrigna" e resiste umilmente, ma saldamente; inoltre, qui, per la prima volta Leopardi prospetta una risposta positiva alla "natura matrigna": la solidarietà. Il testo, in lasse di endecasillabi e settenari (317, per la precisione), si divide in queste sezioni:


1) Versi 1-37: il poeta si rivolge alla ginestra, che abita queste zone desolate dalle eruzioni vulcaniche, quasi mostrasse pietà (quasi i danni altrui commiserando, v.35). Alla descrizione del paesaggio vesuviano lunare, si unisce, con notevole effetto poetico, l'evocazione delle città sepolte dal Vesuvio e della loro opulenza svanita.
2) Vv.37-86: lunga sezione polemica contro le ideologie progressiste e ottimiste coeve al Leopardi: la desolazione prodotta dal Vesuvio dimostra quanto siano fallaci tutte quelle credenze nelle magnifiche sorti e progressive (v.51) dell'umanità, in realtà alla mercé della natura matrigna, che ci può cancellare con lieve moto (v.45: l'espressione del v.51 deriva dagl'Inni sacri del poeta cattolico-liberale Terenzio Mamiani, cugino di Leopardi stesso). Così il poeta dichiara tutto il suo disprezzo per il secol superbo e sciocco (v. 53), che evita il vero, dimentica il pensiero razionalistico che additava nella sventura la sostanza della condizione umana e ritorna alla schiavitù, piuttosto che alla libertà.


                                                 Le ginestre sul Vesuvio

3) Vv.87-119: in tono più filosofico-morale, egli afferma che un animo veramente nobile guarda in faccia alla realtà e non si inventa una felicità fasulla (Nobil natura è quella / che a sollevar s'ardisce / gli occhi mortali incontra / al comun fato, e che con franca lingua, / nulla al ver detraendo, / confessa il mal che ci fu dato in sorte, / e il basso stato e frale... vv.111-17).
4) Vv. 119 - 57: l'unica colpevole dell'infelicità umana è la natura, madre di parto e di voler matrigna (v. 125; si noti l'efficace chiasmo): contro di lei tutti gli esseri umani si devono unire (e non combattere fra di loro), radice saggia di ogni forma e valore sociale.
5) Vv.158-201: in una pagina estremamente poetica, memore dell'Infinito, il poeta ricorda come ama contemplare il cielo stellato dalle pendici del Vesuvio; e qui si stupisce alla grandezza dell'universo, al confronto del quale la Terra è un punto...oscuro/ granel di sabbia (vv.170 e 191). Le pretese dell'essere umano, al confronto, paiono proprio favole.
6) Vv.202- 36: il genere umano, spazzato via dall'eruzione del Vesuvio (immagine della natura matrigna) è paragonato ad un formicaio schiacciato da un pomo caduto dall'albero. Il brano contiene un'impressionante descrizione dell'eruzione vulcanica.


7) Vv. 237-68: descrizione del contadino campano (il "villanello"), che sorveglia il Vesuvio con timore e fugge alle prime avvisaglie dell'eruzione.
8) Vv. 269-96: evocazione degli scavi della morta Pompei e della furia del Vesuvio, la cui lava risplende sinistra la notte tra le rovine (splendido notturno: E nell'orror della secreta notte / per li vacui teatri, / per li templi deformi e per le rotte / case, ove i parti il pipistrello asconde, / come sinistra face / che per voti palagi atra s'aggiri, / corre il baglio della funerea lava...vv. 280-86): esso è simbolo della natura che non si arresta mai, mentre, suggestivamente, caggiono i regni intanto, passan genti e linguaggi...(vv. 294-95).
9) Vv.297-317: ultima apostrofe alla ginestra, umile modello per gli umani, priva di arroganza o di servilismo, che sta per soccombere alla furia del vulcano.


In definitiva, Leopardi si appoggia al pensiero materialistico ed illuminista per svelare l'"arido vero" della infelice condizione umana, provocata dalla "natura matrigna": contro di essa gli uomini devono unirsi nella solidarietà che sola può mitigare i rigori dell'esistenza. La splendida strofa sul "villanello" che veglia il Vesuvio minaccioso e fugge alle prime avvisaglie di eruzione (come l'acqua che bolle nei pozzi) indica quanto la sorte dei più deboli stesse a cuore al poeta. E debole è la ginestra, simbolo non solo di umiltà e dignità di fronte al dolore, ma anche di razionalità e del dolce profumo che la poesia può spandere sulle rovine umane. Nella sua fragile delicatezza, la ginestra appare un modello quasi eroico di resistenza al male.

Il Vesuvio, uno dei vulcani più pericolosi al mondo

                                              Una volta, il Vesuvio era così (da Cioni, 1999)

Leopardi considerava il Vesuvio un simbolo del male che affligge la natura umana: ma, a dire il vero, la sua visione materialistica gli faceva dimenticare realtà ben più pericolose. Amo ripetere che, secondo i calcoli degli studiosi, negli ultimi due secoli ci sono state più o meno 200.000 vittime delle eruzioni vulcaniche su tutta la superficie del globo (dati offerti da A.Rittmann): secondo dati statistici pubblicati nel 2013 dall'Università  di Bristol sul Journal of Applied Vulcanology, a partire dal 1.600 fino ad oggi, ci sarebbero state 278.880 vittime in totale, provocate da 533 eruzioni. Sono molte, ma, onestamente, molte meno dei 20 milioni di morti causati dalla I Guerra Mondiale, dei 55-60 milioni conseguenza della Seconda, dei 60 - 70 milioni di cui è responsabile Mao Tze Dong in Cina (secondo stime cinesi al ribasso) o dei 200 milioni provocati, ad esempio, dal comunismo in 80 anni di attività; e si potrebbe continuare di questo passo.

Tuttavia, il Vesuvio è uno dei vulcani più pericolosi al mondo: forse il secondo, dopo la gigantesca caldera di Yellowstone, che potrebbe spazzare via buona parte degli USA occidentali. La pericolosità dei vulcani, del resto, viene determinata sempre di più dalla densità della popolazione circostante: e, intorno al Vesuvio vivono più di 3 milioni di persone, forse la zona vulcanologica più densamente popolata al mondo, con almeno mezzo milione inquadrato dalla nostra Protezione Civile nella cosiddetta "zona rossa", quella a più immediato rischio. Bisogna ricordare, innanzitutto, che il Vesuvio è un vulcano esplosivo, non effusivo: cioè, il suo magma siliceo è più viscoso di quello basaltico e fluido dell'Etna; mentre questo rifluisce via, si solidifica e basta, quello del  Vesuvio tappa il condotto vulcanico e, a causa della pressione dei gas, lo può far esplodere: con conseguenze devastanti. Si è osservato che, nei giorni precedenti l'esplosione, i vulcani esplosivi sembrano "gonfiarsi": le loro pendici si arrotondano, perché c'è qualcosa sotto che preme.

                 
                            Il cono del Vesuvio; dietro si vede molto bene la caldera del monte Somma

In realtà, come afferma il vulcanologo Giuseppe Mastrolorenzo sulla base delle ultime, accurate ricerche, condotte assieme alla collega Lucia Pappalardo, il Vesuvio ha la stessa camera magmatica della amplissima caldera dei Campi Flegrei, quella dove le solfatare sbuffano i loro soffi di zolfo; una camera magmatica situata a 8 km di profondità sotto il Vesuvio e a 6 sotto i Campi Flegrei. In sostanza, da Posillipo fino a Procida, per 12 km di estensione, è tutta una successione di vulcani, che potrebbero esplodere in qualsiasi momento con possibilità di previsione pressoché nulle ("è una roulette russa", afferma lo studioso in un'intervista recente al Corriere della sera). Il problema è che col bradisismo recente (movimenti tellurici più lenti), il terreno si è sollevato, ma diventa sempre più fragile, per cui ovunque si potrebbe aprire una frattura che innescherebbe un'eruzione.

Storia del Vesuvio

Quello che vediamo oggi non è il Vesuvio come lo videro gli antichi la mattina del 24 agosto (o ottobre) del 79: era molto più alto, perché l'eruzione ha fatto esplodere il cono vulcanico. Oltre il cono attuale si vedono ancora molto bene i resti dell'antica caldera, il Monte Somma.
Gli antichi Romani non sapevano che il Vesuvio fosse un vulcano. In generale, dei vulcani conoscevano solo la pericolosità: e che fosse necessario starne alla larga. Lo storico e geografo del I sec. a.C. Strabone, autore della Geografia, fu forse l'unico a rendersi conto che il Vesuvio (Mons Vesbius) era un vulcano: notò infatti le rocce bruciate sulle pendici, anche se esse erano coltivate, grazie alla loro fertilità, e coperte di vigneti. In realtà, già nella preistoria, le numerose esplosioni avevano creato una vasta caldera....(continua)


Bibliografia

M.R.Auker, R.S.J.Sparks, L.Siebert, H.Sian Crosweller, J.Ewert, A Statistical Analysis of the Global Historical Volcanic Fatalities Record, Journal of Applied Vulcanology 2,2, 14 febbbraio  2013,
https://appliedvolc.springeropen.com/articles/10.1186/2191-5040-2-2
M.M.Cappellini, E.Sada, I sogni e la ragione. Tra Ottocento e Novecento, vol. 5, Milano, Mondadori, 2015.
A.De Simone, Le  solfatare dei Campi Flegrei, uno dei vulcani più pericolosi al mondo, Corriere della sera, 4 luglio 2017,
http://www.corriere.it/cronache/17_luglio_04/solfatare-campi-flegrei-dei-vulcani-piu-pericolosi-mondo-0a2560ba-609e-11e7-b845-9e35989ae7e4.shtml?refresh_ce-cp
G.Ferroni, Storia della letteratura italiana, 3 vol., Milano, Elemond, Einaudi, 1991.
A. e L.Rittmann, I vulcani, Novara, De Agostini, 1976.

Sintesi sui fatti dell'eruzione (in inglese):
https://www.youtube.com/watch?v=N-upaByYclM
Breve documentario su Pompei (con immagini tratte dal film omonimo del 2014):
https://www.youtube.com/watch?v=CxHQVGsqfFk

mercoledì 14 febbraio 2018

Il grande amore e la storia di Paolo e Francesca


Il grande amore e la storia di Paolo e Francesca

Ecco qui la mia conferenza del 13 febbraio scorso, la vigilia di S.Valentino, su Paolo e Francesca, tra Dante e la storia dell'arte, all'UTEF di Portomaggiore: seguono i link degli audio, pubblicati su Youtube (sono 8), e le  immagini cui faccio riferimento nel testo. 


Ritratto perduto di Francesca, chiesa di S.Maria in Porto, Ravenna


Rocca di Gradara, stanza di Francesca



J.D.Ingres, Paolo e Francesca (1814, Chantilly)


Coupin de la Coupérie, Paolo e Francesca (1812)



J.D.Ingres, Paolo e Francesca (Museo Bonnat, 1819)


J.D.Ingres, Paolo e Francesca (1845)



William Dyce, Paolo e Francesca, 1845


Anselm Feuerbach, Paolo e Francesca, 1836.



Gustave Doré, Paolo e Francesca, 1861


Amos Cassioli, Paolo e Francesca, 1870



Dante Gabriel Rossetti, Paolo e Francesca, 1870.


Alexandre Cabanel, Paolo e Francesca, 1870.



Gaetano Previati, Paolo e Francesca, 1887


Gaetano Previati, Paolo e Francesca, 1901



Gaetano Previati, Il sogno, 1812


William Blake, Il girone dei lussuriosi, 1827


Ary Scheffer, Paolo e Francesca, 1844


Gustave Doré, Paolo e Francesca, 1861.


George F.Watts, Paolo e Francesca, 1887


Arnold Boecklin, Paolo e Francesca, 1893


Umberto Boccioni, Il sogno ovvero Paolo e Francesca (1912)


Auguste Rodin, Il bacio (1880)


Auguste Rodin, Paolo e Francesca (bozzetto)